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Autore: Selfdestruction    02/08/2013    1 recensioni
"Con la pioggia che lavava via la mia vecchia vita e mi inumidiva le ossa con questa nuova morte, mi trascinavo, come il più classico dei fantasmi che si porta ancora dietro le catene dei rancori e dei rimpianti. Ero morto, ma dovevo avere ancora un cuore, perché avevo iniziato a seguirlo".
Frank si sveglia, ritrovandosi su un marciapiede di chissà quale città. Non ricorda nulla, non sa neppure il suo nome, sa solo di essere morto, morto la notte di Halloween. Quando si accorge dell'unica casa in fondo alla strada che ha ancora una luce accesa nel cuore della notte vi si avvicina. In quella stanza al primo piano troverà l'unica cosa che cambierà per sempre la sua sua vi... morte. Ma cosa c'è realmente dietro tutto questo? Perché nessuno sembra accorgersi della sua assenza? Qual è il mistero che nascondono i flash continui che gli annebbiano la mente quando meno se lo aspetta? Frank è mai stato vivo sul serio?
ps. ho cambiato il nome della storia, di solito li metto alla fine i titoli, ma questa volta sono stata costretta.
Era ASLEEP OR DEAD, ora è THIS MUST BE AN EMPTY DREAM.
Genere: Malinconico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Buondì. E questa volta il buondì è perfetto
dato che sono passate le quattro e mezza. 
Ci ho messo un'eternità ad aggiornare questa volta,
perdonatemi. Spero di non aver perso nessuno nel frattempo.
E' solo che queste vacanze sono terribili, mi hanno
portato una voglia di dormire e di non fare niente che
sto per diventare parte integrante del divano. 
Cooomunque! Spero di non spaventarvi con questo capitolo
e spero che tutto si stia facendo un po' più chiaro.
Buona lettura, fatemi sapere cosa ne pensate se volete, 
mi basta anche una sola frase o una parola, magari una recensione
con scritto 'schifo', no vabé così ci rimarrei male :c
Adoro ognuno di voi, sappiatelo. Gelato per tutti in arrivo!
Buona lettura, 

SD. 
 

6
 
NEVER COMING HOME.



 
At the end of the world 
or the last thing I see 
you are 
Never coming home 
Never coming home 
Could I? 
Should I? 
And all the things that you never ever told me 
and all the smiles that are ever ever 
Ever... 
 
Get the feeling that you're never 
all alone and I remember now 
at the top of my lungs in my arms she dies, 
she dies 
 
At the end of the world 
or the last thing I see 
you are 
Never coming home 
Never coming home 
Could I? 
Should I? 
And all the things that you never ever told me 
and all the smiles that are ever gonna haunt me 
Never coming home 
Never coming home 
Could I? 
Should I? 
And all the wounds that are ever gonna scar me, 
for all the ghosts that are never gonna catch me!
 
If I fall 
If I fall 
(down
 
Buongiorno Gerard, tu stai ancora dormendo, ma fuori dalla tua finestra il sole è già alto, nessuno te l’ha detto che dormi un sacco? Forse è perché il sonno è terapeutico e dormendo non si pensa al male che si sente dentro. Ho paura di osservarti, vedere come apri gli occhi e vedere che sguardo hai appena sveglio. Ho paura di vedere i tuoi occhi dopo una notte passata a piangere nel sonno. Ho paura di vedere la tua reazione mentre alzerai il braccio e noterai la scritta. Ne ho paura perché nella tua mente non ci sono più e non so ancora per quale motivo. Non c’è il mio viso, non ci sono i miei occhi, le mie mani tatuate, il mio corpo tatuato, le mie parole che sanavano quelle tue orrende cicatrici… Ma posso vedermi nel fondo della tua anima. Se mentre dormi sussurri il mio nome, significa che sono ancora in qualche parte piccola di te, nascosto, chissà dove. Trovami, Gerard. Trovami, non sono mai andato via. Non andrei mai via. Perché sono andato via? Perché mi hanno portato via quell’anima che era così tanto legata alla tua? Perché, Gerard? Che cosa avevo fatto di sbagliato? Cosa ho fatto di così sbagliato da vedere te cercarmi tra la gente senza che tu possa ricordarti il mio nome? Io ti darò la pala, ma tu, Gerard dovrai scavare giù nel tuo cuore.  
Ho pensato a lungo mentre lui ancora dormiva. Tanti pensieri si accalcavano nella mia testa e nessun semaforo era lì per tenere l’ordine. Pensavo perché non potevo far nulla. Immaginate passare giornate intere sentendo il peso del tempo che passa, ma senza poter dormire, mangiare, suonare, fare qualcosa di umano. Essere intrappolato in un mondo umano, circondati da cose da umano, ma non poter far nulla da umano! È massacrante, gente, sul serio. Mi sento tanto come E.T, solo che io non ho una navicella per tornare a casa, per tornare in vita, e soprattutto non ho due genitori pronti a salvarmi. Già, i miei genitori erano di quelli affettuosi che lasciano i propri figli nei cassonetti dell’immondizia. Benvenuta umanità. 
Ho appoggiato la nuca sul materasso, mentre inconsciamente facevo su è giù sul palmo e sul braccio di Gerard, sfiorandolo appena. Non si sarebbe mai accorto di me. Eppure mentre lo sfioravo potevo sentire il suo corpo diventare irrequieto, nel sonno. Come se in quei momenti di incoscienza avesse potuto sentirmi. 
- Oh, svegliati, Gerard. Ho bisogno di qualcuno da guardare mentre continua la sua cazzo di vita. Non ho una vita mia, almeno voglio vedere cosa te ne fai della tua… senza di me.
Parlavo da solo, la mia voce si disperdeva nel buio della stanza, ma nessuno mi avrebbe sentito. Nemmeno Gerard, nemmeno lui. E a momenti nemmeno io. 
Mi sono voltato appena, mentre il viso di Gerard si spingeva sempre più al limite del letto, vicino al mio. I suoi occhi erano tristi anche con due palpebre a richiuderli e a impedire al mio sguardo di affondarci. Da quegli occhi avrei potuto leggere tutti i suoi pensieri, anche se erano chiusi. Potevo vedere e contare tutti i suoi sogni sulle sue palpebre. Il suo sonno non era tranquillo, per tutta la notte aveva continuato a mormorare qualcosa di indecifrabile e le sue mani continuavano ancora a stringersi in un pugno. Avrei voluto svegliarlo, curare i suoi mali, i suoi tormenti, ma sapete cosa significa urlare aiuto e scoprire di non avere più la voce, come in quei vostri terribili incubi? Ecco, era questa l’esatta sensazione. 
Mi sono alzato in piedi e sono andato a sedermi sul davanzale che aveva ancora la finestra aperta. Fuori anche l’alba non era la solita, sembrava essere cambiato anche il colore del cielo al mattino. Ma io, lo ricordavo il colore del cielo? Con le gambe penzoloni nel vuoto mi sono sporto fuori. La tentazione di buttarmi era forte, tanto ero morto, quest’ebbrezza avrei potuto anche provarla, ma non avrei mai rischiato di perdermi Gerard mentre apriva gli occhi e notava la scritta. Mi sarei buttato da una finestra un altro giorno. 
Dovevano essere le sette o le otto del mattino e io ero morto, avevo vent’anni ed ero stato innamorato di qualcuno che adesso a stento tornavo a ricordare e soprattutto di qualcuno che non mi conosceva ma che doveva avermi amato. Peggio dell’amore non corrisposto, eh?
Irrequieto, sono scivolato giù dal davanzale e ho fatto qualche passo nella sua stanza. Quella stanza profumava di Gerard, di primavera e di distruzione. La sua distruzione. Contavo i secondi, il ticchettio fastidioso del suo orologio appeso al muro mi dava sui nervi, il passare del tempo è qualcosa di orribile per qualcuno che è morto. 
A piccoli passi mi sono mosso, ho fatto ancora qualche passo nella stanza e poi mi sono arreso, abbandonandomi di nuovo a terra, accanto a lui. 
- Che palle, io non posso entrare!
Sono scattato di nuovo in piedi, allarmato, ma al primo passo sono scivolato sul pennarello con la quale avevo scritto sul braccio di Gerard il giorno prima e sono caduto a terra, sbattendoci il sedere. Lo ammetto, un mezzo urletto da brava checca è uscito dalle mie corde vocali. 
- Com'è che quando mi vedi cadi sempre a terra, piccolo Frankie? Non è che ti sei innamorato anche di me?
- Chiudi il becco, mostro - ho raccolto il pennarello e gliel’ho lanciato contro. - Va’ subito via da qui, non lo toccherai. 
- Beh -  ha iniziato, con uno sguardo piuttosto serio. - Ce l’hai impedito già una volta, potresti impedircelo di nuovo. Solo che non hai più anime da regalarci, eh? Finita la scorta, nanerottolo? - ha concluso la frase con una smorfia, seguita poi da un ghigno. 
Cosa voleva dire con quel ‘ce l’hai impedito già una volta’?
- Cosa sei, un vampiro, che non puoi entrare senza permesso?
Si è sporto leggermente verso l’interno della stanza. Era appollaiato sul davanzale esterno della finestra. 
- Mmh, no, ma le regole sono uguali per tutti. 
- Sparisci. 
- Nah, mi piace guardarti mentre ti disperi accanto a qualcuno più disperato di te. 
- Sparisci. 
- Non posso entrare nella stanza, non mi caccerai via anche da questo fottuto davanzale. 
- Sicuro? L’aglio e le croci non hanno effetto su voi mostri?
- Perché non provi vedendo se hanno effetto su di te allora?
Odiavo il modo in cui mi metteva con le spalle al muro soltanto con le parole. Parole che mi spingevano, mi stritolavano, mi facevano cadere a terra. Ero un mostro anche io, era soltanto questo il messaggio sottile nelle sue parole. Ero un mostro. Non ero così diverso da lui in fondo. 
Ha sorriso, sprezzante, capendo l’effetto che mi avevano causato le sue parole. 
- Cosa intendi quando dici che ve l’ho già impedito una volta?
Michael aveva preso lentamente una sigaretta dal pacchetto che aveva nella tasca destra dei suoi pantaloni e lentamente stava accendendosela, socchiudendo gli occhi e aspirando il fumo. 
Ha soffiato via una nuvola grigia, senza guardarmi. Fissava un punto di fronte a sé, pensieroso. 
- Hai ragione a dire che sono un mostro. Se ti raccontassi la verità, se lo facessi, Frank, penseresti che non ci sia mostro peggiore di me, nemmeno nella fantasia degli scrittori più cruenti. Nessun cattivo potrebbe superare la perfidia delle mie azioni. La mia mostruosità va ben oltre il succhiare via le anime delle persone la notte di Halloween. Sono un mostro per ben altro. E forse umano non lo sono mai stato. 
L’ho osservato a lungo, mentre con le unghie torturava il filtro della sigaretta che si stava consumando. Era nervoso, era un mostro. Lo stava ammettendo. Come puoi accusare qualcuno di essere quel qualcosa che sta ammettendo di essere?
- Cosa hai fatto di così mostruoso da superare la mostruosità che c’è già nel prendersi le anime della gente soltanto perché si è nati sbagliati?
- Chi dice che siamo noi maledetti quelli sbagliati, Frank? - ha allargato le braccia, con la sigaretta stretta tra le labbra. - Chi ti dice che - si è portato una mano alla bocca ed ha fatto un altro tiro dalla sigaretta. - che non siano loro quelli nati nel dannato giorno sbagliato? Perché non dovrebbero essere loro quelli difettosi? La gente, le persone là fuori non sono così diverse da noi, in fondo. Nascono persone che si sentono sbagliate tutti i giorni. Persone che si sentono tagliate fuori, gente che non riesce a stare bene con gli altri, ragazzi che vengono chiusi negli armadietti perché sono più deboli, donne che non riescono a sentirsi belle, uomini che non riescono a sentirsi all’altezza, bambini che non sanno pronunciare le parole giuste, studenti che vorrebbero far saltare in aria la scuola perché sentono che quel posto è sbagliato… Frank, apri gli occhi, di gente che si sente sbagliata ce n’è a migliaia, gente così nasce ogni giorno. Ma sentirsi sbagliati non significa essere sbagliati. 
- Io sono sbagliato. Io sono nato nel giorno sbagliato. Sono sempre stato sbagliato da qualunque parte. Sbagliato da vivo, sbagliato da morto. Fidati, sono io quello difettoso, almeno gli altri un’anima ce l’hanno ancora, giusta o sbagliata che sia. 
- Non sei sbagliato tu, Frank. Sono le persone con i pregiudizi ad esserlo, le persone che non sanno essere umane come i tuoi genitori, sono sbagliate. Le persone sbagliate sono quelle che scelgono di esserlo, quelle che scelgono di essere dei mostri. Tu non sei sbagliato, Frank. Io lo sono. Se i nostri genitori ci avessero cresciuto con il giusto amore che si dovrebbe dare ai propri figli, le nostre storie sarebbero andate in modo diverso. 
Ho sbuffato, lasciandomi andare i palmi delle mani sulle cosce, in un gesto così… umano, così mio. 
- Aspetta, aspetta. - Una mezza risata si è fatta spazio tra le mie parole. - Tu dici che io vi ho tradito, tu mi succhi via l’anima, mi fai credere di essere un mostro, poi, poi vieni qui, ti rendi conto di non meritare neppure la dannazione, dici che non sono io quello sbagliato, che in verità il mostro sei tu, poi dici che ti dispiace, che non avresti dovuto succhiarmi via l’anima e privarmi della mia vita, poi scendi da quel fottuto davanzale e tutti felici e contenti? La vita o la morte che sia non è una fottuta storia, non è un fottuto libro, non è la fottuta sceneggiatura di un film! Uccidi prima il mostro che è in te, poi vieni a cercare quelli che hai intorno, Michael. 
Ha sorriso, nascosto dalla sua nuvola di fumo. - Non mi sono pentito di aver succhiato via la tua anima, Frank. Mi pento soltanto di aver cercato di succhiare via quella di Gerard. 
Gerard. Gerard. Gerard… 
La mia testa stava diventando bianca, ancora e il nome del ragazzo dagli occhi tristi stava facendo da gomma. Gerard. Gerard. Il suo nome in quel momento era come un cancellino su una lavagna nera. Un’eco nella mia testa. 
Il suo nome mi sbatteva contro le tempie e poi tornava di nuovo indietro. 
Gerard. 
Gerard.
Gerard.
- Gerard, io…! - ho visto le mie mani fare gesti confusi, intento a spiegare le miriadi di frasi che si affollavano nella mia testa. 
- Io cosa, Frank? Non te lo lascerò fare, ne abbiamo già parlato ieri. 
- Io… devo, Gerard. La mia vita è questa, è già segnata! Niente, nemmeno quello che provo per te potrà cambiare il futuro che ho di fronte a me, niente e lo sai. La tua vita sarà così lunga invece - il mio sguardo scuro si è scontrato con il suo, verde come la mia vecchia primavera. Ho allungato una mano verso il suo viso devastato, con le dita ho sfiorato la sua pelle morbida e lui si è abbandonato alla mia carezza, accoccolandosi contro il palmo della mia mano. Guardando l’amore dei suo gesti ho sorriso e, giuro, avrei voluto piangere in quel momento. Vedere i suoi occhi, quei suoi occhi sempre pieni di luce, pieni di sorprese, annegare in un mare di tormenti, faceva così male. - Sarà così lunga che potrai raccontare di me ai figli dei figli dei tuoi figli, magari per farli spaventare la notte di Halloween - ho sorriso, tenendo stretto il mio palmo sulla sua guancia. La mano di Gerard era arrivata con dolcezza a rinforzare la carezza, stringendomi le dita. 
- Non ti lascerò andare via - sussurrava piano, Gerard. Con quella sua voce delicata che appena trapelava dalle sue morbide labbra sottili. - Non continuerò a correre, non ti lascerò indietro, non te lo permetterò - le prime lacrime gli illuminavano lo sguardo e avrei voluto morire nel momento in cui quello sguardo si è appoggiato piano sul mio. 
- Devi. Continua a correre per entrambi, Gerard. Io troverò il modo di raggiungerti, prima o poi - ho fatto scorrere le mie dita sul profilo della sua guancia per poi andare a sistemargli dietro l’orecchio la ciocca nera che gli ricadeva sul volto. 
- Io ti voglio accanto a me. 
- Non tutto va sempre nel modo giusto, lo sai. Tu hai salvato la mia vita, è giunta l’ora che io salvi la tua. 
Un sorriso amaro gli ha riempito il volto, insieme ad una smorfia di dolore. - Non sai quante volte me l’hai già salvata, Frank - con un passo si è avvicinato al mio viso, così tanto che i nostri nasi potevano toccarsi. - Quando ti ho alzato da quel marciapiede, nel momento in cui io ho iniziato a curare le ferite sul tuo braccio, ho sentito che tu stavi già curando le mie. Quando ti ho salvato da quella overdose, tu hai salvato me dalla mia vita. Ci siamo salvati insieme, non mi devi niente, Frank. 
Le mie mani frettolose si sono avvicinate al suo viso. Con entrambe le mani memorizzavo ogni parte del suo volto. Con i polpastrelli andavo a fotografare ogni piccolo dettaglio, stavo ricalcando i suoi tratti morbidi per tenerli sempre con me, anche dopo la morte. Solo quando anche le sue mani hanno iniziato a scivolarmi su e giù per le guancie mi sono accorto che stavo piangendo. Piangevo, piangevo tra le sue mani, piangevo tra le sue dita. Come se la sua pelle fosse da sempre stata il contenitore dei miei dolori, delle mie ansie, dei miei attacchi di panico. Quando il suo petto si è stretto al mio, quando con la punta delle dita mi ha stretto il viso accarezzandomi le orecchie, quando ha appoggiato la sua fronte sulla mia per scartare l’intero mondo fuori e concentrarsi sui miei occhi, lì, proprio in quel momento quando i nostri corpi erano così vicini che i nostri sogni e i nostri più intimi segreti avrebbero potuto fondersi, lì, ho capito che soltanto il suo corpo avrebbe potuto avvolgermi, per sempre. Soltanto la sua pelle avrebbe potuto sfiorarmi, sanarmi, riempire ogni vuoto, anche quelli che avevo nella testa. E soprattutto che in tutta la mia vita o in tutta la mia morte non sarei più riuscito ad amare nessun altro se non Gerard. L’orma che aveva lasciato nella mia anima era troppo profonda per essere coperta da chiunque altro. Nemmeno Dio avrebbe potuto cancellarla. 
- Ti proteggerò. Anche da me stesso - ho sussurrato, sfiorando il suo orecchio con le labbra - Ti terrò al sicuro, dentro di me. 
Ho affondato la testa nell’incavo che c’era tra il suo collo e la sua spalla. La sua pelle profumava di pulito, i suoi vestiti odoravano ancora di quell’ammorbidente alla mandorla che era solita usare sua madre. La sua pelle odorava di cicatrici guarite finalmente, e non più di distruzione. Lo guardavo negli occhi e non vedevo più tristezza, ma esperienza. I suoi occhi erano occhi che avevano vissuto ed avevano vissuto abbastanza da essere profondi come oceani. 
Piano, con le labbra, ho sfiorato il suo collo, baciandolo lentamente, come se quel tempo, quel tempo nostro, potesse essere eterno. Ad occhi chiusi segnavo un cammino, un cammino che non avrebbe dovuto dimenticare. Le sue dita si intrecciavano nei miei capelli, piano le sue ginocchia cedevano e il suo corpo si abbandonava al mio. 
I miei baci si stavano facendo sempre più veloci, più passionali, sempre più pieni di richieste. Dal collo, le mie labbra, si sono spostate sul profilo della sua mascella, sulla sua guancia e poi, lentamente verso l'angolo della sua bocca. L’ho guardato negli occhi per cercare uno sguardo che fosse simile al mio, uno sguardo pieno di amore concesso. E l’avevo trovato. Anche i nostri occhi, seppur così diversi, infondo, erano fatti degli stessi sogni. 
A quel punto, come se avesse appena realizzato cosa avesse nel cuore, si era avventato sulla mia bocca, riempiendola con la sua in maniera veloce e infantile. Con i nostri baci noi ci curavamo a vicenda, ci faceva male il cuore, ma quando i nostri corpi si univano il dolore passava. E a volte dopo ritornava, altre invece no. 
Quando le sue mani si sono fiondate sul mio corpo la mia mente del presente si è accorta che stessi indossando un vestito da fantasma per la notte di Halloween che consisteva soltanto in una specie di poncho bianco con tanto di cappuccio su cui, forse io, avevo disegnato due paia di occhi neri dall’orbita ovale. Mentre Gerard aveva soltanto un paio di pantaloni neri e una maglietta dello stesso colore, più uno splendido viso truccato di nero che prendeva le sembianze di uno scheletro. 
Le mani di Gerard si sono infilate sotto il mio travestimento, hanno trovato i miei fianchi da ragazzino e hanno trovato Frank, un Frank senza più maschere, fatto solo di pelle ed un mucchietto d’ossa, un Frank che era rimasto per anni sdraiato sul bordo di un marciapiede e proprio ora che aveva trovato il modo di restare in piedi, camminare e poi infine correre, doveva andarsene.
Ha stretto il suo bacino contro il mio, e in quel momento, non ridete, potevo sentire tutta la sua felicità che strusciava contro la mia. Concedetemi di dirlo, la sua era anche una grande felicità.
Le mie mani hanno cercato l’apertura dei suoi pantaloni frettolosamente, ho trovato prima la sua zip e poi ho trafficato con il suo bottone che non voleva mollare la presa. Gli ho slacciato i pantaloni ridendo e lasciandogli un bacio leggero sulla bocca. - Ce l’ho fatta - ho riso ancora e con le sue mani che mi stringevano i fianchi l’ho trascinato fino alla parete, continuando a baciarlo. 
Ho sentito la sua lingua tracciare il contorno del mio orecchio. - Resta con me per sempre. 
Mentre con le mani mi infiltravo per niente cautamente nei suoi pantaloni gli ho lasciato un bacio sulle labbra e poi ho di nuovo affondato la testa nel suo collo di mandorle. - Stanno arrivando ed io dovrei lasciarti andare - ho strusciato il naso contro la sua pelle, tracciando linee invisibili - ma non ce la faccio. 
Le mie mani hanno cercato e trovato i suoi boxer. Ho sfiorato il tessuto con le dita per poi avvicinarmi al suo membro, mentre lui gemeva nel mio orecchio. I suoi capelli neri che ricadevano sui miei occhi. L’ho stretto adagio attraverso il tessuto e ho fatto piccoli movimenti, andando su e giù, la sua testa che si inclinava e la sua bocca che sussurrava il mio nome piano, cercando di dire qualcosa. 
- F-Frank a-aspetta - cercava di prendermi per le spalle, ma il piacere lo tratteneva. - Frank...
Improvvisamente mi sono fermato. Ho tolto la mia mano dai suoi pantaloni e il viso dall’incavo del suo collo per appoggiare la fronte sul suo petto e le mani sulla parte bassa della sua schiena. 
- Io… non volevo fermarti, sul serio - l’ho sentito dire da sopra la mia testa. - E’ solo che… Frank, sento qualcosa di strano. 
Lui non poteva vederli, erano spiriti. 
Ho alzato la testa per guardarlo negli occhi e prendere il suo viso tra le mani. - Qualunque cosa succeda d'ora in poi, fa’ quello che ti dico, Gerard. Non voglio obiezioni. Farai ogni cosa che ti dirò. Promettimelo. 
- Non lo farò - le parole lui non le pronunciava con la bocca, ma con gli occhi. Con quei suoi occhi verdi pieni di lacrime non ancora piante. Con il volto tra le mie mani e lo sguardo fisso nel mio, sicuro per la prima volta in vita mia. 
- Smettila, ti prego - ho sussurrato sulle sue labbra, per poi baciarle. 
Una risata macabra e cupa veniva dall’esterno. Conoscevo quella risata. Erano arrivati, erano fuori dalle nostre finestre e dal mondo che ci eravamo costruiti insieme in quei due anni e non avrei permesso loro di distruggerlo. Avrei piuttosto permesso loro di distruggere me, ma non noi, non Gerard
Ho preso le sue mani e l’ho trascinato via, correndo per i corridoi di quel vecchio magazzino. 
- Cosa succede?
- Devi nasconderti. 
Gerard mi ha strattonato la mano per fermarmi, mentre io cercavo di condurlo avanti. - Cosa significa, ‘devi’? Frankie, dobbiamo. Noi dobbiamo nasconderci. Corriamo insieme, ricordi?
Ho sorriso, tra le smorfie di dolore che si stavano stampando sul mio volto. - Sì, Gerard. Scusa… dobbiamo - ho sfiorato la sua guancia con una carezza. - Ora, ti prego, corri. 
Insieme abbiamo percorso tutto il magazzino, mano nella mano. 
- Qui dentro - ho detto a Gerard mostrandogli la stanza che avevamo di fronte. 
- Cosa c’è dietro la porta?
- È una stanza vuota con una botola nel centro. Quella botola nasconde un passaggio sotterraneo che porta vicino casa tua. 
- Non ci troveranno?
Ho stretto il suo viso in una carezza. - Nessuno ti farà del male, te lo prometto. - Le mie labbra hanno trovato le sue per quella che sentivo era l’ultima volta. Tutto il mio dolore risiedeva nella mia bocca e Gerard doveva essersene accorto, perché aveva iniziato a piangere come una ragazzina. Ho asciugato le lacrime dai suoi occhi. - Nessuno ti porterà via quella luce nello sguardo, nessuno.
Ho preso di nuovo la sua mano e l’ho spinto dentro la stanza per poi chiudergli la porta alle spalle con una chiave presa frettolosamente dalle mie tasche piene di cioccolatini per via della nostra notte passata casa per casa a chiedere dolcetto o scherzetto. Avevamo vent’anni, ma non ci importava, ci travestivamo ancora come bambini e amavamo fare scherzi alle vecchiette che non volevano darci nemmeno una caramella. 
Gerard urlava e sbatteva i pugni contro la porta ed io piangevo, come mai avevo fatto in vita mia. 
- Frank! Che cazzo stai facendo? Frank! Apri questa cazzo di porta! Frank, porca puttana! - la maniglia si muoveva frenetica sotto la sua stretta. 
I suoi pugni sbattevano contro le mie tempie, facevano così fottutamente male. Tra le lacrime ho sfiorato la porta, senza dire alcuna parola. Avevo già preparato tutto e una lettera un po’ sbiadita l’avrebbe aspettato sull’apertura della botola insieme a tutte le parole che non ero riuscito a dirgli. Ci stavamo lasciando e che lo amavo non glielo avevo ancora detto. 
Ho rimesso le chiavi in tasca, toccando per caso il bigliettino che Gerard mi aveva dato il giorno prima, dopo la nostra discussione e che non avevo ancora aperto. 
A passi lenti ho ripercorso il magazzino, con un’anima che aveva trovato finalmente la sua pace. Stavo bene. Stavo facendo la cosa giusta. Stavo salvando Gerard, ero felice
Ed io non sarei mai più tornato a casa, mai più. Avrei forse potuto…? Avrei forse dovuto…? Non lo so. Sapevo solo che la mia testa era piena di quelle parole che Gerard non mi aveva mai detto e di tutti quei sorrisi che mi ero lasciato alle spalle. Nessuna ferita d’ora in poi avrebbe potuto farmi male, nessun fantasma avrebbe potuto più catturarmi. Sarei caduto e l’ultima cosa che avrei visto sarei stato io. Io che non potevo più tornare a casa. 
Ho spalancato le porta plastificate del magazzino, sicuro di me stesso. Mi stavano aspettando, appoggiati sul muretto, nei loro vestiti attillati e di pura pelle. Tutti rigorosamente con capelli lunghi come vampiri e occhi da far tremare anche un morto. 
Ho fatto qualche passo verso di loro, scalciando qualche pietra, come se nulla mi importasse, con noncuranza. 
Il più alto, quello magro e dai capelli biondi è venuto verso di me con aria strafottente, facendo uscire una risata sprezzante dalla sua bocca. 
- Ci hai portato qualche verginella al posto di quel frocetto di mio fratello, piccolo Frank?
Ho tirato fuori il pacchetto di sigarette e ne ho sfilata una, portandomela alle labbra. Con gesti lenti l’ho accesa e ho aspirato a lungo il primo tiro, da sempre il migliore. Avrei fatto solo quell’unico tiro quella sera. 
Ho lasciato il fumo uscire dalle mie labbra appena dischiuse e ho sorriso anche io, lasciandomi cadere la sigaretta dalle dita. 
- Beh, una femminuccia ve l’ho portata, solo che, mi dispiace, non è più tanto verginella. - Ho calpestato la sigaretta, spegnendola. - Allora, dove mi volete? Qui, o sul letto di camera vostra?
 
Di colpo, sono tornato alla realtà. 
Come sempre, ero disteso sul pavimento, con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto. Una mano sulla fronte e l’altra sul cuore, come a trattenerlo, per non farlo andare via. 
- Com’è che questi flash durano sempre di più?
Ho sbattuto più volte le palpebre, mettendomi seduto. - Tu non hai niente di meglio da fare che restare a fissarmi?
- Mh, al momento no. Non ho nessun’anima da tormentare fino alla pazzia. - Si è sporto verso di me, dal davanzale. - Cosa hai visto di bello? Dev’essere qualcosa di bello, perché ad un certo punto qualcosa nei tuoi pantaloni è sembrato… - e ha mimato un gesto con le mani - sai... - di nuovo quel gesto. 
- Fai anche schifo oltre ad essere un idiota.
- Il pervertito sei tu, non io.
Mi sono alzato in piedi, stirandomi la maglietta arricciata. - Avevi ragione. Sei un mostro. 
- Oh, dai, per così poco. Ti ho solo detto quello che ho visto. Sei diventato molto felice durante quello stato di trance, è un dato di fatto, non volevo offen…
- Il tuo vero obiettivo era Gerard. 
Le sue mani, intente a fare gesti frenetici si sono bloccate di colpo. - Già. Avrai visto altro oltre al tuo bellissimo sogno erotico. 
- Era tuo fratello
- Volevo solo vendetta. 
- Vendetta?
- Ero io quello nato sbagliato! L’insulso insettino di famiglia nato nel giorno maledetto. Quello che da piccolo diceva cose strane, quello che faceva disegni strani, quello che guardava tutti con quello sguardo strano… ero solo sbagliato. Gerard invece era l’orgoglio di famiglia, quello che voleva iscriversi all’accademia di Belle Arti, quello che ‘un giorno sarebbe diventato qualcuno’. Io invece ero quello che sarebbe diventato nessuno. E così ho scelto davvero. Sono diventato nessuno. 
- Gerard ti voleva bene.
Ha sputato giù dalla finestra. - L’hai visto in quella tua strana visione, per caso?
- No, lo so e basta.
- Io gli volevo bene. Odiavo i miei genitori per averlo messo su un piedistallo con me ai piedi a pulirlo, odiavo loro, non Gerard. In questi anni ho fatto di tutto per tenere i miei nuovi fratelli lontani da lui, che ai loro occhi era così fottutamente interessante. Ho fatto di tutto per proteggerlo, soprattutto quando ha iniziato ad entrare in depressione. Beveva, fumava chissà cosa, si tagliava spesso e si imbottiva di ansiolitici. L’ho protetto. Poi sei arrivato tu. Eri così a pezzi. Gerard ha voluto prendersi cura di te, salvarti. Ha voluto salvarti quella notte e ci è riuscito, salvando contemporaneamente anche se stesso. In quei due anni in cui gli sei stato accanto vi eravate innamorati l'uno dell'altra ed entrambi avevate trovato qualcosa simile alla felicità. Tutta quella felicità… qualcuno era di nuovo felice senza di me. A Gerard sembrava non importare della mia assenza. La mia assenza sembrava non importare a nessuno. Erano di nuovo tutti felici… senza di me. Col passare del tempo non sono più riuscito a controllarmi, volevo solo la mia vendetta, anche solo per un cazzo di minuto. 
Avrei voluto prenderlo a schiaffi. Avrei dovuto capirlo, era stato un rifiuto, esattamente come me e invece volevo solo prenderlo a schiaffi. 
- Ma che cazzo! Altro che vampiri, lupi mannari e streghe. Un ragazzo che medita vendetta contro il proprio fratello, questo è essere mostri.
- Lo so. 
- Ci ho rimesso anche la mia vita nel frattempo che tu te ne rendessi conto!
- Lo so. 
- E hai distrutto comunque quella di tuo fratello!
- Lo so. 
- Sai dire altre cose oltre a ‘lo so’, porca puttana?!
Si è voltato dalla parte opposta per non guardarmi negli occhi. 
- Forse no. Forse sono pieno di consapevolezze - si è sporto giù dal davanzale. - Ne parliamo un altro giorno, si sta svegliando, E forse è meglio che io vada via. 
  
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