Snacks
-Quel calo di
zuccheri di troppo-
Touko
saltellò impazientemente sulle punte, allungando il collo per cercare di
gettare lo sguardo oltre la fila di studenti che si poneva tra lei e i
distributori automatici.
Neanche
a dirlo, era l’ultima, e la campana che segnava l’inizio delle attività
pomeridiane sarebbe suonata a minuti.
«Dai,
dai...» mormorò tra i denti, stringendo nel pugno la sua unica, preziosissima
moneta da 100 yen.
Thump.
Un’altra
merendina cadde nel cassetto di ritiro prodotti della macchinetta, un ragazzo
la prese e la fila si mosse di qualche centimetro.
Lo
stomaco di Touko gorgogliò rumorosamente. Voleva solo uno Shokobol. Solo una
piccola, ipercalorica barretta di wafer ricoperto di cioccolato, che le avrebbe
evitato di svenire. Era chiedere tanto, dopo la giornata infernale che aveva
passato?
Thump, eccone un altro che se ne andava. Ne
rimanevano... tre, forse quattro. Ma le patatine erano passate di moda? I cari
vecchi biscotti alla nocciola da 150 yen non li voleva più nessuno?
«Che
cosa prendi oggi, Haruka?»
«Non
lo so, ho voglia di dolce... uno Shokobol, magari?»
No. cercò
di convincerla telepaticamente Touko. Tu
non vuoi uno Shokobol. Vuoi dei biscotti, dei biscotti.
Biiiiisssssscoooooottttt-
Thump.
La
ragazza di nome Haruka prese il suo Shokobol dal cassetto e se ne andò insieme
alla sua amica, sorridendo allegramente, proprio mentre la campana suonava la
fine della pausa pranzo.
Diamine,
diamine, diamine.
Touko
recitò mentalmente ogni preghiera che conosceva, mentre i due ragazzi davanti a
lei sceglievano - con lentezza insopportabile -
delle caramelle e dei Pocky.
Tenendosi
una mano premuta sullo stomaco per impedirgli di brontolare come un orso a
digiuno da sei mesi, Touko coprì in un lampo l’ultimo passo che la separava
dalla macchinetta.
«Ti
prego, EMI,
ti prego...» mormorò, inserendo i suoi 100 yen. «Io non piaccio a te e tu non
piaci a me, ma ti scongiuro, solo per
questa volta, vedi di funzionare...»
Digitò
sul tastierino numerico il codice degli Shokobol: 1010.
Non
successe nulla. Nessun beep, nessun ronzio di ingranaggi in azione.
Touko
si morse un labbro. «Non fare così, dai...» Provò a digitare nuovamente il
numero: ancora nulla. Il display fece lampeggiare il prezzo un paio di volte. Sconfitta,
la ragazza premette il pulsante di restituzione delle monete, ma ovviamente
anche quell’azione non produsse risultati.
«Non
è possibile...»
Lo
stomaco di Touko fece il rumore di un vulcano in piena eruzione, mentre la
ragazza scivolava lentamente in ginocchio. «Non è possibile, non è possibile,
non è possibile, nonèpossibile...»
ripeté a fior di labbra, come un mantra.
Sarebbe
morta. Se entro qualche minuto non avesse avuto accesso ad una qualsiasi fonte
di zuccheri, sarebbe sicuramente morta. E non era pronta a morire! Aveva ancora
tante cose da fare, tanti posti da vedere, magari qualche delusione d’amore su
cui piangere e decadi di vecchiaia da passare a dondolarsi su un’antica sedia
di quercia in un cottage di campagna, lavorando all’uncinetto maglioni per i
suoi nipotini in piena estate: non poteva morire adesso!
Era
tutta colpa di EMI.
Quella stupida, dannata macchinetta; come poteva odiarla tanto? Nei due anni
che aveva passato alle superiori, Touko aveva stimato che la dannata le avesse
mangiato i soldi, in media, sette volte su dieci. Una media sconcertante anche
per il peggiore dei distributori automatici, eppure lei sembrava l’unica
studentessa a soffrirne. «Sei proprio
sfortunata,» le aveva detto una volta Belle, una sua compagna di classe. «A me non è mai successo. E neanche a
nessuno che conosco, ora che mi ci fai pensare...»
Mentre
era lì, accucciata e sofferente, a fissare lo spettro della morte che si
avvicinava ad ampie falcate, Touko sentì montare dentro di sé una gran rabbia.
Perché dovevano capitare tutte a lei? Perché doveva trovarsi contro perfino uno
stupido distributore di merendine?
«Io...
io ti distruggerò.» dichiarò, premendo le mani sul vetro per rialzarsi. «Ho sopportato,
sopportato, sopportato sempre, ma adesso basta. È arrivata la tua ora.»
E
quando Touko prendeva una decisione, fosse essa dettata dalla ragione, da un
ideale o da un semplice calo di zuccheri, non c’era modo di farla tornare sui
suoi passi.
«Il
punto è: come faccio...?»
Si
prese qualche momento per rifletterci. Distruggere fisicamente EMI, con una spranga, un martello
pneumatico o ancor meglio dell’esplosivo, sarebbe stato il metodo più veloce ed
efficace – nonché soddisfacente – ma purtroppo dubitava che sarebbe riuscita a
non farsi beccare con le mani nella marmellata. Senza contare che reperire
della nitroglicerina sarebbe stato piuttosto macchinoso: sarebbe dovuta tornare
a casa per togliersi l’uniforme, prendere la metro fino a Ikebukuro per trovare
qualcuno che le vendesse dei documenti falsi, spacciarsi in qualche modo per-
okay, far esplodere EMI era
fuori discussione.
Questo
le lasciava ben poche alternative, ma Touko non disperò. Camminò avanti e
indietro davanti alla macchinetta per almeno mezz’ora, pensando e ripensando a
quello che avrebbe potuto fare, finché finalmente un’idea la colpì. «Ma certo!»
esclamò, battendosi un pugno sul palmo. Rivolse ad EMI
un sorriso a trentadue denti. «Distruggerti sarebbe troppo semplice, troppo
banale. Io ti sottrarrò la ragione della tua stessa esistenza, dopo averti
sbeffeggiata ed umiliata.»
A
dire il vero, il suo piano era piuttosto semplice: se non poteva distruggere EMI
dall’esterno, l’avrebbe boicottata all’interno. Un filo strappato di qui, un bullone
svitato di là, e la macchinetta avrebbe incominciato a dare i numeri,
mostrandosi per l’infame ladra che era anche di fronte al resto dell’istituto.
Da lì in poi sarebbe stato tutto in discesa: gli studenti avrebbero smesso di
usarla, si sarebbero lamentati col Consiglio Studentesco, qualcuno ci avrebbe
appiccicato sopra un foglio di quaderno con su scritto “GUASTA” e infine l’avrebbero
sostituita.
Era
perfetto. Doveva solo trovare un modo per procurarsi le chiavi per aprire EMI, ma probabilmente sarebbe bastato
strappare la spina ed aspettare che qualcuno chiamasse il tecnico.
Touko
ridacchiò. A volte si stupiva della sua stessa genialità.
Ma,
come tutte le cose, anche quel piano aveva bisogno di un piccolo tocco di
classe.
«Questo
te lo offre la casa.» gongolò, tirando fuori da una tasca dell’uniforme il
pennarello che aveva usato durante l’ora di disegno.
Non
capitava spesso che nella sua scuola venissero vandalizzati dei beni pubblici –
anzi, sarebbe più corretto dire che non succedeva mai. Chissà che faccia
avrebbero fatto i suoi compagni (e i professori!) quando avessero visto il
distributore automatico del secondo piano guardarli storto e ringhiar loro
contro con i suoi denti d’inchiostro.
Stava
giusto accennando il primo dente aguzzo, canticchiando «Disonore a te ~
Disonore a te~» quando, contro ogni previsione, una voce la fece sobbalzare:
«Che
cosa stai facendo?»
Il
cuore di Touko cominciò a battere all’impazzata.
Cavolo, cavolo, cavolo. A nemmeno due minuti dall’ideazione del suo
piano perfetto, era già stata beccata. Non era così che andava, nei film.
Si
girò molto lentamente, cercando con lo sguardo una possibile via di fuga, ma i
distributori automatici erano infognati alla fine di un corridoio cieco, quindi
anche se fosse riuscita a compiere uno scatto abbastanza veloce-
«Oddio.»
si lasciò scappare, realizzando chi aveva di fronte.
Touko
non si era mai particolarmente interessata ad Ichinose Touya; lo conosceva di
vista perché avevano frequentato la stessa scuola media, ma non si distingueva
dagli altri in alcuna maniera particolare, ragion per cui non credeva di averci
mai nemmeno parlato.
Nella
sua mente, era catalogato come “Ichinose Touya, il ragazzo di cui parla sempre
Belle”, “Ichinose Touya, quello che ogni tanto si ferma a parlare con
Araragi-sensei”, “Ichinose Touya, quel tizio”...
...o,
più spesso negli ultimi tempi, “Ichinose Touya, sottosegretario del Consiglio
Studentesco”.
Touko
deglutì a vuoto. Come al solito, se c’era mezza possibilità che le cose
andassero peggio di come stavano già andando, il destino ci si buttava senza
alcuna esitazione.
Sarebbe
finita direttamente in sala professori, e da lì in detenzione. Probabilmente
l’avrebbero portata dal Preside. Magari sarebbe stata anche denunciata alla
polizia per vandalismo. E i suoi genitori l’avrebbero uccisa.
Questo,
si disse, se Ichinose Touya avesse parlato.
Il
suo cuore accelerò. Strinse i pugni, piegò leggermente le gambe. Sarebbe
bastato un colpo ben assestato nel punto giusto, e il ragazzo sarebbe partito
per il mondo dei sogni – oppure sarebbe morto, ma al momento occultare un
cadavere le sembrava molto meno problematico che varcare la porta dell’ufficio
del Preside.
Aveva
quasi finito di prepararsi psicologicamente a mettere KO un altro essere umano (È la cosa giusta da fare, devi farlo, andrà
tutto bene, stai tranquilla...), quando il ragazzo di fronte a lei spostò
appena il peso da un piede all’altro, raddrizzò la schiena e alzò le braccia in
posizione di guardia, con la massima naturalezza.
Ah,
giusto. “Ichinose Touya, cintura verde, membro attivo del club di karate della
scuola”. Come aveva potuto dimenticarlo?
Le
spalle di Touko crollarono. D’accordo, era finita.
Abbassò
lo sguardo, aspettando di essere rimproverata, o minacciata, o presa per le
orecchie, o che le venissero quantomeno letti i suoi diritti.
Non
successe nulla.
Quando
rialzò gli occhi, Ichinose Touya la stava semplicemente guardando.
«Potresti
mettere via quel pennarello, per favore?» le chiese, gettando un’occhiata
all’altro lato del corridoio. «Se arrivasse qualcuno sarebbero guai.»
Touko
sbatté le palpebre, stupita, ma si trovò ad ubbidire senza quasi rendersene
conto. «Buffo, credevo che fosse già arrivato
qualcuno.» si azzardò a dire, mentre rimetteva il pennarello in tasca. «Ichinose-senpai.»
Non
sapeva fino a che punto fosse saggio ricordare a chi l’aveva beccata che aveva
il dovere di denunciarla, ma era certa che fosse sempre bene dare al nemico
l’impressione di sapere tutto su di lui. Sicurezza e spavalderia prima di tutto,
Touko: fagli vedere chi sei.
Il
ragazzo alzò le spalle. «È stata una brutta giornata.» disse. «Non ho una gran
voglia di tornare in sala professori.»
«Stai
dicendo che per stavolta puoi chiudere un occhio?»
«Se
torni in classe di corsa e prometti di non vandalizzare mai più le proprietà
scolastiche, sì.»
Touko
rimase a guardarlo per qualche secondo, pensosa. Era salva. Almeno in teoria,
aveva scampato la tragedia sul filo del rasoio. Eppure... mancava ancora
qualcosa. Forse poteva permettersi di rischiare.
Incrociò
le braccia, decisa. «No.»
Ichinose
spalancò gli occhi, basito. «Come, scusa?»
«È
di vitale importanza, » spiegò Touko, «che io finisca quello che stavo
facendo.»
«Mi
stai dicendo...» riepilogò Ichinose, con una punta di scetticismo pienamente
comprensibile, «che vuoi vendicarti
di un distributore automatico?»
«Non
è un semplice distributore automatico. Lei è malvagia!» esclamò Touko, indicando l’etichetta adesiva appena
sopra il tastierino numerico della macchinetta. «Guarda, sta anche nel nome:
tutti pensano che “EMI”
stia per “Eiichi Mananobe Industry”, ma è palese che in realtà siano le
iniziali di “Evil Mastermind Inc.”!»
Ichinose
fece una smorfia, ma pareva più che altro divertito dallo straparlare di Touko.
«Capisci anche tu che non è possibile che una macchina abbia una particolare
avversione nei tuoi confronti, vero?»
«Ma
è così!»
L’esclamazione
di Touko fu sottolineata dal gemito disperato del suo stomaco, che rimbombò
fino in fondo al corridoio deserto. La ragazza si portò una mano alla pancia e
gemette a sua volta, chiedendosi quanto le rimanesse ancora da vivere.
Ichinose
sorrise. «Facciamo una prova.» propose, avvicinandosi di un passo. Tirò fuori
dal portafogli 100 yen, li inserì nella macchinetta e digitò 1010 sul
tastierino.
Thump.
Touko non fu nemmeno troppo stupita di veder cadere uno Shokobol nel cassetto
di ritiro.
Ichinose
lo prese e glielo porse, ma lei si limitò a sbattere le palpebre. «Non te l’ho
chiesto.» disse, spingendo in un angolo remoto della sua mente la voglia quasi
irresistibile di mangiare quella merendina in un solo boccone, carta compresa.
«E
io te lo sto dando lo stesso. Come membro del Consiglio Studentesco, è mio
dovere assicurarmi che nessuno svenga nei corridoi.»
Touko
arricciò le labbra, dubbiosa. Il comportamento di quel ragazzo la insospettiva
– sul serio, chi aveva nominato sottosegretario un tipo che non solo non
denunciava atti di vandalismo compiuti davanti ai suoi occhi, ma in più
regalava cibo ai sopracitati vandali? – ma alla fine si arrese alla fame.
«Beh,
allora grazie, senpai.»
Sentire
il sapore del cioccolato sulla lingua dopo tante ore di digiuno fu come essere
stata sparata direttamente in paradiso, angeli canterini e tutto. Touko chiuse gli
occhi e si lasciò scivolare per terra, la schiena contro EMI. Che bella cosa, il cibo. Un solo
morso e si sentiva già incredibilmente più in pace con sé stessa: l’ansia, la
rabbia, l’irritazione e lo spirito vendicativo scivolarono via dalla sua mente come
acqua tra le dita.
«Kisaragi-san...?»
Touko
spalancò gli occhi di scatto: si era quasi dimenticata di Ichinose, che ora le
stava rivolgendo un mezzo sorriso.
«Scusa,
per un attimo ho pensato che ti stessi sentendo male.»
Sottile è il confine tra lo stare
male e il sentirsi straordinariamente bene... pensò Touko, ma
non era quello ad aver colto la sua attenzione. «Sai come mi chiamo?»
«Anche
tu.» disse lui, appoggiandosi alla macchinetta. Rimase a fissare il muro per
qualche secondo, prima di continuare: «Kisaragi Touko-san, seconda classe della
terza sezione. Sei venuta a lamentarti al Consiglio Studentesco un paio di
volte.»
Touko
alzò un sopracciglio. «E tu ricordi tutti quelli che vengono a chiedervi fondi
per il loro club o nuovi gessetti per la classe?»
«Quelli
che “Ti sto chiedendo dei dannati gessetti, Cheren!”, sì.»
Touko
fece schioccare la lingua. Adesso che ci pensava, aveva dato abbastanza in
escandescenze, un paio di mesi prima. Colpa di Cheren, che evidentemente
considerava dei normalissimi gessetti bianchi armi di distruzione di massa, da
maneggiare con cautela e distribuire solo ai collaboratori più fidati.
Ichinose
ridacchiò. «Cos’è, pensavi che fossi una specie di stalker? Un tuo ammiratore
segreto, magari?»
Touko
si strinse nelle spalle, ma non poté evitare di arrossire un pochino. «Non ci
si può fidare di nessuno, al giorno d’oggi. E tu mi hai offerto dei dolci,
questo ti rende automaticamente sospetto.»
«Ah,
a proposito.» Ichinose si raddrizzò e le porse una mano, con cui l’aiutò a rialzarsi.
«L’esperimento non è ancora finito. Tieni.» Le mise in mano 100 yen, che Touko
guardò come se si fosse trattato di una sostanza aliena e potenzialmente
cancerogena.
«Con
me ha funzionato, prova tu.» la invitò il ragazzo.
Touko
alzò le spalle. «Come ti pare, se vuoi buttare cento yen. Ho una media di sette
su dieci, ti avviso.»
Inserì
la moneta, in realtà già certa che questa volta EMI
avrebbe
funzionato, per il puro gusto di smentire le sue parole.
Invece,
quando Touko digitò il codice, non successe nulla. La ragazza si voltò di
scatto verso Ichinose, il petto colmo di un’improvvisa quanto immotivata
soddisfazione. «Hai visto? Te l’avevo detto!»
Lui
sembrava sul punto di scoppiare a ridere, ma strinse le labbra per trattenersi
e le diede un’altra moneta. «Dai, riprova.»
Riprovarono
altre quattro volte, ed ogni volta il risultato fu lo stesso. Touko si sarebbe
sentita incredibilmente irritata, se l’indisponenza di EMI non fosse servita a provare la sua
teoria. La macchinetta si stava fregando con le sue stesse mani. Cioè,
ingranaggi. Molle. Fili. Che cosa c’era, esattamente, dentro un distributore
automatico?
«Okay,
è il momento della prova del nove.» dichiarò Ichinose, imponendosi una serietà
quasi esagerata mentre inseriva un’ultima moneta nel distributore. Si voltò
verso Touko, che annuì con altrettanta autoimposta serietà.
Digitò
il codice.
Thump.
Appena
lo Shokobol toccò il fondo della macchinetta, i ragazzi si guardarono e
Ichinose scoppiò a ridere, come se si fosse trattato della cosa più divertente
del mondo. «Io... non ci posso credere...»
«Te
l’avevo detto, io, te l’avevo detto!» ghignò Touko, soddisfatta.
«Non
ci credo lo stesso!»
Continuò
a ridere per parecchio tempo, tanto che Touko si chiese se ci fosse modo di
farlo smettere.
«Senpai?
Terra chiama Ichinose-senpai?» Gli sventolò una mano davanti alla faccia,
ridacchiando, e lui finalmente riuscì a smettere di sghignazzare.
«Ah,
riguardo a quello...» disse, ancora affannato, «Smettila pure con il “senpai”,
mi suona strano. Non abbiamo neanche un mese di differenza, se ricordo bene.»
Dai
ricordi di Touko riemerse, in effetti, una Belle esaltata che le raccontava di
come Ichinose Touya avesse fatto la primina, e di quanto lei fosse triste di essere
nata in Agosto. Certo che gliene aveva raccontati, di dettagli assolutamente
inutili e casuali su quel ragazzo.
«Quindi...
Ichinose-san?» ragionò, ad alta voce. «No, Touya-kun?»
L’aveva
detto per scherzo, con un sorriso da furbetta stampato sulla faccia, pronta a
sentirsi dire che il cognome bastava ed avanzava.
«Sì,
è perfetto.» disse invece il ragazzo, senza un attimo di esitazione.
Quella
risposta la lasciò interdetta, ma solo per un secondo. Dopo tutto, c’erano
persone meno predisposte alla formalità di altre.
«Allora
anche tu lascia perdere il “Kisaragi-san”. Touko va più che bene.» propose, con
un sorriso.
«Touko...
chan?»
«Ti
prego!» replicò lei, disgustata. «Il “chan” mi dà la nausea, è appiccicoso come
una caramella andata a male. Solo mia madre mi chiama così.»
«Touko-san,
allora?»
La
ragazza gonfiò le guance. «Solo “Touko” va bene, non attaccarci niente.»
Lui
spalancò gli occhi. «Ma non posso! Sei una-»
«To-u-ya-kun.»
sillabò Touko, avvicinandosi a lui con fare minaccioso. Il ragazzo arretrò fino
ad avere la schiena contro EMI,
colto alla sprovvista. «Solo perché indosso una gonna non significa che voglia
essere trattata come il resto delle oche che girano per la scuola. Okay?»
«O-okay.»
disse Touya, che d’un tratto si era fatto rosso in viso. «To... Tou...»
«È
ridicolo, assolutamente RIDICOLO!»
Un
improvviso ed assolutamente terrificante rumore di passi nel corridoio li fece
sobbalzare, troncando il discorso di netto.
«Come
facciamo a perdere membri del
Consiglio Studentesco? Non è ammissibile! Dovranno essere presi dei
provvedimenti!»
Touko
aveva già sentito quella voce...
«Dannazione,
è Cheren.»
Touko
sentì il braccio venire strattonato violentemente e un attimo dopo si ritrovò
con la schiena contro il muro, la visuale sul corridoio oscurata dal
distributore delle bibite.
«Scusa.»
sussurrò Touya, ad un palmo dal suo viso.
«Come
se non bastassero i problemi scatenati da quella sottospecie di idol!» continuò
la voce di Cheren, che si stava facendo sempre più vicina. «Da quando si è
trasferito qui, le studentesse sembrano essere andate completamente fuori di
testa... Sai in quante hanno iniziato a marinare regolarmente l’ora di
autogestione? Sai quante riunioni straordinarie ho dovuto programmare con i
capoclasse, i professori e quel buono a nulla del nostro preside?»
Tu-tum, tu-tum, faceva
il cuore di Touko, pulsandole nelle orecchie come un tamburo. Per pura divina
provvidenza era riuscita a non farsi denunciare dal sottosegretario, ma se si
fosse fatta beccare sul luogo del crimine con un pennarello in tasca proprio
dal Presidente del Consiglio Studentesco...
oh, sarebbero stati guai. Guai enormi.
Come
se non bastasse, essere costretta in quello spazio angusto a pochi centimetri da
Ichi- sì, beh, Touya, la stava mettendo parecchio a disagio. Da quando si era
avvicinato a lei, Touko aveva iniziato a sentire un profumo tutt’intorno, il
profumo di uno di quei bagnoschiuma che usavano i ragazzi, e che sapevano di
mare e di fresco e di pulito...
I
suoi occhi incontrarono quelli di Touya – castani, assolutamente ordinari,
assolutamente... splendidi – e d’un tratto venne colpita da una realizzazione:
l’avrebbe baciata.
Era
scritto nel suo sguardo, nel suo profumo, nella mano che non le aveva ancora
lasciato il braccio, nel cuore di Touko che batteva l’allegretto come un
metronomo: era il momento giusto, e l’avrebbe baciata.
Per
questo, quando Touya la prese per le spalle, quasi non si accorse di essere
stata spinta a terra.
«Va
meglio?» chiese il ragazzo, con un’aria terribilmente preoccupata. Si era
inginocchiato di fronte a lei. «Credo che sia comunque meglio portarti in
infermeria.»
Touko
lo fissò stranita, e non capì che cosa gli stesse passando per la testa fino ad
un paio di secondi dopo, quando la figura di Cheren si stagliò sopra di loro,
simile in tutto e per tutto ad un’apparizione demoniaca.
«Ma
guarda un po’, il sottosegretario perduto.» disse, in tono sprezzante. «Via un
altro dalla lista, Dent! Quanti ne restano?»
«T-tre,
Presidente.» rispose il ragazzino dall’aria terrorizzata dietro di lui.
Cheren
si passò una mano sulla faccia. «Sono come un pastore che tenta di radunare il
suo gregge di pecore idiote.» mormorò tra sé. «Ichinose! Si può sapere dove ti
eri cacciato?»
Touko
fu sicura di vedere Touya sbiancare e deglutire a forza prima di rispondere.
«G-giuro che stavo venendo in riunione, Presidente, è che-»
«“Giuro
che stavo venendo”, “Mi stavo giusto avviando”, “Mi è morto il gatto”, “Ho
perso la borsa”.» sbottò Cheren. «Ma si può sapere che prende a tutti oggi?
Dovevamo essere in riunione mezz’ora fa, eppure non si è presentato nessuno. E adesso tocca a me andare a-
chi è lei?» s’interruppe, accorgendosi finalmente di Touko.
Sono stata in classe con te per
quasi otto anni. avrebbe volentieri risposto lei, ma vide
bene di trattenersi.
«L’ho
trovata qui poco fa, non si è sentita bene.» spiegò Touya. «Probabilmente si è
trattato di un semplice calo di zuccheri, ma non si sa mai... credo che dovrei
portarla in infermeria.»
Cheren
sospirò. «Sì, dovresti.» disse, sistemandosi gli occhiali. «La riunione è
posticipata alle 16, dato che i nostri colleghi giocano a nascondino. Ti
converrà esserci.»
«Certo,
Presidente.» annuì Touya, serissimo. Si voltò verso Touko e le porse la mano.
«Vieni, ti porto giù.»
L’aiutò
ad alzarsi e le mise un braccio intorno alle spalle, per sostenerla mentre
fingeva di non riuscire a reggersi bene in piedi. «Come va la testa? Gira
ancora?»
Touko
annuì con espressione sofferente. «Credo che stia migliorando... però...»
«Tranquilla.»
Touya le sorrise, rafforzando la presa sulla sua spalla. «Un passo alla volta,
sono sicuro che ce la puoi fare.»
Nonostante
sapesse perfettamente che la dolcezza del sorriso che le stava rivolgendo fosse
parte della farsa, Touko sentì le guance farsi calde. Stupida, stupida Touko. Ma che ti prende oggi? Distolse in fretta lo sguardo, cercando di
concentrarsi sulla camminata zoppicante.
Touko
sentì lo sguardo di Cheren osservarli minaccioso finché non ebbero girato
l’angolo, e anche allora ebbe l’impressione che li stesse tenendo d’occhio.
Rimase in silenzio finché non fu sicura che si fossero allontanati abbastanza.
«Sono
sempre più convinta che tu abbia intenzione di ricattarmi.»
Touya
alzò un sopracciglio, ma in un attimo la sua espressione perplessa lasciò
spazio a un sorriso. «Perché?» chiese, con lo stesso tono di voce contenuto che
aveva usato Touko. Probabilmente avevano entrambi l’impressione che se avessero
parlato troppo forte Cheren sarebbe stato in grado di sentirli.
«Il
tuo comportamento è estremamente sospetto: mi stai facendo troppi favori.»
spiegò Touko, con la stessa serietà con cui gli aveva illustrato i malvagi
piani di EMI per
la conquista del mondo. «Inoltre dimostri ben poca lealtà nei confronti di
Cheren nonostante sia il tuo diretto superiore, cosa che mi fa pensare che
potresti non essere l’innocuo sottosegretario che tutti credono, ma qualcosa
tipo...» si portò una mano al mento, come un detective al momento di trarre le
sue conclusioni finali riguardo un omicidio in stanza sigillata. «Tipo il lato
oscuro del Consiglio Studentesco, che sfrutta la sua posizione di potere per
dei loschi fini.»
«Ah,
dici?» Touya si fermò di colpo e prese Touko per un braccio, tirandosela
vicino. «E sentiamo, che cosa potrei volere da te, piccola Touko-chan?»
mormorò, prendendole il mento tra pollice ed indice.
Lei
ebbe un attimo di esitazione. O, per essere più precisi, si sentì mancare
l’aria come se i suoi polmoni avessero improvvisamente chiuso per ferie, tanti
saluti, ci vediamo a Settembre.
«Non
lo so. Non so cosa vuoi...» disse, con un filo di voce.
«Forse
voglio il tuo silenzio.» L’espressione che Touya aveva in viso era...
pericolosa.
Contegno, Touko, contegno. Non sei
più una dodicenne.
Strinse gli occhi, prese il ragazzo per la
cravatta dell’uniforme e lo avvicinò ancora di più a sé. «Questo da te non me
lo aspettavo, Touya-kun.» gli soffiò sul viso.
Lui
sostenne il suo sguardo, senza vacillare nemmeno per un secondo. «Che cosa?»
Touko
sorrise. «Che fossi un così bravo attore.»
L’atmosfera
da telenovela di serie C scoppiò come una bolla di sapone, mentre i ragazzi si
lasciavano reciprocamente andare e riprendevano a camminare, come se nulla
fosse stato.
«Aaaah,
erano secoli che non mi capitava uno scambio di battute così.» gongolò Touko,
l’intero corpo scosso da un fremito d’eccitazione. «Di solito la gente non sta
al passo, sai? Sono sempre così seriosi, cercano il significato logico in ogni
cosa... stavo iniziando a perdere le speranze nel genere umano.»
Touya ridacchiò. «Certo che ti esalti per
poco.»
«Forse.»
sorrise lei. «Ma sai, Touya-kun, io credo che il vero problema di questo mondo
sia che nessuno è disposto a fare follie.»
«Questa
non era esattamente una follia...»
«Certo
che lo era. Una piccola follia.» spiegò
Touko, avvicinando pollice ed indice davanti al viso. «Ma le persone non sono
disposte neanche a fare cose così piccole, quindi come ci si può aspettare che
facciano di più?»
Fece
una breve pausa. Di solito, a quel punto del discorso la gente la interrompeva,
dicendo che le follie sono belle da immaginare – è bello pensare “domani mollo
tutto e vado in Madagascar” o “rubo il nano da giardino del mio vicino, gli
faccio una foto davanti alla Tour Eiffel
e lo rimetto a posto una settimana dopo insieme alla fotografia” – ma
difficili da realizzare, dato che “la vita non è così semplice”, “ci sono tanti
problemi da considerare”, bla bla bla bla.
Invece
Touya non disse nulla e, cosa ancora più importante, non la stava guardando
come se fosse stata completamente fuori di testa.
«Sono
tutti troppo impegnati a mantenere l’equilibrio nella loro comoda e squallida
vita per rendersi conto che ogni tanto vale la pena di rischiare. Esagerare.
Bigiare una lezione per andare a giocare a palle di neve, prendere il treno di
Domenica senza sapere quale sia la destinazione...»
«Progettare
la distruzione di un distributore automatico?»
«Vedo
che sei un ragazzo sveglio.» Touko sorrise, compiaciuta. «Hai appena guadagnato
dodici punti.»
«Punti?»
«Nella
classifica delle Persone Che Non Mi Stanno Sulle Scatole.»
«Ma
che razza di classifica è?» chiese Touya, spalancando gli occhi. «Non ne hai
una con un nome più carino?»
«Beh,
ho quella delle Persone Che Prenderei Volentieri a Pugni...»
«Non
è una cosa positiva!»
«Le
Persone Senza Alitosi...»
«Passo.»
«Ma
quella era molto positiva! Poi ci
sono le Persone Che Mi Devono Dei Soldi...»
«Qui
direi che la situazione è al contrario.»
«E
volendo c’è anche la classifica delle Persone a cui Voglio Discretamente Bene,
ma per entrare in quella ti ci vorranno minimo altri milleduecento punti.»
Touya
fece una smorfia, scoraggiato. «E devo andare avanti di dodici in dodici?»
«Questo
lo deciderò io.»
«Ho
l’impressione che sarà una lunga e faticosa scalata verso la vetta...»
«Okay,
allora senti qua.» Touko lo superò e si mise di fronte a lui, continuando a
camminare all’indietro. «Promozione speciale, rispondi correttamente a questa
domanda e vinci ottocento punti.»
«Va
bene, spara.»
La
ragazza sorrise, com’era solita fare, allo stesso modo in cui la Volpe avrebbe
sorriso a Pinocchio. «Vuoi davvero arrivarci, alla vetta?»
Touya
arricciò le labbra e parve pensarci su per qualche secondo. «Dipende, si vince
qualcosa?»
«Peeeeeeeh!»
Touko incrociò le braccia sopra la testa per formare una croce e gli mostrò la
lingua. «Risposta sbagliata! Hai sprecato una grande occasione, Touya-kun, ma
puoi tornare a casa con il nostro gioco in scatola.»
«È
stato un onore giocare con voi, ringrazio tutti e saluto il mio cincillà che mi
sta guardando da casa.» disse Touya, prendendo la mano di Touko e
ridirezionando la ragazza prima che andasse a sbattere contro il muro alla fine
del corridoio.
Lei
fece un cenno con la testa in segno di ringraziamente. «Parlando d’altro,
davvero vi siete messi d’accordo per far uscire di testa Cheren?» chiese,
divertita. «Perché se è così, siete il miglior Consiglio Studentesco che abbia
mai avuto.»
Touya
lasciò andare la sua mano ed incrociò le braccia, rallentando leggermente il passo.
«Non credo che sia corretto dire che ci siamo “messi d’accordo”...» disse, d’un
tratto pensieroso. «Però posso immaginare varie ragioni per cui nessuno avesse
voglia di venire in riunione, oggi.»
«Nemmeno
il sottosegretario?» lo punzecchiò Touko.
Touya
alzò le mani in segno di resa. «Già , nemmeno il sottosegretario.»
Touko
ridacchiò. Conoscendo bene il carattere di Cheren, quando era stato eletto
Presidente del Consiglio Studentesco aveva dato al suo regime sei, sette mesi
al massimo, prima che crollasse su se stesso. A quanto pareva, non si era
sbagliata.
«E
queste ragioni sarebbero...?»
«Informazioni
riservate.»
«Cosa
siete, il Consiglio Studentesco o la CIA?» rise Touko.
Touya
la guardò con espressione scioccata. «C-come fai a saperlo?»
«Non
dovrei dirtelo, ma in realtà sono una medium.» rispose Touko, serissima. «Le
persone innocenti che hai ucciso mi hanno chiesto di punirti per dare pace alle
loro anime...»
«Se
sei al corrente di queste informazioni, dovrò uccidere anche te.» Touya le
puntò un indice alla nuca, a mo’ di pistola. «È un peccato, mi piacevi.»
Touko
ridacchiò. «Cinque punti, lavora sulla credibilità.» disse, sempre più esaltata
dall’idea di aver trovato qualcuno con cui mettere in scena cliché di film
scandenti. «Allora, che è successo ai piani alti?»
Touya
alzò le spalle. «Le solite cose, in realtà. Immagino che tu conosca N Harmonia,
giusto?»
«Chi
non lo conosce? Se non fosse un idol, sarebbe comunque famoso per il suo gusto
orribile in fatto di capelli.» rise Touko. «Ho capito, quindi è stato per il
concerto improvvisato di stamattina?»
Touya
annuì. «Il Presidente era completamente fuori di sé. Ha chiamato tutti in
riunione straordinaria nonostante mancassero dieci minuti all’inizio delle
lezioni, e ha iniziato a sbraitarci contro dicendo che era inammissibile, che
se esiste un regolamento è perché va rispettato, che non possiamo permettere a
un singolo studente di fare il bello e il cattivo tempo solo perché è
famoso...»
«E
bla, bla, bla.» concluse Touko, divertita. Poteva benissimo immaginarsi la
scena: Cheren rosso come un pomodoro, le vene pulsanti ai lati della fronte,
che urlava contro i suoi sottoposti senza che loro potessero fare niente per
difendersi.
«Ma
non solo, » continuò Touya, «ha iniziato ad elencare ciò che ciascuno di noi –
te lo giuro, ha fatto nomi e cognomi, prendendo ogni caso singolarmente –
avrebbe potuto fare per prevenire o fermare l’evento, ribadendo ogni volta:
“Siete il Consiglio Studentesco, il simbolo vivente dell’Ordine e della
Giustizia, da voi non posso accettare un comportamento del genere!”.»
«Spaventoso.
Io gli avrei tirato una scopa nei denti.»
«Ero
a tanto così dal farlo, credimi.» disse Touya, irritato. «Metà delle ragazze
erano praticamente in lacrime, e anche noi abbiamo fatto fatica a trattenerle
quando ci ha detto che saremmo dovuti tornare in riunione oggi pomeriggio.»
Touko
sorrise, intenerita dall’idea di quelle povere anime lasciate in balia di
Cheren. «Ci credo che poi nessuno si è presentato. Deve avervi traumatizzati.»
«In
effetti, quando ti ho incontrata stavo giusto cercando un modo di svignarmela.»
ammise Touya. «E tutto mi sarei aspettato tranne che trovare una ragazza che
litigava con un distributore automatico.»
Touko
si fermò di colpo, assalita da un pensiero che aveva trascurato per troppo
tempo, senza rendersene conto. «EMI!»
esclamò, rischiando di farsi sentire dall’intero istituto.
«Eh?»
«EMI!» ripeté Touko, a volume più basso
ma con una certa urgenza. «Ho lasciato a metà il mio piano di boicottaggio,
devo ancora staccare la spina e fare in modo che chiamino il tecnico e...»
«Un
attimo...» Touya sembrava onestamente sorpreso. «Hai davvero intenzione di farlo?»
«Secondo
te perché ho sprecato mezz’ora a ideare il mio piano e altri dieci minuti buoni
a spiegartelo, per divertimento?»
«Beh,
credevo che la cosa fosse su quelle righe...»
Touko
sbuffò forte e mise entrambe le mani sui fianchi. «Non mi stavi prendendo sul
serio, quindi?» chiese, leggermente irritata. Le capitava fin troppo spesso di
non essere presa sul serio dalla gente, e la cosa iniziava a darle sui nervi.
«Molto male, Touya-kun, meno dieci punti.»
Il
ragazzo non parve particolarmente scosso dalla sottrazione di più della metà
dei suoi punti amicizia. Incrociò le braccia, dubbioso. «Più che altro, non
credo che sia una buona idea...»
«E
perché?»
«Si
tratta di un enorme investimento in tempo ed energie, solo per... vendicarsi di
un distributore automatico.» disse Touya, che evidentemente stava cercando il
modo più gentile di porre la questione, ma non ci stava riuscendo
brillantemente. «Senza contare che potrebbero beccarti, e in quel caso
sarebbero guai grossi. Credi davvero che ne valga la pena?»
Touko
ci pensò su per qualche istante. Ci pensò davvero, valutando i pro e i contro
della sua decisione e prendendo in seria considerazione ciò che le era stato
appena detto.
Quando
alzò lo sguardo, aveva un gran sorriso stampato in faccia. «È una follia,
Touya-kun.» disse, con una sicurezza che parve farla illuminare di luce
propria. «Perciò sì, sono davvero convinta che ne valga la pena.»
Touya
si passò una mano sulla faccia, sconfitto. Doveva essere arrivato alla
realizzazione, come tutti quelli che la conoscevano, che quando si aveva a che
fare con Touko non c’era modo di averla vinta. «D’accordo.» sospirò. «Ma almeno
lascia che ti dia una mano.»
«Ahia,
così è troppo stretto!»
«È
così che lo portano le ragazze per bene, cerca di sopportare.»
«Sopportare?
Ma se non respiro!» si lamentò Touko, cercando di sistemarsi da sola il fiocco
dell’uniforme. Touya non glielo permise.
«Se
vuoi che questo piano funzioni, » disse, finendo di annodare il fiocco, « devi
fidarti di me e collaborare. Quindi adesso rimani ferma, per favore.»
Touko
sospirò, tamburellando le dita sul materasso del letto su cui era seduta.
Come c’era da aspettarsi, in quello strano pomeriggio costellato di avvenimenti improbabili, quando i ragazzi erano arrivati in infermeria l’avevano trovata completamente vuota. Se avessero avuto effettivamente bisogno di cure mediche questa sarebbe stata una sfortuna, ma data la situazione avevano deciso di fare di quel luogo la loro base operativa.
«Ecco,
ci siamo quasi...» mormorò Touya fra sé, rassettandole il colletto
dell’uniforme. «Potresti scioglierti i capelli?»
Touko
gonfiò una guancia. «Solo se allenti quel fiocco.»
«E
va bene, solo un filo però...»
Mentre
lui si adoperava nuovamente a sciogliere il fiocco malefico, Touko portò le
mani in cima alla testa e sfilò l’elastico, disfacendo la coda di cavallo. I
capelli le ricaddero sulle spalle, soffici e leggermente gonfi per le ore che
avevano passato legati.
Nonostante
non avesse ancora finito di rifare il fiocco, Touya alzò lo sguardo. Sorrise.
«Dovresti tenerli più spesso così.»
Touko
si sentì spontaneamente arrossire. «Sono scomodi, mi vanno in faccia.» sbuffò,
sollevando una ciocca di quei capelli scombinati per guardarla storta. «E poi
non sono neanche particolarmente belli.»
«No,
non sono d’accordo. » Finito il fiocco, Touya si raddrizzò e le passò una mano
tra i capelli, pettinandoli con le dita. Nonostante sapesse che si trattava di
un gesto completamente innocente, Touko non poté fare a meno di provare uno
strano disagio ogni volta che quelle dita le sfioravano la pelle. Stupida, stupida Touko.
«E
adesso, il tocco finale.» disse Touya, con l’espressione di chi sta per mettere
la ciliegina in cima a una meravigliosa torta di nozze. Prese dalla tasca
dell’uniforme un astuccio e ne tirò fuori degli occhiali da vista. «Ta-dan.»
mormorò, posandoli con delicatezza sul naso di Touko.
Lei
sbatté le palpebre qualche volta, sorpresa.
«Sono
finti, puramente estetici.» spiegò Touya, mettendo via l’astuccio. «Ma
l’esperienza mi ha insegnato che al Consiglio Studentesco un paio di occhiali
possono far mutare considerevolmente le sorti di qualunque votazione.»
«Per
questo Cheren ce l’ha sempre vinta?»
«No,
quello è perché... beh, perché è Cheren.»
Touko
rise e si lasciò cadere all’indietro sul letto, incurante del fatto che così
facendo si stava scombinando nuovamente sia i capelli sia l’uniforme. Chiuse
gli occhi.
Si
sentiva così bene... quasi non riusciva a credere che fino a poche ore prima
quella fosse stata una pessima giornata. L’autobus perso, il pranzo dimenticato
a casa, la macchinetta senza cuore... era come se tutto fosse stato spazzato
via, lasciandole addosso un sottile velo di appagamento.
«Ehm...
Touko?»
«Hmm?»
«...no,
niente.»
C’era
una traccia di sorriso nella voce di Touya, cosa che la incuriosì abbastanza da
farle riaprire gli occhi. «Dai, che c’è?» chiese, sorridendo a sua volta mentre
si rimetteva a sedere.
Lui
evitò il suo sguardo. «Davvero, non è niente.» ripeté. «Mi era solo venuta in
mente una cosa, ma poi... mi sono ricordato che non ti avevo ancora chiamata
così.»
«Così
come?»
Touya
rimase interdetto per un secondo. Prese un breve respiro. «Touko.» disse, a
mezza voce.
«È
il mio nome.»
«Sì,
ma...» Touya distolse nuovamente lo sguardo, imbarazzato. «Non chiamo quasi mai
le ragazze per nome. È... difficile.»
«Cosa
c’è di difficile?» rise Touko, onestamente divertita dal vederlo arrossire per
così poco. «E la cosa che volevi dirmi?»
«Dimenticata.»
«E
dai...» Touko gli punzecchiò la spalla con un dito, supplichevole. «Adesso
voglio saperlo, sono curiosa.»
Touya
tornò a guardarla, dubbioso, arricciando un poco le labbra.
Touko
ricambiò lo sguardo sfoderando i suoi migliori occhi da cucciolo. Dai, dai, dai...
Lui
sospirò, mentre un lieve sorriso si allargava sul suo volto. «Non posso
proprio, ma se vuoi posso dirti qualcos’altro.» Touko sentì un familiare tu-tum scuoterle il petto, mentre Touya
si chinava verso di lei e accostava le labbra al suo orecchio. «Sei molto
carina, Touko.»
Quella
fu la volta di Touko di arrossire come un pomodoro. Sobbalzò con tale violenza
che gli occhiali le scivolarono sulla punta del naso.
Tu-tum, tu-tum, tu-tum, tutum tutum
tutumtutumtutumtutumtutum...
Touya
si mise una mano davanti alla bocca per nascondere una risatina. «Sì,
decisamente troppo...»
«N-non
dire scemenze!» esclamò Touko, portandosi una mano al petto come se l’avessero
ferita con una freccia. «Tu sei
carino!»
Il
viso di Touya riacquistò il color porpora tutto d’un colpo. «Eh?» fece,
strabuzzando gli occhi. «Non è affatto vero!»
«Sì,
invece!»
«Quella
carina sei tu!»
«No,
tu!»
«Ti
dico che è così!»
«E
io ti dico che sei orbo, carino!»
«Non
darmi del “carino”!»
«Inizia
a non farlo tu!»
«Ma
tu sei carina!»
«T-ti
tolgo ottanta punti!»
«Dovrebbe
essere una minaccia?»
Continuarono
a battibeccare così, come se si stessero lanciando gli insulti peggiori del
mondo, finché non rimasero entrambi completamente senza fiato.
Touko
continuò a fissare in cagnesco Touya per diversi secondi, e lui ricambiò il suo
sguardo con altrettanta serietà.
«Questa
è...» disse Touko, ancora affannata, «...la discussione più idiota... che abbia
mai avuto... in tutta la mia vita.»
Di
nuovo, la bolla di serietà scoppiò. Entrambi iniziarono a ridere di gusto,
tanto che presto Touko iniziò a sentir male alla pancia.
«Non
ci posso credere, nemmeno all’asilo...»
«Le
senti quelle? Sono le sirene dell’ambulanza che sta venendo a prenderci.»
Touko
si asciugò gli occhi, la ridarella che continuava a tornarle a singhiozzo, e si
riaggiustò i finti occhiali sul naso. «Mi sa che siamo senza speranza.» disse,
più che altro a se stessa.
Dopodiché,
il silenzio. Touya non disse nulla, e Touko non trovò nulla di vagamente
intelligente da dire, perciò nell’infermeria vuota rimase soltanto il suono del
loro respiro. Il quale, notò lei, non accennò a tornare regolare nemmeno dopo
due minuti interi di silenzio assoluto.
Touko
azzardò un’occhiata alla sua sinistra, proprio mentre Touya stava facendo lo
stesso, ed entrambi si ritrovarono a distogliere lo sguardo istantaneamente. Si
mise a fissare con estremo interesse le proprie ginocchia.
Doveva
dire qualcosa, qualunque cosa, perché quel silenzio non le stava facendo bene,
e non capiva nemmeno perché. Solo che il suo cervello pareva essersi...
svuotato, la fatina dei gigabyte era passata e aveva deciso di formattare la
partizione “argomenti di conversazione”, lasciandola senza niente di cui
parlare.
Sentiva
lo stomaco stretto come se l’avessero strizzato, e questa volta la fame non
c’entrava niente. E poi faceva caldo, era normale che facesse così caldo? Era
ancora Maggio, avevano appena cambiato le divise invernali con quelle estive,
non poteva es-
Una
mano si posò sulla sua, che era rimasta appoggiata sul letto per tutto quel
tempo. Touko si girò, il cuore in via di esplosione, sapendo di essere più
rossa di quanto fosse mai stata in vita sua. Che anche il viso di Touya fosse
nelle stesse condizioni era una magra consolazione.
I
loro occhi s’incontrarono, fuggirono, si cercarono di nuovo, esitarono. Quando
si fermarono, erano specchiati gli uni negli altri.
Touko
cercò di deglutire ma aveva la gola secca, mandò giù solo aria. Le sembrava di
essere tenuta malamente in equilibrio sulla punta di un picco altissimo, con il
solo dubbio di dover cadere da una parte o dall’altra – morte certa comunque,
senza vie di scampo, perciò voleva solo mollare tutto e cadere. Voleva solo...
I
loro volti si avvicinarono, come attratti da una strana forza magnetica,
perfettamente in sincrono. Touya strinse leggermente di più la mano intorno
alla sua.
Il
cuore di Touko batteva così forte che le sembrava che il suo intero corpo
stesse tremando.
Socchiuse
gli occhi, stava per cadere. Finalmente.
«Cielo,
che giornata!»
Touko
sobbalzò violentemente e si affrettò a raddrizzarsi, rischiando quello che
doveva essere il terzo infarto del giorno, mentre Touya esclamava:
«A-araragi-sensei!»
La
donna bionda che aveva appena fatto il suo ingresso in infermeria li guardò,
stupita. «Oh, Ichinose-kun. Kisaragi-san. Avete bisogno di qual- ...oh.» Un
sorriso si allargò sul suo volto. «Credo di aver capito.» disse, accennando con
lo sguardo alle loro mani ancora unite.
Touya
si affrettò a togliere la sua mano, rosso come se si fosse preso
un’insolazione. «N-non è come-»
«Oh,
ma certo che lo è, invece.» disse la professoressa, tutta gongolante con il suo
bel sorriso. «Cercavate solo dello zucchero,
vero?»
Prese
un barattolo dall’armadietto dei medicinali e lo porse ai ragazzi. All’interno
c’erano delle zollette bianche. Touko le osservò imbambolata per diversi
secondi, faticando a connettere gli avvenimenti tra loro. Le stavano offrendo
dello zucchero. Ma fino a pochi secondi prima... stava... no, no, non riusciva
nemmeno a pensarci.
«Su,
ragazzi, non fate complimenti.» li incoraggiò Araragi-sensei. «I cali di
zuccheri possono essere delle brutte bestie, ma per fortuna basta poco a
scacciarli.»
Entrambi
presero timidamente una zolletta dal barattolo.
«Grazie.»
«Figuratevi,
è il mio lavoro.» sorrise la donna. «E ora via, veloci. Avrete sicuramente le
attività dei vostri club da seguire, no?»
I
ragazzi annuirono, salutarono la professoressa e si affrettarono fuori
dall’infermeria, le zollette di zucchero ancora in mano.
Camminarono
nel corridoio per qualche minuto, in silenzio, senza una meta precisa.
«Touko...» «Touya-kun...»
Di
nuovo, nel momento in cui i loro sguardi s’incontrarono li distolsero in
fretta.
«P-prima
tu.»
«Non
era niente, dimmi.»
Touko
prese un profondo respiro. Oh, piantala. si
disse. Ti comporti come una ragazzina. Le
farfalle nello stomaco, ma fai sul serio? Levati dalla faccia quell’espressione
imbarazzata e di’ qualcosa che abbia senso!
«Beh,
a... a che ora dicevi che doveva arrivare il tecnico?»
Brillante, semplicemente brillante.
Potevi fare un commento sul tempo, già che c’eri.
Touya
controllò l’orologio che aveva al polso. «Ah.» disse, stupito. «Più o meno
adesso.»
Nonostante
i piani di Touko fossero più grandiosi, nonché ideati per esaltare il grande
pubblico, fortuna voleva che quel giorno fosse già in programma la visita di un
tecnico della Eiichi Mananobe Industry,
dato
che i distributori del primo piano facevano le bizze da qualche tempo.
«Dai,
sbrigati!»
«Come
faccio a fingermi un membro del Consiglio Studentesco, se inizio correndo nei
corridoi?»
«Senti,
sono lieto che tu stia cercando di entrare nel personaggio, » disse Touya, non
irritato ma con una certa urgenza, « però al momento preferirei davvero che ti
dimenticassi delle regole della scuola.»
«Ho
sempre più dubbi su come sia possibile che ti abbiano nominato
sottosegretario.»
Fortunatamente,
bastò girare l’angolo per trovare i distributori automatici, e con essi il
tecnico che si stava apprestando a ripararli.
Ciò
che sorprese Touko fu che non si trattava dell’uomo tarchiato di mezza età che
si era immaginata, ma di un ragazzo che ad occhio e croce non doveva avere
molti anni più di lei. Per un attimo pensò che avessero sbagliato persona, ma
la giacca arancione con le lettere “EMI”
stampate a caratteri cubitali non lasciava spazio a dubbi: quel ragazzo era il
tecnico inviato dall’azienda.
«Salve.
Mi chiamo Ichinose Touya, e lei è Kisaragi Touko.» disse Touya, senza perdere
tempo. Touko fece un mezzo inchino, sperando di non sembrare troppo ridicola.
«Siamo del Consiglio Studentesco, ci hanno mandati a supervisionare le
riparazioni.»
Il
tecnico era accovacciato davanti a quella che sembrava essere la sua cassetta
degli attrezzi, in cui fino a un momento prima stava ravanando alla ricerca di
qualcosa. Alzò lo sguardo verso di loro e fece un gran sorriso. «È sempre
meglio assicurarsi che tutto proceda senza problemi, vero? Konomiya Natsuki,
molto piacere.»
«Piacere
nostro.» risposero Touko e Touya, all’unisono.
«Avete
bisogno di qualche informazione su quello che devo fare?»
«No,
si figuri.» disse Touya. «Noi rimarremo semplicemente qui ad osservare, se non
è un problema.»
«Nessun
problema.» acconsentì il tecnico, tornando a concentrarsi sulla sua cassetta
degli attrezzi.
I
ragazzi si spostarono silenziosamente verso il muro opposto, al quale si
appoggiarono. La prima parte del piano stava procedendo senza intoppi: avevano
trovato il tecnico, e non avevano avuto problemi a farsi passare entrambi per
membri del Consiglio Studentesco. Ora dovevano solo convincerlo ad ispezionare
anche EMI al
piano di sopra, distrarlo in qualche modo e boicottare la macchina.
Tornò
il silenzio.
Non
c’era molto di cui potessero parlare di fronte ad un perfetto estraneo, e mettersi
a sussurrare tra loro sarebbe stato perfino peggio, perciò rimasero
semplicemente lì a guardare il tecnico lavorare, appoggiati al muro, uno
accanto all’altra.
Stupida, stupida, stupida, stupida
Touko. Stupida.
Per
quanto stesse cercando di evitarlo – aveva una missione da compiere, una cosa
seria, doveva rimanere concentrata! – i pensieri di Touko continuavano a
tornare all’infermeria, insieme ad un leggero batticuore. Se non fossero stati
interrotti, loro... lei...
Sì,
l’avrebbe baciato. L’avrebbe fatto, perché ancora adesso sentiva fremere in
petto il desiderio di averlo vicino, più vicino, per sentire il profumo ed il
calore della sua pelle e farsi accarezzare, baciare, coccolare. Le piaceva.
Ichinose Touya le piaceva da impazzire.
Oh,
era proprio una ragazzina. Prendersi una cotta così, nel giro di poche ore...
non le capitava da anni, e per un buon motivo: se ne era guardata bene. Era
stata attenta, non si era mai lasciata prendere da ragazzi appena conosciuti,
per quanto potessero essere carini, gentili o spiritosi. Ogni volta che il
pensiero “forse lui potrebbe piacermi” era emerso nella sua mente, l’aveva
soffocato dicendo “più tardi, vedremo”.
Aveva
pianto troppe volte. Ragazzi a prima vista perfetti in realtà non la capivano,
e l’entusiasmo del primo giorno andava sempre scemando, fino al fatidico “Mi
dispiace, non funziona”.
Non
funzionava mai. Per questo si era detta che non l’avrebbe lasciato capitare
un’altra volta. Si era detta che non avrebbe aperto il suo cuore così
facilmente.
Ma
Touya... l’aveva colta alla sprovvista.
Era
piombato dal nulla, ed era diverso. Nonostante sapesse di vederlo attraverso le
lenti rosa del suo batticuore, non poteva fare a meno di pensare che forse, forse, con lui sarebbe potuta andare in
un altro modo. Forse poteva dargli un’occasione.
Gettò
un’occhiata verso di lui, che stava fissando attentamente qualcosa che per
coincidenza si trovava nella direzione opposta a dove si trovava lei.
Le
loro mani, si rese conto, erano vicine. Inerti, lasciate a dondolare lungo il
muro senza uno scopo, ma talmente vicine che sarebbe bastato poco,
pochissimo...
Puntando
lo sguardo su una meravigliosa piastrella artisticamente decorata in tinta
unita sul pavimento, Touko mosse appena il braccio. Il dorso della sua mano
sfiorò quello di Touya ed immediatamente le loro dita si cercarono con delicata
urgenza.
Non
si erano veramente presi la mano, avevano solo intrecciato un paio di dita,
polpastrello contro polpastrello. Eppure Touko sentiva un enorme calore
sprigionare da quel lieve contatto, come un incendio. Poteva funzionare. Magari
avrebbe potuto fare la preziosa per qualche giorno, prendersi del tempo per
valutare il quadro complessivo e trovare un modo per non farsi uccidere da
Belle, ma il suo cuore ne era certo: poteva funzionare.
«Se
posso chiederlo, » disse il tecnico (come aveva detto di chiamarsi, Natsuki?),
girandosi verso di loro. «da quanto state insieme?»
«N-noi
non...!» esclamò Touya, nel panico. «Cioè, voglio dire...»
Natsuki
sorrise. «Scusate, era una domanda un po’ imbarazzante. È che vi lanciavate
certe occhiate che...» alzò le spalle, tornando a ciò che stava facendo. «Ho
iniziato un po’ a sentirmi il terzo incomodo.»
Touko
sentì il sangue affluirle al viso, mentre si chiedeva se davvero dall’esterno
si notasse così tanto. Che l’amore rendesse tutti libri aperti?
«Posso...
posso farti io una domanda?» chiese, cercando disperatamente qualcosa,
qualunque spunto per cambiare discorso.
«Certo,
spara.»
«Mi
stavo chiedendo, Konomiya-san...» Una
domanda, una domanda, una domanda qualsiasi, sbrigati... «Quanti anni hai?»
«Diciotto.»
rispose lui, tranquillamente. «Immagino che potrei essere un vostro senpai, se
andassi ancora a scuola.»
«Ah...
capisco.» Nonostante se la fosse aspettata, per qualche motivo quella risposta la
mise tremendamente a disagio. “Se andassi ancora
a scuola”. Non l’aveva detto con lo sprezzo di chi avesse smesso di andarci di
propria iniziativa.
«E
ora ti senti in colpa per avermelo chiesto.» commentò Natsuki, come se le
avesse letto nel pensiero. «Non esserlo, non hai fatto niente di male. È che a
volte le cose vanno così.»
«Così
come?» chiese Touya, che si era interessato alla conversazione.
Natsuki
fece schioccare la lingua. «Domanda spinosa, non tutti hanno il coraggio di
farla.» disse. «Beh, direi che il mio caso è stato un classico. Mio padre ha
lasciato questo mondo, così io e le mie due sorelline siamo rimasti soli, senza
nemmeno un parente disposto a prenderci in casa. Così, per evitare che
venissimo divisi e mandati in qualche casa-famiglia, ho dovuto prendere in mano
la situazione. Fine della storia, niente di esaltante né di particolarmente
toccante.»
Touko
non era d’accordo. Non semplicemente perché ritenesse meraviglioso che un
ragazzo abbandonasse gli studi pur di rimanere vicino alle sue sorelline, ma
perché lo aveva raccontato col sorriso sulle labbra. Non aveva il minimo
rimpianto; si trovava in una scuola, circondato da ragazzi che stavano vivendo
la vita che a lui era stata sottratta, ma non ne era invidioso. Sorrideva.
Lo
sguardo di Touko incontrò quello di Touya per qualche istante. Annuirono.
«Beh,
è stata una bella chiacchierata, ragazzi.» disse Natsuki, chiudendo a chiave il
distributore. «C’è bisogno che controlli qualcos’altro?»
Touko
scosse la testa e sorrise. «No, va benissimo così.»
Sentendosi
la persona più ricca del mondo con i 200 yen che Touya le aveva dato in mano,
Touko gongolò mentre acquistava con successo un pacchetto di biscotti.
«Allora
con questa funziona!» rise Touya, appoggiato al distributore delle bibite.
«Certo.
È solo quella del secondo piano a odiarmi.»
«E
allora perché non vieni qui a fare merenda?»
«Beh,
» rispose Touko, leccandosi un dito, « la mia classe è al piano di sopra.»
«Pigra.»
«E
ne vado fiera.»
Touko
accartocciò la plastica dei biscotti e la lanciò nel cestino.
Era
finita. La sua piccola avventura era giunta al termine, ma non si sentiva
particolarmente delusa dal non essere riuscita a distruggere i sogni e le
speranze di EMI.
Anzi, si sentiva... felice.
Doveva
essere l’effetto del cibo.
«Alla
fine abbiamo fatto un buco nell’acqua.» disse Touya, che evidentemente stava
pensando alla stessa cosa.
Touko
annuì. «Beh, non potevamo certo far rischiare il posto a quel ragazzo per una
stupidaggine del genere.» disse, alzando le spalle. «E poi sai come si dice:
“Ogni buon piano ha una probabilità di fallimento dell’85%.»
«E
chi l’ha detto?»
«Non
è importante chi l’ha detto, Touya-kun, è importante il pensiero.»
«No,
non è vero.» la contraddisse lui. «Sono importanti i biscotti.»
Con
quelle parole, rubò dalla mano di Touko l’ultimo biscotto, che la ragazza stava
giusto per mangiare, e se lo mise in bocca.
«Ehi!»
esclamò lei. «Quello era il mio biscotto!»
«E
chi l’ha pagato?»
«Dettagli.
Ridammelo!»
«Neanche
per idea.» rise Touya. «Tanto è quasi ora di tornare a casa, mangerai lì.»
«Ladro.»
disse Touko, mettendo il broncio. «Ti tolgo venticinque punti, e solo perché
sono di buon umore.»
«Ah,
giusto. È da un po’ che non mi aggiorni sul totale, a quanto sono?»
«Non
te lo dico.»
«Eeeh?
Non è leale!»
«È
la mia classifica, decido io cos’è leale e cosa no.» sbuffò Touko. «La prossima
volta imparerai a non rubare i miei biscot-»
«DOVE SONO FINITI? DENT, TI ORDINO DI DIRMI DOVE SONO
FINITI I COMPONENTI DEL MIO CONSIGLIO STUDENTESCO!»
«Non
lo so, Presidente, le giuro che non lo so!»
Touko
ebbe un déjà vu. Sobbalzo, strattone, schiena contro il muro, cuore a un passo
dall’infarto. E uno «Scusa.» appena sussurrato a pochi centimetri dal suo viso.
Tutto sommato, avrebbe potuto abituarcisi.
«La
prego, Presidente, si calmi...»
«IO SONO CALMO!» urlò Cheren, la
personificazione della pace interiore. «IL
PROBLEMA È CHE NON SONO IN RIUNIONE! NESSUNO È IN RIUNIONE, DENT! DENT? TORNA
SUBITO QUI! DALL’ALTO DELLA MIA AUTORITÀ, ESIGO CHE TU RIPORTI IL TUO POSTERIORE DI FRONTE A
ME SEDUTA STANTE! DENT!»
Touko
dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non scoppiare a
ridere. Ti avevo dato sei mesi, Cheren. A
quanto pare sono stata ottimista.
Touya
stava ridacchiando sottovoce. «Povero Dent...»
«Povero
davvero. Ma sarà un bel trauma infantile da raccontare, tra qualche...»
Si
fermò. Appena aveva incontrato lo sguardo di Touya, quasi per sbaglio, le
parole che aveva in mente si erano disperse nell’aria. Dannazione, fino a quel
momento era stata così tranquilla. Era riuscita a ristabilire l’equilibrio,
dopo quella mezz’ora passata nel pallone più totale, eppure era bastato così
poco per distruggerlo di nuovo.
Era
scritto nel suo sguardo, nel suo profumo, nella mano che non le aveva ancora
lasciato il braccio, nel cuore di Touko che batteva l’allegretto come un
metronomo: era il momento giusto, ma non l’avrebbe baciata. Perché Ichinose
Touya era il ragazzo più carino del mondo, ma non baciava le ragazze
nell’angolo dietro al distributore automatico delle merendine, era troppo per
bene per farlo.
Per
questo, quando Touya la prese per le spalle, quasi non si accorse che aveva
posato le labbra sulle sue.
Le
ci volle un momento per realizzare che la stava baciando davvero, ma poi un
gran sorriso si allargò sul suo volto, seguito da una risatina che li costrinse
ad interrompere il bacio prima di quanto avrebbero voluto.
Touya
la guardò con un misto di confusione e spavento, probabilmente chiedendosi se
significasse che era stato rifiutato, mentre lei si portava una mano alla
bocca, cercando disperatamente di smettere di ridere.
«Scusa...
solo... io...» Per fortuna era appoggiata al muro, perché altrimenti sarebbe
caduta per quanto si sentiva instabile. «In che senso gira la Terra?»
Il povero Touya era a dir poco spaesato.
«Anti...orario?» rispose, dopo un momento di esitazione.
«Ultime
notizie, allora: oggi no. Oggi gira al contrario.»
Lo
prese per il nodo della cravatta, continuando a sorridere come una bambina il
giorno di Natale, e lo baciò. Touya assecondò i movimenti delle sue labbra, e
anche senza guardarlo Touko capì che era enormemente sollevato. Doveva essersi
preso un bello spavento. Posò la mano destra sul suo petto, non per spingerlo
via ma per il puro gusto di sentire il battito accelerato del suo cuore.
«Touya...»
Riaprì
gli occhi, ma non si allontanò che di pochi centimetri, la presa ancora ben
salda sulla sua cravatta.
Lui
si era fatto nuovamente rosso in viso, e Touko pensò che in fondo era un colore
che gli donava.
«Dov’è
finito il rispetto per i senpai, teppistella?» mormorò Touya, pizzicandole una
guancia con sdegno ben poco credibile.
«Devo
averlo dimenticato a casa insieme al pranzo.» ghignò lei. «Ma se vuoi...»
Touya
le mise un dito sulle labbra. «No, va benissimo così. Touko.»
Lei
fece per mordergli scherzosamente il dito, ma lo mancò per un pelo. «Vedo che
ti sei abituato.»
«Mi
adatto facilmente.» sorrise lui. «Credo che sia una caratteristica che mi sarà molto
utile, se voglio stare con te.»
Touko
alzò le sopracciglia. «Ah, quindi hai già deciso che stiamo insieme?» chiese,
stupita. «Non è che per caso sei già andato in Comune a ritirare il contratto
di matrimonio ,vero?»
«Sì-
cioè, no- voglio dire...» Touya sembrò tornare nel panico per qualche secondo.
«Sì, suppongo che non sia così automatico, ci vuole qualcosa di un po’ più...
ufficiale...» Le prese le mani e la guardò negli occhi. Fece un profondo
respiro. «Vorresti uscire con me, Touko?»
Touko
sorrise. Quel ragazzo era davvero troppo carino. Se lo sarebbe mangiato.
«No.»
«Eh?» fece Touya, basito. «Co-come sarebbe a
dire “no”?»
«Scherzavo,
scemo.» sorrise Touko, stampandogli un piccolo bacio sulle labbra. «È che mi
piace troppo la tua espressione confusa.»
«Sei...
sei tremenda.» sospirò Touya, con un mezzo sorriso.
«Lo
so, è un talento naturale.»
«...quindi?»
Touko
inclinò la testa. «Quindi cosa?»
«Non
mi hai ancora dato una risposta. Non puoi pretendere che la gente ti chieda le
cose per bene, se poi non rispondi nemmeno.»
«Uhm,
mi sa che hai ragione.» Touko sorrise. «Sì, Touya, sarei felice di uscire con
te. Anche se questo significherà farmi uccidere da Belle in modo orribile e
brutale.»
Touya
sbatté le palpebre alcune volte, sorpreso. «Belle?»
«È
in classe con me. La cosa è un po’ lunga da spiegare, ma-»
«No,
no, so chi è Belle.» ridacchiò Touya. «Non ti devi preoccupare, sono stato io a
dirle di mettere una buona parola per me.»
Fu
la volta di Touko di stupirsi. Rimase a fissarlo per diversi secondi, senza
essere sicura di cosa dire. «Tu?»
«Io.»
«Vuoi
dire che...»
Touya
distolse lo sguardo, imbarazzato. «Era un po’ di tempo che ti avevo notata, o
meglio... mi ero preso una bella cotta per te.» confessò. «Ma non sapevo bene
come avvicinarti, quindi...»
«Meno
cento punti!» esclamò Touko, guardandolo con aria severa. «Anzi, cento perché
hai mentito, cento perché sei un codardo e cento perché sei... lento.» Sospirò,
il suo sguardo si addolcì. «Pensavi di farmi aspettare ancora molto?»
Touya
sorrise. «Sì, in effetti il mio piano era a lungo termine.» disse. «Ma posso
farmi perdonare.»
Si
chinò su di lei con il chiaro intento di baciarla, ma Touko parlò prima che
potesse farlo.
«Un
gelato.»
«Eh?»
«Domani.
Portami a prendere un gelato domani pomeriggio e siamo pari.»
Touya
la fissò per alcuni istanti, sorpreso, ma quando sembrò aver recepito
interamente il messaggio sorrise. «Tutti i gelati che vuoi.» Provò ad
avvicinarsi di nuovo, ma venne interrotto ancora.
«Ma
non un gelato qualsiasi.» specificò Touko, serissima. «Una coppa enorme, al
Galaxy. Sono secoli che voglio assaggiarne una, ma da sola sarebbe stato un po’
triste, così...»
«E
allora coppa enorme sia.»
«Ma
non semplicemente enorme, dovrà essere-»
«Touko?»
«...sì?»
«Avrai
il tuo gelato.» disse Touya, accarezzandole una guancia. «Adesso posso
baciarti?»
Touko
sorrise. «Certo.»
Afterword~
Beh, erano un paio di
secoli che continuavo a ripetere “Voglio scrivere una TouTou!” mentre
continuavo a sfornare ferriswheel, ma non riuscivo a decidermi. Perché loro
sono la mia OTP, i miei patati, i miei adorabili bambini che si amano tanto, ed
è difficile per me scrivere qualcosa di sensato quando ci sono di mezzo tutti
questi sentimenti. Eppure, strano ma vero, ce l’ho fatta. Ci ho messo i mesi –
perché credetemi, questa ho iniziato ad abbozzarla a Novembre – ed è stato un
vero parto, ma alla fine ce l’ho fatta. Ho la mia TouTou.
Ed è venuta lunghissima
D: Ennesima dimostrazione che quando fangirleggio scrivo tanto, troppo.
E poi boh, come al solito
nelle note volevo scrivere un sacco di cose ma alla fine me le dimentico tutte
quando devo scriverle effettivamente – fuck
me.
Concludo con una
comunicazione di servizio: UH non è
stato lasciato a marcire. Ve lo giuro. È che quest’anno ho avuto seri
problemi a scrivere, tra mancanza di tempo e di ispirazione e pare mentali
varie, quindi ho finito per doverlo accantonare – nonostante ci pensi ogni
giorno della mia vita da quando ho iniziato a scrivere il primo capitolo, e di
questo potete essere certi.
Quindi, non disperate.
Kim è qui, ha ripreso in mano la penna e se tutto va bene riuscirà a scrivere
tutto quello che deve. Fight-o!
Come sempre sappiate che
voglio bene a tutti quelli che leggono le mie storie e le mettono nei
preferiti, ma voglio ancora più bene a chi spreca cinque minuti a
lasciare una recensione <3 (“Osservate la Kim selvatica mentre coerce i suoi
lettori a fare cose che non desiderano...”)