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Autore: Greyheart    28/07/2013    2 recensioni
Agata e Bianca sono due giovani scrittrici, amiche da sempre, e non potrebbero essere più diverse: l'una schiva e pensosa quanto l'altra è esuberante e vitale, si vogliono bene proprio perché si completano, e condividono il sogno di pubblicare, un giorno, i romanzi che scrivono a quattro mani. Quando però Agata viene a trovare Bianca in Irlanda, dove si è trasferita dopo la laurea, il destino decide di prenderle per mano: tra le colline dell' Isola di Smeraldo, le due amiche incontreranno misteriose suonatrici d'arpa, cuoche dal sapore di magia, e, forse, anche l'amore. Quindi sedetevi qui, tra le nubi verdi dei trifogli, e lasciatevi trascinare dalla storia di due spiriti che scopriranno quanto il mondo, e l'umanità, possa essere incantato.
Aggiornamenti settimanali, soprattutto se incitati da recensioni.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1

A casa


Il sentiero è una lingua di sole distesa di fronte a me, un nastro dorato orlato da confusi grovigli di castani. L'aria odora di muschio e terra e segreti, e la brezza mi sospinge in avanti, verso il bosco, verso ciò per cui, lo so, sono qui. Mentre cammino, minuscole fate dalle ali diafane mi turbinano intorno alla testa, e gnomi dai berretti colorati corrono a rifugiarsi nelle loro case accocolate tra gli alberi. Sento che dovrei sorprendermi, addirittura spaventarmi: ma tutto è talmente bello e vivo che non posso che sorridere e lasciarmi guidare, sempre più giù, sempre più nel profondo di questa foresta che respira e sussurra; fino a quando mi ritrovo di fronte alla più immensa quercia che abbia mai visto. Il tronco, nodoso e massiccio come la mano di un vecchio guerriero, si innalza nella radura, infrangendosi in una ragnatela di rami scuri, grevi di foglie e di ghiande d'oro; rampicanti bruni e intricati ne avviluppano il fusto. Rimango immobile, sopraffatta, ma una parte di me, una parte che non ho mai saputo di possedere, d'improvviso si risveglia e mi avvelena il cuore di una struggente malinconia, di un'attesa che ha il sapore dei secoli. Tendo la mano, fino a sfiorare la corteccia antica, e quando le mie dita la toccano, un sussulto di forza e chiarezza mi brucia il sangue, e un'unica parola mi risplende nella mente: Casa, penso, sono finalmente a casa.


Il risveglio è brusco, e il mio primo gesto, naturalmente, è di versarmi addosso l'intero bicchiere di aranciata appoggiato sul tavolino del sedile. Sibilo un'imprecazione, rivolta in egual parte alla mia goffaggine e al mondo, tentando di tamponare con ampio dispendio di fazzolettini la gonna di lana violetta. Non è un buon modo di cominciare un viaggio, lo so; ma il danno non mi colpisce come dovrebbe. Tanto, quando Bianca mi vedrà all'areoporto di Dublino, si limiterà a ridere con la sua rossa bocca generosa, il sorriso che, come sempre, sale ad accendere anche gli occhi verdi, e a constatare che anche in nove mesi di lontananza la sua migliore amica non è cambiata. Molto più interessante è il contenuto del mio sogno: così vivido, così reale, e soprattutto così misteriosamente familiare. Avevo già sognato, fin da quando ero bambina, di esplorare luoghi sconosciuti, calarmi in tombe dimenticate dal tempo, scoprire tesori nascosti; ma questo è diverso. Tra quegli alberi, di fronte a quella quercia, mi ero sentita perfettamente accettata e padrona di me stessa, come chi è appena ritornato da un lungo e faticoso viaggio alla propria patria. Bizzarro, anche per me. Il tintinnio dell'altoparlante mi distoglie dai miei pensieri, sebbene ormai la porzione della mia mente che mi permette di trasformare in parole le storie abbia cominciato a plasmare il sogno in un germe di racconto. A quanto pare, come ci avverte la voce vellutata e incorporea dell'annunciatrice, stiamo arrivando a destinazione; mancano pochi minuti all'atterraggio. Eccitata, premo il volto contro il finestrino: eccola, tra i nembi fioccosi e lenti delle nubi, dolce e ruvida ad un tempo, la mia Irlanda, con le sue colline gonfie d'erba e i campi bruni. Non la vedo dai tempi del liceo, e solo ora, mentre immagino le case e il porto di Dublino, i profili coraggiosi e solitari delle abbazie, mi rendo conto di quanto mi sia mancata. Nessuna sorpresa che Bianca abbia deciso di trasferirsi qui, per tentare di diventare una vera scrittrice; e poco male che il suo attuale lavoro, in un delizioso pub di Galway, non dia lustro alla sua laurea in Lingue. A nessuna di noi due, d'altronde, interessa molto il denaro o il prestigio; quella che seguiamo è una chimera diversa, più sottile, infinitamente più ambiziosa: e cioè la soddisfazione di vedere il proprio nome stampato su un romanzo, e forse l'immortalità. Senza rendermene conto, le labbra mi si stendono nel mio sorriso segreto, quello che rivolgo a questa terra e a poco altro.

Le luci delle cinture si accendono, e la grande bestia di ferro, come ho sempre considerato gli aerei, comincia ad abbassarsi con un bonario ruggito. Mi adagio sul sedile, controllando un'ultima volta il viso nello specchietto del trucco: i capelli sono la solita zazzera scarmigliata, di una gradevole sfumatura color miele, gli occhi nocciola pesanti di occhiaie e di kajal, la bocca diritta, più adatta a declamare che a baciare. Non sono bella, ma non cambierei il mio aspetto: mi piace la fronte ampia e chiara, il modo in cui lo sguardo sa accendersi di intelligenza o di pietà. Sono i tratti che ho ereditato da mio padre, dalla sua snella, pacata presenza di intellettuale: parlano del mio sangue, ma anche delle nostre serate trascorse a discutere di letture e concerti, e per questo ho imparato ad amarli. Come ho imparato ad abituarmi, se non ad affezionarmi, ad un carattere schivo e compassato da eremita strappato alle sue lontananze, in perpetuo esilio tra le ciance degli altri uomini. Forse è per questo che amo tanto questo Paese, e le sue nebbie: in Italia, anche nella mia brumosa Torino, la luce è troppo netta, le distanze troppo civilizzate; non c'è modo di nascondersi dall'umanità, di strappare alla natura un istante in cui fissarla senza scudi. Alla pari.

Ma sto divagando, e improvvisamente mi accorgo che l'aeroporto è già in vista; con un ultimo strappo allo stomaco, l'aereo tocca la pista, stridendo come un grosso rapace soddisfatto. Il mio sorriso, mentre tento di ritrovare il mio borsone senza precipitarlo su qualche incauto viaggiatore, diviene d'improvviso più marcato e più concreto: tra poco rivedrò la mia migliore amica, ed è un sollievo che mi scioglie qualcosa nelle ossa, simile alla sensazione di un soldato che scopre di non doversi più guardare le spalle. Bianca, con i suoi umori tempestosi e repentini quanto un cielo d'aprile; Bianca, con la sua collezione di scritti di Yates e la sua incrollabile lealtà; Bianca, l'impulsiva, travolgente, irripetibile Bianca.

Finalmente recupero il mio bagaglio, e quando scendo la scaletta, è il profumo ad accogliermi: l'odore inconfondibile di salmastro e di pioggia, di fango e cemento e alberi. Lo respiro profondamente, lasciando che mi imbeva la pelle, il sangue, le vene: Dio, quanto l'ho sognato.

Inseguita benevolmente dal profumo, mi avvio per il largo piazzale grigio, stringendomi addosso il golf blu petrolio. Ottobre è un mese magico, ma il freddo è penetrante e limpido. Spingo la porta a vetri, e il frastuono di ogni aeroporto, quel mormorio continuo e affannoso di richiami, grida, risate isteriche e gridolini di riconoscimento, mi avviluppa come una mano sbadata e un po' sudata. Cerco di radunare tutto il mio modestissimo senso pratico, passando il passaporto al donnone dai crespi capelli bruni che mi guarda arcigna allo sportello degli arrivi, e scivolando ufficialmente in territorio Irlandese. La mia fida valigia è al mio fianco, il borsone sulla spalla: sono pronta a godermi il mese di vacanza che mi sono concessa qui, prima di tornare al Master di Archeologia, al mio umido appartamentino ordinato, alla vita che preme per strapparmi ai miei sogni dorati e spingermi in un'esistenza precisa. Ma per ora,penso, posso ancora tenerla un po' a bada.

Sbuco dal corridoio, lasciando vagare oziosamente gli occhi sulla folla di sorrisi e rubicondi visi Irlandesi che si agita e ronza accogliendo i miei compagni di viaggio; ed è allora che la vedo.

Il primo dettaglio che noto sono i capelli: una massa ribelle di riccioli scarlatti, lussureggiante e tumultuosa come un tramonto scosso dal vento, quasi troppo vaporosa per la figura sottile e pallida da cui esplode. La chioma di Bianca ha sempre avuto una vita tutta sua: quando eravamo solo delle adolescenti insicure e sgraziate, affrontava fieramente il mondo, e più volte la vista di quel meraviglioso groviglio sussultante mi ha infuso il coraggio di sostenere uno sguardo o di rispondere ad una battuta. E ora lo osservo ruotare e tremolare, avvolgendo come una criniera la testa della mia amica, mentre si crea un sentiero nella foresta di cartelli e mani levate fino alla ringhiera. Ammaliata, quasi non me ne accorgo, tant'è che, quando Bianca mi stringe in un abbraccio stritolante, impiego qualche attimo per ricambiare, goffamente quanto sinceramente. -Sei venuta!- strilla lei tirandosi indietro, i voluminosi orecchini color smeraldo che tintinnano – sei davvero qui! Oh, Agata, non puoi immaginare quante cose ho da raccontarti, quante da farti vedere, e poi devi assolutamente conoscere...-.

Alzo una mano, abituata ad arginare i fiumi di entusiasmo della mia amica. -Ah, no: le relazioni sociali le lasciamo a quando avrò fatto una doccia, avrò mangiato qualcosa e letto due pagine di un libro, non necessariamente in quest'ordine.-

Bianca ride, per nulla offesa, e neppure scoraggiata:-Va bene, mio astioso eremita, come vuoi tu: per il libro e la doccia devi pazientare, ma puoi mangiarti un panino mentre andiamo alla mia macchina.-

-Lei, signora Galliani, è troppo buona- rispondo con solennità, avviandomi con lei e i miei bagagli verso l'uscita di vetro e acciaio.

Sospira, roteando gli occhi:-Disse la donna con la gonna che sapeva di aranciata.- .

-Allora si vede.-

-Sì-.

-Dannazione.-.

Camminiamo a fianco a fianco, senza parlare; in un istante di cristallo, penso a quanto sia bello conoscere tanto qualcuno che il silenzio tra voi non si riempie più di segreti oscuri o di imbarazzi inconfessabili. Non mi sorprendo quando il suo braccio scivola intorno al mio, e avanziamo così, come due vecchie e allegre signore, discutendo già di tutto e nulla, dei nostri programmi, dell'ultimo romanzo della Rowling, di un nuovo scorcio per le sue fotografie, del paio di scarpe che ho appena comprato. Ed è come se non ci fossimo mai separate. Per qualche motivo, mi torna in mente la quercia, la sua ombra smisurata e incantevole, la sensazione di essere arrivata alla mia destinazione, o di essere almeno sulla strada giusta. Fuori, l'Irlanda mi accoglie con un mosaico di grigio, oro e verde, nel gelo crespo del pomeriggio. E d'improvviso so che questo viaggio mi cambierà, e mi scaverà fin nel profondo, fino alla radice si sangue e parole da cui nasco. E, forse, mi porterà anche più vicina alla mia quercia.

Bentornata a casa.

  
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