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Autore: Icaria Laine    01/08/2013    3 recensioni
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"«Sai, Alain», disse, «Non mi hai mai spiegato una cosa, tu. Perché “Sigaretta”?»"
Alain e Amelie sono due ragazzi di diciassette anni, alle prese con il loro primo amore. I due sono stati legati per anni, ma ora il loro amore dovrà affrontare qualcosa di ben più grande di loro: la distanza. Alain, costretto a trasferirsi in America per motivi familiari, decide di passare l’ultima notte in Francia con Amelie.
Tra lacrime, sorrisi e ricordi, i due si riveleranno alcuni dei più intimi segreti. Tra questi, spunta quello di “Sigaretta”, un nomignolo con cui Alain suole chiamare Amelie.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sigaretta.



Era una notte stellata.
Una di quelle notti in cui non si può far a meno di star ore ed ore ad osservare gli astri ardenti, le lentiggini argentee di un cielo blu scuro, intenso e profondo.
Le ombre della tenebra giocavano a rincorrersi sui prati delle Fiandre francesi, avvolgendo prati verdeggianti e fiori che crescevano rigogliosi, abbracciandoli con il loro manto oscuro.
L’unica fonte di luce proveniva dalla luna che pallida e candida brillava nell’oscurità,.
Il solo suono percettibile era quello della leggera brezza che aveva iniziato a far ondeggiare  le fronde degli alberi, sibilando nell’aria immobile e calda di metà Luglio.
L’ululato di un lupo giunse in lontananza all’orecchio di Amelie, squarciando il silenzio della notte, mentre l’affusolato dito del vento le solleticò la schiena, seminuda, facendo tremare ogni singola vertebra sotto la sua fresca moina.
Amelie, con il mento poggiato delicatamente sul petto di Alain che, con ritmi regolari, si alzava e si abbassava dolcemente, si strinse nelle spalle.
La mano di Alain prese a carezzarle il braccio, passando con la punta delle dita dapprima dal polso al gomito, poi tornando di nuovo al polso e ripartendo verso la spalla.
 
«Se tu te ne vai adesso, io, cosa me ne faccio di me?»
Il silenzio, in quel momento interrotto solo dal suono dei loro caldi respiri, venne spezzato dalla voce, tremante ed insicura di Amelie. I grandi occhi color nocciola le si velarono di calde lacrime.
Si alzò a sedere e le lenzuola fresche le scivolarono via mentre si allungava ed afferrava una sigaretta.
Alain le osservò la schiena per qualche istante. Rimirò con attenzione il suo candore lunare, le vertebre che facevano capolino dalla pelle liscia. Guardò con attenzione i piccoli nei che si allineavano appena sotto la scapola destra, il movimento lento e regolare delle spalle.
Il ragazzo si alzò anche lui a sedere ed un pallido bagliore gli illuminò gli occhi verdi. Amelie contemplava un punto indefinito fuori della finestra, con occhi assorti e completamente persi. Pensieri le si accavallavano alla rinfusa nella memoria, viaggiando a velocità supersoniche tra i meandri del labirinto  che era la sua mente. Svoltavano a destra, poi a sinistra, poi andavano dritti e tornavano indietro davanti ad un vicolo cieco.  Guardò Alain per un istante, poi dissolse subito lo sguardò, accese la sigaretta e sputò una nuvola di fumo bianco che inondò la stanza.
Alain piegò le labbra verso destra in un sorriso che era tutto suo.
Amelie strizzava l’occhio destro ad ogni inspirata.
«Hai sempre avuto il vizio di strizzare l’occhio quando fumi, eh, Sigaretta?» disse Alain. Amelie si girò a guardarlo per un instante e si asciugò le lacrime calde con il dorso della mano, ridendo inaspettatamente.
«Sai, Alain», disse, «Non mi hai mai spiegato una cosa, tu. Perché “Sigaretta”?»
Alain guardò perplesso Amelie. Era da quando si erano conosciuti che la chiamava così.
Lo sguardò di Alain vagò vacuo per tutta la stanza, per poi fermarsi in un punto indefinito fuori della finestra. Tornò con la mente a quel freddo inverno di due anni prima.  Era ottobre, pensò. O forse novembre, o dicembre. No, era dicembre. Ricordo che c’erano le luci appese ai tetti delle strade. Ricordo anche un po’ di neve. Sì, era dicembre.
Era un freddo dicembre, questo lo ricordava bene. Anzi, ricordava bene anche tutti gli altri particolari. Gli erano rimasti accatastati nella memoria come pile di fotografie.
Era il 13 dicembre. Sì, il tredici, pensò, tornando con la mente a quella fredda giornata.
Aveva smesso di nevicare da poco.. Alain era seduto sulla panchina di un parco ormai abbandonato a sé stesso da anni. Era solo, le mani nella tasca del giubbotto, il cappuccio gli nascondeva la capigliatura scura e spettinata. Le altalene venivano mosse solo dal vento freddo e pungente, l’erba alta era coperta da un fitto strato di neve candida. Era seduto sotto un albero.
Non ricordo più che albero fosse. Tempo fa fu abbattuto.. come tanti alberi in quel parco. Per costruire un ristorante, mi pare.
Ad Alain piaceva stare in quel posto. Era desolato, spoglio, macabro.. ma vi regnava un pace cristallina.  Gli unici rumori provenivano dal cigolare delle altalene, il muoversi dei rami al vento, il canto sporadico di qualche uccello. In qualche modo era il suo posto. 
Se ne stava seduto a canticchiare. Di tanto in tanto tracciava dei solchi sulla neve con i piedi. Il naso era rosso per il freddo, ed aveva la bocca coperta da una vecchia sciarpa di lana.

« Oh can't you see… You belong to me? How my poor heart aches with every step you take. »

Aveva sentito una voce che non era la sua. Si era girato alla sua destra e aveva visto una ragazza.  Dal cappello le uscivano fili d’orati. Indossava un lungo cappotto grigio, aveva le mani piazzate nella tasca. Il naso era rosso dal freddo, e la pelle candida e rosea.  Aveva preso a ballare goffamente sulla neve. «Non sai cantare» aveva detto, guardandolo negli occhi verdazzurri.

Alain la fissò per qualche istante. «E tu non sai ballare» aveva risposto stizzito. Aveva ripreso a canticchiare, gli occhi che guardavano in basso ed i piedi che avevano ripreso a tracciare solchi.

«Senti, hai una sigaretta?» le aveva chiesto lei, cogliendo di nuovo di sorpresa Alain.

«Può darsi» aveva risposto Alain. «Se te la do, te ne vai?»

«Può darsi». Aveva detto lei, piazzandosi davanti ad Alain. «Tu dammela e poi vediamo».

Alain aveva estratto dalla tasca un pacchetto di sigarette, ne aveva estratta una e l’aveva indirizzata alla ragazza davanti a lui. Lei l’aveva afferrata e si era seduta sulla panchina, vicino a lui. L’aveva guardato, mentre lui faceva finta di nulla.

«Io sono Amelie», gli aveva detto, allungando la mano verso di lui.

«Io sono non-mi-interessa. Avevi detto che te ne saresti andata» aveva risposto con una punta di rabbia sulle labbra. Aveva continuato a tenere le mani in tasca.

«Va bene, me ne vado», aveva detto lei, arrendendosi. «Però sappi che canti male». E sparì dietro un albero.

«E tu balli peggio», aveva biascicato a denti stretti, parlando a se stesso.

Alain si ridestò dal ricordo, tornando a quella calda notte. Rise, inaspettatamente.

«Cos’hai da ridere? »

«Sai, Amelie, non ti sopportavo proprio».

L’espressione sul volto di Amelie si fece ancor più corrucciata.

«Anzi, ti odiavo proprio. Eri così.. Così strana e pazza. E invadente».

Amelie capì a cosa stava pensando Alain. Capì il suo sguardo assente di prima. Rise anche lei.

Già, pensò. Devo essere stata proprio una grande rottura di palle.

Ricordava il loro primo incontro… e ricordava anche gli altri. Dopo quel tredici dicembre non c’era giorno che non passasse a fare un salto al parco. Si sedeva vicino ad Alain, gli chiedeva una sigaretta, lo prendeva un po’ in giro e poi se ne andava. Ricordava che solo dopo la quinta volta le aveva rivelato in suo nome.

«Sai, Amelie.. Io credo che tu sia davvero un sacco di cose.. Voglio dire, sei antipatica, sociopatica, apatica, psicopatica... insomma, un sacco di cose che finiscono per “-tica”. Sei anche invadente e così dannatamente strana. Però penso che incontrarti sia stata la cosa migliore della mia vita».

Ed era vero. Alain lo pensava veramente. Per quanto lei fosse così insopportabile, per quanto lui fosse così cinico e così misterioso, i due si completavano a vicenda. Si incastravano perfettamente come pezzi d’un puzzle. E, cosa più importante, si amavano. Amelie era perfettamente conscia dei suoi difetti, così come lo era Alain. Ma quando lei guardava nei suoi occhi, leggeva che non gli importava. Non gli importava di nulla. Erano solo lei e lui, lui e lei. Si amavano come due bambini, in modo così stupido, in modo così irruente e spensierato.

Ora che Alain stava per trasferirsi lontano, non osava immaginare un futuro senza di lui. Vedeva il niente, il vuoto cosmico. Solo nero.

Amelie lo fissò intensamente nel buio della notte e pianse. Si accucciò su se stessa, le mani a coprirle il volto. La schiena veniva scossa da sussulti.

Alain scattò a sedere e le posò delicatamente la mano sulla schiena. Le prese il mento tra l’indice ed il pollice e la rimirò a lungo. Dagli occhi di Amelie continuavano a cadere lacrime che avevano formato una piccola pozza sulle lenzuola fresche.

Alain si alzò e le prese le mani, trascinandola nel mezzo della stanza.  Prese a canticchiarle una canzone nell’orecchio.

«Every single day, every word you say, every game you play, every night you stay, I’ll be watching you».

Le cinse con una mano i fianchi e, con l’altra mano posata sulla schiena l’attirò a sè. Sentì i seni che gli premevano contro il petto. Le gambe di Amelie tremavano. Iniziò a girare lentamente continuando a sussurrarle le dolci parole della canzone all’orecchio.

«Since you've gone I've been lost without a trace. I dream at night, I can only see your face. I look around but it's you I can't replace. I keep crying baby, baby please»

Amelie affondò il viso nella scapola di Alain. Una lacrima gli scese fino al petto.

«Sei stonato» disse Amelie, la voce strozzata dal pianto ed interrotta dai continui sussulti.

«E tu non sai ballare» rispose Alain, con un tremito incerto nella voce.

Alain le prese il volto con entrambe le mani e lasciò un delicato bacio sulle labbra. Lacrime calde si intrecciarono alle loro bocche che presero a danzare anch’esse ad un ritmo frenetico. Alain strinse ancor di più Amelie.

Rimasero così per istanti che parvero ore. Stretti l’uno nelle braccia, scomparendo in quell’abbraccio che sapeva d’amore. Alain ispirò per forse l’ultima volta il profumo candido e fresco di Amelie, si sciolse dall’abbraccio e la trascinò sul letto.

Amelie posò di nuovo la testa sul petto di Alain, prese a carezzarlo lentamente, osservando con meticolosità i suoi lenti movimenti.

«Non mi hai ancora spiegato perchè quel soprannome», disse Amelie con la voce strozzata dal pianto.

«Ti chiamo così perché non sai ballare».

«Ma piantala».

Alain le passò una mano nei capelli dorati. Scese con la mano e le sfilò il reggiseno, facendolo scivolare  sulla schiena per poi toglierlo definitivamente. Amelie prese a baciargli il petto, per poi scendere fino alla pancia e risalire di nuovo, posandosi sulle labbra. Alain scansò le lenzuola, afferrando il bacino di Amelie per spostarla sopra di lui.

Continuarono a baciarsi con foga, la mano di Amelie che stringeva i neri capelli di Alain. Il corpo esile della ragazza prese a muoversi lentamente su quello di Alain, mentre con una mano faceva scivolare i suoi boxer sulle ginocchia. Alain favorì la discesa e li tolse definitivamente. Amelie si tolse gli slip, accogliendo delicatamente fra sé Alain. Alain rotolò sul letto, fissò Amelie sotto di lui e le baciò i seni. Il respiro di Amelie si faceva sempre più affannato, così come quello di Alain. Le baciò il collo, mentre con il bacino si muoveva lentamente dentro di lei. I loro respiri si unirono in un unico, ansimante sospiro. Amelie chiuse gli occhi, mentre sentiva il calore delle labbra di Alain ora sul suo corpo, ora sui suoi seni, ora sulle labbra.  Strinse con forza i suoi capelli tra le mani affusolate.  Alain continuò a muovere il bacino, finchè, entrambi, vennero. Amelie chiuse gli occhi e si lasciò andare ad un gemito soffocato, Alain ansimava lentamente.

Si lasciò cadere sul letto. Nella stanza risuonava un’eco carica di amore, di passione. L’unico rumore proveniva dai loro respiri affannati. I seni di Amelie si muovevano velocemente prima su e poi giù. Alain le passò un braccio dietro la schiena e l’attirò a sé.

«Sai, Amelie, non importa se io me ne andrò lontano, se non potremo più vederci. Ti scriverò, ti chiamerò. Io sarò sempre qui per te. Anche quando tu andrai avanti, io ci sarò sempre» disse, con la voce ancora ansante.

«Non mi hai ancora spiegato perché “sigaretta”.» disse Amelie. Stranamente la sua voce era ferma ed impassibile.

Alain inspirò profondamente e poi iniziò a parlare: «Sai, Amelie, quando ci siamo conosciuti, io sapevo già tutto». Lo sguardò perplesso della ragazza si posò su quello di Alain, che guardava un punto fisso del soffitto. Il ragazzo riprese fiato e iniziò di nuovo a parlare: «Di solito non vado a quell’ora al parco, e forse penso che sia stato proprio il destino a far sì che c’incontrammo. Quel giorno avevo litigato con mia madre ed ero scappato. E ti avevo incontrato. Ho capito subito di amarti, dal primo momento in cui ti ho vista. Però cercavo con tutte le mie forze di reprimere quello strano bagliore nei miei occhi, l’inquietudine delle mille farfalle che mi danzavano nello stomaco, alla tua vista. Io sapevo che me ne sarei andato tra qualche anno, sapevo che non t’avrei più rivista. Però sapevo anche che ti amavo. E così ho iniziato a chiamarti “Sigaretta”. Sai, so che tu mi farai un male tremendo, un male inguaribile. Ma so anche che tu mi piaci, e non posso far a meno di te. Proprio come una sigaretta». Rise mestamente. «Lo so che è stupida come cosa, ma è così. Sei stata i miei migliori anni, Amelie. Non dimenticarlo mai».

Amelie rimase a fissare Alain nel buio, la bocca semiaperta, incapace di emettere alcuna vibrazione sonora.  Il suo corpo cominciò a tremare. Alain si girò a guardarla e l’astrinse in un ultimo, infinito abbraccio.

«Non sai cantare», disse Amelie

(ti amo).

«Non sai ballare», rispose Alain

(ti amo).

  
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