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Autore: LaFatinaScalza    29/07/2013    16 recensioni
Unique era nata poche ore dopo Eva, ed aveva mosso i primi passi sulla strada.
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Questa one-shot fa parte della serie di Porn Of Our Fall. Senza aver letto la parte principale, questa non avrà nessun senso. O forse sì.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Porn-Verse'
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Eva

 

Nota introduttiva: questa storia si inserisce all'interno della serie di Porn Of Our Fall [x]. Senza aver letto la parte precedente, molto probabilmente questa non avrà nessun senso. Oppure sì.

 

 

 

 

L'aveva chiamata Eva, come la prima delle donne, quando era ancora tanto piccola che le sue braccia tremavano per l'inesorabile leggerezza del suo peso piuma, ed i suoi occhi erano due fessure color liquirizia adornate di soffici ciglia nere. Era minuscola ed implume, la testa priva di capelli ed il corpo grinzoso ed una bocca piccola e dalla labbra piene dalle fattezze quasi burbere, e c'era qualcosa di lei che ricordava il fallimento e gli faceva venir voglia di chiudersi in bagno e fare buon uso della lama acuminata del suo rasoio.

Era nata quasi morta, Eva, il cordone ombelicale stretto forte intorno al collo ed il visino blu, senza un grido, succhiando il suo primo respiro mentre le sue mani sporche di sangue tendevano proprio verso di lui, che se ne stava in un angolo come se si fosse appena reso conto di essere il colpevole di un crimine irreparabile, un crimine di nome Eva.

Eva aveva una copertina di lana infittita comprata in saldo e solo un paio di tutine, rosa scolorito appartenute ad altri prima di lei, e lui l'aveva stretta e cullata e le aveva raccontato di quanto la vita fosse ingiusta, della propria incapacità di esserci per lei, le aveva chiesto scusa quando lei già dormiva, ciucciando piano il suo minuscolo pollice dall'unghia così lucida e minuscola che pareva una piccola conchiglia portata dal bagnasciuga.

Era stata concepita in una soffita, ma non lo avrebbe mai saputo, perché quella soffitta era di un'altra vita, una vita in cui lui non c'era più, non c'era la puzza dell'alcool e non c'era quel senso di schifo che gli veniva ogni volta poi, quando si ritrovava a ritrarsi dalle cosce di una donna e guardare il soffitto per non piangere, una vita in cui il verme che gli penzolava fra le gambe aveva un'altra funzione oltre a quella di pisciare e fargli da ingombro nei pantaloni ed era servito a dare la vita ed Eva, che avrebbe avuto bisogno di un padre che non esisteva.

L'ultima fiaba che aveva raccontato ad Eva era la storia di uno specchio e di una donna intrappolata dietro il vetro. Eva aveva pianto, ma era quello che faceva sempre. Aveva pianto anche lui.

Le aveva scattato una foto di nascosto, speso i suoi ultimi soldi in qualche indumento che potesse proteggerla dal freddo, pagato sei mesi d'affitto in anticipo, nascosto una catena d'oro in un calzino. Poi aveva preso i soldi che servivano a comprarle una carrozzina ed era uscito da quell'ospedale senza dirle addio e senza guardarsi indietro, ignorando la propria coscienza e stringendo forte il volante dell'auto fino alla stazione.

Poche ore dopo, Wade non esisteva più.

Al suo posto, una giovane donna dall'incedere insicuro e dalla linea dell'eyeliner impreciso e tremolante era salita su un treno, tirandosi dietro una grande valigia piena di abiti rubati, ed aveva detto addio ad una vita che non era mai stata così sua come in quel momento.

 

 

 

Unique era nata poche ore dopo Eva, ed aveva mosso i primi passi sulla strada.

Della propria verginità ricordava poco: il freddo di un capannone, il sudore sotto la parrucca, il degrado. I soldi infilati in fretta nell'intercapedine fra le mattonelle ed una canna rollata male e fumata in fretta per togliersi dalla bocca il sapore di un uomo senza faccia. La pacca sulla spalla ricevuta da una delle ragazze che l'avevano aiutata, un sorriso con i denti marci e delle scarpe con la punta tagliata per farci stare dentro tutte le dita e l'andatura storta di una sciatica mai curata, la sua voce quasi piccola e troppo flebile quando le passava un bicchiere colmo di vino e le sussurrava "Qui prima o poi impazziscono tutti."

Era quasi egoista, pensare alla propria consapevole decisione di lasciare la posizione di potere, rivedersi nei gesti degli uomini che si avvicendavano nel suo letto ed i loro sguardi sprezzanti, ma in fondo era quello che più di ogni altra cosa la faceva sentire donna.

Era un ambiguo malanno, la femminilità, l'aveva sempre cercata negli indumenti di pizzo o nei lucidalabbra fruttati o nelle imbottiture del reggiseno, per poi scoprire ch'erano solo anestetici per rendere più sopportabile i tagli che si era procurata attraversando lo specchio.

E vendersi non era così terribile, quando lo considerava per quello che era, e cioè un modo di procurarsi soldi per poter reperire medicinali sul mercato nero.

Dopo le prime iniezioni, ad Unique fu chiaro che non sarebbe mai diventata la donna minuta ed elegante a cui pensava quando metteva lo smalto rosso di nascosto, nel bagno di casa dei suoi, usando la moquette sporca come palcoscenico e lo specchio scrostato del lavandino con la sua luce al neon come riflettore. Sotto la sua pelle, c'era nascosta una diva dal cuore rumoroso ed ingombrante.

 

 

 

Incontrare George significò liberare, per la prima volta, la ragazza imprigionata nello specchio di tanti anni prima.

George era insignificante e ricco e di mezza età, ed aveva una moglie e dei figli che continuava a promettere avrebbe lasciato, ed era malato di un male che non bastava il ritmo di una mano o il caldo di una bocca per curarlo, ma si era innamorato di lei dopo il primo sguardo e l'aveva portata a cena e le aveva fatto dei complimenti e non aveva avuto paura di prenderle la mano o toccarla piano sulle spalle o carezzarle i capelli e questo era abbastanza.

Unique avrebbe ricordato fino alla fine dei suoi giorni la prima volta in cui avevano fatto l'amore, nel laido magazzino in cui viveva e faceva sempre freddo, stretti l'uno all'altra nella vasca da bagno colma d'acqua, e Gorge aveva sussurrato "Insegnami come darti piacere." e l'aveva spogliata piano e senza disgusto e poi l'aveva baciata sulla bocca e dappertutto e sul suo petto aveva sentito battere entrambi i loro cuori, quasi ne avesse due, uno per ogni lato.

George l'aveva presa piano, era stato romantico e delicato, l'aveva guardata negli occhi e aveva continuato a ripeterle quanto fosse bella, e quando Unique era venuta non aveva potuto evitare di mormorare "Mi dispiace." ed entrambi avevano capito il motivo.

Quella notte, quando George era andato via, per la prima volta Unique aveva desiderato l'avere la possibilità di guardare negli occhi Wade, stringerlo a sé, stampargli un bacio sulla fronte e rassicurarlo che sarebbe andato tutto bene.

 

 

 

Quinn era arrivata anni dopo, quando Unique aveva ormai una casa e una cabina armadio piena di abiti firmati e una schiera selezionata di clienti fissi, e la strada la guardava soltanto dalla finestra del suo opulento salone, attraverso pesanti tendaggi di broccato verde bottiglia che tenevano lontani gli sguardi maliziosi dei vicini e costituivano la sua armatura.

Puckerman era venuto a bussare alla sua porta con una valigia in mano e uno sguardo imbarazzato verso la sua vecchia auto, all'interno della quale se ne stava la ragazza che Unique aveva per tutta la vita sognato di essere: deliziosamente esile nonostante la gravidanza e con dei lineamenti reali e cesellati, delle mani sottili che non avevano mai conosciuto la fatica, e un astio incondizionato verso il mondo intero, da putto ribelle.

Era stato quasi come avere una figlia, accogliere Quinn in casa, creare una stanza dove potesse sentirsi al sicuro e vivere la sua attesa come un desiderio che non avrebbe mai potuto esprimere, guardarla schiudersi come un germoglio e lottare contro chiunque si interponesse fra lei e la sua maternità.

Poi la notte dell'ultimo dell'anno era nata Beth, mentre fuori dalla finestra il cielo si tingeva di tutti i colori dei giochi pirotecnici, e Unique aveva pianto pensando ad Eva.

Beth era bianca come la neve ed i suoi capelli erano scuri e folti, i suoi polmoni ben formati e forti; nella sua nursery si erano accalcati tutine e copertine e calzerotti e cappellini e giocattoli di ogni foggia e colore, e suo padre non si stancava mai di guardarla dormire.

Quando Quinn annunciò di volerla dare in adozione, Unique non obiettò; Beth perse il cognome Puckerman e diventò figlia di un insegnante e di un'avvocatessa.

Beth era stata una bambina fortunata. Per la prima volta, Unique si chiese dove fosse Eva.

 

 

 

Kurt arrivò improvviso e disastroso come un temporale, la casa non fu mai più la stessa. Era silenzioso e pericoloso come un felino, terrorizzato di qualsiasi rumore, ostinato nel non voler farsi visitare da un medico anche quando la cicatrice sulla sua gamba era rossa ed infetta e non accennava a rimarginarsi e Unique temeva avesse preso la sepsi, e dietro i suoi occhi c'era la sua storia che scorreva ancora e ancora come un film muto senza spettatori.

"Ho ucciso un uomo." disse una sera, come risposta alle insistenti domande di Quinn, poi chiese ad Unique se non ci fosse qualche cliente di cui potesse occuparsi lui, lui che aveva il terrore di essere sfiorato anche per sbaglio e che dormiva con la porta chiusa a chiave ed aveva avuto una crisi isterica quando Quinn era entrata per sbaglio in bagno mentre era sotto la doccia.

Lei minacciò di cacciarlo di casa, ma non lo avrebbe mai fatto e lo sapevano entrambi, così da brava mamma puttana Unique gli insegnò tutto quello che sapeva, e gli procurò degli appuntamenti.

E quando anni dopo comparve Blaine, goffo ed ingenuo e ferito come ognuno di loro, Unique comprese immediatamente che Kurt se ne sarebbe innamorato senza riserve. Spiandoli dalla finestra, chini sul cofano dell'auto, a girarsi intorno e parlarsi con quell'espressione mortalmente seria, Blaine con gli occhi spalancati e l'entusiasmo stupido di chi si innamora al primo sguardo e Kurt spensierato e guardingo e sensuale e proibito, Unique aveva avuto la possibilità di osservare il preciso momento in cui la storia di quei due era cominciata, nel silenzio di un pomeriggio afoso d'estate.

George era morto da due anni, da solo e in una camera d'hotel di Austin, e Unique aveva ricevuto una telefonata dove le dicevano che se si fosse fatta vedere al funerale le avrebbero spaccato la faccia una volta per tutte, l'unico ricordo di lui un conto in banca intestato a nome di Wade ed un cofanetto pieno di gioielli.

Unique capì che era giunto il momento di sfiorare la prima tessera del domino della sua vita.

Chiamò un detective privato e lo implorò di trovare Eva.

 

 

 

La notte in cui Unique andò via, c'era un biglietto aereo nella tasca interna del suo bolero di ecopelliccia rosa, e due valigie colme di abiti e ricordi.

Kurt e Blaine dormivano rannicchiati sul divano – sempre sul divano, visto che Kurt si rifiutava di far dormire Blaine nello stesso letto in cui si prostituiva – e Quinn era crollata nella sua stanza, dopo aver passato la serata in preda alle nausee.

Unique scese le scale con le scarpe in mano, lei che a piedi nudi non c'era mai andata, ed aveva odiato i suoi piedi virili con tutta se stessa per ogni giorno della sua vita, scegliendo scarpe sacrificanti e faticose da indossare.

Fuori, Puck accese l'auto in silenzio, le valigie già caricate nel bagagliaio, e le aprì lo sportello per farla salire, con un sorriso teso sulle labbra.

"Andiamo, principessa," le sussurrò, prima di svoltare in direzione dell'aeroporto, stringendole forte una mano, "non bisogna far aspettare troppo i propri sogni."

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Eva Adams stava uscendo dal supermercato, in ritardo per andare a prendere i suoi due figli a scuola, quando una donna le si avvicinò e le chiese se le servisse aiuto con le pesanti buste della spesa.

La donna aveva un aspetto familiare, dietro il volto luminoso e truccato, i capelli messi in piega e la borsetta di Chanel. C'era anche una qualità d'inquietudine, nei suoi occhi e nelle sue mani, come se fosse fortemente a disagio o spaventata. Eva rimase a guardarla per qualche secondo di troppo, mentre procedeva sui suoi tacchi alti verso la propria auto.

"Mi scusi, io- la conosco?"

La donna sorrise incerta, scoprendo due grandi fossette ai lati della bocca, mentre i suoi occhi si velavano immediatamente di lacrime.

"Uh, no. Non ancora. Mi piacerebbe poterlo fare, però. Tu sei Eva, giusto?"

"E lei come lo sa?"

La donna tese una mano, le sue unghie erano smaltate di blu ed i charms dei suoi mille braccialetti suonavano una musica affilata.

"Mi chiamo Wade. Wade Adams."

 

 

 

 

 

 

 

Oh Unique, cosa darei per poterti dare un abbraccio, dolcezza.

 

Dunque, questa è la prima delle storie satellite di Porn.

So che l'argomento non è molto popolare, e va bene così, ma questo tema mi sta particolarmente a cuore.

E poi sentivo che senza questo punto di vista la storia non potesse essere completa. Ha senso?

Un bacione,

LFS

  
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