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Autore: thea23    03/08/2013    2 recensioni
Questa storia partecipa al contest "le situazioni di x e y"
Introduzione: "Luca è nel mezzo di una crisi esistenziale che lo porta a ripensare ad una ragazza con la quale ha tagliato i ponti da tempo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Bloccò la marcia dell’autoveicolo sulla strada trafficata.
Era l’ultima delle cose che avrebbe dovuto fare, ma importava veramente?
Le mura, onnipresenti come l’aria nella quale navighiamo e resistenti come acciaio, lo tenevano ancorato a quella vita perfetta e preziosa come oro che non aveva mai avuto il coraggio di abbandonare.
 
Nemmeno per lei.
 
Lasciò cadere la testa sul volante.
L’abitacolo della lussuosa macchina sembrava assumere le tinte dei colori più tetri; offendeva la pallida luce di mezzogiorno del sole di aprile.
Anche al suo massimo splendore e calore, sarebbe stato impossibile ad una luce puramente esteriore rischiare e diradare la coltre di catrame e petrolio celate all’interno di una maschera eretta con la più meticolosa e raffinata delle cure dalla mano precisa ed abile di un architetto senza tempo.
 
Muri, muri, pareti e muri premevano come pesi indistruttibili sotto i quali la sua personalità si nascondeva vinta e perita.
 
“Non hai mai saputo cosa significasse essere”.
 
Suggerì una tetra voce, mentre le catene, fedeli quanto indesiderate compagne della sua anima, scorrevano sulla pelle, raschiando e riportando ricordi nascosti dall’oblio, scivolando nel loro forte odore come brividi sulla schiena.
 
Le sue mani raggiunsero la testa poggiata al volante del veicolo, adesso, i capelli scuri e fini come seta nera riempivano le fessure delle sue dita.
Il cuore batteva all’impazzata quasi volesse liberarsi finalmente di quel corpo e dai tormenti che gli causava, il respiro era affannoso ed irregolare senza aver corso e sudava nonostante avesse freddo … era come se il completo formato da: giacca nera, camicia bianca e cravatta nera che aveva addosso non lo riscaldasse.  
Le mani premevano contro la pelle ed alleviavano il dolore alla testa.
Temette che l’inverno che gli stava nascendo dentro avesse potuto propagarsi alla pelle annientando il suo calore corporeo e farlo morire inerme, come avvolto in una tempesta di neve.
 
Allargò le fessure tra le dita abbastanza da poter permettere ai suoi occhi di sbirciare la strada davanti a lui.
Macchine dai colori anonimi e dalle mille forme e costi fecero la loro comparsa insieme. Poco dopo anche il rumore di motori, clacson, imprecazioni e lo stridio delle ruote sull’asfalto si fecero distrattamente strada tra i suoi condotti uditivi.
Era circondato dalla vita caotica della metropoli di Parigi, c’erano così tanti suoni dei quali si poteva essere consapevoli.
Eppure non riusciva a percepirli.
Era quasi come un sordo che osservava la vita scorrere di fronte a lui in quel silenzio così doloroso per i timpani.
Passioni incatenate aleggiavano nella sua mente e sbattendo contro le pareti occluse nella sua anima, urlavano.
 
Non era sempre stato così nero, ricordava di aver visto anche il sole …
 
Ardenti raggi solari traspirarono attraverso il nero delle tenebre che lo stavano ingoiando.
Troppo caldi, troppo lucenti per essere scambiati per i deboli raggi primaverili che ancora sfioravano la sua auto, mentre lui riapriva gli occhi a ciò che non desiderava ricordare.
 
Capì che le immagini che pian piano si stavano formando davanti ai suoi occhi appartenevano alla calda terra del sud Italia alla quale era appartenuto.
Continuarono ad avvolgerlo nel loro abbraccio mentre l’odore di legno e parquet gli accarezzò il naso.
 
Ancora prima di vederlo capì di trovarsi nel negozio di musica nel quale aveva lavorato senza rivelare nulla ai suoi genitori.
Pareti, il quale colore originale doveva essere il bianco prima dell’applicazione dei vari poster e scaffali colmi di libri e dischi e varie chitarre dalle sinuose forme e diversi colori, fecero il loro ingresso insieme al pavimento in legno chiaro.
I molteplici strumenti, poggiati come opere d’arte sui piedistalli, erano illuminati dai raggi solari che filtravano attraverso le chiare tende della vetrata d’ingresso.
 
Era estate e nonostante il suo capo sarebbe dovuto stare in negozio si trovava lì da solo.
Non lo biasimava: nonostante fosse soltanto metà giugno c’erano quaranta gradi all’ombra.
Nonostante ciò lui non avrebbe voluto trovarsi, come la maggior parte degli abitanti dell’isola, a prendere in giro il caldo gustandosi il mare e la confusione; voleva essere esattamente dov’era: circondato dalla musica.
L’aveva sempre affascinato sin da quando poteva ricordarlo. 
Per questo in quel momento una versione più giovane di lui in jeans e maglietta stava spolverando contrariata le chitarre acustiche, probabilmente, chiedendosi quanta polvere riuscisse a finirci sopra nel giro di un solo giorno.
Stava finendo di spolverare la sua chitarra acustica preferita dello stesso colore del mare, quando sentì la porta aprirsi e qualcuno entrare dentro.
Restò in silenzio a finire il suo lavoro, non adorava “perseguitare” i clienti.
Sentì dei passi leggeri avvicinarsi ed infine una presenza alle spalle.
Con riluttanza posò la pezza e si voltò.
 
Fu difficile distinguere di chi fosse la sagoma che aveva davanti perché illuminata dal sole da dietro, ma era abbastanza sicuro che per l’esile figura e per la scarsa altezza che il cliente di fronte a lui fosse una ragazza. Notò che portava con sé un fodero per una chitarra acustica.
 
<< Posso aiutarla? >> chiese trattandola formalmente e imprimendo una nota di cordialità nella voce. Sapeva che sarebbe stata buona educazione alzarsi, ma non ne aveva voglia, quindi rimanendo inginocchiato con lo sguardo rivolto verso la faccia di lei, si portò una mano agli occhi per vederla meglio.
 
Colmando la sua mancanza di educazione, lei gli si avvicinò di più e dopo aver delicatamente poggiato a terra il fodero con la chitarra provocando un suono secco, si buttò in ginocchio accanto lui cadendo in un “puff” e carezzando l’aria con i suoi lunghi capelli neri e indomabili.
 
Trovandosi ad un livello più basso rispetto la vetrata d’ingresso, riusciva a distinguere bene i suoi lineamenti delicati e i suoi due occhi incuriositi. Erano come enormi come pozze piene del più limpido dei cieli e se era possibile il trucco nero li rendeva ancora più azzurri.
Probabilmente avrebbe dovuto parlare … fare qualcosa, a parte tutto non era conveniente farsi vedere con una ragazza inginocchiato per terra, chissà cosa avrebbe potuto pensare la gente, o il suo datore di lavoro.
 
Lei gli rivolse un meraviglioso sorriso a trentadue denti che gli fece quasi perdere il controllo della sua espressione apparentemente tranquilla. Gli era stato insegnato a non dare a vedere quello che provava, si sarebbero sorpresi di lui se avesse assunto un atteggiamento da idiota.
Senza smettere di sorridere gli porse la mano dalle unghia dipinte di nero.
 
<< Scusami – iniziò lei abbozzando un altro sorriso – tu sei Luca De Angelo, non è vero? >>
I suoi occhi fatti di cielo tornarono a fissarlo a metà tra l’incuriosito e l’imbarazzato, lo colpirono, come se il suo cuore non si stesse già dimenando.
Lei conosceva il suo nome e lui non aveva idea di dove potevano essersi conosciuti.
Non riusciva spiegarsi perché, ma un affronto tale quale dimenticarsi una ragazza con quello sguardo, lo faceva sentire un verme … molto più di quello che avrebbe dovuto considerarsi in realtà.
Non credeva che lei passasse inosservata comunque, escludendo la neve della sua pelle, sembrava un’ode al nero: i suoi capelli appartenevano alla pece ed erano indisciplinati come una criniera nera che scendeva lunga fino al bacino, indossava una maglietta a metà tra il grigio e il bianco e la croce borchiata, insieme ad una gonna scampanata nera e converse scure.
 
Un fiore raro, che per nascondersi aveva bisogno di coprirsi di spine: ecco qual era stata la prima impressione che aveva avuto di lei.
 
Avrebbe potuto rimanere lì tutto il giorno ad ammirarla, ma quando si accorse che lei desiderava una risposta cercò di tornare lucido.
<< Sono io … >> rispose sicuro stringendo la mano calda ed affusolata della ragazza.
<< … per caso ci conosciamo? >> provò a chiederle con una nota di incertezza.
 
<< No – affermò lei ridendo – ma andiamo nella stessa scuola … e … sai com’è: ambiente piccolo. Si conoscono tutti … o meglio tutti quelli con una famiglia ricca come la tua. >> rimase a guardarlo in attesa di una reazione o risposta.
 
Era strano, sapeva di essere conosciuto a scuola, eppure il solo pensare che quella ragazza potesse sapere cose vero o no di lui lo faceva sentire a disagio.
Si permise di guardarla ancora un po’ senza parlare. Ai suoi occhi quella ragazza sembrava avere tutto il tempo del mondo riflesso in quello strano colore d’occhi cangiante come il cielo.
 
<< Posso aiutarti in qualcosa? >> chiese facendo un cenno allo strumento che giaceva a poca distanza da lei. Lei perse la sua immobilità e, assumendo un’espressione da cucciolo guardò l’oggetto come se improvvisamente si fosse ricordata cosa stesse facendo lì in quel momento.
Le sorrise, spontaneamente anche se lei non lo stava guardando. Pensava che fosse la ragazza più carina che avesse mai visto.
 
<< Ho un problema con la mia chitarra … credo ... credo che sia scordata>> disse lei pronunciando le ultime parole con una smorfia e un’aria afflitta.
In altri casi il ragazzo si sarebbe preoccupato al solo sentire un proprietario di chitarre dichiarare di non sapere riaccordarsela per conto proprio, ma in quel momento non ci fece caso e le sorrise incoraggiante.
<< Diamole un’occhiata>> disse con un cenno, invitandola a fargli esaminare lo strumento.
Un po’ goffamente lei uscì una meravigliosa chitarra acustica nera dal fodero e gliela passò.
Le labbra di Luca si piegarono in un sorriso: non poteva farci niente, amava le chitarre.
Sempre da seduto si sistemò al meglio per testarne l’efficienza nel modo più corretto.
Mise la mano sinistra sulla tastiera lasciando correre le dita sulle corde malconce, un’espressione di dissenso sostituì il sorriso: avrebbe dovuto sostituirle.
<< Ti devono piacere molto le chitarre … ti si legge la passione negli occhi, è una bella cosa>> sussurrò la giovane.  
 
Sorrise, per una volta imbarazzato, senza alzare lo sguardo dallo strumento. 
 
<< La musica è quello che è soltanto mio … è l’unico modo per evadere dalla realtà, il modo che ho per comunicare i miei sentimenti, inoltre … quando si può stringere in questo modo una chitarra, non ci si può sentire sol … >> si bloccò.
Ma cosa gli prendeva? Che fine aveva fatto la maschera che gli era sempre stato consigliato di tenere addosso?
Non avrebbe dovuto comportarsi così un’estranea.
Alzò lo sguardo per valutarne la reazione.
 
<< Non è difficile da immaginare … capita a tutti di sentirsi soli >> lo incoraggiò con la sua voce musicale e delicata e con un sorriso che sarebbe stato capace di illuminare l’intera città; gli occhi enormi erano illuminati dalla più calda luce di comprensione, sembrava quasi che avessero raggiunto il colore del mare.
 
Rimase a fissarla interdetto con lo strumento a corde in mano.
In diciotto anni di vita quando gli era capitato? Che qualcuno lo ascoltasse e cercasse di capirlo?
Aveva sempre frequentato persone che avevano scelto i suoi genitori per lui e di certo non gliene era mai importato niente di lui …
 
<< Sai – continuò lei – mi piacerebbe molto sentirti suonare … io non credo di essere molto brava >>  abbassò lo sguardo.
 
<< Ma no, non puoi essere così tanto mal … >>.
 
Un suono che chiunque avrebbe attribuito all’oltre tomba si propagò dalla cassa armonica dello strumento dopo avere passato accidentalmente le dita sopra le corde.  
Il primo istinto fu quello di buttare via la chitarra e iniziare a correre, pregando che lo strumento di non si animasse di vita propria e lo seguito. Si sforzò di mantenere la calma … per quanto potesse dargli fastidio, non era una buona ragione per comportarsi come una femminuccia.
Riprovò per essere sicuro non essere stato distratto o aver sentito male.
Niente: ne uscì lo stesso suono inquietante.
Finalmente senza la preoccupazione che il cuore potesse abbandonarlo da un momento all’altro, osservò la chitarra come se fosse la prima volta che la vedesse. Era piena di graffi e quelli ai bordi della cassa armonica erano … morsi?
Alzò lo sguardo con un sopracciglio alzato.
Lei alzò le spalle e la più carina delle espressioni colpevoli le si disegnò in viso: << ero nervosa … perché non si accordava>>.
La guardò allibito: << e come pensavi che si accordasse per virtù dello spirito santo? >>
 
Per l’ennesima volta rimase a fissarla chiedendosi cosa ci fosse di strano in quella ragazza, che il suo carattere fosse il riflesso dell’impossibilità di quegli occhi di rimanere di uno stesso colore?   
Scosse la testa e sospirò.
<< Iniziamo dalle corde, dopo di che puliamo la tastiera e la cassa armonica e infine accordiamo la chitarra, ti va? >>
Lei gli sorrise ed insieme si alzarono.
 
***
 
Uscì dal ricordo con un sorriso, mentre una lacrima rigava silenziosamente il viso. Tornò ad essere illuminato dal pallido sole, sopra la sua macchina.
Era così che aveva iniziato a frequentare Nadya: un giorno al negozio di musica a sistemare quella povera chitarra e il giorno dopo insieme a insegnarle come suonarla.
Nei primi mesi era stati sempre insieme, ognuno rispettando gli spazi dell’altro.
Era meraviglioso passare del tempo con lei … era una persona straordinaria e aveva scoperto che non si vestiva sempre di nero, come inizialmente aveva pensato. Possedeva, infatti, vestiti di mille colori stile hippie e a volte dipingeva le unghia di dieci colori diversi.
 
Era vero che il suo carattere aveva mille sfumature come gli occhi e certe volte risultava essere strana, quasi non appartenesse a questo mondo, ma era innegabile che fosse la persona più gentile ed altruista che avesse mai incontrato.
 
Ricordava quella volta al bar poco lontano dalla scuola quando lei gli aveva confessato di non amare l’arte perché dal suo punto di vista era sinonimo d’ingenti quantità di denaro che potevano essere utilizzate per aiutare qualcuno. Lui ovviamente non era d’accordo, ma avrebbe mentito se avesse detto che quel pensiero non l’aveva sorpreso.
 
Ricordava quella volta seduti nel giardino più grande della città vicino la fontana circondati dal verde, quando lei senza che lui chiedesse nulla gli aveva confidato che inseguito alla morte dei genitori viveva con gli zii, i quali pensavano che fosse una matta e per questo non tenevano conto del suo parere in casa. La cosa divertente di quella scena fu che non sembrava per niente turbata da quello che aveva appena confessato e con nonchalance aveva aggiunto che non le importava del giudizio degli altri.
Ai tempi a lui era sembrato così strano e impensabile che l’aveva riempita di domande e alla fine l’aveva lasciata lì da sola. Azione per la quale si era scusato mille volte il giorno dopo.
 
Sorrise nuovamente con la testa immersa ancora nei ricordi.
Alla fine di tutto poteva dichiarare che la prima impressione che aveva avuto su di lei era vera.
Era un fiore raro e quella luce nei suoi occhi che aveva scambiato come “attesa” era in realtà “consapevolezza”.
Consapevolezza di cosa, tuttora non riusciva a spiegarselo, ma era questa parola che tutte le cellule del suo corpo gli suggerivano e poteva affermare con sicurezza che era arrivata a comprendere molto più della vita rispetto quello che aveva capito lui.
 
Ai suoi occhi non aveva problemi, erano i suoi genitori ed amici che non facevano altro che criticarla ed incoraggiarlo a lasciarla perdere.
 
Le voci si ripresentarono nella sua testa come a quel tempo:
  
“ Quella ragazza è totalmente pazza ”
“ Dovresti lasciarla perdere … non è ricca!”
“ Dicono in giro che sia una strega”
“ Trovatene un’altra”
“ Se esci ancora con questa ragazza, ti diseredo”.
 
Non riusciva a capire perché ogni volta che si presentava qualcuno diverso dai loro canoni, non facevano altro che attaccarlo e criticarlo, come se non fosse nemmeno un essere umano, come se lo conoscessero, quando non era così.
 
Ma alla fine, perché con quattro anni di ritardo avrebbe dovuto incolpare genitori e amici, quando la scelta era stata sua?
Loro era stati crudeli, ma lui era stato anche peggio. Avrebbe potuto non ascoltarli, non essere il loro strumento, scegliere. Ma non ci era mai riuscito, non ne aveva mai avuto il coraggio.
 
Ricordava l’ultimo giorno bene quanto ricordava il primo.
 
Nadya l’aveva avvicinato nel corridoio della scuola a ricreazione e come d’abitudine negli ultimi mesi lui la trascinò nel laboratorio di chimica per evitare di essere visti.
Sapeva per certo che il bidello non sarebbe entrato.
Entrarono nell’aula dai tavoli e pareti bianche, le varie sostanze utili per fare esperimenti erano poste nei capienti armadi che ricoprivano il perimetro della classe.
La ragazza si appoggiò al tavolo mentre lui rimase in piedi vicino la porta. Come la prima volta la luce le arrivava alle spalle, donandole un aspetto d’argento, come il tempo in quei giorni e l’atmosfera in quel momento.
 
<< Luca … >> iniziò lei con gli occhi a riflettere la tristezza grigi come una tempesta, i delicati lineamenti del viso piegati in una smorfia di dolore.
Aveva un vestito bianco che si adagiava perfettamente alle forme del suo corpo e risaltava contro i capelli fatti di notte, raccolti in un chignon.
 
Aveva capito fin dal primo istante che quella non sarebbe stata una discussione piacevole e il fatto che fosse vestita di bianco lo preoccupava. Gli aveva confessato che vestirsi di bianco la faceva sentire una vittima sacrificale.   
Le mani iniziarono a tremargli, la nascose dietro la schiena e finse il migliore dei suoi sorrisi.
Sapeva cosa stava per dire.  Era preparato, ma aveva vissuto per diciotto anni in una famiglia dove le apparenze erano scambiate per l’essenza, di conseguenza era un attore nato. 
<< Nadya, tutto, okay? Hai visto che tempo che c’è? Non la vuole smettere di piovere >>
 
Lei gli rivolse un’occhiata afflitta, che lo zittì all’istante e qualcosa all’interno del suo cuore iniziò a spezzarsi.
 
Perché l’aveva fatto?
 
<< … Luca … >> resse il suo sguardo e sta volta non vi lesse soltanto tristezza, riuscì a distinguere anche delusione.
Come ogni volta in pericolo, nascose le emozioni dietro una facciata impenetrabile.
<< Pensi che non mi accorga che cerchi di evitare che gli altri ci vedano insieme? >> sembrò quasi una frase pronunciata nella discussione senza alcun valore o significato, ma da come aveva inclinato la testa fissando il pavimento, capì che era soltanto un’impressione di tranquillità che voleva dare.
<< Quanti appuntamenti hai saltato con scuse assurde? >> chiese lasciando trapelare il rancore dalla sua voce, scosse la testa cercando di calmarsi.
<< Qual è la verità? È quasi un anno che ci conosciamo e mi nascondi ai tuoi parenti ed amici, io non vado bene per loro … non negare. E allora se la situazione è questa e uno dei due provasse qualcosa … - prese un profondo respiro - se questo qualcosa fosse amore, allora come ne usciamo?  >> chiese quasi in una cantilena, quasi come una bambina fissandolo con occhi che svelavano una battaglia interiore al posto della calma usata per le sue parole.
 
 Ti amo … tutto quello che doveva fare era dire “ ti amo, non voglio perderti, non voglio vivere senza di te …” e sarebbe stata la cosa più vera che avrebbe mai detto in vita sua.
 
Invece si limitò a guardarla.
Lei chiuse gli occhi. Poi gli sorrise come non le aveva mai visto fare e i suoi occhi assunsero di nuovo un’espressione di consapevolezza, di accettazione.
 
<< Io non ti odio, però tra noi ci sono troppi ostacoli che non possiamo superare, quindi penso che sia meglio smettere di vederci >>.
Il suo cuore perse un battito mentre lei faceva una pausa, adesso gli era impossibile nascondere i tremori del corpo.
<< Io non ti odio, ma posso salvarci … non devi stare con me se questo non porterà niente di buono a nessuno dei due … io non sono adatta per te >>.
 
Si avvicinò a lui indecisa se sfiorarlo, ma poi lasciò perdere e se ne andò chiudendo silenziosamente la porta dietro di lei.
Gli ci volle qualche minuto per realizzare che se ne era andata, lasciandolo solo nell’aula di chimica.
Avrebbe potuto osare e sfiorare le sue labbra per la prima volta e costringerla a restare, farle capire quanto ci tenesse a lei, ma non lo aveva fatto.
L’aveva lasciata andare, era rimasto lì a tremare come uno stupido, mentre i suoi pensieri lo rinchiudevano nell’oblio.
 
Era impossibile che in tutto quel tempo non fosse cambiato niente.
Si trovava nuovamente tremante e solo a pensare a lei come un deficiente che semplicemente non sapeva vivere.
 
Com’era possibile che il cambio di città e il lavoro non l’avessero cambiato?
Com’era possibile trovarsi ancora legato in un rapporto controverso al padre e fidanzato con una donna che a stento sopportava per il volere del genitore?
 
Buffe le idee che sfiorano le persone poco prima di sposarsi, anche se non credeva che fosse un’idea comune desiderare mollare tutto, compresi i probabili aiuti della propria prestigiosa famiglia e andare a chiedere in ginocchio il perdono dell’unica persona che per lui aveva significato qualcosa.
 
Perché trovarsi con gli stessi tormentati pensieri, quando si ha perso passione e non si riesce più a riconoscersi? Perché non cercare di vivere?
 
 Fare quello che voleva era folle, assurdo, insensato, stupido … vero.
Così vero come nulla era mai stato in vita sua.
L’immagine di due ragazzi a ridere insieme sotto le stelle di notte gli accarezzò gli occhi.
Erano loro, se fosse rimasto, avrebbe potuto essere la realtà.
Non si diceva che prima di rinunciare a qualcosa si doveva almeno provare?
 
Alzò lo sguardo guardando il suo riflesso sullo specchietto della macchina. Un ragazzo dai tratti decisi e gli occhi verdi come smeraldi lo fissava: non aveva un bell’aspetto. Sembrava sconvolto.
Sfidò i suoi stessi occhi cercando l’interno della sua anima.
Senza staccare lo sguardo prese il telefono, selezionò la chiamata veloce verso suo padre.
Il telefono squillò poi l’uomo rispose.
<< Me ne vado >> disse e senza attendere che l’altra parte avesse assimilato il messaggio chiuse la chiamata e buttò il telefono dal finestrino, sperando che chiunque trovasse un iphone per terra non pensasse di incriminarlo per aver sporcato la strada.
 
Partì sfruttando al massimo i cavalli della macchina diretto all’aeroporto.
 
 
***
 Non sapeva ancora come fosse stato così semplice arrivare davanti all’ingresso di quel condominio nel quale l’avrebbe trovata.
Ora che vi si trovava davanti gli sembrava di esserci arrivato incoscientemente, quasi guidato da una forza più grande di lui.
Ora che era ad un passo da lei continuava a pregare inerme che non si fosse fidanzata nel frattempo. Era egoistico ma non riusciva a immaginarla legata a qualcun altro se non a se stesso.
 
Prese un bel respiro e avvicinò il dito al citofono pensando: “È solo questione di provare: le chiederò scusa poi se vorrà resterà con me … oppure mi lascerà andare, ma devo provarci … quanto può fare male?”.   
Ignorò la risposta del suo cervello che diceva: “ Parecchio, anche la vita” e suonò.
 
Qualche minuto dopo si ritrovava nel pianerottolo di casa sua, davanti alla giovane donna che aveva sempre sognato.
 
<< Cosa ci fai tu qui? >> chiese lei con gli occhi sgranati, sottolineando la parola “tu” nel suo pigiama con un panda e i capelli più all’aria del solito.
Lui le sorrise.
Erano le ventitré di sera e lì davanti a quello che sembrava l’orlo di un precipizio, tutto quello a cui riusciva a pensare era quanto gli fosse mancato quell’appartamento dall’arredamento stravagante e la sua proprietaria. Conosceva ancora delle persone che la conoscevano dunque sapeva con esattezza che viveva ancora a casa degli zii da quando questi ultimi avevano traslocato.
 
Nadya si stropicciò gli occhi per poi tornare a fissarlo come per assicurarsi di non stare sognando.
<< Ti ho svegliata? >> chiese lui, ridendo tra sé e sé per irrealtà della scena.  
<< Non importa – gli disse assumendo un’espressione di pace – vuoi entrare? Dovrei avere del the da qualche parte >> lo prese per mano e lo trascinò nella cucina dai caldi colori ed i mobili rustici in legno.
Lo fece accomodare in una sedia e iniziò ad raccogliere tutto l’occorrente per preparare la bevanda.
 
<< Come va la vita? >> le chiese.
<< Tutto a posto, sto ancora studiando medicina. Non è facile quanto sembra!>>.
<< Forse sei l’unica a pensare che sia facile! >> le disse spavaldo ridacchiando << … mi fa piacere che stai facendo una cosa che ti piace fare >> disse più dolcemente sorridendole, lei ricambiò il sorriso, porgendogli una tazza con l’acqua calda e una bustina di the insieme ad un paio di bustine di zucchero.
<< Tu invece cosa fai di bello? Sei diventato una rockstar? >> domandò lei, sedendosi nella sedia di fronte a lui. Era tanto, che non vedeva i suoi occhi che quasi lo abbagliarono per la loro lucentezza e intensità.
 
Quanto avrebbe voluto …
 
<< Ehm … no a dire la verità sono un ingegnere >> confessò, lei lo guardò sorpresa come se non riuscisse a credere a quello che stava dicendo.
<< Ma eri così bravo! Oltre che un ottimo insegnate! >>
<< L’hai più toccata quella chitarra a proposito? Oppure è abbandonata in un angolo? >> cambiò argomento, i complimenti lo lusingavano, ma gli pesava non aver potuto seguire la sua passione.
<< No che non lo è! >> esclamò fingendosi indignata per il commento dell’ospite, mentre un sorriso le illuminò il volto contagiando gli occhi. Poi assunse un’espressione seria e mescolando il liquido nella tazza col suo nome scritto sopra, confessò sottovoce: << a dire la verità a volte l’ho suonata … quando … pensavo a te >>
 
Aveva seriamente detto quelle parole? E lui le aveva realmente sentite? Oppure era solo la sua immaginazione a giocargli brutti scherzi …?
 
<< Hai forse detto che in questi ultimi anni hai pensato a me? >> chiese sottovoce, poi ci ripensò e prima che lei potesse aprire bocca disse nella sua voce roca e bassa: << anche io >>.
 
Entrambi si fissarono negli occhi, mentre i loro battiti si facevano frenetici, quanto tempo avevano aspettato per sentire quelle parole?
 
<< Ero venuto proprio per scusarmi del mio comportamento >> confessò in un sussurro.
 
<< Non c’è bisogno che ti scusi … eravamo dei ragazzini non … >>.
 
<< Per favore, tu sapevi già quello che volevi, io sono solo uno stupido! Ho pensato solo a me stesso … mai a te – fece una pausa, distogliendo lo sguardo – tu … tu sei l’esatto contrario di tutto quello che ho sempre conosciuto. Riesci ad ascoltare le persone e t’importa più degli altri che di te stessa – si alzò e si avvicinò a lei girando il tavolo, anche lei si alzò spingendo la sedia indietro
– abbiamo le nostre divergenze di opinione eppure sei sempre rimasta e so che saresti rimasta – prese un sospiro, mentre osservava se stesso riflesso negli occhi sognanti di lei – credo che tu sia stata la cosa migliore che sia mai stata mia. E potrei darmi dello scemo fino al resto dei miei giorni se ti lascio andare. In questi anni … le cose non sembravano avere senso. >>
 
Adesso erano entrambi abbastanza vicini da toccarsi, abbastanza vicini per sentire l’attrazione che li spingeva l’uno verso l’altra.
 
Le mise una mano sulla spalla sfiorandole i capelli neri, chiedendole il permesso. Lei gli buttò le braccia al collo e lo abbracciò.
Senza capire se era stato rifiutato oppure se più semplicemente lei non avesse capito le sue intenzioni, ricambiò e la strinse donandogli calore nello stesso modo nel quale faceva lei. Avrebbe potuto passare un’eternità tra quelle braccia stringendo quel corpo e quell’anima tanto cari a lui.
Sentì il calore puramente esterno riscaldargli il cuore che si era assopito nell’attesa di una nuova fiamma.
 
Decise di riprovare.
Avvicinò il viso al suo baciandole dapprima i capelli per poi scendere fino a sfiorarle il naso col suo.
Si guardarono negli occhi leggendovi i pensieri, i loro respiri erano sincronizzati, così come i loro cuori che percuotevano il petto come tamburi in una danza mistica.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma la giovane gli stava chiedendo di non spezzare il suo cuore di nuovo. Se gli avesse concesso assaporare il gusto delle sue labbra lui non avrebbe dovuto lasciarla. Avrebbe dovuto rimanere al suo fianco, avrebbe dovuto amarla.
Prese coraggio.
<< Anni fa – bisbigliò sensualmente al suo orecchio, scostandole i morbidi capelli – hai detto di volerci salvare, e adesso mia cara, credo di poter essere l’unico a poter salvare noi >>.
Cercò di comunicarle con lo sguardo che aveva accettato di proteggerla e di non ferirla, non importava cosa sarebbe successo.  
Lei annuì chiudendo gli occhi. Li chiuse anche lui, ma essendo assuefatto e bisognoso della sua presenza continuava a vederla davanti a sé.
 
Non era il suo primo bacio, ma era il loro primo … ed era come si fosse la prima volta.
Ogni cellula del suo corpo lo pregava di procedere e baciarla, ma la sua ragione continuava ad esserne terrorizzata e a mandargli brividi attraverso la schiena.
Si avvicinò, timido, tremante, con le labbra appena dischiuse.
Prendeva tempo, come se quell’istante fosse destinato a durare per sempre, come quando si giunge ad una cosa che si aveva sempre sognato e si ha troppa paura di perderla.
Poggiò delicatamente le labbra sulle sue, nemmeno fossero fatte di cristallo.
Poi il bisogno di contatto, del suo amore, si fece insostenibile e decise di premere più forte.
Si unirono, finalmente.
Mentre le loro lingue si cercavano e abbracciavano simultaneamente, i giorni di lacrime e quelli di risate erano ancora sulle loro spalle, senza pesare.
Le loro vite non erano ancora perfette, anzi rischiavano di essere più incasinate del dovuto, ma non importava, avrebbero ancora avuto l’uno per l’altra.
Sarebbero stati uniti come in quell’abbraccio e in quel bacio.
Si sarebbero fidati e sostenuti attraverso quell’unione che riusciva ad andare oltre ogni muro e maschera e rivelarne il nucleo.
Si sarebbero cercati come in quel momento le loro braccia accarezzavano e stringevano il corpo dell’altro non permettendogli di allontanarsi.
 
Era una promessa.   
 
  
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