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Autore: summers001    04/08/2013    9 recensioni
AU post-Neverland.
Si sforzò a tenere le palpebre aperte a vederla per la prima volta indifesa ed affettuosa. Sapeva che poteva essere tenera. Vide quello che si stava perdendo. Chiuse gli occhi ed immaginò cosa sarebbe potuto essere tra di loro, se solo ci fosse stato altro tempo. L'unica cosa che riuscì ad immaginare fu il sorriso di lei in quel momento. Anche lui aveva qualcosa da dirle. "Emma..." comiciò, ma le parole erano pesanti e le labbra e la gola secche.
Emma gli portò frettolosa due dita alle labbra. "Non c'è bisogno!" disse subito "Anch'io."
Uncino sorrise. Lo sapeva. "Sono stanco."

Spero che dopo questa non mi odierete!
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo arancione, le nuvole rosate sopra il celeste tenue del cielo autunnale. Il venticello freddo e pungente si scontrava con l'ondeggiare cauto del mare, disperazione e pace che si incontravano lungo la linea dell'orizzonte. Persino la natura era confusa. Erano almeno un paio d'ore che Emma era lì, seduta sul legno caldo della banchina al molo stringendosi nella giacca a massaggiarsi le braccia, guardando la Jolly Roger, così colorata, vivace, quasi viva si direbbe, e vuota. Si strinse le ginocchia al petto ed a volte ondeggiava avanti e indietro. Era passato un anno. Avrebbe mai smesso di fare male? Di stringerle il petto, farla piangere fino allo sfinimento?

Chiuse gli occhi, poggiando la testa tra i gomiti, stringendosi intanto le braccia e le spalle, ed in un lampo, come nei suoi sogni, le tornarono alla mente le dita rigide di lui intrecciate alle sue.
Era stesa accanto a lui. Uncino aveva chiuso gli occhi poco prima, aveva detto di essere stanco ed aveva chiuso gli occhi. Già allora ricordava la sgradevole sensazione delle lacrime che premono per uscire, nascondendole per lui. Uncino chinò lievemente, forse inconsapevolmente, il capo verso di lei, incontrando la sua fronte. Pochi secondi dopo il braccio e la gamba sinistra di lui scattarono nelle ultime scosse convulsive. Emma aveva stretto gli occhi e la sua mano e solo allora aveva permesso alle lacrime di cadere calde sulla sua guancia. Non riusciva a guardare. Soffocò le grida rintanandosi contro il suo petto, bagnandogli di acqua e sale la camicia nera.
Era rimasta lì un tempo indefinito. Quando aveva esaurito le lacrime, era rimasta accanto a lui con gli occhi rossi a fissare il suo viso e la mano stretta ancora nella sua. Rigida. Emma finse di credere che dormisse.
Riaprì gli occhi immediatamente spaventata, non era quello che voleva ricordare. Non quello che doveva ricordare. Si ritrovò ad ansimare per riprendere fiato. Rivedeva quella scena tutte le notti, non poteva sopportarlo anche di giorno. E se avesse agito diversamente? Se l'avesse lasciato ancora indietro? Agitò il capo con le mani alle tempie. Troppo pensare, troppo dolore. Insopportabile.

Ingoiò saliva. Lui non poteva vederla vigliacca, non gliel'aveva mai permesso, non l'avrebbe fatto ancora di fronte a lui o alle sue cose, alla sua nave. Bella, imponente, colorata, vivace. Si chiese se fosse un po' come con i cani, che rispecchiano la personalità del proprio padrone, o capitano. Che cosa stupida da pensare. Quello le dava però il coraggio di entrare nei ricordi di nuovo.
David ed Emma lo stavano trascinando fin sulla nave sul suo letto, con le braccia di lui appese alle loro spalle.David li lasciò con la scusa di andare a cercare qualcosa per disinfettare o chiudere la ferita o altro. Emma si portò le mani nei capelli, non sapeva proprio da dove iniziare. Lo aiutò a sistemarsi e lo spogliò della camicia strappandogliela nella frenesia di poter vedere la ferita. Emma si bloccò guardandola.
"E' così brutta?" chiese lui.
La carne lacerata era ormai di un colore scuro diverso dal rosso, c'erano sangue e pus colato persino nei pantaloni, doveva essere infetta. Riusciva a vedere i visceri. Doveva essere più che infetta. Quasi vomitava. David e Mary Margaret la aiutarono a pulire la ferita, cucirla in qualche modo e sciacquarla con acqua salata di tanto in tanto. La febbre però saliva e scottava sempre di più. Fu David a capire per primo cosa stesse per succedere, di notte. Portò via Mary Margaret che s'era appisolata su una sedia accanto a lui.
Emma era sul letto con lui. Sapeva. Aveva visto altro pus ed altro sangue creare una grande macchia sul lenzuolo bianco sotto di loro.
Gli strinse la mano, girata su un fianco, e lo osservò respirare e dormire. Allungò l'altra mano a spostargli i capelli dalla fronte imperlata di sudore. Uncino si svegliò tossendo.
"Emma!" si lamentò.
"Sh-shh, sono qui. Non me ne vado."
Uncino deglutì a fatica.
C'era qualcosa di importante che doveva dirgli. Gli occhi cominciavano a bruciare.
"Grazie."
Uncino si voltò verso di lei, cercò di avvicinarsi fallendo. Fu Emma allora a farsi più vicina. "Non solo per Henry."
Si sforzò a tenere le palpebre aperte a vederla per la prima volta indifesa ed affettuosa. Sapeva che poteva essere tenera. Vide quello che si stava perdendo. Chiuse gli occhi ed immaginò cosa sarebbe potuto essere tra di loro, se solo ci fosse stato altro tempo. L'unica cosa che riuscì ad immaginare fu il sorriso di lei in quel momento. Anche lui aveva qualcosa da dirle. "Emma..." comiciò, ma le parole erano pesanti e le labbra e la gola secche.
Emma gli portò frettolosa due dita alle labbra. "Non c'è bisogno!" disse subito "Anch'io."
Uncino sorrise. Lo sapeva. "Sono stanco."
Emma fece cenno di sì col viso. Restarono occhi negli occhi finché le palpebre di lui si chiusero e fu come addormentarsi.

Le parole di sua madre risuonavano nel suo cranio "Lui vorrebbe che ti ricordassi delle cose belle". Gliel'aveva sussurrato quando ormai a Storybrooke, qualche mese dopo da quella maledetta notte, l'aveva trovata ancora una volta a guardare le stelle dalla finestra del loro appartamente, accanto ad Henry che dormiva. Cercava la seconda stella a destra.
Le cose belle facevano ancora più male.
Dovevano ancora trovare Henry, ma erano vicini quella volta, maledettamente vicini, qualche sera prima di perderlo. Si respirava vento caldo di fiducia, c'era finalmente una possibilità.
Si era fatta trascinare nella sua cabina, nascosti dietro un ghigno di rabbia e determinazione mentre tutti guardavano scendere rosea la sera sull'isola che non c'è. Nessuno sapeva di loro, o almeno così credevano, si comportavano come adolescenti scappando di nascosto e chiudendosi nella cabina di lui, ridendo dietro una porta. Non si ricorda nemmeno com'era iniziata, forse c'era sempre stata.
Si era fatta spingere ridendo sul letto e l'aveva tirato giù con lei. Stava ridendo nell'incavo della spalla di lei quando iniziò a baciarla in quel piccolo punto sensibile e darle piccoli morsi. Emma si lasciò scappare un gridolino sorpreso.
"Mmh profumi di speranza!" le aveva detto abbandonando il suo collo salendo sul suo viso.
"Cosa?" chiese lei sorpresa "E che odore sarebbe?"
Uncino si sistemò meglio su di lei, spingendo il bacino verso il suo, le allontanò la maglietta dal petto spingendola verso il basso con una mano."Buono," cominciò a baciarla su quel triangolo di pelle che aveva liberato "fresco," un altro bacio "dolce," bacio "qualcosa che non sentivo da tempo." Strusciò il suo labbro su di lei risalendo fino alle sue labbra. La fissò negli occhi intensamente con quei due diamanti azzurri, mentre lei spaventata voleva solo tirarsi indietro. Quello sguardo, era senza fiato, Emma boccheggiava quasi. Stava per dire qualcosa, ma lei lo soffocò con un bacio. Gli circondò il collo col polso, affondando le dita tra i capelli scuri di lui, tirandoselo più vicino, mentre lui sorrideva divertito, eccitato dalla fretta di lei e complice sulle sue labbra.
Non si accorse delle lacrime che gli stavano cadendo lungo tutto il braccio. Si schiacciò le mani sugli occhi. Se continuava a piangere non sarebbe riuscita a salire a bordo come si era ripromessa di fare. Non ci riusciva da quando erano tornati a Storybrooke. Quando stringeva Henry che dormiva con la testa sulla sua spalla, soffocando le lacrime, rimettendo piede sulla terra ferma del mondo reale.
Non l'aveva fatto da allora perché aveva paura di muovere qualcosa, un cuscino, una cordicella, una matita, da come l'aveva lasciata lui.

Prese coraggio e s'avviò sulla nave, salendo sul ponte principale. C'erano ancora macchie di sangue. Non le aveva notate le ultime volte che era stata lì. Ci passò sopra lo stivale, cercando di cancellarle. Non era così che voleva ricordare. Il sangue era secco, non si scrostava. Si rivedeva ancora a trascinarlo lì. Si umettò il dito con la saliva, si abbassò e cercò di pulire. Niente. Rinunciò e proseguì. S'avviò lungo la porta che conduceva sotto coperta, verso la stiva e gli alloggi del capitano. La nave era rimasta senza capitano per un anno intero. Sembrava piangere con lei.
Passò le dita su quella corda spessa che fungeva da ringhiera alle scalette in legno. Le prime volte doveva aggrapparcisi per non cadere. Chiuse gli occhi, se la ricordava quella sensazione sulla pelle.
"Emma!" Uncino la rincorse sul ponte, oltre quella porticina. Corse fin sotto le scale con lei, le strappò la mano dalla corda, la afferrò per il polso con l'unica mano costringendola a girarsi ed inchiodandola al muro. La fissò mentre cercava di evitare il suo sguardo. "Smettila!" sussurrò perché nessun altro li sentisse. La voce di lui era dura mentre si imponevà su di lei.
"Che cosa?" chiese lei a voce alta, sorpresa per l'incursione ed il tono di lui, si chiedeva come si permetteva di rivolgersi a lei così. "Lasciami!" si lamentò mentre cercò di divincolarsi.
Uncino la strattonò e premette il suo corpo al suo, tenendole stretti entrambi i polsi, l'uno con le dita, l'altro inchiodato con l'appendice metallica al muro. Emma si ribellò di nuovo senza risultato e lui non si stava neanche sforzando. Attese che si calmasse, poi lasciò andare la mano e la costrinse a girarsi e guardarlo negli occhi, afferrandole il mento.
"Emma," sussurrò questa volta con tono più pacato. Le lasciò andare il mento e quasi intimorito dal toccarla cominciò ad accarezzarle una guancia, mentre lei si paralizzava sotto il suo tocco. "Smettila di giocare con me." Uncino era diventato supplichevole e la spaventava. Non contava di avere quell'effetto su di lui. "Un giorno mi baci, poi mi disprezzi." Emma lo guardò prendere un respiro profondo. Le sue carezze s'erano spostate ai capelli morbidi di lei. "Non posso sopportarlo!".
Emma sorpresa cominciò a fissarlo. Non credeva di poterlo ferire, lui teneva a lei e tutto le fu più chiaro. Ecco perché era tornato. Uncino la lasciò andare allontanandosi con un sorriso triste da lei. Non smetteva mai di sorridere, felice o triste che fosse. Emma fece per andarsene proseguendo dritta. Si fermò un attimo a ripensarci, strinse i pugni, prese un respiro profondo e tornò indietro a baciarlo, sorpreso.

Entrò nella sua cabina, chiuse la porta e si schiacciò contro il legno, scivolando pian piano a terra. Con il viso nelle mani lasciò che le lacrime fluissero silenziose. Non riusciva ancora guardare quel posto. Era lì che...
Aveva dovuto allontanarla con la forza, suo padre, che la staccò dal corpo senza vita di lui, mentre cercava di urlare, ma non aveva neanche più voce, annegata dalle lacrime che le erano scivolate in gola dal naso e dal bocca. La portò via all'aria aperta nascondendola mentre gli altri rimuovevano il corpo. La tenne stretta prima per non lasciarla scappare, poi lasciandola piangere ancora. Ad un tratto dovette vomitare oltre la ringhiera della nave. David la tenne dritta e le allontanò i capelli dal collo. Gli si spezzava il cuore a vederla così e piangeva con lei. Anche David si sentì stringere da lei dopo un po'. Riconobbe la rabbia che precede la rassegnazione e poi l'accettazione. Erano finiti ancora uniti sul pavimento del ponte principale all'aria fresca dell'isola che non c'è.
"Henry ha bisogno di te!" David le sussurrò. Emma annuì.

Si fece coraggio e s'alzò da terra. Non era rientrata in quella stanza da quando David l'aveva portata via. S'avvicinò al grande letto che troneggiava al centro. Le lenzuola erano pulite qualcuno doveva averle cambiate, ricordava ancora quando le vide sporche di sangue e pus sotto le sue gambe. Il terrore che cercò di nascondere ai suoi occhi mentre moriva.
Passò oltre. C'era una scrivania sul lato opposto della stanza. Era tutto come l'aveva lasciato. Le mappe, il compasso, l'inchiostro e quella stupida penna d'uccello con cui si ostinava a voler scrivere. Disordinate, abbandonate sui fogli bianchi. Tutto parlava di lui, dei suoi gesti, la sua abitudine a lasciar cadere le cose. Come lanciava sulla scrivania la moneta che si rigirava tra le dita quando pensava. Emma sfiorò la moneta con la punta delle dita, il metallo ricordava ancora il tocco di lui. Si allontanò. Aprì l'armadio. Una ventata del suo odore l'assalì, un profumo caldo, rassicurante e violento di alcol e salsedine.
"Quando saremo a Storybrooke..." la sua voce bassa e roca interrotta dai gemiti era la cosa più eccitante che lui potesse darle. Chiuse gli occhi godendo il momento, poggiando la fronte sulla spalla di lei, mentre si muoveva ancora sopra di lei e dentro di lei.
"Cosa vorresti fare?" chiese lei sforzandosi di parlare, inarcando la schiena, avvicinandosi più a lui ed intrecciando le gambe a quelle di lui. Uncino alzò il viso, schiacciò la guancia distrattamente a quella di lei, non sapendo bene davvero quello che stava facendo, lo faceva sentire ubriaco. Emma si trovò col viso immerso nel collo di lui, con la barbetta ispida contro la sua faccia. Sentì allora il suo odore, inspirava aria intrisa di rum e pelle calda, mentre si avvicinava sempre più vicina al culmine. Uncino fece scivolare la sua unica mano sulla spalla di lei, oltre il braccio sul petto, fermandosi ad accarezzarla frenetico. Il respiro di lei accellerava ad ogni mossa, il ritmo di entrambi si fece più veloce.
"Restare con te tutta la notte," sussurrò ansimando "nel tuo letto a casa tua..."
La tenne poi stretta mentre la sentiva irrigidirsi sotto di lui e poi crollare pochi secondi dopo senza forze.

S'avvicinò a sfiorare la pelle nera dei vestiti liscia e morbida. Le piaceva come gli stavano addosso, erano audaci, gli disegnavano il fisico perfettamente. Sollevò qualcosa, una camicia nera. Se la schiacciò al viso. Prese un respiro profondo e si chiuse in apnea. Non voleva sporcare le sue cose con le lacrime. La stese e la lisciò stupidamente sul letto, contro le coperte bianche. Si avviò dall'altro lato del letto e stupidamente vi si rannicchiò contro. Le sembrava di essere ancora con lui. Avrebbe voluto altro tempo. Avrebbe voluto sbarcare con lui che le stava dietro seguendola, mentre portava Henry in braccio verso casa. Ed invece aveva camminato sola come un automa.
Era affianco a lei disteso su un fianco. "Te l'avevo detto che ne valeva la pena!" disse lui sorridendo malizioso e divertito come era suo solito fare.
"Uhm?" chiese lei prendendo aria senza neanche guardarlo, tenendo strette le lenzuola sul suo corpo nudo, fin sotto le braccia sul petto. Aveva capito che era arrivato il suo momento di auto compiacimento e non intendeva fargli da spalla.
"Sono bravo, tesoro!" portò la mano sana sotto il mento a tenersi la testa. Arrogante, ma felice o soddisfatto.
"Finiscila!" fece lei colpendogli il braccio.
Uncino si morse il labbro e lottò contro di lei cercando di afferrarla. Prese i polsi di lei con una sola mano e glieli bloccò sopra la testa, schiacciandosi intanto addosso a lei. Cominciò a guardarla di nuovo con malizia e parlare a voce bassa "Un giorno sarai tu a dirmelo!". Era la prima volta che parlavano al futuro.

Emma s'addormentò troppo stanca, troppe lacrime, troppo dolore, abbracciando la camicia di lui.
Quando si svegliò era ormai sera. Non c'era più luce e non aveva mai capito come lui facesse ad accendere quelle candele lì dentro. Si alzò, aprì i cassetti dell'unico comodino posto lì vicino. Cercò nel primo cassetto trovandolo vuoto. Aprì il secondo e qualcosa di luminoso catturò la sua attenzione. L'uncino. Lo sollevò ed il cuore cominciò a batterle forte. Se lo portò più vicino agli occhi per vederlo meglio. Anche il respiro si fece più veloce.
"Sei stupida?" chiese lui afferrandola per il polso con l'uncino mentre lei cercava di scappare. "Potevano prenderti. Potevano ferirti." disse lui veemente, arrabbiato, urlando.
Emma si liberò dalla sua presa e continuò a camminare nella foresta, allontanando prima un ramo poi un altro con le mani. "Non ne è successo, va bene?"
"Maledizione, Swan!" Non gli andava di seguirla ed aspettò che lei si voltasse e lo raggiungesse per trascinarlo via.
Emma prese un respiro profondo e tornò da lui faccia a faccia "Vuoi muoverti?" chiese anche lei arrabbiata ormai.
"Se tu muori, che ne sarà di tuo figlio?" chiese puntandole contro l'uncino, mentre lei lo fissa inespressiva "E.."
Le parole rabbiose di lui furono interrotte dalle labbra di lei. Iniziò un bacio violento che sapeva di rabbia e disperazione. Il primo di una lunga serie, prima di evitarsi a cena davanti a tutti e chiudere la serratura della porta della sua cabina.

All'improvviso tutta la disperazione che stava provando si chiuse su se stessa, scomparendo come sabbia nel vento. Non l'avrebbe mai accettato, non avrebbe mai avuto pace. L'avrebbe visto morire tutte le notti. Eppure il suo letto era pulito, l'uncino aveva riposato al sicuro in un cassetto. C'era pace lì dentro su quella nave. Tutto come l'aveva lasciato. Tutto riposava calmo. Non c'era disperazione lì. Non stava soffrendo, la febbre era passata, il dolore scomparso. La Jolly Roger era un inno al suo sorriso non alla sua morte.
Il cielo era scuro. Ormai non si vedeva più nulla. Cercò il cellulare in tasca, lesse l'orario. Henry era a casa ad aspettarla. Socchiuse la porta dietro di se come l'aveva trovata. Tornò sul ponte e scese sul molo. Diede un ultimo sguardo alla nave, stringendo l'uncino tra le dita. Un'improvvisa folata di vento caldo le colpì il viso e e tirò i capelli dietro le spalle. Non se ne sarebbe mai andato.

Tornò a casa, aprì la porta e trovò subito Henry ad abbracciarla ed i suoi genitori ad armeggiare per la cena dietro la cucina.
"Oh hai portato quell'arnese!" disse Mary Margaret, indicando l'uncino, guardandola e smettendo per un breve attimo di cucinare.
"Veramente," Emma sorrise con malizia nello sguardo e rispose di getto "avrei preferito prenderne un altro!" (1)
In quel momento seppe che Uncino, Killian Jones, sarebbe rimasto sempre con lei, dentro di lei.

Più tardi Emma baciò Henry e gli rimboccò le coperte. Si lasciò stringere per l'ultima volta, gli sorrise ed andò nella sua camera.
L'uncino era sul comodoino, si mise sotto le coperte e chiuse subito gli occhi rivolti verso la finestra e le stelle. Cadde in un sonno profondo.
La mano di lui scorreva sulla sua pancia, tra i seni, sul collo, sul viso. Emma piegò il viso aiutandolo a raggiungerla.
"Mi sei mancato."
Il petto di lui aderì alla sua schiena. Il suo mento era sulla spalla di lei. "E' stato difficile ammetterlo?" scherzò lui col sorriso malizioso baciandole quel piccolo punto tra il collo e la schiena, che le fece gettare il capo all'indietro e chiedere di più.
"Un po'." Emma si girò verso di lui. Gli prese la mano ed intrecciò le dita alle sue, come l'ultima volta. In quel momento ebbero un significato diverso. Restò a fissarle incantata. Alzò lo sguardo e trovò finalmente i suoi occhi azzurri di nuovo, vivi, incantati, sorridenti ma seri che la fissavano.
"Resterai con me stanotte?"
"Tutte le notti, tesoro!" si avvicinò a lasciarle un bacio sulla tempia "Tutte le notti."

 



(1) "Or is there another attachment you'd prefer?" 

 

Angolo dell'autrice

Ehm... Scusa?!?
Questa cosa mi è ronzata in testa all'improvviso e ho dovuto scriverla, ho dovuto farlo, capite?? E' la cosa più deprimente che abbia mai scritto! L'ho fatto ascoltando "How to save a life" e se me lo state per chiedere no, non sono depressa!
Però devo dire che non sono completamente soddisfatta, speravo di metterci più pathos! Ma lo farò presto... 
Ho quasi pronti i due capitoli comunque delle due storie, devo solo correggerli e pubblico tutto in una botta tra qualche giorno ;) aah le vacanze!
Recensioni?
Non mi vi vogliate male però!

  
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