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Autore: CathLan    28/07/2013    3 recensioni
Destiel ambientata dopo l'ottava stagione. Castiel è un angelo caduto e deve fare i conti con questa realtà, Dean sarà in grado di aiutarlo?
Dean è sempre stato il tuo tutto, fin dall’inizio. Da quando l’hai tirato fuori dall’Inferno, da quel momento la tua esistenza ha imparato a gravitare attorno alla sua e tu lo sai, sì, lo sai che per lui non c’è niente che non faresti. Hai capito da tempo che non sarai mai capace di disconoscerlo. Ti sei messo contro il Cielo stesso, per il maggiore dei Winchester. E lo rifaresti, non una, ma altre mille volte. Perché un pianeta senza il suo sole al centro non gira, non sopravvive.
E tu come potresti vivere senza il tuo tutto? Senza il suo pomo d’Adamo che fa su e giù quando si rende conto che lo stai ammirando; come potresti?
«Guarda che se continui così rischi di consumarmi» borbotta Dean [..]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
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Even if saving you sends me to heaven.
Fandom: Supernatural
Pairing: Castiel/Dean (Destiel)
Prompt: Your Guardian Angel by The Red Jumpsuit Apparatus (traduzione)
Rating: Rosso
Genere: Lemon, angst, sentimentale
Avvertimenti: slash, One Shot
Note: Ascoltavo musica e mi è venuta in mente questa cosa. Mi annoiavo, avevo voglia di scrivere e quindi sono finita qui. 
E' ambientata dopo l'ottava stagione. Castiel è un angelo caduto e deve fare i conti con questa realtà, Dean sarà in grado di aiutarlo?
DISCLAIMER: io queste cose me le invento e loro, naturalmente, non sono miei. Questa giungla mi distrugge.

                       
 

Use me as you will
Pull my strings just for a thrill
And I know I'll be ok
Though my skies are turning gray


Tutto ciò che ti permette di non mollare, ora che sei un fallibile essere umano, è Dean.
Te ne sei accorto soltanto qualche giorno dopo la tua caduta sulla Terra. Lo hai guardato, mentre se ne stava seduto sul materasso del letto ordinario e malconcio della vostra camera di Motel e ti è stato tutto più chiaro. E un po’ più confuso.
Hai guardato dentro le sue iridi cangianti, mentre gli disinfettavi la ferita d’arma da taglio sulla spalla, e ti sei reso conto che se la tua permanenza sulla Terra come essere umano non ti stava squarciando senza riguardo il petto era per lui. Perché c’è lui.
Per i suoi occhi ora verde erba, a momenti probabilmente verde palude. Per le sue labbra rosse, chiuse attorno al collo della birra gelata e per i suoi capelli corti, di quel magnifico biondo indefinito. E sì, anche per le lentiggini, per quelle adorabili macchioline che sfumano la carnagione del suo bel viso rendendolo magnetico.
Dean è sempre stato il tuo tutto, fin dall’inizio. Da quando l’hai tirato fuori dall’Inferno, da quel momento la tua esistenza ha imparato a gravitare attorno alla sua e tu lo sai, sì, lo sai che per lui non c’è niente che non faresti. Hai capito da tempo che non sarai mai capace di disconoscerlo. Ti sei messo contro il Cielo stesso, per il maggiore dei Winchester. E lo rifaresti, non una, ma altre mille volte. Perché un pianeta senza il suo sole al centro non gira, non sopravvive.
E tu come potresti vivere senza il tuo tutto? Senza il suo pomo d’Adamo che fa su e giù quando si rende conto che lo stai ammirando; come potresti?
«Guarda che se continui così rischi di consumarmi» borbotta Dean, ingollando l’ennesimo lungo sorso di birra gelata.
Abbassi lo sguardo verso i tuoi piedi nudi, non chiedi scusa perché non ha senso. Di questo passo finiresti per scusarti cento volte al giorno e a lui non piace quando lo fai. E l’afa estiva lo irrita già abbastanza, ci manchi solo tu con le tue scuse.
Fa caldo, sono le dieci di sera e siete finalmente liberi dopo due intere settimane a correre dietro a tutti e a nessuno.
Sam si è preso l’unica camera libera, siccome una a tre posti non era disponibile. Dean ha protestato per dieci minuti con suo fratello, poi ha sbuffato, ha lasciato perdere e ha semplicemente continuato a borbottare a bassa voce fino in stanza. L’ha aperta e si è tuffato in doccia. Quando ne è uscito sembrava tranquillo, ma tu sei convinto che ricomincerà molto presto a blaterare di quanto sia più adatto lui ad avere una stanza singola. Uno, perché è più grande. Due, perché lui riesce a portarsi sempre una ragazza a letto e quindi necessita di privacy. Tre, perché non è giusto e basta, insomma, a Samantha non serve una camera singola, è ancora una ragazzina.
Probabilmente la filippica riprenderà non appena avrà concluso le sua seconda birra e si ritroverà a dover pensare a come -soprattutto dove- spassarsela con la ragazza che abborderà in un qualche locale squallido della cittadina in cui siete finiti.
Non resterà lì con te, non di certo a farsi fissare. Lo infastidisce, soprattutto con questo caldo, ma tu non ne puoi fare a meno.
Ti piace guardarlo, osservare la variabilità delle sue espressioni, quei piccoli difetti che sono insignificanti ad occhio distratto, ma che per te sono visibili come nuvole in ciel sereno. Non comprendi proprio come possa preferire portarsi a letto una qualche stupida donna sconosciuta che di lui non saprebbe apprezzare la minima cicatrice o sfumatura d’iride ad una persona che lo ama con tutto se stesso, ma non ci vuoi nemmeno pensare molto. Insomma, a te cosa importa? Ovviamente nulla, non ti interessa. Il tuo è affetto fraterno, un qualcosa di assolutamente platonico, giusto?
Sinceramente non lo sai più. Hai smesso di porti simili domande tempo fa, quando hai cominciato a dubitare delle risposte e la paura di poter rovinare tutto ti ha chiuso a riccio.
Non vuoi pensare, non vuoi riflettere e renderti conto dell’entità dei tuoi reali sentimenti. Hai paura di ciò che potrebbe accadere, di un rifiuto. Tu per lui faresti di tutto perché.. perché sì, ma lui? A te sceglierebbe Sam, e non solo a lui.
Fin dove si spinge il suo affetto nei tuoi confronti? Non molto lontano, presumi.
Sei per lui un ex angelo, un cacciatore, un amico. Un confidente, un fratello acquisito, un compagno. E poi?
«Ti fa ancora male?» domanda, distogliendoti dal filo intricato dei tuoi pensieri.
Alzi la testa e sussulti, non l’hai sentito arrivare. I tuoi sensi da umano sono sottosviluppati, non ci sei abituato. Sei ridicolo e ti odi, queste qualità minime ed estremamente primitive ti abbassano l’autostima.
Dean è vicino, ha bruciato lo “spazio personale” e ti contempla accigliato, attraverso le ciglia lunghe. Sta attento al tuo volto, a ciò che potresti far trapelare, era più semplice indossare la maschera quando eri un angelo. In realtà nemmeno la indossavi, eri tu: imperscrutabile e divino. Adesso sei umano e una spalla lussata fa così tanto male che stai stringendo spasmodicamente le lenzuola del tuo letto senza neanche rendertene conto. Che guerriero da quattro soldi.
Allenti la presa e inclini di un poco il capo, ricambiando il cipiglio preoccupato?, no, solo comprensivo, di Dean. Lui ha detto che se l’è lussata un paio di volte la spalla e che sa quanto sia doloroso. Ma passerà, ha aggiunto.
Fortunatamente comunque Sam è riuscito a riposizionarla qualche minuto dopo l’impatto contro il muro e quindi ora tutto è nella propria sede, ma fa male. Vorresti avere ancora i tuoi “trucchetti” da angelo, ma purtroppo non li hai e il poco alcool che ti circola nel sangue serve a poco e a niente. Sei così sensibile che, davvero, ti fai pena.
«Purtroppo più che metterci il ghiaccio non si può fare» dice, inginocchiandosi ai tuoi piedi.
Lo guardi dall’alto al basso e ti sembra perfetto. Ma il fatto è che Dean è perfetto e guardarlo fa quasi male. Più male della lussazione. «Passerà» smozzichi imbarazzato. «Non esci stasera?» aggiungi, invadente come sempre.
Le sue sopracciglia schizzano in alto. «Mi stai cacciando così poi ti puoi mettere a piagnucolare senza che qualcuno se ne accorga?» ti prende in giro. «Comunque sì, esco».
Lo guardi storto e ti volti dall’altra parte. Non sai se ti abbia ferito di più la poca considerazione che ha per te, per i tuoi sentimenti e la tua autostima o il fatto che davvero voglia uscire a spassarsela con la prima che passa piuttosto che stare con te. Ma alla fine, ti ripeti di nuovo, perché dovrebbe scegliere di stare lì ad ammuffire con te? Non parli, lo annoi e lo innervosisci. Non sei proprio quel che si dice un gran bell’affare.
«Cos’è? Vuoi venire?» chiede, inseguendo con la testa il tuo sguardo. Lo trova nel momento in cui è mezzo piegato verso destra, in equilibrio instabile sulle punte degli stivali.
La realtà è che sì, vorresti davvero tanto andare con lui, ma non credi che a lui piacerebbe davvero averti in mezzo ai piedi. Hai una spalla lussata, una gran nausea e di certo non potrebbe flirtare con qualcuna con te di mezzo. Anche se pensi che probabilmente ce la farebbe comunque. Ha delle buone tecniche di rimorchio. «No» rispondi, flebile.
«Okay, allora ci vediamo domani mattina» esordisce, schizzando in piedi come se non avesse aspettato altro che quel monosillabo. Anche questo, seppur non lo ammetterai mai, ti ferisce come una coltellata nel petto. «Riposati e non esaurire tutte le lacrime, va bene?» ti sfotte, prima di sbattersi la porta alle spalle.
Ci ha messo esattamente quanti?, probabilmente settantaquattro secondi per mollarti solo come un idiota.
Tu a differenza sua saresti stato lì con lui, anche mentre dormiva, controllando il suo sonno. Ma questo perché tu sei una specie di angelo custode. Cioè, non lo sei più, ma lo sei ancora.
E Dean per te cos’è? Un amico e basta. Non credi neanche di far parte della sua famiglia, non l’hai mai davvero creduto. Questa cosa ti annienta e ti toglie il respiro dai polmoni come un calcio sullo sterno.
Rimani lì seduto per diversi minuti, incapace di muoverti. Chiudi gli occhi e inspiri, ed espiri. Ormai è necessario, sei umano. Hai perso il tuo Cielo, hai perso ogni cosa. Hai solo i due fratelli, che però non sono davvero tuoi. In effetti non hai niente. Nulla. Non sei nessuno, non possiedi niente.
Se prima la tua Grazia e le tue Ali erano il tuo tutto, insieme naturalmente a Dean, ora non hai né l’uno né l’altro.
Perché Dean ha perso un po’ della fiducia cieca che nutriva per te, i tuoi sbagli l’hanno marmorizzato. I tuoi sbagli ti hanno fatto cadere, hai fallito ed è tutta colpa tua.
Nascondi il volto nella mano, posi il gomito del braccio sano sul ginocchio e inspiri. Espiri, sempre più rapidamente. Più profondamente. Finché non riesci più a controllare i polmoni e ti manca l’aria, seppur tu ne stia inghiottendo in quantità esponenziale. Sei solo, non hai nulla. E se non hai mai avuto una famiglia, adesso non hai più neanche te stesso.
Hai paura.
La spalla fa male e il ghiaccio ficcato tra la fasciatura e la pelle è ormai acqua calda.
Non respiri, o meglio, respiri a singhiozzi. Se stai per morire non lo credi, ma la sensazione è quella. Oppure stai per morire davvero e nessuno verrà a salvarti perché non sei nessuno, non hai nessuno.
Vuoi piangere, ma non lo fai. Cacci indietro tutto e ti butti all’indietro contro il materasso a grumi. Strizzi le palpebre e spalanchi la bocca. Pensi a qualcosa di bello, per colmare il dolore, la frustrazione e la paura.
Dean e i suoi occhi. Il suo sorriso, le rare situazioni in cui ti ha deliziato con la sua risata. La sua mano sulla tua spalla, le volte che ti ha salvato la vita. Le sue lentiggini. L’abbraccio in cui ti ha stretto quando ti ha ritrovato.
Ti addormenti così, con le lacrime tra le ciglia nere e l’avambraccio in faccia a coprirti dal buio.


«Ehi, Cas?» ti chiama la voce di Dean, è troppo vicina.
Se stai sognando è assurdo che il dolore alla spalla ti segua pure lì. Non credi sia giusto.
«Cas!»
Le ciglia incollate si aprono, mostrandoti il volto sorpreso del maggiore dei Winchester. E’ mezzo spalmato sul letto, accanto a te. Le ginocchia probabilmente sul pavimento, i gomiti sul materasso. Le sue labbra a qualche centimetro dalle tue. Le iridi verde giada brillano al chiarore di luna che penetra dalla finestra spalancata.
«Stai bene?» domanda, con un tono di voce non tanto tranquillo.
Annuisci, ancora mezzo addormentato. Sì, insomma, tutto sommato stai bene. Sei vivo. «Che ore sono?» domandi, confuso.
Dean ringhia, si alza in piedi e fa un gesto strano con le braccia spalancate. «Merda mi hai fatto spaventare, non rispondevi al cellulare!» sbraita, ad alta voce. «Avevo l’occasione di farmi una biondina con due tette grandi così, ma prima di andarmene con lei ho provato a chiamarti per sapere se stavi bene e tu non rispondevi, cioè, di solito anche quando dormi lo senti e ti svegli, ma nulla! Ti ho chiamato sei volte, capisci? Pensavo fosse successo qualcosa di grave e tu-» ti indica, con la faccia shockata. «Tu dormivi! Merda, Santa merda!»
Con le mani ti tiri su a sedere e cerchi di pensare a che risposta intelligente dargli, ma la realtà è che non lo sai. Non sai come calmare la sua furia, perché non ne comprendi nemmeno il motivo. Ti sei addormentato perché stavi male, diamine, non riuscivi a respirare. Stavi soffocando. Era tuo diritto dormire, ecco.
«Non hai sentito il cellulare o non mi hai risposto apposta per farmi preoccupare?» ti accusa, con gli occhi ridotti a due fessure.
Il mento ti cola giù. «Non lo farei mai, lo sai» ti discolpi. Non ha nemmeno senso.
«Beh, non lo so! Magari ti senti, che ne so, solo? Incompreso? E per questo cerchi conferme e attenzioni. Sei umano ora e queste cose idiote noi umani le facciamo!» spiega, gesticolando.
Inclini il collo, sorpreso. «Sei ubriaco?»
Dean spalanca la bocca, la richiude. La riapre e si stropiccia la faccia con i palmi grandi. «Sono stato via due ore, ti pare?» dice poi, quasi gridando.
«Ma che colpa ho io?» chiedi, perché veramente non stai capendo.
«Mi hai fatto scappare una con due tette così» chiarisce, scandendo bene “tette così”, facendo pure la misura con le mani. Le distanza dal petto di circa venti centimetri.
Scrolli la testa, ti gira. Hai di nuovo la nausea, sei stanco. «Potevi startene là con lei» sputi, acido. Ne hai abbastanza, sei stanco. Di tutto. Hai paura, sei ferito, vorresti soltanto qualcuno a cui aggrapparti, ne hai bisogno, eppure non c’è nessuno. E anche se ci fosse qualcuno il tuo orgoglio ti imporrebbe di lasciar perdere. Sei, no, eri un angelo del Signore. Sei forte, ora che ne hai passate così tante sei molto forte, non puoi permetterti di crollare così. Quando poi a tradire e a ripudiare il Paradiso sei stato tu in primis. Non ti è permesso, però fai fatica. Fa male.
«Potevi startene là con lei» ti scimmiotta Dean incazzato per qualcosa che tu, Signore, non hai fatto! «Caro mio se qualcuno rispondeva al benedetto cellulare io mi risparmiavo tutto il disturbo e domani mattina mi svegliavo anche bello soddisfatto, sai? Ti è così difficile da capire?»
Le sue iridi bruciano di una rabbia che non ha il minimo senso. Ti ferisce più il suo sguardo che le sue azioni. Nemmeno si accorge che tu per lui ci saresti ogni sera, che potresti farlo risvegliare soddisfatto ogni mattino. Che forse davvero un po’ lo ami, se tutto questo ti sta sgretolando il cuore facendoti traballare le gambe.
Ti osservi i piedi. I piedi di Jimmy. Dio, non è tuo nemmeno questo corpo! E’ ridicolo. Cosa potrebbe amare Dean? «Mi dispiace, non puoi tornare da lei?» ti arrendi, mormorando ogni sillaba. Hai la voce roca e il respiro si sta di nuovo sballando.
Inspiri, espiri. I polmoni bruciano, il cuore impazzisce. Morirai? Di nuovo, no.
Dean se ne rende conto subito che qualcosa non va. In realtà sa anche cosa ti sta succedendo, per questo ti è di fianco in un istante e preme le dita sulle tue guance. Ti ordina di calmarti, incatena le tue iridi blu alle sue e tu, pian piano, ti calmi.  
Quando sia i battiti che i respiri sono regolari lui ti lascia, ma rimane seduto accanto a te sul letto.
«Hai appena avuto un attacco di panico» annuncia, spezzando il silenzio pesante.
Tu annuisci. «Allora puoi andare da lei?»
Dean ride, una risata amara. «Sono passati quarantacinque minuti da quando l’ho lasciata, penso se ne sia fatta una ragione» risponde, grattandosi la nuca.
«Mi dispiace».
Il suo volto si irrigidisce, mentre vi guardate. «E’ la prima volta che te ne viene uno?»
«No», lui pretende altre informazioni e tu fissi un punto imprecisato della parete scrostata. Ti schiarisci la gola e cominci: «me ne è venuto uno dopo che te ne sei andato via, poi mi sono addormentato».
Dean appoggia una spalla alla tua, quella sana. Più che appoggiarvisi ci si addossa, come a cercare un sostegno. «Ora stai meglio?»
«Sto bene».
«Dovevi dirmelo o chiamarmi, Cas».
Ti stringi nelle spalle. Quella destra ti fa salire un conato. «Non volevo disturbare» bofonchi.
I denti di Dean stridono gli uni sugli altri, si gira dalla tua parte col tronco e con due dita sposta il tuo viso nella sua direzione. Ti blocca il mento così, come se fossi un bamboccio. «Cas, impara a mettere da parte il tuo stupido orgoglio da angelo del Signore».
La gola ti si secca, fai scoccare la lingua ma non sai cosa ribattere. Siete così vicini che puoi sentire il suo alito sfiorarti il palato. Una spinta col bacino e potresti baciarlo. «Parli proprio tu» sussurri, senza voce.
Lui sorride, uno di quei sorrisi che ti fanno cadere le braccia e domandarti come possa un semplice umano essere tanto bello e splendente. «Ma tu sei solo un moccioso, io sono adulto».
«Oh, Dean» lasci la frase in sospeso. Chiudi gli occhi e cerchi di voltarti dall’altra parte. Sei così stanco. Non è stato un caso che volessi essere lasciato nel Purgatorio. Hai fatto troppi errori e hai perso troppo.
Le dita del cacciatore non ti fanno muovere di un millimetro. Non puoi fare altro che tenere le palpebre abbassate e pregare che lui non si accorga del buco nero che sta inghiottendo tutto te stesso.
«Qual è il problema?» domanda, fin troppo sveglio. Fin troppo Dean.
Scuoti il capo, non vuoi parlarne. Fa male.
«Perché sei caduto?» incalza, con tono docile. «Perché non sei più te stesso? Non hai né ali, né Grazia, è questo?»
Annuisci e poi apri gli occhi, lui è talmente vicino che le vostre ciglia si sfiorano. E la voglia di baciarlo ti divora da dentro. La stessa sensazione di avere dentro i Leviatani.
«Chi sono, Dean? Sono andato contro alla mia famiglia, a mio Padre per te e non me ne sono pentito, ovvio, ma adesso che non ho più nulla.. insomma, non posso nemmeno esserti d’aiuto come lo ero prima. A cosa servo? Sono un angelo caduto chiuso in un corpo non mio, cosa sono? Per chi sono questo? Mi domando se non sia giusto farla finita, se non sia meglio lasciar perdere tutto. Forse dovrei ripagare tutti i miei sbagli, in qualche modo» verso la fine del discorso la tua voce non è altro che un bisbiglio e non sei sicuro che lui ti abbia sentito seppur siate appiccicati.
I polpastrelli della sua mano scivolano via dal tuo mento, scorrono sulla guancia e si fermano sulla tua nuca. La accarezzano in piccoli cerchi concentrici, delicatamente. «Per me» pare quasi abbia finito con quelle due parole, ma poi sospira e riprende: «Cas, tu sei venuto sulla Terra ed hai fatto tutto ciò che hai fatto per me. Sei morto e risorto, ogni volta con coraggio, solo per me. Ti sei ribellato a Dio, sei finito all’Inferno e poi in Purgatorio, ogni cosa buona ed ogni sbaglio lo hai commesso per me. Sempre. E non ti permetterò di abbandonarmi proprio ora, perché pensi di non sapere più chi sei. Perché mi dispiace, ma io lo so benissimo ed ho bisogno di te».
Le sue parole, la sua voce, il suo tocco, tutto di lui.. Dean ti ha appena salvato. Sorridi sbieco e fai per tirarti indietro. E’ stato chiaro, il concetto è filtrato bene in testa e hai sonno. Probabilmente lui uscirà di nuovo, magari trovando la ragazza giusta per la nottata. Di nuovo, le sue dita non ti permettono di scostarti. Corrughi la fronte e cerchi una spiegazione nelle sue iridi verde erba. «Dea-»
Il bacio che ti fa ingoiare l’ultima lettera del suo nome, i denti che ti mordono a sangue il labbro inferiore e il sapore che lento ti scivola in gola bagnandoti anche il mento ti colgono talmente impreparato che non sai cosa fare. Come fare.
Hai già baciato, ma Dean.. beh, lui è diverso.
Sa di birra e hamburger e bacia con arroganza, sapendo di stare facendo la cosa giusta al momento giusto. Si prende ciò che vuole, come vuole. Irrompe nel tuo antro caldo senza chiedere permesso, sa già che tu vuoi. D’altronde l’hai sempre desiderato e non sei mai stato in grado di nasconderlo bene.
Le sue mani ti scombinano i capelli, la tua -l’unica che riesci a muovere- sfiora la sua barba corta sulle guance. E’ la prima volta che ti prendi una simile confidenza e già pensi di essertene infatuato e di non poterne più fare a meno.
E’ la stessa sensazione che ti aveva colpito con il bisogno di mangiare carne. Ora vorresti mangiare lui, con la bocca, le mani e gli occhi. Li tieni aperti, infatti, per guardarlo. I suoi sono naturalmente chiusi, mentre ti assapora. Mentre ti stende sul letto cercando di non pesare sulla spalla malridotta. Ha le gambe aperte sulle tue chiuse, piegato sulle ginocchia, le dita che scivolano sotto alla tua camicia. Ti sottomette, sei agnello tra le zampe del lupo. E, strano a dirsi, ti piace. Impazzisci.
«Cowboy, credo sia meglio mettersi a dormire» esordisce ad un tratto, staccandosi da te con le gote rosse, il fiato corto e la bocca bordò.
«Non ti è piaciuto?» domandi, ferito.
Dean spalanca gli occhi, si passa la lingua sul labbro inferiore e non si premura minimamente di nascondere l’imbarazzo. O il rigonfiamento sotto ai jeans.
«Siamo due uomini» chiarisce, alzandosi. Si sistema la maglietta e va al frigobar. «Insomma, io non sono gay» si auto convince, aprendo una bottiglia di birra ghiacciata. Ne manda giù tre quarti in due secondi e mezzo.  
Sei senza parole. Lo fissi e non sai nemmeno cosa pensare. Hai un’erezione tra le gambe e hai bisogno delle sue mani addosso, ovunque. Eppure lui sembra parecchio agitato e scombussolato. Se tu non ti sei mai posto problemi riguardo al tuo orientamento sessuale per lui deve essere un duro colpo essere attratto da un uomo così di punto in bianco. Per di più un uomo che ha un’anima di angelo. Dean è interessato all’anima, o al corpo? Non ne sei certo, è difficile. Ma credi che se Jimmy fosse Jimmy lui non sarebbe interessato all’articolo. E’ complicato.
«Vuoi che me ne vada?»
Dean tossisce, sputa un po’ di birra e si batte un pugno sul torace per riprendersi. «No, no per Dio. Va tutto bene, era solo un momento. Sì, insomma, sono stato preso dal momento. Non sono gay» afferma, più a se stesso che a te.
«Okay» confermi, per addolcirgli la pillola.
«Smettila di fare così, okay? Non sono gay, non sono interessato ai-» indica il suo pacco. «Insomma, no. Viva le bombe grosse così e le patate, tante grazie».
Annuisci, dandogli il contentino. «Non ho mai pensato tu fossi gay».
Dean ti guarda in cagnesco e apre un’altra birra. «Se non la pianti ti ammazzo io con le mie mani» ti minaccia, serissimo. «E questa cosa Samantha non la deve sapere o mi sfotterà per il resto della mia breve e insulsa vita, chiaro?»
Fai sì con il capo e ti giri di fianco, sulla spalla buona. Non lo guardi più, ti sei sinceramente rotto. Non capisci cosa ci possa essere di male in un bacio che entrambi vi siete goduti e ti sta dando fastidio che non sappia ammetterlo.
Passa quasi un’ora, prima che lui riesca a schiodarsi dal frigorifero e si metta a letto. Quando lo fa non si premura di non fare rumore e inciampa due volte, finendo con un tonfo sordo sul materasso.
«Cas?» ti chiama, con la voce strascicata.
«Mh» grugnisci.
«Non sono gay» stai quasi per dirgli che okay! Dannazione, hai capito! Non si ripeterà più, è stato un errore, lui non è gay ed era un momento. Fine, stop. Ma lui continua: «ma mi è piaciuto. Sono contento che tu sia ancora con noi».
E nell’istante in cui tu ti giri per rispondergli e guardarlo nelle iridi verdissime, lui prende a russare rumorosamente, rovinando tutto.
Ti alzi, con le ginocchia che scricchiolano, e gli levi i jeans. Dopodiché gli lasci un bacio sulla tempia e torni a letto.
La spalla sembra far meno male e il buco nero si è fermato. Potrai gravitare ancora attorno al tuo sole.
 
 
  
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