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Autore: moonsvn    04/08/2013    5 recensioni
"Ed eccomi qui, al solito bar, giocherellando con il mio bicchiere di whisky, appena svuotato, dando occhiate al posto di fianco a me, aspettando te, sebbene sappia che non arriverai. Ma sono qui, comunque, con una biro in mano e un foglio davanti. Ci credi? Io, Damon Salvatore, che scrive una lettera. Una lettera verso una persona che non la leggerà mai. Una lettera che accompagnerà le altre 10 che ho scritto."
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Il rumore della porta del bar che sbatteva mi distrasse e alzai lo sguardo. Il locale era quasi vuoto, ma che ora erano? Diedi un’occhiata all'orologio.
01:00. Tardi.
Presi il foglio che fino a pochi secondi fa stavo scrivendo e uscii, dirigendomi verso casa. Sperai che Elena stesse dormendo, altrimenti avremmo dovuto continuare quella stupida discussione. E la mia voglia era sotto zero. Infilai le chiavi nella serratura, girandole e aprendo piano la porta.
Genere: Erotico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alaric Saltzman, Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DEAR ALARIC





Perché alla fine, quando perdi una persona, ogni candela, ogni preghiera non compenserà
mai il fatto che l’unica cosa che ti rimane è un vuoto nella tua vita al posto della persona
che amavi tanto e una lapide,
con incisa una data di nascita sicuramente sbagliata.


 

          Ed eccomi qui, al solito bar, giocherellando con il mio bicchiere di whisky, appena svuotato, dando occhiate al posto di fianco a me, aspettando te, sebbene sappia che non arriverai. Ma sono qui, comunque, con una biro in mano e un foglio davanti. Ci credi? Io, Damon Salvatore, che scrive una lettera. Una lettera verso una persona che non la leggerà mai. Una lettera che accompagnerà le altre 10 che ho scritto.
Se mi manchi? Oh sì, tremendamente.
Il tuo nome mi ritorna in mente spesso, molto più di quanto avrei mai potuto immaginare.
Sono stato un grande bastardo con te, ti ho trasformato la moglie in vampiro –sebbene fosse una sua decisione- e ti ho ucciso non una, ma due volte. Eppure  sei andato oltre tutto il male che ti ho procurato, scavandomi in fondo, cercando di capirmi, di aiutarmi, fino a formare un’amicizia. L’unica amicizia che ho davvero avuto e probabilmente l’unica di cui mi è davvero importato.
Mi mancano le nostre bevute e i nostri piani attenti e qualche volta anche stupidi, mi manca scherzare con te, mi mancano persino i tuoi rimproveri e le tue fastidiose dritte su come avrei dovuto comportarmi con gli altri, con lei.
Lei, Elena.
Ehi amico, ti ricordi? “Prenditi la ragazza.” mi hai detto prima di andartene per sempre. Prima di lasciarmi solo in questo casino e buco di Mystic Falls. Oh, a proposito, questo non te lo perdonerò mai e poi mai. Mi hai lasciato con un branco di bambini e con una fidanzata che non fa altro che combinare guai.
Già, fidanzata.
Ce l’ho fatta.
E’ mia, Ric.
Alla fine ha scelto me, nonostante il fatto che io sia uno stronzo, nonostante il fatto che io sia egoista e nonostante il fatto che nella mia vita abbia fatto delle scelte pessime, e continuerò a farle. Ancora non realizzo, insomma, io sono il fratello cattivo, no? Ero più che sicuro che sarebbe rimasta con Stefan. Lui è quello perfetto, quello che non sbaglia mai, quello che sceglie bene e che non la farà mai soffrire. Non io. E questo mi dispiace, so di essere la persona più sbagliata per lei e non voglio che lei stia male, non voglio che lei stia male a causa mia. Ma io non posso cambiare, non così tanto. Già il fatto che non uccida più, è più di quanto potessi fare. Sai, mi ero ripromesso che niente mi avrebbe mai ‘aggiustato’, che sarei rimasto sempre il tipo misterioso senza rimorso e menefreghista. E soprattutto, mi ero ripromesso che non l’avrei mai fatto per una donna, perché questo avrebbe voluto dire solo una cosa: che c’ero ricascato, mi ero ancora una volta innamorato! E non  doveva accadere.
Poi è arrivata lei, mi ha stravolto tutti i piani.
Ha smosso il mio cuore, fino a farlo ricominciare a battere.
Mi è entrata dentro, come un uragano, e mi ha illuminato, come un sole.
Lei è il mio sole, lo è sempre stata e probabilmente sempre lo sarà.
Quella sera, quando mi ha detto che mi amava, mi sono sentito per la prima volta felice. Felice come non mai, felice come non lo ero stato nemmeno con Katherine.
Sono andato fuori di testa, vero?
A mia difesa, dico che è tutta colpa sua.
Certo, passiamo il nostro tempo a punzecchiarci, finendo col discutere quasi sempre, ma ogni litigio sfocia nel nostro letto, tra passione e voglia l’uno dell’altro.
E senti questa: vuole prendere un cagnolino! Un cagnolino! Io non sopporto gli animali, lo sa benissimo, ma lei si è fissata, vuole un cane, e sai quanto può essere cocciuta quando ci si mette. Ma non glielo permetterò, non voglio avere un mini-lupo che giri per casa e faccia i suoi bisogni dove gli pare e piace. Se lo può scordare. Abbiamo litigato per quello, prima.
Lei che mi ripeteva “Dai, ti prego! Ti prego! Damon!” e io che ribattevo sempre con un “No” secco. Non cambierò idea, non stavolta.
 
Il rumore della porta del bar che sbatteva mi distrasse e alzai lo sguardo. Il locale era quasi vuoto, ma che ora erano? Diedi un’occhiata all’orologio.
01:00. Tardi.
Presi il foglio che fino a pochi secondi fa stavo scrivendo e uscii, dirigendomi verso casa. Sperai che Elena stesse dormendo, altrimenti avremmo dovuto continuare quella stupida discussione. E la mia voglia era sotto zero. Infilai le chiavi nella serratura, girandole e aprendo piano la porta.
Silenzio. Troppo silenzio.
Mi diressi verso il soggiorno, il camino era ancora acceso e c’era una figura davanti a questo.
“Elena.”
La chiamai, riponendo la giacca sull’attaccapanni e accurandomi che non si intravedesse la lettera. Lei si girò lentamente, deglutendo e guardandomi quasi spaventata. Un piccolo sorriso le nacque sulle labbra, per niente rassicurante. Un bruttissimo presentimento si fece largo dentro me.
“Damon, prima che tu dica qualcosa e che ti arrabbi…”
Sentii dei piccoli passi al piano di sopra. Non poteva averlo fatto, oh no che non poteva. Mi fiondai nella mia camera da letto, aprendo con forza la porta.
Sbiancai.
Una palla di pelo marroncina mi guardava con due grandi occhioni neri, scrutandomi incuriosita e avvicinandosi a me. Mi allontanai bruscamente, prima che iniziasse a leccarmi le scarpe.
“ELENA!”
Tuonai, così forte che sentii il mio eco rimbombare tra le pareti della casa.
“Ops…”
“Riportalo da dove l’hai preso!” ordinai, con un tono che non ammetteva prediche.
“…” Mi guardava, con quegli occhi di cerbiatto. Quei bellissimi occhi da cerbiatto.
“Questa volta non vinci.”
“…” Mi implorava con lo sguardo. Porca miseria, smettila!
“Non guardarmi così. Ho detto di no.”
Si imbronciò come una bambino a cui si toglie il suo giocattolo preferito perché non voleva mangiare le verdure. Spostai il mio sguardo da lei alla piccola creatura che aveva di fianco. Saettai i miei occhi dall’una all’altro più volte, soffermandomi sul cane. Sembrava volesse dire “non cacciarmi, tienimi con te, ti prego.”
Dopotutto non era così male, era dolce
Sospirai, rassegnato. Aveva di nuovo vinto lei.
Le labbra della mia ragazza si inarcarono fino a formare un sorriso a trentadue denti, felice come un bambino a cui gli si ridà quel giocattolo tolto pochi attimi prima.
“Lo sapevo che non avresti resistito!”
Disse, prendendo in braccio il batuffolo e giocando con lui.
“Posso ancora cambiare idea.” Sbuffai.
Non era possibile che alla fine cedessi sempre.
“E’ un maschietto, comunque!”                                          
Li lanciai un’ultima occhiata, per poi ritirarmi. Entrai nella stanza da letto, togliendo la maglietta e buttandola da una parte qualsiasi, aprii il cassetto per metterne un’altra. Elena lasciò andare l’animale, raggiungendomi e richiudendo l’armadio. Per alcuni secondi restammo così, lei appoggiata al mobile e io di fronte a lei, l’uno negli occhi dell’altra.
“Grazie.” Sussurrò dolcemente, incastrando le sue mani dietro la mia vita e appoggiando la testa al mio petto. Sollevò di poco la testa, nello stesso istante in cui io abbassai la mia, permettendo un minimo contatto alle nostre labbra. La strinsi più forte a me, agevolando l’approfondimento di quel bacio. La alzai, adagiandola sulla superficie dietro di lei, e continuammo quell’intreccio di lingue che si rincorrevano e si trovavano, bisognose l’una dell’altra. Ormai sovrastato da ogni emozione possibile in quel momento, le tolsi con foga la maglia, iniziandole a lasciare piccoli baci partendo dal lobo dell’orecchio per arrivare sul collo -dove mi soffermai di più- e scendendo ancora più giù, fino all’ombelico e all’elastico dei pantaloni. I suoi gemiti riempivano le mie orecchie e in quel momento non avrei mai potuto pensare ad un suono che fosse così bello. La presi in braccio, stendendola sul letto e ricatturando le sue labbra con le mie. La sua mano vagava sul mio petto e sulla mia schiena, perlustrando ogni lembo di pelle scoperto, fino ad arrivare alla cinta, che slacciò ormai pratica. Mi sollevai sui gomiti, guardandola. Eccitata quanto me, desiderosa quanto me. Sorrisi, aiutandola nel togliere i miei jeans, troppo stretti e fastidiosi in quel momento. La ricoprii, nuovamente, di baci, fermandomi sull’incavo dei seni, questa volta, e in contemporanea feci scendere le mie dita verso la sua intimità, ascoltando ogni suo ansimo e gridolino, soddisfatto del fatto che fossi io a procurarglieli.
E poi tutta la magia di quel momento si ruppe, in un solo e semplice istante. Lì, sull’anta della porta, il cane abbaiava, cercando la nostra attenzione. Gli buttai qualche oggetto contro, il primo che mi capitò sotto mano, non sapevo di preciso cosa. Ma lui continuò ad abbaiare, ancora più forte di prima, testardo.
“Ha fame.”
Obbiettò Elena.
Capendo che non potevamo proprio continuare e che saremmo  rimasti insoddisfatti –per ora- entrambi, mi buttai al suo fianco, borbottando mentre lei si alzava dal materasso.
“Nemmeno due ore che quel coso è qui e già fa danno, non ci credo!”
“Voglio chiamarlo Ric, Damon. So che ti manca, era il tuo migliore amico, e manca anche a me, vorrei qualcosa, o qualcuno” , lanciò un’occhiata al quattro zampe di fronte a noi che continuava ad abbaiare, “che lo ricordi.”
“Mai nome più azzeccato, entrambi con un tempismo di merda ed entrambi rompicoglioni.”
Lei ridacchiò, allontanandosi col cane e portandolo non so dove per farlo mangiare.
Io scesi nel salone, rintanandomi col mio bourbon per alleviare l’insoddisfazione del non aver completato il lavoro con Elena.
Recuperai la lettera e la biro, appoggiandomi sulla scrivania e finendo, almeno, di scrivere.
 
Dicevo? Ah sì, che non avrei cambiato idea? Rimangio tutto. Ha vinto ancora lei, vince sempre lei e probabilmente vincerà sempre lei.
L’abbiamo chiamato Ric, amico. Come te.
Sai, è venuto a disturbarci in un momento molto, troppo, delicato, proprio come facevi tu, dio quanto ti odiavo in quei momenti.
Penso che questa sia l’ultima lettera che ti scriverò, ora, oltre ad avere una ragazza a cui badare, ho anche un animale! Mi sono cacciato in un bel guaio, eh?
Vorrei ringraziarti, è tutto merito tuo, tu hai creduto in me, sempre, e hai fatto in modo che io credessi in me e che non rinunciassi ad Elena per niente al mondo. Mi hai aiutato quando ne avevo più bisogno e mi hai accettato come pochi sanno fare.
Quindi, caro Alaric, grazie mille.
Ci vediamo quando qualcuno mi infilerà un paletto nel cuore o mi farà prendere fuoco.
Con non-odio,
Damon.



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