Libri > I Miserabili
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Autore: _Noodle    01/08/2013    2 recensioni
Era una tiepida mattina di fine maggio. Apollo giaceva addormentato sul letto con addosso i vestiti della sera prima. Si svegliò verso mezzogiorno con un mal di testa allucinante. Gli pulsavano le tempie e gli bruciavano gli occhi; l’evidente vena che scorreva come un fiume sulla sua fronte era più spessa del solito. Si mise a sedere lentamente, cercando di non dar retta al corpo intorpidito e alle mani formicolanti e appena aprì coscientemente gli occhi sobbalzò. Il cuore incominciò a pulsargli compulsivamente e il respiro gli si fece più affannato, cercava di alzarsi da quel letto poco accogliente ma le gambe non sostenevano il suo peso, tremavano come in preda alle convulsioni. Ricadde prono sul pavimento.
Enjolras travolto da un nuovo sentimento e un amore nato tra fiori e inganni.
Coppie: EnjolrasxGrantaire; JeanxEponine.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eponine entrò in casa, spostando lo sguardo che aveva abbandonato su Enjolras su di sé: indossava ancora il vestito di Jean. Che cosa le avrebbe detto suo padre vedendola arrivare conciata in quel modo? L’avrebbe sicuramente privata di quello che era il suo tesoro più grande. Decise che nessuno avrebbe dovuto vederlo e si cambiò, indossando i suoi soliti stracci. Che disgrazia.
 
L’indomani era il 3 giugno, il 3 giugno 1832. Quello che interessa a noi è di raccontare ciò che successe la sera di quel fatidico giorno, in cui le stelle, troppo scure e malinconiche, improvvisamente s’illuminarono di una nuova luce scintillante, quasi quanto quella che risiede nel cuore degli amanti.
Marius si avvicinava alla casa di Rue Plumet con passo deciso: percepiva e sentiva Cosette e, benché non fossero ancora l’una nelle braccia dell’altro, il casto desiderio di lei non era mai stato così prorompente. Nell’oscurità della notte, leggermente ventilata e fresca, Marius aveva temuto di vedere delle ombre minacciose calpestare i suoi stessi passi, ma poiché li credeva fantasmi li ricacciò via dalla mente, visualizzando di nuovo dentro di sé la dolce e aggraziata figura di Cosette. Spavaldo e innamorato non badava a quell’esile macchia del mondo, a quella dolce ma spaventosa creatura che l’osservava entrare nella casa della sua amata. Eponine l’aveva seguito fino a lì e, benché lui avesse cercato di evitarla, lei non si era data per vinta. Doveva sorvegliarlo e proteggerlo dal Patron Minette che sarebbe arrivato da un momento all’altro. Lo vide spostare la sbarra e scivolare in giardino.
<< Oh, >> disse << entra in casa.>>
“Non mi ha ascoltato” pensava.
<< Questo no, perdinci! >>
Si appostò in un angolo buio dove scompariva completamente e attese lì per più di un’ora. Nessuno arrivava.
Ad un tratto, mentre era persa nelle sue considerazioni, sentì una voce roca, oscura e sgradevole; una voce che a mano a mano si avvicinava a lei e benché fosse buio e fosse completamente sola, non iniziò a tremare: non aveva paura. Quella voce era seguita da dei passi: erano in tanti.
<< E’ qui >> disse uno.
Lei si svelò allo scoperto celando il suo volto tra le tenebre solo per metà. La luce delle stelle illuminava solo un quarto del suo volto. Aveva coraggio ‘Ponine. Era stramba, ma sincera, a volte timida, ma del resto intrepida. Accolse i sei uomini con un ghigno spaventoso, con quel sorriso terribile che era sempre riuscito ad allontanare tutti e che in quell’attimo di adrenalina aveva acquistato un qualcosa in più: la bellezza.
Bella e terribile, nessuna belva inquieta di più.
<< Chi è questa sgualdrina? >>
<< Vostra figlia. >>
Eponine aveva risposto al padre.
La voce non era più quella arrochita a stridula di ogni giorno, ma era profonda e incisiva: il coraggio l’aveva trasformata.
<< Eh, dunque, cosa fai qui? Cosa vuoi? Sei pazza? Cosa vieni a impedirci di lavorare? >> strillò Thenardier.
Eponine respirò profondamente per evitare di mettergli subito le mani al collo. Poi chiuse gli occhi.
<< Sono qui, babbino, perchè sono qui. Non è più permesso sedersi su una pietra? Siete voi che non dovreste essere qui >> sussurrò a pochi centimetri dal volto del padre con aria di sfida. Eponine era cresciuta: aveva abbandonato la solita bambina stracciona per una donna orgogliosa di esserlo, e nonostante i suoi vestiti non lo dimostrassero (indossava un cappotto lungo fino ai piedi) dentro di sé era formata e ricca di vita, come solo un’adulta può essere.
<< Ci sono donne sole >> osservò Gueulemer. Eponine spostò lo sguardo su di lui.
<< No, hanno traslocato >> ribatté convinta.
<< Ma le candele no. >>
Alzò gli occhi al cielo inspirando, maledicendo per un attimo che in casa non fossero ancora andati a dormire.
<< Ebbene, sono gente poverissima, una baracca dove non c’è un soldo. >> Era un’abile bugiarda quando vi era la necessità e non si faceva tradire da nessun atteggiamento sospetto.
<< Vattene al diavolo! >> Strillò il padre tirandole uno schiaffo sulla guancia. Eponine cadde quasi a terra, dolorante, ma non emise neanche un gemito: ormai ci aveva fatto l’abitudine. Si avvicinò a Montparnasse, il ragazzo col cilindro, e gli afferrò le spalle con una presa talmente salda che avrebbe fatto invidia ad un galeotto del Bagno. La forza che risiede nella fragilità è la più spietata.
<< Mio buon amico, signor Montparnasse, ve ne prego, voi che siete un buon ragazzo, non entrate >> lo supplicava tentando questa volta di sorridere in modo da ispirare fiducia, ma appena Montparnasse sentì le sue mani sulle sue spalle l’afferrò e la chiuse nella sua morsa, come fa un ragno che avvolge nella tela la sua preda. Eponine sussultò appena e temette di essere in pericolo per pochi istanti.
<< Bada, ti taglierai! >> Le bisbigliò all’orecchio Montparnasse, che nel frattempo aveva avvicinato un coltello alla sua gola.
Sudava, cercava di dimenarsi e di morderlo, ma temeva che quel coltello potesse trafiggere la sua pelle. Lei, che non aveva mai avuto paura della morte, in quel momento provò un brivido di freddo, uno di quei fremiti che accompagnano il timore. Perchè era spaventata da questo brutto mostro chiamato “la morte”? Perchè il bell’angelo chiamato “la vita” l’aveva accarezzata dolcemente da troppo poco tempo e la povera Rosa della Miseria aveva bisogno di vivere ancora un po’.
Ad un tratto, quando la lama del coltello si fece più pungente, ‘Ponine sentì alle sue spalle una voce, una voce rassicurante, che in quel momento si era fatta più virile che mai.
<< Tu hai un coltello, io ho un fucile. Lasciala andare. >>
Era la voce di Jean Prouvaire.
Eponine non riusciva a guardarlo negli occhi, ma riusciva a vederlo di sbieco. Quanto poteva essere coraggioso il suo poeta? Era venuto lì per lei, a salvarla, a portarla via dalla disperazione, a restituirgli serenità. Perchè pensava ancora a Marius? Perchè si preoccupava ancora per lui? “Che se ne stia con la sua Cosette!” pensò “Io ho di meglio.”
I dolci pensieri che le fluttuavano in mente avevano alleviato qualsiasi tipo di dolore e la pioggia battente (che per fortuna quella sera non c’era) non avrebbe distrutto, ma avrebbe fatto crescere i fiori, quelli che a lui piacevano tanto. Pensava al suo profumo e al dolce dono che le aveva fatto, ai suoi occhi azzurri, candidi e innocenti, alla sua voce debole, ma virile, alla sua calligrafia delicata e al suo sorriso, quel timidissimo sorriso, che tuttavia lo rendeva intrepido.
Montparnasse, sentendosi il fucile puntato alla tempia, non si mosse. Per lui un fucile era robetta da tutti i giorni e sicuramente un povero miserabile con i vestiti laceri non l’avrebbe spaventato.
<< La rivuoi indietro? >> Disse accennando ad Eponine.
<< Adesso. >>
<< Come sei maleducato, nemmeno un “per favore”. >>
<< Non ho motivo di essere educato con uno come te. Lasciala andare >> sibilò scandendo orribilmente le ultime due parole.
Montparnasse rise.
<< Credi di farmi paura? Uno con i fianchi da donna e il ciuffo impomatato potrebbe mai farmi paura? Sto per affrontare una rivoluzione, non sarai certo tu ad intimorirmi. Lascia andare Eponine, o ti scoppia una pallottola nel cervello. >>
Montparnasse si sentì ferito nell’orgoglio. Era diventato un criminale perchè voleva essere “bello” e adesso, quando sentiva di aver raggiunto il suo scopo, un poveraccio lo insultava paragonandolo ad una donna. Jean aveva toccato i suoi punti deboli senza saperlo. Allentò lentamente la presa, ma non perchè volesse liberare Eponine, ma perchè la vergogna lo aveva invaso al suono di quelle parole. Montparnasse era tornato piccolo, come rivelavano i suoi diciotto anni.
Nel momento in cui il coltello si allontanò dalla sua gola, la ragazza balzò fuori dalle braccia di Montparnasse con la velocità di un felino e giunta davanti al volto del padre, che assisteva alla scena sbigottito, gli sputò in un occhio.
<< Cagna! >> Gridò Thenardier.
Eponine rise in modo terribile, questa volta come non aveva mai fatto in tutta la sua vita. Vittima della felicità e dell’adrenalina più assoluta, che Jean aveva fatto affiorare in lei con il suo arrivo, puntò il dito contro il padre, urlando a pochi soffi dal suo volto parole taglienti, che Prouvaire non poté interpretare se non come poesia.
<< Non sono la figlia del cane, sono la figlia del lupo. Siete sei? Che m’importa? Siete uomini, ebbene, sono una donna, non mi fate paura, andate là. Vi dico che non entrerete in questa casa perchè non mi garba; se vi avvicinate abbaio. Ve l’ho detto, il cane sono io; me ne infischio altamente di voi, fate la vostra strada, mi seccate. Andate dove volete, ma non qui, ve lo proibisco; voi a coltellate io a colpi di ciabatta, mi fa lo stesso, avanti! >>
Mosse un passo verso gli altri banditi; era spaventevole, si rimise a ridere.
<< Perdinci, non ho paura; quest’estate avrò fame, quest’inverno avrò freddo; sono ridicoli questi imbecilli di uomini a credere di far paura ad una ragazza. Paura di che? Ah sì, davvero, perchè avete delle cretine di amanti che si nascondono sotto il letto quando fate la voce grossa; ecco, io non ho paura di niente! >>
E fissando il Thenardier aggiunse:
<< Nemmeno di voi! >>
Jean aveva le lacrime agli occhi. Quella ragazza, fragile come un pezzo di carta, le aveva cantate a sei uomini più grandi e più forti di lei, anche se lui avrebbe avuto da ridire su questo ultimo punto. ‘Ponine era la più forte e la più vera: se solo avesse creduto in Dio, sapeva che sarebbe stato fiero di lei. Racchiudeva le tenebre, ma emanava luce; mostrava bruttezza, ma rifletteva bellezza e Jean ne era innamorato, profondamente innamorato, anche se il tempo che era trascorso tra quella sera e l’incontro al Luxembourg non era molto. Coloro che s’innamorano dopo pochi istanti di vita insieme sono quelli dai sentimenti più veri, che se ne infischiano dei giudizi superficiali della gente. La semplicità di Eponine e di Jean era unica e la loro macabra innocenza li rendeva unici nel loro genere, unici insieme.
Dopo aver parlottato un po’ tra di loro quei sei uomini si allontanarono ed Eponine, che non li abbandonava con l’occhio, li vide riprendere la via donde erano venuti. Rimaneva a testa alta a guardarli, piena di sangue bollente.
Jean si avvicinò a lei con lo sguardo basso e le gote rosse, intimorito dal suo fascino; gettò il fucile per terra. Si guardarono, ringraziandosi a vicenda con gli occhi: lei lo fece perchè Jean le aveva ridato il coraggio, mentre lui la ringraziò semplicemente di esistere.
<< Andiamocene di qui Jean. Andiamo in un posto tranquillo. >>
E si diressero verso il campo dell’Allodola.
 
<< Sai Eponine, il mio vero nome è Jehan. Con l’acca. >>
<< Mi piace di più >> rispose lei con un filo di voce.
Le stelle incorniciavano i loro volti, sporchi e sognanti, che, sebbene fossero rigati da sottili gocce di sudore, profumavano lo stesso di desiderio. Una lieve brezza aveva scompigliato i capelli di lei e la cravatta mal messa di lui.
Eponine si alzò da per terra, allontanandosi di qualche passo da Jean. Si sbottonò lentamente il cappotto, in un modo così innocente e seducente, che Jean dovette distogliere lo sguardo per non andare a fuoco. Sotto quel pastrano indossava il vestito rosso. Prouvaire sorrise inebriato dall’amore e coinvolto nella travolgente danza delle emozioni incominciò ad osservarla spensierato, ponendo il pugno sotto al mento.
<< Mi stai guardando in modo strano >> disse lei.
<< Ti sto guardando. >>
<< In modo strano. >>
<< In modo strano. >> Si grattò la testa.
‘Ponine, sempre mantenendo lo sguardo basso, si sedette di nuovo al suo fianco. Improvvisamente cambiò atteggiamento, assumendo un’aria divertita e curiosa, quella che Jean conosceva.
<< Jehan, mi insegni a diventare poeta? >>
Jean alzò le sopracciglia meravigliato.
<< Perchè vuoi diventare poeta Eponine? >>
<< Perchè sei sempre così tranquillo e sereno. Mi piacerebbe diventare come te >> rispose lei gesticolando con le braccia sottili.
Jean sorrise imbarazzato per questa sua stramba richiesta. Poi, avvicinandosi ancora di più a lei e abbassando il tono della voce, continuò a parlarle.
<< È difficile: non si può imparare ad essere poeti, ci devi nascere. >>
<< Almeno provaci Jehan! >> Esordì lei facendo finta di tenere il broncio.
Prouvaire non poté non sciogliersi davanti a quell’espressione di estrema tenerezza e senza mai distogliere il suo sguardo da quello di Eponine cercò di soddisfarla.
<< Beh, per iniziare potresti ispirarti a qualcuno. >>
<< A chi? >>
<< Io ho molti poeti ispiratori, ma quello che certamente mi commuove di più è il sublime Alighieri. >>
<< Alighieri? È francese? >> Chiese la ragazza, cosciente della sua ignoranza.
<< No: è italiano. Si chiama Dante Alighieri. >>
<< Sentiamo che cosa scrive allora >> gli sussurrò ad una distanza tale che i loro respiri si sarebbero potuti fondere.
Jean si schiarì la voce, chiudendo gli occhi per l’imbarazzo.
<< Divina Commedia: quinto canto, terzo cerchio, lussuriosi, Paolo e Francesca.
 Noi leggiavamo un giorno per diletto

 di Lancialotto come amor lo strinse;

 soli eravamo e sanza alcun sospetto.
 Per più fïate li occhi ci sospinse
 quella lettura, e scolorocci il viso;

 ma solo un punto fu quel che ci vinse.
 Quando leggemmo il disïato riso

 esser basciato da cotanto amante,

 questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.>>
Eponine lo ascoltava con lo stesso interesse che una favola suscita in un bambino. Le parole le rimanevano ignote, ma il suono etereo della voce di Jean l’aveva ipnotizzata e commossa. Teneva la bocca semi-aperta e le mani appoggiate sulle gambe di lui: la naturalezza con cui si era ritrovata in quella posizione era stata disarmante per Prouvaire, che la osservava, prigioniero del suo fiato che profumava di ciliegie. Bramava di sfiorare la sua pelle e di accarezzarle il collo, fino a prenderle le mani per poi portarle alla bocca e baciarle. Quegli interminabili attimi di silenzio che li legavano alla vita erano più rumorosi di un tuono; i loro cuori frenetici e folli non si curavano delle stelle curiose e del vento impertinente, erano intenti soltanto a riprodurre il suono dei tamburi.
Eponine appoggiò la fronte contro quella di Jean: le punte dei loro nasi si sfioravano appena.
<< Ciò che hai detto sembra meraviglioso, ma che cosa vuol dire? >>
E fu così che Jean avvicinò le sue labbra a quelle di Eponine e, tutto tremante, la baciò, come Paolo aveva fatto con Francesca.
Bastò questo sussurro per far cadere i pianeti dal cielo e per rivoltare l’infinito.
Le loro labbra erano morbide e calde, come la sabbia. Entrambi baciavano per la prima volta e l’incoscienza di quel momento sembrava superare qualsiasi sensazione mai provata prima: superava i fremiti provati verso Marius Pontmercy, superava la contentezza per aver composto una poesia, superava la gioia d’indossare un nuovo vestito, superava il fascino di un fiore.
Jean le passava le mani tra i capelli, mentre lei aveva afferrato i fianchi di lui.
Impacciati e goffi si erano stesi per terra sprofondando tra l’erba e la terra fresca che compensava il loro bollore. Le loro lingue si sfidavano e s’intrecciavano come se stessero tirando di scherma e la saliva di entrambi scorreva dolce:  si fondevano come fa l’acqua del fiume quando arriva al mare.
Si separarono, respirando ancora i loro odori come se stessero continuando a baciarsi. Eponine lo fissava sconvolta, sembrava quasi che fosse volata in un altro mondo talmente il suo sguardo era stralunato.
<< E questo che cos’era? >> Chiese con l’innocenza e l’ingenuità di un angelo.
<< Un bacio ‘Ponine >> le rispose Jean sorridente, passandole una mano tra i capelli lucenti.
<< E perchè l’hai fatto? >> Gli chiese sottovoce.
<< Non volevi sapere il significato della poesia? >> Incalzò lui completamente rosso in volto.
<< Sì, ma non pensavo che avresti fatto questo; insomma, chi vorrebbe mai baciare una come me? >> Sembrava volesse nascondersi e scomparire tra le ombre della notte.
<< Io volevo. >>
Eponine s’illuminò in volto: per la prima volta nella sua vita, qualcuno “voleva”. Voleva lei, voleva il suo corpo e le sue labbra, qualcuno voleva farsi avvicinare e il fatto che questo qualcuno fosse Jean la mandava in estasi, perchè finalmente sapeva che un uomo l’avrebbe trattata come un fiore.
Lo baciò di nuovo, stringendogli le mani ed appoggiandole sul suo petto: aveva il cuore ricco di polvere da sparo e di fuochi artificiali. Staccatasi dalla sua bocca riprese a parlare con meno innocenza e con più serietà, per quanto si possa essere seri da innamorati.
<< Jehan, forse uno dei miei due sogni sta diventando realtà e io non sto più sognando. >>
Jean la fissò, facendo scendere gli occhi sul suo vestito e sui suoi fianchi fragili.
<< E no, non sto parlando del vestito. >>
Si abbandonarono alla notte dimenticando la luce, perdendosi tra i sogni e le lucciole, volendo non riaccendere mai la luce. Si persero tra i loro corpi puri e miserabili come solo due esseri perfetti potevano fare e poi si addormentarono, vivi, tra l’euforia di un abbraccio.
 
 
 
Eccomi finalmente! Sono riuscita ad aggiornare :3 Beh, che ve ne pare? Devo dire che non è stato per niente facile scrivere questo capitolo, ma alla fine credo che sia venuto abbastanza decentemente ;)
Precisazioni da fare: la prima parte consiste in una riscrittura di un capitolo del libro, “Cab corre sulle ruote in inglese e abbaia in gergo” (il mio preferito **) con delle piccole aggiunte fatte da me! Abbiamo anche un dialogo estratto da un libro di Angeles Mastretta intitolato “Donne dagli occhi grandi” che è: “Mi stai guardando in modo strano. Ti sto guardando. In modo strano? In modo strano” e infine ci sono alcuni versi de “La Divina Commedia” per completare il tutto; sì, mi sono sbizzarrita.
Ci si rivede al prossimo e ultimo capitolo cari, love ya <3
 
  
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