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Autore: Virginia Of Asgard    27/07/2013    2 recensioni
Ho deciso di dipartire daccapo con la mia vecchia storia, dal titolo omonimo. Non mi piaceva, ed eco la nuova versione, ambientata molti anni prima che Giselle si trasferisse a Liverpool, e incontrasse John.
Dal Testo:
"Quella ragazza non era Carol. Quella ragazza non poteva certo essere la sua Carol. Quella ragazza era un Maschio. Un giovane pirata a capo di una numerosissima ciurma, tanto numerosa da ricordare a Giselle tutte le foglie gialle, rosse, arancioni e marroni dei Campi Elisi.
Capitan Lennon squadrò l’intrusa. Chi aveva permesso ad una poppante qual’unque di invadere i suoi territori di fantasia?"
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Non cambierò certo per te, Burbero tricheco insolente! – Riveduta & Corretta” - Capitolo I:

 

Capitolo I – Imagine That…

 
Giselle Smith, a 14 anni, quasi 15 - John Lennon a 15 anni, quasi 16.

Consiglio la lettura del brano, ascoltando questa meravigliosa canzone di Lindsey Stirling: https://www.youtube.com/watch?v=JGCsyshUU-A&feature=c4-overview-vl&list=PL0805FB61D7503BC2





«Pete che ti avevo detto? I Black Jacks spaccheranno i culi! Te lo giuro, suonoremo meglio di Lonnie Donegan, canteremo meglio di Bill Haley e balleremo meglio di Elvis!» sbottò Lennon, poggiato ad un termosifone nel bagno dei maschi, della scuola. Il suo migliore amico fece una smorfia contrariata.
«Non lo so Johnny, mia madre dice che la chitarra è lo strumento di Satana. Sai, io non ci credo a queste cose, ma non vorrei fosse… vero.» asserì l’amico, intento a fumare la sua sigaretta in santa pace.
«Già, John! Non vogliamo che le nostre chiappe bucino all’inferno!» si aggiunse preoccupato Eric, il giovane dalle orecchie palesemente a sventola. Convincere i ragazzi a creare una Band sembrava più arduo che mai.
«Hahahahaha!» scoppiò a ridere Colin, seguito dalle risa degli altri amici di John. «Ti stiamo prendendo per il culo, John! Nessuno di noi ha paura di finire all’inferno per un po’ di buona musica, ci stiamo tutti quanti!» Esclamò Rod Davis, allungando per primo la sua mano, attendendo che i compagni aggiungessero le loro, volta per volta, fino a farle saltare per aria esclamando all’unisono: “Black Jacks, Black Jacks, Black Jacks!”.
John ci era riuscito: aveva creato una Band tutta sua, i Black Jacks. Il loro nuovo gruppo era formato da due chitarre, un Banjo, due percussionisti e un’asse per lavare, strumento tradizionale nella Black Music.
John ne era certo: sarebbero andati molto lontano un giorno, in futuro. Ora lìunico obiettivo era imparare a suonare!

 
 
Autunno 1955, Liverpool, Quarrybank High School.
 
Le foglie giallognole cadevano tristemente da gli alberi, che ora mai si tirovavano a dire addio alle loro – un tempo verdi – compagne di Tempo, per spogliarsene completamente, e sperare in una buona e rigogliosa primavera. Il Quindicenne John passeggiava solitariamente per le vie di Liverpool, quella giornata era stato espulso per ben tre giorni dalla sua scuola, per aver tentato di vendere riviste porno del dopoguerra, a dei bambini delle scuole elementari. Ridacchiò tra sé e sé, solo lui avrebbe potuto fare una cosa del genere. Senza dirlo a Zia Mimi, tra l’altro! Stava difatti, marinando scuola già da due giorni, enza che Mimi lo venisse a scoprire.
Lui sì, che era bravo a coprire le sue traccie! Lui sì, che era un fottuto genio. Lui era un artista, sapete, uno di quei artisti che però non vengono compresi da nessuno. John era costretto a seguire le regole, e promettere di impegnarsi per diventare, in un futuro, un dottore o un ingernere. Come voleva la sua famiglia. Come voleva sua zia.
Ma John, oh, John non si sarebbe mai e poi mai, piegato a questa loro volontà. Lui voleva essere come Elvis, e non come Nicola Tesla, Non voleva essere certo un filosofo di fama mondiale come Nietzsche, o un pensatore come Archimede.
A Lui bastava essere Elvis.
Perché lui sarebbe stato Elvis, un giorno.
In quel momento, nulla avrebbe potuto fermarlo. Camminava, fiero di sé, fiero della sua creazione, fiero dei suoi amici Pete, Eric, Rod, Bill e Colin, era fiero dei Black Jacks, ed era soprattutto fiero di quanto la sua intelligenza fosse riuscita a scacciarlo dai guai per l’ennesima volta.
Zia Mimi era convinta che John fosse a scuola, ad uniformarsi assieme a tutti quegli altri maledetti damerini. Diamine, lui era dislessico, e si sa che i dislessici odiano la scuola! E John Winston Lennon, odiava la scuola!
Girò l’angolo della strada delle foglie gialle, rosse e marroni, per dirigersi con un blocco da disegni e tanta fierezza in petto, verso un piccolo parchetto circondato da vecchie mura di rovine abbandonate.
Si sedette, ed iniziò a fantasticare. Non lo aveva mai detto a nessuno, ma lui poteva immergersi in un altro mondo, quando voleva. Tutto attorno a lui si trasformava; Il Parco lentamente divenne un’isola magica, sperduta fra i mari Norreni; I giochi dei bambini, divennero relitti di antiche navi pirata, che erano state li, prima di lui. Tutte le foglie che danzavano nel vento, divennero la sua ciurma personale, al rapporto per lui, il loro capitano. Capitan Lennon, il pirata più temuto dei sette mari!
«Tu! Vammi a prendere le corde!» ordinò ad uno dei suoi minori, con un gesto fermo e deiso; «E tu, portami cento denari, e va a comprare una chitarra acustica nel negozio degli Epstain! Tu; va a rapire Pete, Colin, Rod, Eric e Bill! E tu, materializza il mio palcoscenico!» Ordinò ai pirati, che subito corsero ai suoi comando, consegnando lui tutto ciò che chiedeva.
John Lennon era il Re del suo mondo, e ben presto lo sarebbe divenuto, anche nel mondo reale.
 

§§§

 
Autunno 1955, Parigi, Campi Elisi.
 
Nel Frattempo, a Parigi, in Francia, una giovane quattordicenne, giocherellava con dei fiammiferi; infinitamente sola, nel suo appartamento di lusso. Il fuoco era così bello e attraente ai suoi occhi, i suoi grandi occhi viola che riflettevano come specchi lucidi ed argentei, ogni movimento della fiammella.
Nessuno le aveva mai insegnato che non si giocava, con il fuoco.
I suoi genitori non c’erano quasi mai per lei. Partivano la mattina, e tornavano la sera, quando non erano in viaggio all’estero per lavoro.
La piccola Giselle dai capelli neri e ricci, lanciò il fiammifero fra le fiamme del camino, per dirigersi verso la grande finestra che dava sui campi Elisi.
Voleva uscire, e voleva un’amica. Voleva la sua amica, Carol. Era tornata a Parigi dai suoi, per una settimana, lontana dal rigido Collegio femminile, che l’obbligava a seguire rigide e dolorose regole, che il suo spirito ribelle non accettava.
Sbuffò fissando il peluche di un coniglio rosa, il coniglio rosa del Natale scorso. A lei non piacevano i conigletti! A lei piacevano le macchine da corsa, le armi pericolore e i palloni da calcio europero. Possibile che i suoi genitori non se ne accorgessero? Giselle non era una femminuccia di quattordici anni, che come tutte le sue altre coetanee ambiva unicamente a trucchi, vestiti nuovi e tante scarpe! Giselle voleva giocare con i ragazzi della sua erà a ruba-bandiera, nascondino, calcio e lotta libera. Voleva e bramava sporcarsi nel fango, fare avventurosi campeggi in montagna. Giselle sognava l’avventura, un’avventura che non avrebbe condiviso con nessun’altro se non Carol, la sua migliore amica e compagna di collegio Carol, di un anno più grande, e con tutte le sue stesse passioni.
«Ccarol, se tu fossi qui! Potremmo tornare alla baita oscura assieme, o andare a caccia di rospi maledetti, nelle rive del mare delle Condanne, salpare su di una nave pirata, travestite da marinai, verso la ricerca del sacro Gral. E invece sono qui, da sola, in un paese che non è il mio, ad aspettare che quest’agonizzante vacanza scolastica finisca, per farmi tornare da te.» disse malinconica, fissando le foglie gialle, rosse, arancioni e marroni, che incorniciavano il lungo passo dei campi Elisi.
Anche Giselle era dotata di una gran fantasia. «Ho deciso! Andrò all’isola dei pirati, la tua preferita, così ci vedremo lì, Carol!» esclamò chiudendo gli occhi.
Una verde isola piena di relitti di altre navi pirata, si estendeva davanti ai suoi occhi. Era il loro rifugio preferito, Giselle sperò con tutta sé stessa, che anche Carol ci stesse pensando! Se non l’avrebbe potuta avere in carne ed ossa, almeno l’avrebbe avuta li, nella sua isola. Ma qualcosa andò storto.
Quella ragazza non era Carol. Quella ragazza non poteva certo essere la sua Carol. Quella ragazza era un Maschio. Un giovane pirata a capo di una numerosissima ciurma, tanto numerosa da ricordare a Giselle tutte le foglie gialle, rosse, arancioni e marroni dei Campi Elisi.
Capitan Lennon squadrò l’intrusa. Chi aveva permesso ad una poppante qual’unque di invadere i suoi territori di fantasia?
«E tu? Chi diavolo sei?» domandò il ragazzo, balzando giù dal suo podio fatti di barili e botti di legno, con abilità, e puntando la sua sciabola argentea, alla gola di Giselle Smith, che indietreggiò.
«Giselle Smith signor Capitano, fedele marinaio della nave del capitano Major, Carol Major!» si presntò, col cuore in gola. Non l’avrebbe uccisa, vero?
John depose l’arma, e si grattò la finta barba che solo nel suo mondo, possedeva. «Non ho mai sentito nominare questo Capitano Major!» esclamò imbracciando la sua chitarra del negozio degli Epstain, costata cento denari.
«Ma quella è una chitarra!» esclamò la giovane, da gli occhi, improvvisamente brillanti e luidi. Capitan Lennon annuì. «Mio padre ne suona una identica!» esclamò sorridente, ma in quel preciso istante Capitan Lennon e la sua ciurma di foglie sparirono dallo scenario incantato, lasciando esterrefatta la giovane sognatrice, che se ne tornò tristemente alla sua realtà.
 

§§§

 
«Brutto mascalzone imbranato e bugiardo che non sei altro!» esclamò Zia Mimi con le braccia incrociate sul petto.
«Non dovresti essere a scuola, a quest’ora, John Winston Lennon?» domandò prendendo il giovane per l’orecchio destro, e trascinandolo a dovere sino a casa.
La sua intelligenza era stata battuta da un puro caso di coincidenza astrale. Maledetto Karma, maledetto Universo, e maledette le tue fottute regole!
Pensò il giovane tra sé e sé.
«Proprio ora che stavo facendo amicizia con un altro marinaio!» si lamentò il giovanissimo John Teddy Boy, trascinato dalla zia.
«Oh John, non so che diavolo passi per quella piccola mente bacata che ti ritrovi, ma non c’era nessun marinaio, in quel parco. E non ho nemmeno intenzione di subirmi le tue scuse infondate, filatene dritto in camera tua, e non uscire fino a ché non sarà finita la tua punizione, givanotto!»
Esclamò la zia, sbattendosi il portone di casa alle spalle.
La sua avventura nel mondo della musica e dei suoi sogni più fantasiosi e reconditi era terminato, Ma John sapeva una cosa, in cuor' suo: un giorno l'avrebbe rivista, quella graziosa bambina dai lineamenti docili e gentili, e dai grandissimi occhi viola.
 
 

 
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E bene si, ho deciso di ricominciare a scrivere daccapo “Non cambierò certo per te, burbero tricheco insolente!” Partendo dalle radici più mistiche e profonde della storia.
Due storie lontane ma parallele, di due – forse troppo – giovani John e Giselle, in un prequel ambientato anni prima che Giselle si trasferisse definitivamente a Liverpool.
Perché l’ho fatto? Non mi piaceva come stavo scrivendo “Non cambierò certo per te, burbero tricheco insolente!”, e come si stava svolgendo. Avevo perso l’ispirazione, che ora è tornata con una nuova storia, riveduta e corretta.
Spero vi attiri tanto quanto la precedente. Ah, e non serve che abbiate letto la precedente storia, qui si ricomincia daccapo! Addirittura prima!
Buon proseguimento, spero di avervi incuriosite, e lettrici incallite che mi seguivate prima, spero di non avervi fatto un torto, con questa nuova versione :/
P.s.
So che John a 15 non era così…”Bambino” diciamo, ma so che ha sempre avuto una vena artistica che andava ben oltre la musica, e ho sempre saputo che John sapeva immaginare, così mi sono immaginata io, il suo piccolo e infantile segreto mondo dei sogni :)
   
 
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