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Autore: DaubleGrock    28/07/2013    2 recensioni
"Al posto mio avresti fatto lo stesso"
Queste parole disse Murtagh ad Eragon durante la battaglia delle pianure ardenti. Io ho cercato di immaginarmi cosa fosse successo se Selena avesse salvato Murtagh e non Eragon. La storia inizia con un prologo, i capitoli successivi invece saranno contemporanei alla trama della storia originale.
Trama:
Eragon era un ragazzo di soli dodici anni quando riceve, nella casa che condivide con sua madre, una visita inaspettata. Da quel momento la sua vita, insieme alla sua compagna di mente e di cuore sarà legata ad un oscuro tiranno che lo costringerà a compiere atti spregevoli contro il suo volere. Ma, l'incontro con un'elfa lo salverà da quel suo orribile destino a cui si era quasi arreso.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Eragon/Arya, Roran/Katrina
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La vita di un altro






Una candela era posta sopra un mobile di mogano insieme ad uno specchi bordato d’oro con filamenti d’argento, un bauletto pieno di gioielli di ogni genere e una spazzola d’argento con il retro incastonato di smeraldi e rubini. La luce della candela riusciva ad illuminare vagamente la lussuosa stanza del castello. Davanti al mobile c’era una sedia con i rivestimenti di velluto rosso, il pavimenti della stanza era coperto da un tappeto di impeccabile fattura, sopra questo tappeto era posto un letto a baldacchino, e vicino a questi una culla. La stanza aveva tre alte finestre, ognuna di esse nascosta dietro delle tende rosse, una di queste si apriva su una larga terrazza.
Mentre tutti gli abitanti del castello si godevano il loro meritato riposo dopo un giorno di lavoro, in questa elegante stanza, una donna si preparava per fare il passo che le avrebbe cambiato la vita per sempre. Ci aveva riflettuto a lungo e alla fine aveva preso la sua decisione. La donna si muoveva da una parte all’altra della stanza per controllare se aveva preso tutto il necessario per l’eminente lungo viaggio, controllò nello zaino di pelle: un paio di brache, un corsetto, tre pagnotte di pane e della carne secca presa dalle cucine. Una coperta era legata sotto lo zaino, sembrava non mancar nulla. Lanciò uno sguardo verso il piccolo baule pieno di gioielli. Si avvicinò e lo aprì, era pieno di collane di perle, orecchini, anelli e chi più ne vuol più ne metta. Decise di prendere uno degli anelli doro, le sarebbe stato utile per le spese del viaggio.
Era tutto pronto. Indossò una cappa nera sopra i suoi abiti semplici, molto differenti da quelli che aveva indossato fino a poco tempo prima, elaborati dalle più raffinate ed esclusive sarte dell’impero. I suoi stivali producevano un rumore attutito a contatto con il grande tappeto mentre si avvicinava alla culla posta alla destra del letto. Quando i suoi occhi scorsero una piccola figura che dormiva placidamente sotto delle copertine di lana gialla, un sorriso le si formò sulle labbra. Un piccolo bambino di soli cinque giorni sonnecchiava tranquillo nella sua culla, ignaro di quello che si svolgeva attorno a lui. Un piccolo ciuffo di capelli era appena visibile, erano castani chiaro, quasi biondo, la sua pelle morbida emanava un leggero profumo di cannella. Proprio in quel momento il piccolo si destò dal suo sonno tranquillo, i suoi occhi penetranti possedevano tutte le sfumature possibili del castano e dell’oro. Il bambino allungò le braccia verso la madre. Lei lo prese con delicatezza e lo avvolse a mo’ di fagotto nella coperta, lui rise e la madre lo baciò sulla fronte. Poi si mosse verso il letto e prese la fune che aveva preparato, si mise lo zaino in spalla, si avvicinò alla candela e la spensa lasciando la stanza nel completo buio.
La donna si avvicinò alla finestra che sporgeva sulla terrazza, aprì la pesante tenda ed uscì all’esterno. Il posto era vagamente illuminato dalla luce lunare e dalle torce sottostanti. Davanti a lei si apriva un corridoio contornato di piante di ogni genere e statue di marmo. Con passo felpato, percorse il vialetto fino ad arrivare al corrimano, con cautela si sporse verso il basso notando con sollievo che non c’era nessuna guardia. Legò la fune al parapetto, e quando si assicurò che il nodo non si sciogliesse, prese il bambino con un braccio e si aggrappò alla fune con l’altra mano. Con un agile balzo scavalcò il parapetto e aiutandosi con i piedi scese fino ad arrivare al giardino. Si guardò in torno. Nessuno. Controllò che il bambino stesse bene scoprendo che si era riaddormentato.
Controllò che il sentiero che attraversava il giardino fosse libero e iniziò a correre verso i cancelli. Mentre correva gli vennero in mente i momenti felici trascorsi in quel giardino, in ogni momento c’era lui, Brom. Delle lacrime iniziarono a rigarle il volto. Era partito per una missione sei mesi prima e non era mai tornato. Solo da pochi giorni aveva appreso che non c’è l’aveva fatta, era morto. L’uomo sei mesi prima aveva ricevuto un messaggio da un certo Jeod Gambelunghe, nel quel affermava di aver trovato un passaggio segreto per entrare nel palazzo di Uru’baen per recuperare le tre uova di drago rimaste. Avevano avuto successo, ma sfortunatamente erano riusciti a prendere un solo uovo di colore rosso.  Misteriosamente, l’uomo che era riuscito a rubarlo, era scomparso senza lasciare traccia, Brom era scomparso poco dopo e secondo i Varden era morto. Poco dopo i ribelli avevano ritrovato l’uovo in uno dei loro nascondigli. Era subito stato messo davanti ad ogni bambino Varden e poi portato nella Du Weldenvarden girando in ogni città elfica senza però trovare il suo Cavaliere.
Lei per molto tempo aveva sperato, aspettato il suo ritorno, ma erano passate settimane e poi mesi. Quanto avrebbe voluto condividere la gioia nell’avere un figlio, una famiglia, con Brom. Aveva saputo un mese prima anche della morte di Morzan, ora poteva essere finalmente libera. Ma prima doveva scappare da quel castello, quel castello che era appartenuto all’ultimo rinnegato. Doveva andare a Carvahall da suo fratello Garrow, sua moglie Marian, ma soprattutto dall’altro suo figlio, Murtagh. Non lo vedeva da quattro anni. Era riuscita a tenere la sua gravidanza all’oscuro di Morzan, il padre del bambino. Era andata a Carvahall durante una missione, lì era stata per mesi fino a che non lo aveva messo alla luce, poi se ne era andata di gran carriera dicendo solo che il bambino doveva chiamarsi Murtagh. Suo fratello e sua moglie le avevano chiesto il perché di tanta fretta e perché non poteva portare il bambino con sé, lei aveva risposto solo che doveva. Era ritornata lì, ai piedi della grande dorsale, pochi mesi dopo, aveva conosciuto Brom. Si era spacciato come giardiniere, ma poi aveva scoperto che era venuto lì da parte dei Varden per ucciderla. Ironia della sorte era che si erano innamorati perdutamente l’uno per l’altra. Poco dopo aveva scoperto di essere incinta di Eragon. Si proprio così Eragon, il suo piccolo bambino, aveva deciso di dargli il nome del primo Cavaliere dei Draghi per fargli ricordare che era il figlio del più grande Cavaliere nella storia di Alagaësia. Aveva pensato ad altri nomi, ma dopo aver appreso la morte del padre gli era sembrato giusto chiamarlo così. Aveva deciso di andare a Carvahall per vivere il resto della sua vita con i suoi figli nella tranquillità di un piccolo villaggio lontano da magia, rinnegati, draghi e soprattutto lontano da Galbatorix. Perché era proprio da lui che stava scappando in quel momento. Aveva sempre saputo che Galbatorix la volesse come sua Mano Nera per svolgere i suoi loschi affari, ma non glielo avrebbe permesso, non questa volta. Fin dall’età di diciassette anni, quando credeva di essere innamorata di Morzan, aveva compiuto gli atti più inimmaginabili. Per quel pazzo amore si era allontanata dalla sua famiglia, non avrebbe ripetuto lo stesso errore, sapeva di aver sbagliato in passato, per questo voleva rimediare. Quando aveva conosciuto Brom, aveva iniziato a passare informazioni preziose ai ribelli. E dopo tanti sforzi non sarebbe ritornata dalla parte di quel pazzo di un tiranno.
Mentre rifletteva su questi pensieri si accorse di essere arrivata ai cancelli del palazzo. Stranamente erano aperti e non c’era nessuna guardia a sorvegliare l’entrata. La cosa iniziava a preoccuparla, C’era qualcosa che non andava, i cancelli erano sempre tenuti sotto stretta sorveglianza, perché quella volta non era così? Ma in quel momento non c’era tempo per pensarci. Senza rallentare la sua corsa attraversò l’entrata del castello dirigendosi verso la foresta che lo circondava. Appena inoltrata in essa, i rami e le foglie iniziarono a graffiarle le braccia, mentre i capelli si impigliavano in ogni dove. Cercò di tenere il viso del suo piccolo Eragon al sicuro tenendolo stretto contro il petto. La foresta era silenziosa come non lo era mai stata, non si sentiva nessun gufo o roditore, nemmeno il canto dei grilli. Qualcosa non andava. La paura iniziò a farsi strada nel suo animo mentre continuava a correre. Distrattamente sentì il fruscio di alcune foglie alla sua sinistra. Poco dopo si ritrovò in una radura. Al centro di essa c’era un uomo incappucciato. Le uniche cose che Selena poteva notare erano l’altezza e snellezza dell’uomo, se era un uomo, perché quando parlò, la sua voce sembrava il sibilo di un serpente.
“E così tu saresti la Mano Nero? La donna che ha fatto tremare centinaia di ribelli col solo nominarla? La più potente maga dell’impero?” chiese l’uomo con divertimento “Sinceramente mi aspettavo di più”
“Chi sei?” chiese Selena iniziando a indietreggiare, solo dopo pochi passi andò a sbattere contro qualcosa di duro. Si girò e con orrore scoprì, che quella cosa era un Urgali. Questi era alto ed aveva un corpo muscoloso. Dalle tempie uscivano due corna molto simili a quelle di un toro. Dalla sua grandezza, con sgomento Selena dedusse che fosse un Kull. Strinse Eragon più forte al suo petto.
“A quanto pare la nostra Mano Nera non è sola” disse l’uomo dietro di lei
Selena si girò “Chi sei?” chiese nuovamente ma con più enfasi.
L’uomo si mise a ridere. Aveva una risata glaciale, malvagia. “Chi sono?” chiese “Mia cara Selena, credimi in questo momento non ti interessa molto io chi sia, ma ti interesserà di più sapere che io sono qui da parte di Galbatorix, sai? Ti vuole incontrare, ha detto che ha un patto da proporti”
“Io non lavorerò più per voi!” urlò Selena cercando disperatamente una via d’uscita.
“Davvero? Ma che bel bambino, sarebbe un peccato se gli succedesse qualcosa. Come deve essere calda la sua pelle.” disse “Ma sappi questo: se non vieni di tua spontanea volontà, la sua pelle diverrà gelida.” aggiunse in tono minaccioso
Selena per poco non svenne alle parole dell’uomo, aveva capito cosa significava, se lei non avrebbe lavorato ancora una volta per loro, Eragon sarebbe morto. Nel frattempo il piccolo si era svegliato e spaventato dal tono dell’uomo aveva iniziato a piangere. Selena iniziò a cullarlo e dopo pochi secondi Eragon si calmò. L’uomo era rimasto nella posizione di prima senza proferir parola.
“Mi prometterete che non gli farete del male?” chiese lei ormai dichiarandosi sconfitta.
“Certo, ti prometto di più, potrai tenerlo con te, il re non vuole più mandarti in giro per l’impero come faceva quel Morzan, vuole solo tenerti sott’occhio ad Uru’baen in modo che tu non dia informazioni ai Varden. Potrai crescerlo, lavarlo, vestirlo, giocare con lui e ogni altra patetica cosa voi facciate.” Disse con una nota di disgusto nella voce.
“E sia, ma prima voglio la tua parola” disse Selena non vedendo altra scelta.
“Ti do la mia parola” disse nell’antica lingua
“Non mi hai ancora detto chi sei” disse Selena sempre in allerta. Aveva promesso che non avrebbe fatto del male ad Eragon, ma non voleva commettere lo sciocco errore nel caso in cui l’uomo trovasse un modo per sfuggire al giuramento. Per esperienza sapeva che era possibile mentire nell’antica lingua, bastava intendere una cosa per un’altra. E questo la spaventava non poco.
L’uomo si tirò giù il cappuccio del mantello ed in quel momento Selena smise di respirare. Davanti a lei c’era un volto scarno e pallido, sembrava un teschio su cui era stata messo un sottile strato di pelle, aveva occhi rossicci che mandavano bagliori minacciosi e poco rassicuranti e labbra fini e bianche, i suoi capelli, lunghi fino alle spalle erano cremisi come se fossero stati immersi nel sangue. Davanti a lei c’era uno spettro.
“Il nostro nome è Durza” disse e in quella voce Selena ne sentì molte altre, quello che prima le era sembrato il sibilo di un serpente ora sapeva che era la voce degli spiriti che abitavano quel corpo. E con quella voce Selena capì che il suo destino e quello di Eragon era segnato.

 
**************

 
Dodici anni dopo

“Eragon! Su svegliati è tardi o vuoi rimanere tutto il giorno a letto?” chiese una voce melodiosa.
Eragon si rigirò nel letto mettendo la testa sotto i morbidi cuscini, non aveva voglia di svegliarsi, voleva rimanere a letto. Sua madre lo faceva sempre alzare presto la mattina, ma non glielo avrebbe permesso, non nuovamente, non quella mattina. Vivevano in una piccola casa nella città di Uru’baen poco lontano dal castello. La casa era formata da sole tre stanze: l’ingresso che faceva anche da cucina e sala per accogliere gli ospiti, la stanza da letto di sua madre e la sua stanza. Ogni giorno lui aiutava sua madre a svolgere le faccende di casa oppure accompagnandola quando doveva andare al mercato, tutto il tempo lo passava con lei, non gli piaceva stare con gli altri bambini della sua età, loro lo avevano sempre preso in giro per il suo nome: Eragon. Era il nome del primo Cavaliere Dei Draghi, ma non era questo il motivo per cui lo schernivano, il motivo era che era il nome di un elfo. Da quel momento si faceva chiamare Valdor, solo sua madre lo chiamava con il suo vero nome e oramai tutti lo conoscevano con quel nomignolo. Non aveva mai visto un elfo, ma sua madre gli aveva sempre raccontato molte storie su di loro, il popolo leggiadro. Lei diceva che erano più belli di qualsiasi umano e che vivevano in una foresta ai confini dell’impero. Aveva sempre voluto viaggiare, incontrare persone nuove e popoli diversi, vedere luoghi, ma ogni volta che lo chiedeva a sua madre, lei diventava fredda e gli diceva che il mondo era un posto pericoloso non adatto a un bambino di soli dodici anni. Ma lui non credeva che fossero questi i motivi che gli negavano quello che voleva fare, aveva visto molte volte sua madre parlare con alcuni soldati di Galbatorix, oppure aveva visto i soldati osservare lei, la controllavano. Sua madre gli aveva raccontato molte volte che suo padre era stato un Cavaliere dei Draghi, Cavaliere della dragonessa Saphira, ma che era morto. Alcune volte gli diceva che lui aveva un fratello, anzi fratellastro perché figlio di un altro Cavaliere, un rinnegato, figlio di Morzan. Non sapeva molto di lui, solo che viveva in un piccolo villaggio insieme ai suoi zii e a suo cugino e che si chiamava Murtagh. Verso suo di lui provava sentimenti diversi, per una parte era felice di avere un fratello, ma per l’altra era geloso, perché sua madre lo aveva salvato da quella vita? Perché lui doveva vivere sotto il dominio di Galbatorix e suo fratello no? Non sapeva perché sua madre avesse scelto così e non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo.
Sentì qualcuno sedersi affianco a lui, strinse più forte le coperte nelle sue mani.
“Ti vuoi alzare o no?” chiese nuovamente Selena.
“No.” Rispose secco Eragon stringendo ancora di più
“A no?” chiese la voce con divertimento.
Sua madre si piegò in avanti e iniziò a fargli il solletico sui fianchi, Eragon iniziò a dibattersi nel letto mentre lasciava le coperte per proteggersi da quelle mani. Iniziò a ridere sonoramente e urlare a sua madre di smetterla. Aveva sempre sofferto il solletico e sua madre usava molte volte quella sua debolezza. Mentre Selena lo solleticava sotto le ascelle con una mano, tirò giù le coperte con l’altra.
“Non è giusto” protestò Eragon mettendosi a sedere.
“Come non è giusto? Se tu non ti alzi a chi lo darò questo?” chiese la madre prendendo da sopra il comodino un grosso libro.
Eragon sorrise raggiante mentre prendeva dalle mani della madre il tomo. Aveva sempre amato leggere, gli piaceva imparare, sapeva parlare due lingue: quella umana e l’antica lingua. Non sapeva perché sua madre lo avesse istruito così tanto, rispetto agli altri bambini di Uru’baen, la sua enciclopedia grammaticale poteva essere paragonata come quella di un principe a della plebe. Pochi bambini sapevano già leggere perfettamente e senza intoppi a dodici anni. Tutto quello però non gli dispiaceva affatto. Guardò affascinato l’antico tomo. Il libro era rilegato in pelle nera, Eragon fece scorrere le dita sulla copertina e ne assaporò la fredda levigatezza. Dentro, le lettere erano stampate in lucido inchiostro rossiccio.
“Domia abr Wyrda di Heslant il Monaco” lesse curioso “il Dominio del Fato”
“Lo puoi leggere solo quando sei da solo e non parlarne con nessuno, capito?” lo ammonì la madre.
“Si, grazie! Grazie! Grazie!” disse il bambino entusiasta alzandosi e dando un bacio sulla guancia della madre prima di aprire il libro e iniziare a leggere la prima pagina.
“Non ora! Dai forza vestiti, devo andare a fare alcune commissioni in paese, vuoi venire con me o resti qui?” chiese Selena, il bambino la guardò con occhi imploranti e lei sospirò “D’accordo, però prima di iniziare a leggerlo, lavati e vestiti.”
Eragon non se lo fece chiedere due volte, si alzò e si spogliò velocemente, si avvicinò ad un catino posto su un tavolo, prese la brocca piena d’acqua affianco ad esso e ne versò il contenuto nella ciotola. Velocemente si sciacquò il viso e si asciugò. Poi si vestì, si pettinò i capelli e ritornò a sedersi sul letto che sua madre nel frattempo aveva rifatto.
“Io vado” disse lei dandogli un bacio sulla fronte. Sentì vagamente i suoi passi che si allontanavano, lei che prendeva il suo cestino per le verdure e che si avvicinava alla porta per aprirla e chiuderla subito dopo. Oramai la sua attenzione era focalizzata solo sul libro davanti ai suoi occhi. Era scritto con un’elegante calligrafia rossiccia, interamente nell’antica lingua. Scoprì con stupore che parlava dell’arrivo degli elfi in Alagaësia, dei Cavalieri dei Draghi, dei loro Draghi, di magia e molte altre cose. Restò affascinato dai racconti della guerra dei draghi conto gli elfi, la Du Fyrn Skulblaka. Finalmente poteva sapere la vera storia del suo omonimo, di come aveva trovato l’uovo di un drago, della fine della guerra e cosa più importante del patto tra elfi e draghi. Con molto interesse lesse la descrizione di Ilirea, ora Uru’baen, scoprendo che prima era una città elfica.
Il tempo passava inesorabile ed Eragon continuava a leggere, poi sentì qualcuno entrare per la porta di casa. Non poteva essere sua madre era ancora troppo presto. I suoi dubbi furono confermati quando sentì i pesanti passi di uomini, almeno due. Velocemente nascose il libro sotto il letto cercando di non far nessun rumore che avrebbe svelato la sua presenza. Con passo felpato si avvicinò alla porta che portava nell’ingresso, si sporse oltre lo stipite e quello che vide lo lasciò con occhi sbarrati. Nella stanza c’erano due soldati e un altro uomo. I soldati indossavano delle armature di pelle scura con il simbolo di Galbatorix, una fiamma dorata, queste mettevano in risalto molto il loro corpi muscolosi e scolpiti, avevano dei guanti con delle borchie, un largo cinturone alla vita e un lungo mantello di lana nera sulle spalle larghe. Erano armati di tutto punto: una spada, una serie infinita di pugnali, un arco e una faretra piena di frecce a tracolla. Eragon sapeva che quelli non erano comuni soldati, ma bensì le guardie speciali di Galbatorix. Quegli uomini passavano la vita ad allenarsi continuamente per migliorare sempre di più. Erano scelti solo dalle famigli che il re considerava fiduciosi per avere “l’onore” di servirlo. La loro vita era votata alla lealtà verso di lui, quelle vite dopo il giuramento di fedeltà gli appartenevano, era lui a scegliere ogni loro cosa anche se dovevano vivere o morire.
Eragon si domandò se quell’altro uomo non fosse altri che Galbatorix in persona. Aveva il volto lungo e scarno, la fronte alta e il naso affilato; occhi duri come pietre, con poco bianco intorno alle iridi scure; la bocca alta e sottile con i bordi leggermente rivolti all’ingiù circondata da una barba corta e folta, nera. Dimostrava quarant'anni, aveva rughe profonde sulla fronte e ai lati del naso e la pelle abbronzata sembrava fragile, come se non avesse mangiato altro che carne di coniglio e rape per tutto l’inverno. Le spalle erano larghe e robuste e la vita stretta. Sul capo portava una corona di oro rosso tempestata di ogni genere inimmaginabile di pietre preziose. Indossava un lungo mantello nero di un materiale che Eragon non aveva mai visto prima, sembrava della pelle ma era più fino e lucido. Al fianco portava una spada di impeccabile fattura dal fodero bianco con un diamante limpido come acqua di sorgente incastonato nel pomolo e una guardia crociata di un bianco accecante. Ma che ci faceva il re dell’impero, il traditore dell’ordine dei Cavalieri dei Draghi, nonché ultimo di questi, in casa sua? Eragon a questa domanda non sapeva darsi risposta.
Il re si girò verso di lui ed Eragon sentitosi spaventato da quegli occhi penetranti fece un passo indietro. Galbatorix si avvicinò fino a trovarsi a pochi passi da lui, si inginocchio e lo guardò negli occhi. Il cuore di Eragon gli martellava nel petto come se volesse all’improvviso balzare fuori.
“Buongiorno, sai che non è educato far appettare gli ospiti?” chiese. Aveva una voce profonda, calda e piena di autorità. Non aveva mai sentito una voce come quella.
Eragon non rispose, ma continuò a guardarlo terrorizzato. Il suo corpo si rifiutava di muoversi, di rispondere ai suoi comandi. Cercò di farsi forza. “Chi è lei?” si riempì di orgoglio quando constatò che la sua voce non tremava minimamente.
“Chi sono io? Non riesci a immaginarlo da te?” chiese come se fosse ovvio “Comunque non sono venuto qui per questo. Volevo invitarti domani al mio castello, devo farti conoscere qualcuno e se gli piacerai potrai tenerlo con te.” Disse. La sua voce era melliflua, in grado di incantare chiunque. “Ti aspetto lì dunque” detto questo si alzò e si avviò verso la porta di casa. Le due guardie erano state tutto il tempo immobili, con la schiena dritta, le mani dietro di essa e le gambe leggermente divaricate. Quando il re si mosse loro lo seguirono senza fiatare. Dopo pochi passi però Galbatorix si fermò e si rivolse nuovamente a lui.
“Non dovresti leggere quei libri mio caro ragazzo” disse, c’era una nota minacciosa, irritata, nella sua voce che spaventò non poco Eragon. Con un gesto della mano, il re, fece fluttuare il Domia abr Wyrda difronte al dodicenne. Poi sussurrò una parola che Eragon sentì a malapena, brisingr, fuoco. Il libro fu avvolto da una fiamma color pece e in pochi attimi, di esso non rimase che cenere sul pavimento della casa. Sul volto di Eragon scese una lacrima, sua madre gli aveva detto di non far scoprire a nessuno che leggeva quel libro e lui l’aveva delusa.
Nel frattempo, Galbatorix, senza aggiungere una parola, uscì di casa. Eragon rimase a fissare il mucchietto di cenere sul pavimento senza vederlo.
“Buongiorno lady Selena” sentì dire alla voce melliflua del sovrano, poi si sentì un pesante cesto cadere ed il ragazzo vide sua madre entrare di corsa in casa, appena lo vide si buttò in ginocchio davanti a lui e lo abbracciò forte.
“Cosa ti ha detto?” chiese prendendogli il viso tra le mani “Cosa ti ha detto!” urlò poco dopo.
“Ha detto… che domani vuole che io vada al castello per farmi conoscere qualcuno, non so chi però” disse il bambino spaventato dalla reazione della madre.
Un pensiero iniziò a insinuarsi nella mente di Selena. Il re doveva fargli conoscere qualcuno, ma chi? E se fosse stato… No non era possibile. O forse sì? Al castello ne rimanevano due, uno era in mano ai Varden. Galbatorix credeva che suo figlio fosse degno per toccare… certo che ne era degno. Ma perché proprio lui? C’erano tanti bambini ad Uru’baen. Centrava forse il fatto che suo padre era… Dovevano andarsene. Se fosse accaduto quello che lei temeva, Eragon sarebbe stato schiavo di quel tiranno per l’eternità.
Si alzò, chiuse la porta di casa e si avvicinò alla finestra, spostò la tendina ricamata ai ferri e guardò fuori. Le due guardie erano rimaste lì. Non avevano via di fuga. Eragon continuava a guardarla con occhi vuoti.
“Cosa vuole da me Galbatorix?” chiese. Selena sospettava che la domanda fosse più per lui che per lei, ma rispose lo stesso.
“Non lo so” mentì.
Poi si avvicinò ad un angolo dalla stanza e prese la scopa, iniziò a spazzare la polvere dal pavimento.
“Mi dispiace” sentì sussurrare a suo figlio. Selena si girò sorpresa, Eragon la guardava implorante, gli occhi lucidi. Appoggiò la scopa al muro e si avvicinò a lui.
“Per cosa?” gli sussurrò dolcemente asciugandogli le lacrime dalla guance. Eragon la guardò.
“Non sono riuscito a nascondere in tempo il libro” disse posando gli occhi sulla cenere. Selena non si era nemmeno data la briga di capire cosa fosse quella cenere sul pavimento. Si girò verso il figlio, gli sorrise e gli diede un bacio sulla fronte.
“Non fa niente, l’importante è che tu stia bene, Eragon” gli disse.
Dopo aver pulito il pavimento, iniziò a preparare il pranzo, Eragon era seduto su una sedia con lo sguardo perso nel vuoto. E’ solo un bambino per i re caduti, perché deve sopportare una vita così? Si chiese. Eragon, insieme a Murtagh era stato il regalo più bello che la vita le avesse potuto offrire. Aveva un carattere dolce e sensibile ma allo stesso tempo era un ragazzo molto curioso che ficcava il naso da tutte le parti. Da quando c’era lui la sua vita aveva finalmente un senso, sapeva però di non avergli dato la vita che si meritava, di questo non si sarebbe mai finita di incolparsi. Era colpa sua se si stavano cacciando in questo guaio. Se solo dodici anni prima fossi stata più cauta… Ora invece Eragon stava per diventare… No, non era ancora detto, e poi stava parlando di questo come se fosse una maledizione, e forse lo era davvero, chi avrebbe mai voluto essere schiavo di uno come quel pazzo di un tiranno per una vita infinita? Da una parte era felice, se Eragon fosse stato scelto, sarebbe stata davvero fiera di lui, ma dall’altra preferiva che Eragon non divenisse speciale, unico. Poi suo figlio per lei era già unico nel suo genere, con quella sua generosità e quella sua infinita dolcezza era davvero un bambino speciale. Gli lanciò uno sguardo da sopra la spalla. Rise internamente, i suoi capelli castano-biondi erano sempre spettinati, gli davano un’aria selvaggia. Doveva ammettere che Eragon stava diventando proprio un bel ragazzo.
 
Il resto della giornata passò in fretta, quando arrivò il momento di andare a dormire, Eragon non si mosse dalla sedia su cui era rimasto seduto per l’intero pomeriggio. Selena lo fece alzare e con delicatezza lo condusse nella propria stanza, non voleva farlo dormire da solo. Lo aiutò a spogliarsi e indossare il pigiama, gli rimboccò le coperte e si sedette affianco a lui carezzandogli la testa. Lui la guardò con occhi stanchi prima di sbadigliare. La madre emise una leggera risata.
“Dormi mio piccolo angelo” sussurrò prima di dargli un leggero bacio sulla fronte. Selena si alzò, si avvicinò al comodino e spense la lampada lasciando la stanza nella completa oscurità, così buia come i loro sogni di quella notte.
 
 
Angolo autrice

Mi è venuto in mente di scrivere questa storia quando ho letto per la quarantesima volta in Eldest il capitolo in cui Murtagh dice ad Eragon che al posto suo avrebbe fatto lo stesso ed Eragon che risponde: "forse". Io ho voluto, come dire, verificare questo scrivendo questa fanfiction. Ho deciso di intitolarla "La vita di un altro", fatemi sapere se ci sono errori e soprattutto cosa ne pensate e se è un'idea che vale la pena di portare avanti oppure no. I primi due o tre capitoli si svolgeranno prima degli avvenimenti del Ciclo dell'eredità. Poi continuerò da quando Arya viene catturata da Durza e così via fino alla fine dei quattro libri di Paolini. Un avviso per il lettori dell'altra mia fanfiction "The Story continues" : ho deciso di riniziarla, riguarderò i capitoli quando avrò un pò di tempo libero per correggere errori e aggiungere informazioni. Questo è tutto e fatemi sapere come vi sembra :)

DaubleGrock


 
 
 
  
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