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Autore: calamity julianne    03/08/2013    2 recensioni
Julia Meyer è una ragazza che scappa. Lei scappa dal suo passato, da ciò che era perchè sente che non le appartiene più.
Si considera senza speranza, ma un giorno, arriverà qualcuno che la salverà, qualcuno che la porterà via da quel torpore in cui si crogiola da quando una notte, qualcosa le ha strappato via tutto. Qualcuno che lei non si aspettava, qualcuno di speciale: Tom Felton.
***
"E io odio così tanto il fatto che ti amo, ragazza.
Non sopporto che ho così tanto bisogno di te e odio così tanto
il fatto che ti amo, ragazza ma non riesco a lasciarti andare.
Uno di questi giorni forse, la tua magia non mi colpirà più e i tuoi baci non mi renderanno debole
ma nessuno in questo mondo mi conosce come te,
quindi probabilmente tu avrai sempre un incantesimo su di me" .
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Felton, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hate that I love you.
Capitolo uno.
 
Ultima valigia, ultimo scatolone e finalmente avevo finito. Trasferirmi a Londra era di sicuro una delle migliori cose che potessi fare: città nuova, casa nuova, vita nuova. Era un ottimo modo per ricominciare, per gettarsi il passato alle spalle e cercare – in un modo o nell’altro – di rifarsi una vita.
Praticamente ero scappata dalla mia città, da un paese che ormai mi andava stretto.  Da piccola avevo sempre immaginato che sarebbe successo, ero convinta che mi sarei trasferita in un posto migliore, ero convinta che un giorno, svegliandomi mi sarei accorta che qualcosa era successo e mi aveva rivoluzionato la vita.
 
Ed era successo, ma non nel modo che speravo io. Una notte, uno stupido incidente mi aveva strappato via tutto ciò in cui credevo, mi aveva strappato via l’unica persona che veramente aveva creduto in me.
Dylan era morto il 14 giugno dell’anno precedente e con sé aveva portato via anche una parte di me.
 
Mi sentivo come se mi avessero catapultata in un universo parallelo privo di sogni, dove il tempo si era fermato ed io ero così stanca da non sentire nemmeno il dolore. E mi andava bene così.
Avevo soli diciassette anni, ero una ragazzina. Sembrava passata un’eternità da quando la mattina presto, mi preparavo una buona scusa per non andare a scuola, o quando m’imbronciavo con mia madre perché non voleva comprarmi la cioccolata. Invece erano passati poco più di dieci anni, ed era assurdo come in così poco tempo, avessi sperimentato tutto sulla mia pelle, anche la morte.
 
Sarei rimasta in quell’universo parallelo per tutta la vita, cullata dalle bugie che avevo inventato a me stessa per cercare di andare avanti.
 
Lui non è morto, mi ripetevo. Non può essere morto.
Non era una di quelle cotte adolescenziali, che passano da un giorno all’altro,  quelle infatuazioni che ti colpiscono e dopo un mese passano perché ti sei innamorata di Brad Pitt.
Noi eravamo esattamente l’opposto. Noi litigavamo come una coppia di anziani che non si sopportano perché sono cinquant’anni che stanno insieme ma eravamo anche quegli adolescenti che impazziscono l’uno per l’altra.
 
Avevamo un futuro, un futuro che in una notte è andato in frantumi, esattamente come i vetri di quella macchina. Lui non ce l’aveva fatta, io ne ero uscita con qualche graffio. E Dio, non doveva andare così.
Avevo passato i mesi successivi alla sua morte racchiusa in una bolla, che nessuno si permetteva di sfiorare. Ma era straziante vedere i miei cari che guardandomi, vedevano un corpo indifeso e consapevoli di essere impotenti quanto me, andavano a rinchiudersi dentro il loro dolore.
 
Raccolsi le poche forze che avevo in me, raccolsi il dolore, le lacrime trattenute e mi risvegliai.
Avevo abbandonato il rifugio che avevo creato in me stessa ed avevo ricominciato, da sola.
 
Il trillo del mio telefono mi fece sussultare, lo sfilai dalla tasca dei jeans e sul display vidi il nome di Nina.
<< Julia! >>, urlò lei dall’altro lato del telefono.
Sorrisi sentendo la sua voce.
 
<< Ehi, Nina >>, lei era la mia migliore amica da quando avevamo cinque anni. Eravamo come sorelle, ci completavamo.
 
<< Com’è la casa? >>, chiese lei euforica.
 
Istintivamente mi guardai intorno e gli enormi scatoloni mi fecero venire voglia di scappare in un’ isola deserta per vivere con gabbiani e tartarughe.  << Beh, c’è un po’ da lavorare ma non è male >>.
 
<< C’è un posto per me? >>.
 
<< Certamente, quando vieni? >>, sorrisi parlando.
 
<< Non so, il prima possibile, ti faccio sapere! >>.
 
<< Perfetto, ci sentiamo Nina >>.
 
<< Ciao Juls! >>, e riattaccò.
Sospirai e mi alzai dal divano, andai al piano di sopra e legai i capelli in una coda alta. Entrai nella mia camera da letto e con il piede aprii la valigia più grande che avevo lasciato socchiusa. Sotterrata dagli altri vestiti, finalmente vidi la mia felpa grigia e i pantaloni della tuta. Mi cambiai velocemente e uscii di casa con l’ IPod nelle orecchie.
 
Una corsetta non ha mai fatto male a nessuno,  no? Correre era quello che mi riusciva meglio. Correvo e dimenticavo. Correvo e il vento che mi prendeva a schiaffi m’ invogliava ad andare più veloce. Correvo e immaginavo di essere l’unica persona sulla faccia della terra, non guardavo nessuno e…
 
<< Ehi! Stai attenta! >>.
 
… e forse dovevo.
 
<< Mi dis… >>, stavo per scusarmi ma l’altissimo ragazzo biondo, con il viso coperto da occhiali da sole e con indosso un enorme cappotto, mi urlò contro.
 
<< Cerca di fare più attenzione, non ci sei solo tu per strada! >>.
 
Mi fece passare la voglia di scusarmi e causò solo una grande antipatia verso di lui. Eppure, quel biondo aveva qualcosa di familiare.
 
<< Potevi fare attenzione anche tu, però! >>, ribattei sfilandomi entrambe le cuffie dalle orecchie.
Il biondo mi guardò infastidito da dietro gli occhiali e se si fosse tolto gli occhiali da sole, mi avrebbe di certo incenerita con lo sguardo.
 
<< Invece di chiedere scusa cerchi di cambiare i fatti? >>, somigliava ad uno di quei litigi che si fanno contro i genitori, dove loro in un modo o nell’altro, riescono ad avere la meglio.
 
<< Io stavo per chiederti scusa ma tu mi hai praticamente aggredita! >>.
 
Il tizio biondo sospirò e si strofinò gli occhi da sotto gli occhiali per poi toglierli definitivamente. Guardai il volto contratto dalle mani che strofinavano gli occhi, seguii il profilo del naso, delle labbra e finalmente lo riconobbi.
<< Ma … tu sei … quello di Harry Potter, Felton! >>, mi uscì di bocca una frase patetica e perlopiù balbettata ma non riuscii a fare di meglio.
Tom Felton, l’attore della mia infanzia davanti a me. A dirla tutta non ero poi così esaltata. Felton o no, mi era venuto addosso  e mi aveva urlato contro davanti tutta Londra e non poteva di certo cavarsela solo perché probabilmente nel portafoglio aveva più soldi di quanti ne potevo guadagnare io in un’ intera vita.
 
<< Sì, ma ti prego non urlare! >>, disse lui con quel fare un po’ superiore, rimettendosi gli occhiali.
 
Alzai un sopracciglio. << Dovrei? >>.
 
<< Di solito funziona così >>, si giustificò lui scrollando le spalle.
 
Borbottai qualcosa di incomprensibile girando per poco lo sguardo e poi sviai il discorso. << Io aspetto ancora delle scuse  >>.
 
Rimase interdetto, di certo si aspettava che gli saltassi addosso e tra un bacio e l’altro gli chiedessi di sposarmi.
 
<< Ma … tu le devi a me! >>.
 
Quella lotta per le scuse iniziò a farsi pesante, così decisi di andare.  << Come non detto >>, dissi e feci per andare via ma mi bloccò dall’avambraccio.
 
<< Aspetta, dai ti offro una granita, non posso di certo lasciare una mia fan con il broncio >>, e sorrise angelicamente.
Forse non si era accorto che così facendo peggiorava la situazione. Broncio? Cos’ero una bambina?
 
<< Chi ti ha detto che sono una tua fan? >>, dissi infastidita.
 
<< “Quello di Harry Potter!” >>, disse lui mimando la mia espressione sbalordita di poco prima e  trattenne una risata visibilmente divertito dalla mia reazione.
 
<< Okay, ciao Felton >>, essere un attore di fama mondiale non gli dava il diritto di prendersi gioco di me.
 
<< No, no, no ferma. Scusami, non dovevo … mi concedi un’ultima possibilità? >>, disse mentre mi bloccava di nuovo.
Lo guardai per un attimo interdetta, senza sapere bene cosa fare.
 
<< Solo perché ho fame >>, buttai lì e andai verso il bar più vicino.
E giuro, lo sentii ridacchiare alle mie spalle.  
 
***
<< Però non vale >>, disse lui finendo la sua granita. << Tu di me sai tutto e io niente >>.
 
<< Perché dovrei parlarti di me? >>, risposi giocherellando con la cannuccia.
 
Lui alzò le spalle. << Così >>.
 
Sospirai. << Mi chiamo Julia e ho diciotto anni >>.
 
<< Da quanto vivi qui? >>.
 
<< Poco più di un’ ora >>, risposi e lui sorrise.
 
Ci fu un secondo di silenzio durante il quale lui aprì la bocca più volte come per cercare di iniziare una frase che alla fine non diceva mai.
 
Ma poi ci riuscì. << Perché non ti faccio effetto? >>, sembrava come punto nell’orgoglio.
Alzai le sopracciglia e scossi appena la testa per cercare di fargli dire di più.
<< Voglio dire… non urli, gesticoli nervosamente o piangi, le altre fanno così quando mi vedono… >>.
 
Giuro, se avessi potuto mi sarei messa a ridere fino alle lacrime, ma pensavo di averne fatte anche troppe per la giornata.
 
<< Ehm … >>, cercai un modo per iniziare la frase ma gli squillò il telefono.
 
<< Scusami … >>, mormorò e sfilò dal cappotto il suo telefono, guardò il display e fece una faccia infastidita.
 
<< Devo andare >>, disse e rifiutò la chiamata. Si alzò dal tavolo e dopo essersi mascherato per bene si guardò intorno per controllare se ci fosse chissà chi. << Ci si vede, Julia >>, sorrise  e uscì dal bar.
 
Quando tornai a casa, il mio primo pensiero fu infilarmi sotto la doccia. Il getto di acqua calda riusciva a togliere via la stanchezza, i pensieri e la stupida smorfia di Tom Felton dalla mia mente.
Quando uscii dalla doccia andai al piano di sotto con i capelli bagnati e con addosso solo l’accappatoio bianco. Raggiunsi scalza la cucina e aprii il frigorifero che trovai desolato,  solo una confezione di latte se ne stava sola su una piccola mensola. Chiusi il frigo e sospirai: il giorno dopo sarebbe stata necessaria una bella spesa.
 
Mentre andavo verso il salotto per godermi un po’ di tv vidi un post – it ai piedi della porta d’ ingresso. Mi abbassai pensando fosse un foglietto che mi era caduto dalla borsa e lo lessi.

 
Fossi in te controllerei se qualcuno ti segue quando torni a casa.
Ciao, bellissima.                  Tom xx
 

 
 
  
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