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Autore: Danielle_Way    29/07/2013    4 recensioni
Orgoglioso, cocciuto, indipendente.
Sono sempre state caratteristiche del carattere di Gerard.
Avevo sempre sopportato questo suo lato, avevo sempre cercato di andargli incontro in ogni cosa, di compiacerlo, di evitare discussioni inutili che poi sarebbero sfociate in litigi per un nonnulla, ma non stavolta.
Volevo capire perché stesse succedendo tutto questo, perché, da un momento all’altro, mi fossi ritrovato con un pugno di mosche in mano.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The End.
 

Era una fredda giornata di marzo.
Io me ne stavo giù nel cortile dell’albergo di Los Angeles dove ero andato a risiedere per qualche giorno, a fumare una sigaretta. Jamia non c’era, forse stava facendo un po’ di shopping.
Era uno di quei momenti in cui avrei avuto bisogno di rimanere da solo a riflettere e basta; uno di quei momenti in cui avrei preferito che sparissero tutti tranne me, così da poter restare un po’ in pace, circondato dal silenzio.
Di solito, il clima della California non è mai rigido, e raramente nevica, ma quel giorno faceva particolarmente freddo.
Mi strinsi nella giacca, ben sapendo che era troppo leggera e che non sarebbe servito a niente.
 Poco dopo, sentii un rumore di passi e la porta che dava sul cortile venne aperta di scatto.
I passi si avvicinarono quasi impercettibilmente, fino a fermarsi esattamente dietro di me.
Avevo quell’unica domanda sulla punta della lingua, ma non riuscivo a trovare la forza per tirar fuori le parole.
«E’ davvero finita?» sussurrai poi, tenendo la testa bassa.
«A tutto c’è una fine.»
Rimasi immobile, lo sguardo perso nel vuoto.
Ciò che rimaneva della mia Marlboro scivolò a terra.
Pestai la cicca con un piede, spegnendola definitivamente.
 
Non volevo accettarlo.
Era semplicemente impossibile, assurdo, sbagliato. Non era così che avevo previsto che andassero le cose, non era così che pensavo sarebbe finita.
Non ci credevo. Non volevo crederci, e mi rifiutavo di accettarlo.
Mi limitavo a pensare che fosse soltanto un brutto sogno -il mio peggior incubo di sempre- , che l’indomani mattina mi sarei svegliato nel mio letto, a casa, e Lily e Cherry avrebbero spalancato la porta, seguite a ruota da Miles, per venire a fare le capriole sul letto, e che infine sarebbe arrivata Jamia con il telefono in mano, annunciando la telefonata di Ray, e che avrei sentito la voce dell’afro, allegra come sempre, chiedermi di recarmi a Los Angeles da loro per poter continuare le registrazioni.
E invece no.
 
«Perché, Gerard? Perché?» chiesi in un soffio, senza voltarmi.
Incrociare i suoi occhi sarebbe stato semplicemente troppo.
«Mi pareva di averlo già spiegato» fu la sua breve risposta.
«Non era tutto. C’è dell’altro, vero?» sibilai, stringendo i pugni.
 
Perché cazzo si ostinava a rispondere in modo così vago? Io volevo una motivazione, e una motivazione che fosse abbastanza soddisfacente. Credevo di meritarmela, credevo che lavorare in gruppo significasse discutere dei problemi tutti insieme, senza tralasciare dettagli e senza nascondersi niente a vicenda.
 
«Sai che non sono il tipo che fornisce spiegazioni per ciò che fa. Se sto camminando per una strada, non sento mai il bisogno di voltarmi indietro per ripercorrere i miei passi. Tutto qui.»
 
Orgoglioso, cocciuto, indipendente.
Sono sempre state caratteristiche del carattere di Gerard.
Avevo sempre sopportato questo suo lato, avevo sempre cercato di andargli incontro in ogni cosa, di compiacerlo, di evitare discussioni inutili che poi sarebbero sfociate in litigi per un nonnulla, ma non stavolta.
Stavolta non ero disposto a rinunciare a niente, non mi sarei piegato alle sue frasi fatte che ficcava sempre qui e là nel bel mezzo delle discussioni.
Volevo capire perché stesse succedendo tutto questo, perché, da un momento all’altro, mi fossi ritrovato con un pugno di mosche in mano.
La decisione era stata sua e ci aveva fornito qualche spiegazione, ma nessuno aveva osato ribattere, solo io avevo avuto il coraggio di oppormi con forza.
Mikey aveva assecondato il fratello, chissà, forse ne avevano già parlato tra di loro, forse lui sapeva il vero motivo; Ray era rimasto troppo sconvolto anche solo per aprir bocca.
Io non ho esitato un attimo.
Le parole che avrebbero dovuto rappresentare una “spiegazione” mi sembravano solo tante frasi sconclusionate messe insieme alla rinfusa. Ciascuna di esse voleva dire mille cose, e allo stesso tempo era priva di significato.
Per me, Gerard era caduto in uno dei soliti momenti di depressione.
Ne aveva sempre sofferto, fin da quando era ragazzo, ma di certo non poteva ricominciare ad imbottirsi di alcolici e anti-depressivi come una volta.
E così, aveva scelto una via alternativa, da solo, arbitrariamente, senza prima consultarsi (forse) con nessuno di noi. La riunione che aveva indetto per quel giorno non era per discuterne. Era semplicemente per comunicarci del fatto che avesse deciso di mettere la parola “fine”.
Forse avrebbe fatto prima a far finire tutto senza avvertirci neanche, tanto è andata più o meno così.
E per che cosa, poi? Per un suo cazzo di problema che avremmo potuto risolvere tutti insieme.
Ogni volta che cadeva in depressione, c’eravamo sempre noi ad aiutarlo, a sostenerlo.
Solo perché ormai ognuno aveva la propria famiglia non significava di certo che non avremmo potuto aiutarci a vicenda come una volta.
E’ vero che io il primo avevo scelto di andare a vivere piuttosto lontano dagli altri, ma mi sarebbero bastati pochi minuti al telefono con Gerard per capire che qualcosa non andava, e un paio d’ore per staccare un biglietto aereo per Los Angeles.
La sua eccessiva impulsività e la sua imprevedibilità lo avevano sempre portato a prendere delle decisioni senza rifletterci attentamente su, ma stavolta non riuscivo davvero a perdonarglielo.
 
« “Tutto qui”?! E ti sembra una motivazione valida?!» sbottai ad un tratto, girandomi di scatto e incrociando finalmente i suoi occhi.
Erano seri.
Forse un po’ tristi, ma bellissimi. Come sempre.
Ancora una volta, sentii tutta la mia rabbia vacillare, di fronte alla sua espressione.
Dentro di me, sapevo che una parte del mio risentimento consisteva nel nostro rapporto, e nelle conseguenze che la sua scelta avrebbe provocato su di esso.
In questi dodici anni, avevo donato anima e corpo per la mia band, e il solo pensiero che da quel giorno sarebbe cominciato un nuovo capitolo della mia vita -quello senza il mio gruppo- mi faceva male al cuore; ma forse, anche se non me ne ero reso conto subito, il senso di malessere e nausea stava nella consapevolezza del fatto che la band era anche l’unica cosa che riusciva ad unire me e Gerard più di qualsiasi altra.
 
Fin dagli inizi, il nostro rapporto consisteva in qualcosa di più di una semplice amicizia.
Il nostro “dare spettacolo” e i nostri gesti sul palco, erano dovuti al fatto che eravamo davvero attratti l’uno dall’altro, ma non riuscivamo a parlarne.
C’è anche stato un periodo in cui avevamo una vera e propria relazione, che poi si era trasformata in una più clandestina ai tempi di Eliza; dopo l’entrata in scena di Lindsey, però, tutto faceva presagire un’imminente rottura.
Gerard mi aveva mollato- ma solo per un breve periodo di tempo, perché poi non si era fatto problemi a “tornare” da me. Ma dovevamo stare attenti a non farci beccare.
Finchè erano Ray o Mikey o anche Bob a intravederci mentre ci scambiavamo qualche bacio fugace, potevamo contare su di loro; ma se Lindsay o Jamia (o anche Christa, o Alicia) ne fossero venute a conoscenza … SBAM, il caos.
Anche dopo che ci eravamo sposati, anche dopo aver avuto dei figli, non avevamo mai rinunciato alla nostra intimità, a quel nostro rapporto.
Non era più la relazione di un tempo, ormai non chiudevamo più gli altri fuori dal tour-bus per passare la notte insieme -quasi non lo usavamo più il tour-bus, figuriamoci- , ma passavamo sempre dei bei momenti insieme, a “tubare come piccioncini”, a detta di Ray.
E adesso?
Abitavamo persino in due stati diversi, come avrei mai potuto pretendere che tutto questo non andasse in fumo?
 
«Frank … non intendo ripeterlo ancora.» sospirò Gerard, scuotendo la testa.
No, no, no, no, no. No.
Tutto questo significava solo una cosa. E io volevo tutto tranne quello.
Mi avvicinai e lo afferrai per la felpa, scuotendolo un po’.
 
«No … Possiamo risolvere tutto, Gerard. Insieme … possiamo farlo.»
Non mi sarei arreso.
Non volevo arrendermi.
 
«No, non possiamo. Stavolta è diverso.» cercava di opporre una strenua resistenza.
E intanto, io mi sentivo morire dentro.
Mi aggrappai letteralmente a lui, mi strinsi forte contro il suo petto, sperando di affondarci dentro e non uscirne più. Il suo odore mi riempiva le narici, riportandomi alla mente vecchi ricordi dei momenti passati insieme.
Non importava chi o perché lo decidesse, non avrei mai saputo, non avrei mai potuto rinunciare a Gerard.
 
«Frank … » le sue braccia si avvolsero gentilmente attorno alla mia schiena, incatenandomi in un abbraccio dal quale non avrei mai voluto liberarmi.
 
Nella mia stanza d’albergo regnava la penombra, ma non avrei mai saputo dire come ci fossimo arrivati, o quando.
Il perché era che avevamo bisogno ancora l’uno dell’altro, per l’ultima volta.
Né io né lui eravamo riusciti a mettere subito fine al “noi”.
Come avevo potuto credere, cinque minuti prima, di poter recuperare le mie cose, mia moglie e fare rotta verso casa? Come avevo creduto di poter essere io dei due a scrivere la parola “fine”, quando in dodici anni mi ero sempre sentito perso al solo pensiero che ci sarebbe potuta essere anche solo la remota possibilità che, un giorno, potesse accadere tutto questo?
 
Sentivo il respiro affannato di Gerard alle mie spalle, e il suo corpo caldo e sudato premere contro il mio.
Avevo bisogno di questo contatto, lo avevo desiderato con tutto me stesso. Non ricordavo quando fosse stata l’ultima volta che l’avevamo fatto, ma ormai poco importava: avrei semplicemente voluto che non finisse mai.
C’era piacere e dolore nelle sue spinte; c’erano scuse, amore, disperazione, rancore, decisione, e tutte le cose che non avevamo mai avuto il coraggio di dirci.
Ogni suo affondo era più profondo del precedente, e mi provocava fitte sempre maggiori, perché si aggiungeva sempre qualcosa che non avremmo mai avuto la forza di esprimere a parole.
Ero scosso dai brividi di piacere e quasi faticavo a stare in piedi per il dolore, ma facevo in modo da stringermi più che potevo a lui.
Perché Gerard era da sempre il mio veleno e la mia medicina, e non c’era altro che desiderassi all’infuori di lui.
 
Alla fine, avevamo raggiunto l’amplesso più forte e stravolgente mai provato, e ci eravamo lasciati cadere sul letto, esausti.
Dopo qualche secondo, ci voltammo quasi nello stesso momento, facendo incrociare i nostri sguardi.
Non dimenticherò mai il bacio che ci scambiammo, e quelle due parole che sentii riecheggiare dentro di me e che mi fecero realizzare definitivamente cosa sarebbe accaduto dopo, e, soprattutto, ciò che avrei perso:
 
E’ finita.
 
 
 
Quella è stata la mia ultima volta con Gerard.
Con la persona che amo.
 
Quello è stato l’ultimo giorno mio e degli altri come band.
 
Non pensavo e non volevo che finisse così. Anzi, se fosse stato per me, non sarebbe mai finita. In entrambi i casi.
Ma adesso lo so: tutto è destinato a finire.
Anche per le cose belle, forse soprattutto quelle, un giorno verrà scritta la parola “fine”.
Non si può far nulla per cambiarlo, né tantomeno serve crogiolarsi nei rimpianti.
 
“Ci sono cose che, per quanto ci si affanni, non si possono riavere indietro”
 
A un certo punto, sento squillare il cellulare.
Infilo subito le mani dentro le tasche dei jeans per recuperarlo, e rispondo senza neanche guardare il display.
«Sì?»
«Frank? Sono Gerard.»
 
  
 
 


*si schiarisce la voce per attirare l’attenzione*
 
Beh … buonsalve (?) a tutti.
 
Non pubblico qualcosa da quando ho finito la mia long, perché sono stata per un po’ senza ispirazione (credo sia normale, dopo aver finito una Frerard di ben 30 capitoli. cwc), poi sono stata sommersa di idee, ma ho scoperto in seguito che nessuna di queste era abbastanza interessante per poterci combinare qualcosa di buono, e alla fine eccomi qui.
 
Questa OS l’ho scritta di botto, tutta in una volta.
Non l’avevo pianificata, pensavo solo “forse dovrei provare con delle OS, prima di cominciare un’altra long”, e questa mi è venuta fuori all’improvviso.
Si è quasi scritta da sola.
 
Come quasi tutte le mie OS, è un po’ (molto) uno sfogo, ed è abbastanza triste (?) e nonsense, e forse è per questo che mi rispecchia.
So di aver trattato argomenti che potrebbero risvegliare non proprio belle sensazioni dentro di noi, come i famosi eventi del 23 marzo, ma è appunto a causa di questi che sento il bisogno di sfogarmi in qualche modo.
Sono passati diversi mesi, ma non riesco ancora a superarlo del tutto, anche se ho fatto davvero molti progressi.
 
Spero comunque che non faccia troppo schifo, e che qualcuno qui abbia voglia di leggere e recensire, perché mi renderebbe taaaanto felice. çwç
 
Detto questo, vi lancio un po’ di cupcakes per ringraziarvi in anticipo e mi dileguo.
Alla prossima!
 
xx,
Danielle.
 
P.S. Ultimamente ho la mania per i finali aperti (…), spero che non sia troppo irritante (?).

 
 
 
 
 
 
 

   
 
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