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Autore: Kimberly Anne    05/08/2013    18 recensioni
Gli incontri avvengono nei modi più svariati: la restituzione di un fazzoletto caduto, uno scontro all'uscita della metropolitana... o, in questo caso, davanti a un distributore delle merendine che non ne vuole sapere di fare il suo mestiere.
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Mentre era lì, accucciata e sofferente, a fissare lo spettro della morte che si avvicinava ad ampie falcate, Touko sentì montare dentro di sé una gran rabbia. Perché dovevano capitare tutte a lei? Perché doveva trovarsi contro perfino uno stupido distributore di merendine?
«Io... io ti distruggerò.» dichiarò, premendo le mani sul vetro per rialzarsi. «Ho sopportato, sopportato, sopportato sempre, ma adesso basta. È arrivata la tua ora.»

[ TouTou / ChessShipping ]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Touko, Touya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Snacks

-Quel calo di zuccheri di troppo-

 

Touko saltellò impazientemente sulle punte, allungando il collo per cercare di gettare lo sguardo oltre la fila di studenti che si poneva tra lei e i distributori automatici.

Neanche a dirlo, era l’ultima, e la campana che segnava l’inizio delle attività pomeridiane sarebbe suonata a minuti.

«Dai, dai...» mormorò tra i denti, stringendo nel pugno la sua unica, preziosissima moneta da 100 yen.

Thump.

Un’altra merendina cadde nel cassetto di ritiro prodotti della macchinetta, un ragazzo la prese e la fila si mosse di qualche centimetro.

Lo stomaco di Touko gorgogliò rumorosamente. Voleva solo uno Shokobol. Solo una piccola, ipercalorica barretta di wafer ricoperto di cioccolato, che le avrebbe evitato di svenire. Era chiedere tanto, dopo la giornata infernale che aveva passato?

Thump, eccone un altro che se ne andava. Ne rimanevano... tre, forse quattro. Ma le patatine erano passate di moda? I cari vecchi biscotti alla nocciola da 150 yen non li voleva più nessuno?

«Che cosa prendi oggi, Haruka?»

«Non lo so, ho voglia di dolce... uno Shokobol, magari?»

No. cercò di convincerla telepaticamente Touko. Tu non vuoi uno Shokobol. Vuoi dei biscotti, dei biscotti. Biiiiisssssscoooooottttt-

Thump.

La ragazza di nome Haruka prese il suo Shokobol dal cassetto e se ne andò insieme alla sua amica, sorridendo allegramente, proprio mentre la campana suonava la fine della pausa pranzo.

Diamine, diamine, diamine.

Touko recitò mentalmente ogni preghiera che conosceva, mentre i due ragazzi davanti a lei sceglievano - con lentezza insopportabile -  delle caramelle e dei Pocky.

Tenendosi una mano premuta sullo stomaco per impedirgli di brontolare come un orso a digiuno da sei mesi, Touko coprì in un lampo l’ultimo passo che la separava dalla macchinetta.

«Ti prego, EMI, ti prego...» mormorò, inserendo i suoi 100 yen. «Io non piaccio a te e tu non piaci a me, ma ti scongiuro, solo per questa volta, vedi di funzionare...»

Digitò sul tastierino numerico il codice degli Shokobol: 1010.

Non successe nulla. Nessun beep, nessun ronzio di ingranaggi in azione.   

Touko si morse un labbro. «Non fare così, dai...» Provò a digitare nuovamente il numero: ancora nulla. Il display fece lampeggiare il prezzo un paio di volte. Sconfitta, la ragazza premette il pulsante di restituzione delle monete, ma ovviamente anche quell’azione non produsse risultati.

«Non è possibile...»

Lo stomaco di Touko fece il rumore di un vulcano in piena eruzione, mentre la ragazza scivolava lentamente in ginocchio. «Non è possibile, non è possibile, non è possibile, nonèpossibile...» ripeté a fior di labbra, come un mantra.

Sarebbe morta. Se entro qualche minuto non avesse avuto accesso ad una qualsiasi fonte di zuccheri, sarebbe sicuramente morta. E non era pronta a morire! Aveva ancora tante cose da fare, tanti posti da vedere, magari qualche delusione d’amore su cui piangere e decadi di vecchiaia da passare a dondolarsi su un’antica sedia di quercia in un cottage di campagna, lavorando all’uncinetto maglioni per i suoi nipotini in piena estate: non poteva morire adesso!

Era tutta colpa di EMI. Quella stupida, dannata macchinetta; come poteva odiarla tanto? Nei due anni che aveva passato alle superiori, Touko aveva stimato che la dannata le avesse mangiato i soldi, in media, sette volte su dieci. Una media sconcertante anche per il peggiore dei distributori automatici, eppure lei sembrava l’unica studentessa a soffrirne. «Sei proprio sfortunata,» le aveva detto una volta Belle, una sua compagna di classe. «A me non è mai successo. E neanche a nessuno che conosco, ora che mi ci fai pensare...»

Mentre era lì, accucciata e sofferente, a fissare lo spettro della morte che si avvicinava ad ampie falcate, Touko sentì montare dentro di sé una gran rabbia. Perché dovevano capitare tutte a lei? Perché doveva trovarsi contro perfino uno stupido distributore di merendine?

«Io... io ti distruggerò.» dichiarò, premendo le mani sul vetro per rialzarsi. «Ho sopportato, sopportato, sopportato sempre, ma adesso basta. È arrivata la tua ora.»

E quando Touko prendeva una decisione, fosse essa dettata dalla ragione, da un ideale o da un semplice calo di zuccheri, non c’era modo di farla tornare sui suoi passi.

«Il punto è: come faccio...?»

Si prese qualche momento per rifletterci. Distruggere fisicamente EMI, con una spranga, un martello pneumatico o ancor meglio dell’esplosivo, sarebbe stato il metodo più veloce ed efficace – nonché soddisfacente – ma purtroppo dubitava che sarebbe riuscita a non farsi beccare con le mani nella marmellata. Senza contare che reperire della nitroglicerina sarebbe stato piuttosto macchinoso: sarebbe dovuta tornare a casa per togliersi l’uniforme, prendere la metro fino a Ikebukuro per trovare qualcuno che le vendesse dei documenti falsi, spacciarsi in qualche modo per- okay, far esplodere EMI era fuori discussione.

Questo le lasciava ben poche alternative, ma Touko non disperò. Camminò avanti e indietro davanti alla macchinetta per almeno mezz’ora, pensando e ripensando a quello che avrebbe potuto fare, finché finalmente un’idea la colpì. «Ma certo!» esclamò, battendosi un pugno sul palmo. Rivolse ad EMI un sorriso a trentadue denti. «Distruggerti sarebbe troppo semplice, troppo banale. Io ti sottrarrò la ragione della tua stessa esistenza, dopo averti sbeffeggiata ed umiliata.»

A dire il vero, il suo piano era piuttosto semplice: se non poteva distruggere EMI dall’esterno, l’avrebbe boicottata all’interno. Un filo strappato di qui, un bullone svitato di là, e la macchinetta avrebbe incominciato a dare i numeri, mostrandosi per l’infame ladra che era anche di fronte al resto dell’istituto. Da lì in poi sarebbe stato tutto in discesa: gli studenti avrebbero smesso di usarla, si sarebbero lamentati col Consiglio Studentesco, qualcuno ci avrebbe appiccicato sopra un foglio di quaderno con su scritto “GUASTA” e infine l’avrebbero sostituita.

Era perfetto. Doveva solo trovare un modo per procurarsi le chiavi per aprire EMI, ma probabilmente sarebbe bastato strappare la spina ed aspettare che qualcuno chiamasse il tecnico.

Touko ridacchiò. A volte si stupiva della sua stessa genialità.

Ma, come tutte le cose, anche quel piano aveva bisogno di un piccolo tocco di classe.

«Questo te lo offre la casa.» gongolò, tirando fuori da una tasca dell’uniforme il pennarello che aveva usato durante l’ora di disegno.

Non capitava spesso che nella sua scuola venissero vandalizzati dei beni pubblici – anzi, sarebbe più corretto dire che non succedeva mai. Chissà che faccia avrebbero fatto i suoi compagni (e i professori!) quando avessero visto il distributore automatico del secondo piano guardarli storto e ringhiar loro contro con i suoi denti d’inchiostro.

Stava giusto accennando il primo dente aguzzo, canticchiando «Disonore a te ~ Disonore a te~» quando, contro ogni previsione, una voce la fece sobbalzare:

«Che cosa stai facendo?»

Il cuore di Touko cominciò a battere all’impazzata.

Cavolo, cavolo, cavolo.  A nemmeno due minuti dall’ideazione del suo piano perfetto, era già stata beccata. Non era così che andava, nei film.

Si girò molto lentamente, cercando con lo sguardo una possibile via di fuga, ma i distributori automatici erano infognati alla fine di un corridoio cieco, quindi anche se fosse riuscita a compiere uno scatto abbastanza veloce-

«Oddio.» si lasciò scappare, realizzando chi aveva di fronte.

 

 

 

Touko non si era mai particolarmente interessata ad Ichinose Touya; lo conosceva di vista perché avevano frequentato la stessa scuola media, ma non si distingueva dagli altri in alcuna maniera particolare, ragion per cui non credeva di averci mai nemmeno parlato.

Nella sua mente, era catalogato come “Ichinose Touya, il ragazzo di cui parla sempre Belle”, “Ichinose Touya, quello che ogni tanto si ferma a parlare con Araragi-sensei”, “Ichinose Touya, quel tizio”...

...o, più spesso negli ultimi tempi, “Ichinose Touya, sottosegretario del Consiglio Studentesco”.

Touko deglutì a vuoto. Come al solito, se c’era mezza possibilità che le cose andassero peggio di come stavano già andando, il destino ci si buttava senza alcuna esitazione.

Sarebbe finita direttamente in sala professori, e da lì in detenzione. Probabilmente l’avrebbero portata dal Preside. Magari sarebbe stata anche denunciata alla polizia per vandalismo. E i suoi genitori l’avrebbero uccisa.

Questo, si disse, se Ichinose Touya avesse parlato.

Il suo cuore accelerò. Strinse i pugni, piegò leggermente le gambe. Sarebbe bastato un colpo ben assestato nel punto giusto, e il ragazzo sarebbe partito per il mondo dei sogni – oppure sarebbe morto, ma al momento occultare un cadavere le sembrava molto meno problematico che varcare la porta dell’ufficio del Preside.

Aveva quasi finito di prepararsi psicologicamente a mettere KO un altro essere umano (È la cosa giusta da fare, devi farlo, andrà tutto bene, stai tranquilla...), quando il ragazzo di fronte a lei spostò appena il peso da un piede all’altro, raddrizzò la schiena e alzò le braccia in posizione di guardia, con la massima naturalezza.

Ah, giusto. “Ichinose Touya, cintura verde, membro attivo del club di karate della scuola”. Come aveva potuto dimenticarlo?

Le spalle di Touko crollarono. D’accordo, era finita.

Abbassò lo sguardo, aspettando di essere rimproverata, o minacciata, o presa per le orecchie, o che le venissero quantomeno letti i suoi diritti.

Non successe nulla.

Quando rialzò gli occhi, Ichinose Touya la stava semplicemente guardando.

«Potresti mettere via quel pennarello, per favore?» le chiese, gettando un’occhiata all’altro lato del corridoio. «Se arrivasse qualcuno sarebbero guai.»

Touko sbatté le palpebre, stupita, ma si trovò ad ubbidire senza quasi rendersene conto. «Buffo, credevo che fosse già arrivato qualcuno.» si azzardò a dire, mentre rimetteva il pennarello in tasca. «Ichinose-senpai.»

Non sapeva fino a che punto fosse saggio ricordare a chi l’aveva beccata che aveva il dovere di denunciarla, ma era certa che fosse sempre bene dare al nemico l’impressione di sapere tutto su di lui. Sicurezza e spavalderia prima di tutto, Touko: fagli vedere chi sei.

Il ragazzo alzò le spalle. «È stata una brutta giornata.» disse. «Non ho una gran voglia di tornare in sala professori.»

«Stai dicendo che per stavolta puoi chiudere un occhio?»

«Se torni in classe di corsa e prometti di non vandalizzare mai più le proprietà scolastiche, sì.»

Touko rimase a guardarlo per qualche secondo, pensosa. Era salva. Almeno in teoria, aveva scampato la tragedia sul filo del rasoio. Eppure... mancava ancora qualcosa. Forse poteva permettersi di rischiare.

Incrociò le braccia, decisa. «No.»

Ichinose spalancò gli occhi, basito. «Come, scusa?»

«È di vitale importanza, » spiegò Touko, «che io finisca quello che stavo facendo.»

 

 

 

«Mi stai dicendo...» riepilogò Ichinose, con una punta di scetticismo pienamente comprensibile, «che vuoi vendicarti di un distributore automatico?»

«Non è un semplice distributore automatico. Lei è malvagia!» esclamò Touko, indicando l’etichetta adesiva appena sopra il tastierino numerico della macchinetta. «Guarda, sta anche nel nome: tutti pensano che “EMI” stia per “Eiichi Mananobe Industry”, ma è palese che in realtà siano le iniziali di “Evil Mastermind Inc.”!»

Ichinose fece una smorfia, ma pareva più che altro divertito dallo straparlare di Touko. «Capisci anche tu che non è possibile che una macchina abbia una particolare avversione nei tuoi confronti, vero?»

«Ma è così!»

L’esclamazione di Touko fu sottolineata dal gemito disperato del suo stomaco, che rimbombò fino in fondo al corridoio deserto. La ragazza si portò una mano alla pancia e gemette a sua volta, chiedendosi quanto le rimanesse ancora da vivere.

Ichinose sorrise. «Facciamo una prova.» propose, avvicinandosi di un passo. Tirò fuori dal portafogli 100 yen, li inserì nella macchinetta e digitò 1010 sul tastierino.

Thump. Touko non fu nemmeno troppo stupita di veder cadere uno Shokobol nel cassetto di ritiro.

Ichinose lo prese e glielo porse, ma lei si limitò a sbattere le palpebre. «Non te l’ho chiesto.» disse, spingendo in un angolo remoto della sua mente la voglia quasi irresistibile di mangiare quella merendina in un solo boccone, carta compresa.

«E io te lo sto dando lo stesso. Come membro del Consiglio Studentesco, è mio dovere assicurarmi che nessuno svenga nei corridoi.»

Touko arricciò le labbra, dubbiosa. Il comportamento di quel ragazzo la insospettiva – sul serio, chi aveva nominato sottosegretario un tipo che non solo non denunciava atti di vandalismo compiuti davanti ai suoi occhi, ma in più regalava cibo ai sopracitati vandali? – ma alla fine si arrese alla fame.

«Beh, allora grazie, senpai.»

Sentire il sapore del cioccolato sulla lingua dopo tante ore di digiuno fu come essere stata sparata direttamente in paradiso, angeli canterini e tutto. Touko chiuse gli occhi e si lasciò scivolare per terra, la schiena contro EMI. Che bella cosa, il cibo. Un solo morso e si sentiva già incredibilmente più in pace con sé stessa: l’ansia, la rabbia, l’irritazione e lo spirito vendicativo scivolarono via dalla sua mente come acqua tra le dita.

«Kisaragi-san...?»

Touko spalancò gli occhi di scatto: si era quasi dimenticata di Ichinose, che ora le stava rivolgendo un mezzo sorriso.

«Scusa, per un attimo ho pensato che ti stessi sentendo male.»

Sottile è il confine tra lo stare male e il sentirsi straordinariamente bene... pensò Touko, ma non era quello ad aver colto la sua attenzione. «Sai come mi chiamo?»

«Anche tu.» disse lui, appoggiandosi alla macchinetta. Rimase a fissare il muro per qualche secondo, prima di continuare: «Kisaragi Touko-san, seconda classe della terza sezione. Sei venuta a lamentarti al Consiglio Studentesco un paio di volte.»

Touko alzò un sopracciglio. «E tu ricordi tutti quelli che vengono a chiedervi fondi per il loro club o nuovi gessetti per la classe?»

«Quelli che “Ti sto chiedendo dei dannati gessetti, Cheren!”, sì.»

Touko fece schioccare la lingua. Adesso che ci pensava, aveva dato abbastanza in escandescenze, un paio di mesi prima. Colpa di Cheren, che evidentemente considerava dei normalissimi gessetti bianchi armi di distruzione di massa, da maneggiare con cautela e distribuire solo ai collaboratori più fidati.

Ichinose ridacchiò. «Cos’è, pensavi che fossi una specie di stalker? Un tuo ammiratore segreto, magari?»

Touko si strinse nelle spalle, ma non poté evitare di arrossire un pochino. «Non ci si può fidare di nessuno, al giorno d’oggi. E tu mi hai offerto dei dolci, questo ti rende automaticamente sospetto.»

«Ah, a proposito.» Ichinose si raddrizzò e le porse una mano, con cui l’aiutò a rialzarsi. «L’esperimento non è ancora finito. Tieni.» Le mise in mano 100 yen, che Touko guardò come se si fosse trattato di una sostanza aliena e potenzialmente cancerogena.

«Con me ha funzionato, prova tu.» la invitò il ragazzo.

Touko alzò le spalle. «Come ti pare, se vuoi buttare cento yen. Ho una media di sette su dieci, ti avviso.»

Inserì la moneta, in realtà già certa che questa volta EMI avrebbe funzionato, per il puro gusto di smentire le sue parole.

Invece, quando Touko digitò il codice, non successe nulla. La ragazza si voltò di scatto verso Ichinose, il petto colmo di un’improvvisa quanto immotivata soddisfazione. «Hai visto? Te l’avevo detto!»

Lui sembrava sul punto di scoppiare a ridere, ma strinse le labbra per trattenersi e le diede un’altra moneta. «Dai, riprova.»

Riprovarono altre quattro volte, ed ogni volta il risultato fu lo stesso. Touko si sarebbe sentita incredibilmente irritata, se l’indisponenza di EMI non fosse servita a provare la sua teoria. La macchinetta si stava fregando con le sue stesse mani. Cioè, ingranaggi. Molle. Fili. Che cosa c’era, esattamente, dentro un distributore automatico?

«Okay, è il momento della prova del nove.» dichiarò Ichinose, imponendosi una serietà quasi esagerata mentre inseriva un’ultima moneta nel distributore. Si voltò verso Touko, che annuì con altrettanta autoimposta serietà.

Digitò il codice.

Thump.

Appena lo Shokobol toccò il fondo della macchinetta, i ragazzi si guardarono e Ichinose scoppiò a ridere, come se si fosse trattato della cosa più divertente del mondo. «Io... non ci posso credere...»

«Te l’avevo detto, io, te l’avevo detto!» ghignò Touko, soddisfatta.

«Non ci credo lo stesso!»

Continuò a ridere per parecchio tempo, tanto che Touko si chiese se ci fosse modo di farlo smettere.

«Senpai? Terra chiama Ichinose-senpai?» Gli sventolò una mano davanti alla faccia, ridacchiando, e lui finalmente riuscì a smettere di sghignazzare.

«Ah, riguardo a quello...» disse, ancora affannato, «Smettila pure con il “senpai”, mi suona strano. Non abbiamo neanche un mese di differenza, se ricordo bene.»

Dai ricordi di Touko riemerse, in effetti, una Belle esaltata che le raccontava di come Ichinose Touya avesse fatto la primina, e di quanto lei fosse triste di essere nata in Agosto. Certo che gliene aveva raccontati, di dettagli assolutamente inutili e casuali su quel ragazzo.

«Quindi... Ichinose-san?» ragionò, ad alta voce. «No, Touya-kun

L’aveva detto per scherzo, con un sorriso da furbetta stampato sulla faccia, pronta a sentirsi dire che il cognome bastava ed avanzava.

«Sì, è perfetto.» disse invece il ragazzo, senza un attimo di esitazione.

Quella risposta la lasciò interdetta, ma solo per un secondo. Dopo tutto, c’erano persone meno predisposte alla formalità di altre.

«Allora anche tu lascia perdere il “Kisaragi-san”. Touko va più che bene.» propose, con un sorriso.

«Touko... chan?»

«Ti prego!» replicò lei, disgustata. «Il “chan” mi dà la nausea, è appiccicoso come una caramella andata a male. Solo mia madre mi chiama così.»

«Touko-san, allora?»

La ragazza gonfiò le guance. «Solo “Touko” va bene, non attaccarci niente.»

Lui spalancò gli occhi. «Ma non posso! Sei una-»

«To-u-ya-kun.» sillabò Touko, avvicinandosi a lui con fare minaccioso. Il ragazzo arretrò fino ad avere la schiena contro EMI, colto alla sprovvista. «Solo perché indosso una gonna non significa che voglia essere trattata come il resto delle oche che girano per la scuola. Okay?»

«O-okay.» disse Touya, che d’un tratto si era fatto rosso in viso. «To... Tou...»

«È ridicolo, assolutamente RIDICOLO

Un improvviso ed assolutamente terrificante rumore di passi nel corridoio li fece sobbalzare, troncando il discorso di netto.

«Come facciamo a perdere membri del Consiglio Studentesco? Non è ammissibile! Dovranno essere presi dei provvedimenti!»

Touko aveva già sentito quella voce...

«Dannazione, è Cheren.»

Touko sentì il braccio venire strattonato violentemente e un attimo dopo si ritrovò con la schiena contro il muro, la visuale sul corridoio oscurata dal distributore delle bibite.

«Scusa.» sussurrò Touya, ad un palmo dal suo viso.

«Come se non bastassero i problemi scatenati da quella sottospecie di idol!» continuò la voce di Cheren, che si stava facendo sempre più vicina. «Da quando si è trasferito qui, le studentesse sembrano essere andate completamente fuori di testa... Sai in quante hanno iniziato a marinare regolarmente l’ora di autogestione? Sai quante riunioni straordinarie ho dovuto programmare con i capoclasse, i professori e quel buono a nulla del nostro preside?»

Tu-tum, tu-tum, faceva il cuore di Touko, pulsandole nelle orecchie come un tamburo. Per pura divina provvidenza era riuscita a non farsi denunciare dal sottosegretario, ma se si fosse fatta beccare sul luogo del crimine con un pennarello in tasca proprio dal Presidente del Consiglio Studentesco... oh, sarebbero stati guai. Guai enormi.

Come se non bastasse, essere costretta in quello spazio angusto a pochi centimetri da Ichi- sì, beh, Touya, la stava mettendo parecchio a disagio. Da quando si era avvicinato a lei, Touko aveva iniziato a sentire un profumo tutt’intorno, il profumo di uno di quei bagnoschiuma che usavano i ragazzi, e che sapevano di mare e di fresco e di pulito...

I suoi occhi incontrarono quelli di Touya – castani, assolutamente ordinari, assolutamente... splendidi – e d’un tratto venne colpita da una realizzazione: l’avrebbe baciata.

Era scritto nel suo sguardo, nel suo profumo, nella mano che non le aveva ancora lasciato il braccio, nel cuore di Touko che batteva l’allegretto come un metronomo: era il momento giusto, e l’avrebbe baciata.

Per questo, quando Touya la prese per le spalle, quasi non si accorse di essere stata spinta a terra.

«Va meglio?» chiese il ragazzo, con un’aria terribilmente preoccupata. Si era inginocchiato di fronte a lei. «Credo che sia comunque meglio portarti in infermeria.»

Touko lo fissò stranita, e non capì che cosa gli stesse passando per la testa fino ad un paio di secondi dopo, quando la figura di Cheren si stagliò sopra di loro, simile in tutto e per tutto ad un’apparizione demoniaca.

«Ma guarda un po’, il sottosegretario perduto.» disse, in tono sprezzante. «Via un altro dalla lista, Dent! Quanti ne restano?»

«T-tre, Presidente.» rispose il ragazzino dall’aria terrorizzata dietro di lui.

Cheren si passò una mano sulla faccia. «Sono come un pastore che tenta di radunare il suo gregge di pecore idiote.» mormorò tra sé. «Ichinose! Si può sapere dove ti eri cacciato?»

Touko fu sicura di vedere Touya sbiancare e deglutire a forza prima di rispondere. «G-giuro che stavo venendo in riunione, Presidente, è che-»

«“Giuro che stavo venendo”, “Mi stavo giusto avviando”, “Mi è morto il gatto”, “Ho perso la borsa”.» sbottò Cheren. «Ma si può sapere che prende a tutti oggi? Dovevamo essere in riunione mezz’ora fa, eppure non si è presentato nessuno. E adesso tocca a me andare a- chi è lei?» s’interruppe, accorgendosi finalmente di Touko.

Sono stata in classe con te per quasi otto anni. avrebbe volentieri risposto lei, ma vide bene di trattenersi.

«L’ho trovata qui poco fa, non si è sentita bene.» spiegò Touya. «Probabilmente si è trattato di un semplice calo di zuccheri, ma non si sa mai... credo che dovrei portarla in infermeria.»

Cheren sospirò. «Sì, dovresti.» disse, sistemandosi gli occhiali. «La riunione è posticipata alle 16, dato che i nostri colleghi giocano a nascondino. Ti converrà esserci.»

«Certo, Presidente.» annuì Touya, serissimo. Si voltò verso Touko e le porse la mano. «Vieni, ti porto giù.»

L’aiutò ad alzarsi e le mise un braccio intorno alle spalle, per sostenerla mentre fingeva di non riuscire a reggersi bene in piedi. «Come va la testa? Gira ancora?»

Touko annuì con espressione sofferente. «Credo che stia migliorando... però...»

«Tranquilla.» Touya le sorrise, rafforzando la presa sulla sua spalla. «Un passo alla volta, sono sicuro che ce la puoi fare.»

Nonostante sapesse perfettamente che la dolcezza del sorriso che le stava rivolgendo fosse parte della farsa, Touko sentì le guance farsi calde. Stupida, stupida Touko. Ma che ti prende oggi?  Distolse in fretta lo sguardo, cercando di concentrarsi sulla camminata zoppicante.

Touko sentì lo sguardo di Cheren osservarli minaccioso finché non ebbero girato l’angolo, e anche allora ebbe l’impressione che li stesse tenendo d’occhio. Rimase in silenzio finché non fu sicura che si fossero allontanati abbastanza.

«Sono sempre più convinta che tu abbia intenzione di ricattarmi.»

Touya alzò un sopracciglio, ma in un attimo la sua espressione perplessa lasciò spazio a un sorriso. «Perché?» chiese, con lo stesso tono di voce contenuto che aveva usato Touko. Probabilmente avevano entrambi l’impressione che se avessero parlato troppo forte Cheren sarebbe stato in grado di sentirli.

«Il tuo comportamento è estremamente sospetto: mi stai facendo troppi favori.» spiegò Touko, con la stessa serietà con cui gli aveva illustrato i malvagi piani di EMI per la conquista del mondo. «Inoltre dimostri ben poca lealtà nei confronti di Cheren nonostante sia il tuo diretto superiore, cosa che mi fa pensare che potresti non essere l’innocuo sottosegretario che tutti credono, ma qualcosa tipo...» si portò una mano al mento, come un detective al momento di trarre le sue conclusioni finali riguardo un omicidio in stanza sigillata. «Tipo il lato oscuro del Consiglio Studentesco, che sfrutta la sua posizione di potere per dei loschi fini.»

«Ah, dici?» Touya si fermò di colpo e prese Touko per un braccio, tirandosela vicino. «E sentiamo, che cosa potrei volere da te, piccola Touko-chan?» mormorò, prendendole il mento tra pollice ed indice.

Lei ebbe un attimo di esitazione. O, per essere più precisi, si sentì mancare l’aria come se i suoi polmoni avessero improvvisamente chiuso per ferie, tanti saluti, ci vediamo a Settembre.

«Non lo so. Non so cosa vuoi...» disse, con un filo di voce.

«Forse voglio il tuo silenzio.» L’espressione che Touya aveva in viso era... pericolosa.

Contegno, Touko, contegno. Non sei più una dodicenne.

 Strinse gli occhi, prese il ragazzo per la cravatta dell’uniforme e lo avvicinò ancora di più a sé. «Questo da te non me lo aspettavo, Touya-kun.» gli soffiò sul viso.

Lui sostenne il suo sguardo, senza vacillare nemmeno per un secondo. «Che cosa?»

Touko sorrise. «Che fossi un così bravo attore.»

L’atmosfera da telenovela di serie C scoppiò come una bolla di sapone, mentre i ragazzi si lasciavano reciprocamente andare e riprendevano a camminare, come se nulla fosse stato.

«Aaaah, erano secoli che non mi capitava uno scambio di battute così.» gongolò Touko, l’intero corpo scosso da un fremito d’eccitazione. «Di solito la gente non sta al passo, sai? Sono sempre così seriosi, cercano il significato logico in ogni cosa... stavo iniziando a perdere le speranze nel genere umano.»

 Touya ridacchiò. «Certo che ti esalti per poco.»

«Forse.» sorrise lei. «Ma sai, Touya-kun, io credo che il vero problema di questo mondo sia che nessuno è disposto a fare follie.»

«Questa non era esattamente una follia...»

«Certo che lo era. Una piccola follia.» spiegò Touko, avvicinando pollice ed indice davanti al viso. «Ma le persone non sono disposte neanche a fare cose così piccole, quindi come ci si può aspettare che facciano di più?»

Fece una breve pausa. Di solito, a quel punto del discorso la gente la interrompeva, dicendo che le follie sono belle da immaginare – è bello pensare “domani mollo tutto e vado in Madagascar” o “rubo il nano da giardino del mio vicino, gli faccio una foto davanti alla Tour Eiffel  e lo rimetto a posto una settimana dopo insieme alla fotografia” – ma difficili da realizzare, dato che “la vita non è così semplice”, “ci sono tanti problemi da considerare”, bla bla bla bla.

Invece Touya non disse nulla e, cosa ancora più importante, non la stava guardando come se fosse stata completamente fuori di testa.

«Sono tutti troppo impegnati a mantenere l’equilibrio nella loro comoda e squallida vita per rendersi conto che ogni tanto vale la pena di rischiare. Esagerare. Bigiare una lezione per andare a giocare a palle di neve, prendere il treno di Domenica senza sapere quale sia la destinazione...»

«Progettare la distruzione di un distributore automatico?»

«Vedo che sei un ragazzo sveglio.» Touko sorrise, compiaciuta. «Hai appena guadagnato dodici punti.»

«Punti?»

«Nella classifica delle Persone Che Non Mi Stanno Sulle Scatole.»

«Ma che razza di classifica è?» chiese Touya, spalancando gli occhi. «Non ne hai una con un nome più carino?»

«Beh, ho quella delle Persone Che Prenderei Volentieri a Pugni...»

«Non è una cosa positiva!»

«Le Persone Senza Alitosi...»

«Passo.»

«Ma quella era molto positiva! Poi ci sono le Persone Che Mi Devono Dei Soldi...»

«Qui direi che la situazione è al contrario.»

«E volendo c’è anche la classifica delle Persone a cui Voglio Discretamente Bene, ma per entrare in quella ti ci vorranno minimo altri milleduecento punti.»

Touya fece una smorfia, scoraggiato. «E devo andare avanti di dodici in dodici?»

«Questo lo deciderò io.»

«Ho l’impressione che sarà una lunga e faticosa scalata verso la vetta...»

«Okay, allora senti qua.» Touko lo superò e si mise di fronte a lui, continuando a camminare all’indietro. «Promozione speciale, rispondi correttamente a questa domanda e vinci ottocento punti.»

«Va bene, spara.»

La ragazza sorrise, com’era solita fare, allo stesso modo in cui la Volpe avrebbe sorriso a Pinocchio. «Vuoi davvero arrivarci, alla vetta?»

Touya arricciò le labbra e parve pensarci su per qualche secondo. «Dipende, si vince qualcosa?»

«Peeeeeeeh!» Touko incrociò le braccia sopra la testa per formare una croce e gli mostrò la lingua. «Risposta sbagliata! Hai sprecato una grande occasione, Touya-kun, ma puoi tornare a casa con il nostro gioco in scatola.»

«È stato un onore giocare con voi, ringrazio tutti e saluto il mio cincillà che mi sta guardando da casa.» disse Touya, prendendo la mano di Touko e ridirezionando la ragazza prima che andasse a sbattere contro il muro alla fine del corridoio.

Lei fece un cenno con la testa in segno di ringraziamente. «Parlando d’altro, davvero vi siete messi d’accordo per far uscire di testa Cheren?» chiese, divertita. «Perché se è così, siete il miglior Consiglio Studentesco che abbia mai avuto.»

Touya lasciò andare la sua mano ed incrociò le braccia, rallentando leggermente il passo. «Non credo che sia corretto dire che ci siamo “messi d’accordo”...» disse, d’un tratto pensieroso. «Però posso immaginare varie ragioni per cui nessuno avesse voglia di venire in riunione, oggi.»

«Nemmeno il sottosegretario?» lo punzecchiò Touko.

Touya alzò le mani in segno di resa. «Già , nemmeno il sottosegretario.»

Touko ridacchiò. Conoscendo bene il carattere di Cheren, quando era stato eletto Presidente del Consiglio Studentesco aveva dato al suo regime sei, sette mesi al massimo, prima che crollasse su se stesso. A quanto pareva, non si era sbagliata.

«E queste ragioni sarebbero...?»

«Informazioni riservate.»

«Cosa siete, il Consiglio Studentesco o la CIA?» rise Touko.

Touya la guardò con espressione scioccata. «C-come fai a saperlo?»

«Non dovrei dirtelo, ma in realtà sono una medium.» rispose Touko, serissima. «Le persone innocenti che hai ucciso mi hanno chiesto di punirti per dare pace alle loro anime...»

«Se sei al corrente di queste informazioni, dovrò uccidere anche te.» Touya le puntò un indice alla nuca, a mo’ di pistola. «È un peccato, mi piacevi.»

Touko ridacchiò. «Cinque punti, lavora sulla credibilità.» disse, sempre più esaltata dall’idea di aver trovato qualcuno con cui mettere in scena cliché di film scandenti. «Allora, che è successo ai piani alti?»

Touya alzò le spalle. «Le solite cose, in realtà. Immagino che tu conosca N Harmonia, giusto?»

«Chi non lo conosce? Se non fosse un idol, sarebbe comunque famoso per il suo gusto orribile in fatto di capelli.» rise Touko. «Ho capito, quindi è stato per il concerto improvvisato di stamattina?»

Touya annuì. «Il Presidente era completamente fuori di sé. Ha chiamato tutti in riunione straordinaria nonostante mancassero dieci minuti all’inizio delle lezioni, e ha iniziato a sbraitarci contro dicendo che era inammissibile, che se esiste un regolamento è perché va rispettato, che non possiamo permettere a un singolo studente di fare il bello e il cattivo tempo solo perché è famoso...»

«E bla, bla, bla.» concluse Touko, divertita. Poteva benissimo immaginarsi la scena: Cheren rosso come un pomodoro, le vene pulsanti ai lati della fronte, che urlava contro i suoi sottoposti senza che loro potessero fare niente per difendersi.

«Ma non solo, » continuò Touya, «ha iniziato ad elencare ciò che ciascuno di noi – te lo giuro, ha fatto nomi e cognomi, prendendo ogni caso singolarmente – avrebbe potuto fare per prevenire o fermare l’evento, ribadendo ogni volta: “Siete il Consiglio Studentesco, il simbolo vivente dell’Ordine e della Giustizia, da voi non posso accettare un comportamento del genere!”.»

«Spaventoso. Io gli avrei tirato una scopa nei denti.»

«Ero a tanto così dal farlo, credimi.» disse Touya, irritato. «Metà delle ragazze erano praticamente in lacrime, e anche noi abbiamo fatto fatica a trattenerle quando ci ha detto che saremmo dovuti tornare in riunione oggi pomeriggio.»

Touko sorrise, intenerita dall’idea di quelle povere anime lasciate in balia di Cheren. «Ci credo che poi nessuno si è presentato. Deve avervi traumatizzati.»

«In effetti, quando ti ho incontrata stavo giusto cercando un modo di svignarmela.» ammise Touya. «E tutto mi sarei aspettato tranne che trovare una ragazza che litigava con un distributore automatico.»

Touko si fermò di colpo, assalita da un pensiero che aveva trascurato per troppo tempo, senza rendersene conto. «EMI!» esclamò, rischiando di farsi sentire dall’intero istituto.

«Eh?»

«EMI!» ripeté Touko, a volume più basso ma con una certa urgenza. «Ho lasciato a metà il mio piano di boicottaggio, devo ancora staccare la spina e fare in modo che chiamino il tecnico e...»

«Un attimo...» Touya sembrava onestamente sorpreso. «Hai davvero intenzione di farlo?»

«Secondo te perché ho sprecato mezz’ora a ideare il mio piano e altri dieci minuti buoni a spiegartelo, per divertimento?»

«Beh, credevo che la cosa fosse su quelle righe...»

Touko sbuffò forte e mise entrambe le mani sui fianchi. «Non mi stavi prendendo sul serio, quindi?» chiese, leggermente irritata. Le capitava fin troppo spesso di non essere presa sul serio dalla gente, e la cosa iniziava a darle sui nervi. «Molto male, Touya-kun, meno dieci punti.»

Il ragazzo non parve particolarmente scosso dalla sottrazione di più della metà dei suoi punti amicizia. Incrociò le braccia, dubbioso. «Più che altro, non credo che sia una buona idea...»

«E perché?»

«Si tratta di un enorme investimento in tempo ed energie, solo per... vendicarsi di un distributore automatico.» disse Touya, che evidentemente stava cercando il modo più gentile di porre la questione, ma non ci stava riuscendo brillantemente. «Senza contare che potrebbero beccarti, e in quel caso sarebbero guai grossi. Credi davvero che ne valga la pena?»

Touko ci pensò su per qualche istante. Ci pensò davvero, valutando i pro e i contro della sua decisione e prendendo in seria considerazione ciò che le era stato appena detto.

Quando alzò lo sguardo, aveva un gran sorriso stampato in faccia. «È una follia, Touya-kun.» disse, con una sicurezza che parve farla illuminare di luce propria. «Perciò sì, sono davvero convinta che ne valga la pena.»

Touya si passò una mano sulla faccia, sconfitto. Doveva essere arrivato alla realizzazione, come tutti quelli che la conoscevano, che quando si aveva a che fare con Touko non c’era modo di averla vinta. «D’accordo.» sospirò. «Ma almeno lascia che ti dia una mano.»

 

 

 

«Ahia, così è troppo stretto!»

«È così che lo portano le ragazze per bene, cerca di sopportare.»

«Sopportare? Ma se non respiro!» si lamentò Touko, cercando di sistemarsi da sola il fiocco dell’uniforme. Touya non glielo permise.

«Se vuoi che questo piano funzioni, » disse, finendo di annodare il fiocco, « devi fidarti di me e collaborare. Quindi adesso rimani ferma, per favore.»

Touko sospirò, tamburellando le dita sul materasso del letto su cui era seduta.

Come c’era da aspettarsi, in quello strano pomeriggio costellato di avvenimenti improbabili, quando i ragazzi erano arrivati in infermeria l’avevano trovata completamente vuota. Se avessero avuto effettivamente bisogno di cure mediche questa sarebbe stata una sfortuna, ma data la situazione avevano deciso di fare di quel luogo la loro base operativa.

«Ecco, ci siamo quasi...» mormorò Touya fra sé, rassettandole il colletto dell’uniforme. «Potresti scioglierti i capelli?»

Touko gonfiò una guancia. «Solo se allenti quel fiocco.»

«E va bene, solo un filo però...»

Mentre lui si adoperava nuovamente a sciogliere il fiocco malefico, Touko portò le mani in cima alla testa e sfilò l’elastico, disfacendo la coda di cavallo. I capelli le ricaddero sulle spalle, soffici e leggermente gonfi per le ore che avevano passato legati.

Nonostante non avesse ancora finito di rifare il fiocco, Touya alzò lo sguardo. Sorrise. «Dovresti tenerli più spesso così.»

Touko si sentì spontaneamente arrossire. «Sono scomodi, mi vanno in faccia.» sbuffò, sollevando una ciocca di quei capelli scombinati per guardarla storta. «E poi non sono neanche particolarmente belli.»

«No, non sono d’accordo. » Finito il fiocco, Touya si raddrizzò e le passò una mano tra i capelli, pettinandoli con le dita. Nonostante sapesse che si trattava di un gesto completamente innocente, Touko non poté fare a meno di provare uno strano disagio ogni volta che quelle dita le sfioravano la pelle. Stupida, stupida Touko.

«E adesso, il tocco finale.» disse Touya, con l’espressione di chi sta per mettere la ciliegina in cima a una meravigliosa torta di nozze. Prese dalla tasca dell’uniforme un astuccio e ne tirò fuori degli occhiali da vista. «Ta-dan.» mormorò, posandoli con delicatezza sul naso di Touko.

Lei sbatté le palpebre qualche volta, sorpresa.

«Sono finti, puramente estetici.» spiegò Touya, mettendo via l’astuccio. «Ma l’esperienza mi ha insegnato che al Consiglio Studentesco un paio di occhiali possono far mutare considerevolmente le sorti di qualunque votazione.»

«Per questo Cheren ce l’ha sempre vinta?»

«No, quello è perché... beh, perché è Cheren.»

Touko rise e si lasciò cadere all’indietro sul letto, incurante del fatto che così facendo si stava scombinando nuovamente sia i capelli sia l’uniforme. Chiuse gli occhi.

Si sentiva così bene... quasi non riusciva a credere che fino a poche ore prima quella fosse stata una pessima giornata. L’autobus perso, il pranzo dimenticato a casa, la macchinetta senza cuore... era come se tutto fosse stato spazzato via, lasciandole addosso un sottile velo di appagamento.

«Ehm... Touko?»

«Hmm?»

«...no, niente.»

C’era una traccia di sorriso nella voce di Touya, cosa che la incuriosì abbastanza da farle riaprire gli occhi. «Dai, che c’è?» chiese, sorridendo a sua volta mentre si rimetteva a sedere.

Lui evitò il suo sguardo. «Davvero, non è niente.» ripeté. «Mi era solo venuta in mente una cosa, ma poi... mi sono ricordato che non ti avevo ancora chiamata così.»

«Così come?»

Touya rimase interdetto per un secondo. Prese un breve respiro. «Touko.» disse, a mezza voce.

«È il mio nome.»

«Sì, ma...» Touya distolse nuovamente lo sguardo, imbarazzato. «Non chiamo quasi mai le ragazze per nome. È... difficile.»

«Cosa c’è di difficile?» rise Touko, onestamente divertita dal vederlo arrossire per così poco. «E la cosa che volevi dirmi?»

«Dimenticata.»

«E dai...» Touko gli punzecchiò la spalla con un dito, supplichevole. «Adesso voglio saperlo, sono curiosa.»

Touya tornò a guardarla, dubbioso, arricciando un poco le labbra.

Touko ricambiò lo sguardo sfoderando i suoi migliori occhi da cucciolo. Dai, dai, dai...

Lui sospirò, mentre un lieve sorriso si allargava sul suo volto. «Non posso proprio, ma se vuoi posso dirti qualcos’altro.» Touko sentì un familiare tu-tum scuoterle il petto, mentre Touya si chinava verso di lei e accostava le labbra al suo orecchio. «Sei molto carina, Touko.»

Quella fu la volta di Touko di arrossire come un pomodoro. Sobbalzò con tale violenza che gli occhiali le scivolarono sulla punta del naso.

Tu-tum, tu-tum, tu-tum, tutum tutum tutumtutumtutumtutumtutum...

Touya si mise una mano davanti alla bocca per nascondere una risatina. «Sì, decisamente troppo...»

«N-non dire scemenze!» esclamò Touko, portandosi una mano al petto come se l’avessero ferita con una freccia. «Tu sei carino!»

Il viso di Touya riacquistò il color porpora tutto d’un colpo. «Eh?» fece, strabuzzando gli occhi. «Non è affatto vero!»

«Sì, invece!»

«Quella carina sei tu!»

«No, tu!»

«Ti dico che è così!»

«E io ti dico che sei orbo, carino

«Non darmi del “carino”!»

«Inizia a non farlo tu!»

«Ma tu sei carina!»

«T-ti tolgo ottanta punti!»

«Dovrebbe essere una minaccia?»

Continuarono a battibeccare così, come se si stessero lanciando gli insulti peggiori del mondo, finché non rimasero entrambi completamente senza fiato.

Touko continuò a fissare in cagnesco Touya per diversi secondi, e lui ricambiò il suo sguardo con altrettanta serietà.

«Questa è...» disse Touko, ancora affannata, «...la discussione più idiota... che abbia mai avuto... in tutta la mia vita.»

Di nuovo, la bolla di serietà scoppiò. Entrambi iniziarono a ridere di gusto, tanto che presto Touko iniziò a sentir male alla pancia.

«Non ci posso credere, nemmeno all’asilo...»

«Le senti quelle? Sono le sirene dell’ambulanza che sta venendo a prenderci.»

Touko si asciugò gli occhi, la ridarella che continuava a tornarle a singhiozzo, e si riaggiustò i finti occhiali sul naso. «Mi sa che siamo senza speranza.» disse, più che altro a se stessa.

Dopodiché, il silenzio. Touya non disse nulla, e Touko non trovò nulla di vagamente intelligente da dire, perciò nell’infermeria vuota rimase soltanto il suono del loro respiro. Il quale, notò lei, non accennò a tornare regolare nemmeno dopo due minuti interi di silenzio assoluto.

Touko azzardò un’occhiata alla sua sinistra, proprio mentre Touya stava facendo lo stesso, ed entrambi si ritrovarono a distogliere lo sguardo istantaneamente. Si mise a fissare con estremo interesse le proprie ginocchia.

Doveva dire qualcosa, qualunque cosa, perché quel silenzio non le stava facendo bene, e non capiva nemmeno perché. Solo che il suo cervello pareva essersi... svuotato, la fatina dei gigabyte era passata e aveva deciso di formattare la partizione “argomenti di conversazione”, lasciandola senza niente di cui parlare.

Sentiva lo stomaco stretto come se l’avessero strizzato, e questa volta la fame non c’entrava niente. E poi faceva caldo, era normale che facesse così caldo? Era ancora Maggio, avevano appena cambiato le divise invernali con quelle estive, non poteva es-

Una mano si posò sulla sua, che era rimasta appoggiata sul letto per tutto quel tempo. Touko si girò, il cuore in via di esplosione, sapendo di essere più rossa di quanto fosse mai stata in vita sua. Che anche il viso di Touya fosse nelle stesse condizioni era una magra consolazione.

I loro occhi s’incontrarono, fuggirono, si cercarono di nuovo, esitarono. Quando si fermarono, erano specchiati gli uni negli altri.

Touko cercò di deglutire ma aveva la gola secca, mandò giù solo aria. Le sembrava di essere tenuta malamente in equilibrio sulla punta di un picco altissimo, con il solo dubbio di dover cadere da una parte o dall’altra – morte certa comunque, senza vie di scampo, perciò voleva solo mollare tutto e cadere. Voleva solo...

I loro volti si avvicinarono, come attratti da una strana forza magnetica, perfettamente in sincrono. Touya strinse leggermente di più la mano intorno alla sua.

Il cuore di Touko batteva così forte che le sembrava che il suo intero corpo stesse tremando.

Socchiuse gli occhi, stava per cadere. Finalmente.

«Cielo, che giornata!»

Touko sobbalzò violentemente e si affrettò a raddrizzarsi, rischiando quello che doveva essere il terzo infarto del giorno, mentre Touya esclamava: «A-araragi-sensei!»

La donna bionda che aveva appena fatto il suo ingresso in infermeria li guardò, stupita. «Oh, Ichinose-kun. Kisaragi-san. Avete bisogno di qual- ...oh.» Un sorriso si allargò sul suo volto. «Credo di aver capito.» disse, accennando con lo sguardo alle loro mani ancora unite.

Touya si affrettò a togliere la sua mano, rosso come se si fosse preso un’insolazione. «N-non è come-»

«Oh, ma certo che lo è, invece.» disse la professoressa, tutta gongolante con il suo bel sorriso. «Cercavate solo dello zucchero, vero?»

Prese un barattolo dall’armadietto dei medicinali e lo porse ai ragazzi. All’interno c’erano delle zollette bianche. Touko le osservò imbambolata per diversi secondi, faticando a connettere gli avvenimenti tra loro. Le stavano offrendo dello zucchero. Ma fino a pochi secondi prima... stava... no, no, non riusciva nemmeno a pensarci.

«Su, ragazzi, non fate complimenti.» li incoraggiò Araragi-sensei. «I cali di zuccheri possono essere delle brutte bestie, ma per fortuna basta poco a scacciarli.»

Entrambi presero timidamente una zolletta dal barattolo.

«Grazie.»

«Figuratevi, è il mio lavoro.» sorrise la donna. «E ora via, veloci. Avrete sicuramente le attività dei vostri club da seguire, no?»

I ragazzi annuirono, salutarono la professoressa e si affrettarono fuori dall’infermeria, le zollette di zucchero ancora in mano.

Camminarono nel corridoio per qualche minuto, in silenzio, senza una meta precisa.

«Touko...»  «Touya-kun...»

Di nuovo, nel momento in cui i loro sguardi s’incontrarono li distolsero in fretta.

«P-prima tu.»

«Non era niente, dimmi.»

Touko prese un profondo respiro. Oh, piantala. si disse. Ti comporti come una ragazzina. Le farfalle nello stomaco, ma fai sul serio? Levati dalla faccia quell’espressione imbarazzata e di’ qualcosa che abbia senso!

«Beh, a... a che ora dicevi che doveva arrivare il tecnico?»

Brillante, semplicemente brillante. Potevi fare un commento sul tempo, già che c’eri.

Touya controllò l’orologio che aveva al polso. «Ah.» disse, stupito. «Più o meno adesso.»

 

 

 

Nonostante i piani di Touko fossero più grandiosi, nonché ideati per esaltare il grande pubblico, fortuna voleva che quel giorno fosse già in programma la visita di un tecnico della Eiichi Mananobe Industry, dato che i distributori del primo piano facevano le bizze da qualche tempo.

«Dai, sbrigati!»

«Come faccio a fingermi un membro del Consiglio Studentesco, se inizio correndo nei corridoi?»

«Senti, sono lieto che tu stia cercando di entrare nel personaggio, » disse Touya, non irritato ma con una certa urgenza, « però al momento preferirei davvero che ti dimenticassi delle regole della scuola.»

«Ho sempre più dubbi su come sia possibile che ti abbiano nominato sottosegretario.»

Fortunatamente, bastò girare l’angolo per trovare i distributori automatici, e con essi il tecnico che si stava apprestando a ripararli.

Ciò che sorprese Touko fu che non si trattava dell’uomo tarchiato di mezza età che si era immaginata, ma di un ragazzo che ad occhio e croce non doveva avere molti anni più di lei. Per un attimo pensò che avessero sbagliato persona, ma la giacca arancione con le lettere “EMI” stampate a caratteri cubitali non lasciava spazio a dubbi: quel ragazzo era il tecnico inviato dall’azienda.

«Salve. Mi chiamo Ichinose Touya, e lei è Kisaragi Touko.» disse Touya, senza perdere tempo. Touko fece un mezzo inchino, sperando di non sembrare troppo ridicola. «Siamo del Consiglio Studentesco, ci hanno mandati a supervisionare le riparazioni.»

Il tecnico era accovacciato davanti a quella che sembrava essere la sua cassetta degli attrezzi, in cui fino a un momento prima stava ravanando alla ricerca di qualcosa. Alzò lo sguardo verso di loro e fece un gran sorriso. «È sempre meglio assicurarsi che tutto proceda senza problemi, vero? Konomiya Natsuki, molto piacere.»

«Piacere nostro.» risposero Touko e Touya, all’unisono.

«Avete bisogno di qualche informazione su quello che devo fare?»

«No, si figuri.» disse Touya. «Noi rimarremo semplicemente qui ad osservare, se non è un problema.»

«Nessun problema.» acconsentì il tecnico, tornando a concentrarsi sulla sua cassetta degli attrezzi.

I ragazzi si spostarono silenziosamente verso il muro opposto, al quale si appoggiarono. La prima parte del piano stava procedendo senza intoppi: avevano trovato il tecnico, e non avevano avuto problemi a farsi passare entrambi per membri del Consiglio Studentesco. Ora dovevano solo convincerlo ad ispezionare anche EMI al piano di sopra, distrarlo in qualche modo e boicottare la macchina.

Tornò il silenzio.

Non c’era molto di cui potessero parlare di fronte ad un perfetto estraneo, e mettersi a sussurrare tra loro sarebbe stato perfino peggio, perciò rimasero semplicemente lì a guardare il tecnico lavorare, appoggiati al muro, uno accanto all’altra.

Stupida, stupida, stupida, stupida Touko. Stupida.

Per quanto stesse cercando di evitarlo – aveva una missione da compiere, una cosa seria, doveva rimanere concentrata! – i pensieri di Touko continuavano a tornare all’infermeria, insieme ad un leggero batticuore. Se non fossero stati interrotti, loro... lei...

Sì, l’avrebbe baciato. L’avrebbe fatto, perché ancora adesso sentiva fremere in petto il desiderio di averlo vicino, più vicino, per sentire il profumo ed il calore della sua pelle e farsi accarezzare, baciare, coccolare. Le piaceva. Ichinose Touya le piaceva da impazzire.

Oh, era proprio una ragazzina. Prendersi una cotta così, nel giro di poche ore... non le capitava da anni, e per un buon motivo: se ne era guardata bene. Era stata attenta, non si era mai lasciata prendere da ragazzi appena conosciuti, per quanto potessero essere carini, gentili o spiritosi. Ogni volta che il pensiero “forse lui potrebbe piacermi” era emerso nella sua mente, l’aveva soffocato dicendo “più tardi, vedremo”.

Aveva pianto troppe volte. Ragazzi a prima vista perfetti in realtà non la capivano, e l’entusiasmo del primo giorno andava sempre scemando, fino al fatidico “Mi dispiace, non funziona”.

Non funzionava mai. Per questo si era detta che non l’avrebbe lasciato capitare un’altra volta. Si era detta che non avrebbe aperto il suo cuore così facilmente.

Ma Touya... l’aveva colta alla sprovvista.

Era piombato dal nulla, ed era diverso. Nonostante sapesse di vederlo attraverso le lenti rosa del suo batticuore, non poteva fare a meno di pensare che forse, forse, con lui sarebbe potuta andare in un altro modo. Forse poteva dargli un’occasione.

Gettò un’occhiata verso di lui, che stava fissando attentamente qualcosa che per coincidenza si trovava nella direzione opposta a dove si trovava lei.

Le loro mani, si rese conto, erano vicine. Inerti, lasciate a dondolare lungo il muro senza uno scopo, ma talmente vicine che sarebbe bastato poco, pochissimo...

Puntando lo sguardo su una meravigliosa piastrella artisticamente decorata in tinta unita sul pavimento, Touko mosse appena il braccio. Il dorso della sua mano sfiorò quello di Touya ed immediatamente le loro dita si cercarono con delicata urgenza.

Non si erano veramente presi la mano, avevano solo intrecciato un paio di dita, polpastrello contro polpastrello. Eppure Touko sentiva un enorme calore sprigionare da quel lieve contatto, come un incendio. Poteva funzionare. Magari avrebbe potuto fare la preziosa per qualche giorno, prendersi del tempo per valutare il quadro complessivo e trovare un modo per non farsi uccidere da Belle, ma il suo cuore ne era certo: poteva funzionare.

«Se posso chiederlo, » disse il tecnico (come aveva detto di chiamarsi, Natsuki?), girandosi verso di loro. «da quanto state insieme?»

«N-noi non...!» esclamò Touya, nel panico. «Cioè, voglio dire...»

Natsuki sorrise. «Scusate, era una domanda un po’ imbarazzante. È che vi lanciavate certe occhiate che...» alzò le spalle, tornando a ciò che stava facendo. «Ho iniziato un po’ a sentirmi il terzo incomodo.»

Touko sentì il sangue affluirle al viso, mentre si chiedeva se davvero dall’esterno si notasse così tanto. Che l’amore rendesse tutti libri aperti?

«Posso... posso farti io una domanda?» chiese, cercando disperatamente qualcosa, qualunque spunto per cambiare discorso.

«Certo, spara.»

«Mi stavo chiedendo, Konomiya-san...» Una domanda, una domanda, una domanda qualsiasi, sbrigati... «Quanti anni hai?»

«Diciotto.» rispose lui, tranquillamente. «Immagino che potrei essere un vostro senpai, se andassi ancora a scuola.»

«Ah... capisco.» Nonostante se la fosse aspettata, per qualche motivo quella risposta la mise tremendamente a disagio. “Se andassi ancora a scuola”. Non l’aveva detto con lo sprezzo di chi avesse smesso di andarci di propria iniziativa.

«E ora ti senti in colpa per avermelo chiesto.» commentò Natsuki, come se le avesse letto nel pensiero. «Non esserlo, non hai fatto niente di male. È che a volte le cose vanno così.»

«Così come?» chiese Touya, che si era interessato alla conversazione.

Natsuki fece schioccare la lingua. «Domanda spinosa, non tutti hanno il coraggio di farla.» disse. «Beh, direi che il mio caso è stato un classico. Mio padre ha lasciato questo mondo, così io e le mie due sorelline siamo rimasti soli, senza nemmeno un parente disposto a prenderci in casa. Così, per evitare che venissimo divisi e mandati in qualche casa-famiglia, ho dovuto prendere in mano la situazione. Fine della storia, niente di esaltante né di particolarmente toccante.»

Touko non era d’accordo. Non semplicemente perché ritenesse meraviglioso che un ragazzo abbandonasse gli studi pur di rimanere vicino alle sue sorelline, ma perché lo aveva raccontato col sorriso sulle labbra. Non aveva il minimo rimpianto; si trovava in una scuola, circondato da ragazzi che stavano vivendo la vita che a lui era stata sottratta, ma non ne era invidioso. Sorrideva.

Lo sguardo di Touko incontrò quello di Touya per qualche istante. Annuirono.

«Beh, è stata una bella chiacchierata, ragazzi.» disse Natsuki, chiudendo a chiave il distributore. «C’è bisogno che controlli qualcos’altro?»

Touko scosse la testa e sorrise. «No, va benissimo così.»

 

 

 

Sentendosi la persona più ricca del mondo con i 200 yen che Touya le aveva dato in mano, Touko gongolò mentre acquistava con successo un pacchetto di biscotti.

«Allora con questa funziona!» rise Touya, appoggiato al distributore delle bibite.

«Certo. È solo quella del secondo piano a odiarmi.»

«E allora perché non vieni qui a fare merenda?»

«Beh, » rispose Touko, leccandosi un dito, « la mia classe è al piano di sopra.»

«Pigra.»

«E ne vado fiera.»

Touko accartocciò la plastica dei biscotti e la lanciò nel cestino.

Era finita. La sua piccola avventura era giunta al termine, ma non si sentiva particolarmente delusa dal non essere riuscita a distruggere i sogni e le speranze di EMI. Anzi, si sentiva... felice.

Doveva essere l’effetto del cibo.

«Alla fine abbiamo fatto un buco nell’acqua.» disse Touya, che evidentemente stava pensando alla stessa cosa.

Touko annuì. «Beh, non potevamo certo far rischiare il posto a quel ragazzo per una stupidaggine del genere.» disse, alzando le spalle. «E poi sai come si dice: “Ogni buon piano ha una probabilità di fallimento dell’85%.»

«E chi l’ha detto?»

«Non è importante chi l’ha detto, Touya-kun, è importante il pensiero.»

«No, non è vero.» la contraddisse lui. «Sono importanti i biscotti.»

Con quelle parole, rubò dalla mano di Touko l’ultimo biscotto, che la ragazza stava giusto per mangiare, e se lo mise in bocca.

«Ehi!» esclamò lei. «Quello era il mio biscotto!»

«E chi l’ha pagato?»

«Dettagli. Ridammelo!»

«Neanche per idea.» rise Touya. «Tanto è quasi ora di tornare a casa, mangerai lì.»

«Ladro.» disse Touko, mettendo il broncio. «Ti tolgo venticinque punti, e solo perché sono di buon umore.»

«Ah, giusto. È da un po’ che non mi aggiorni sul totale, a quanto sono?»

«Non te lo dico.»

«Eeeh? Non è leale!»

«È la mia classifica, decido io cos’è leale e cosa no.» sbuffò Touko. «La prossima volta imparerai a non rubare i miei biscot-»

«DOVE SONO FINITI? DENT, TI ORDINO DI DIRMI DOVE SONO FINITI I COMPONENTI DEL MIO CONSIGLIO STUDENTESCO!»

«Non lo so, Presidente, le giuro che non lo so!»

Touko ebbe un déjà vu. Sobbalzo, strattone, schiena contro il muro, cuore a un passo dall’infarto. E uno «Scusa.» appena sussurrato a pochi centimetri dal suo viso. Tutto sommato, avrebbe potuto abituarcisi.

«La prego, Presidente, si calmi...»

«IO SONO CALMO!» urlò Cheren, la personificazione della pace interiore. «IL PROBLEMA È CHE NON SONO IN RIUNIONE! NESSUNO È IN RIUNIONE, DENT! DENT? TORNA SUBITO QUI! DALL’ALTO DELLA MIA AUTORITÀ, ESIGO CHE TU RIPORTI IL TUO POSTERIORE DI FRONTE A ME SEDUTA STANTE! DENT!»

Touko dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non scoppiare a ridere. Ti avevo dato sei mesi, Cheren. A quanto pare sono stata ottimista.

Touya stava ridacchiando sottovoce. «Povero Dent...»

«Povero davvero. Ma sarà un bel trauma infantile da raccontare, tra qualche...»

Si fermò. Appena aveva incontrato lo sguardo di Touya, quasi per sbaglio, le parole che aveva in mente si erano disperse nell’aria. Dannazione, fino a quel momento era stata così tranquilla. Era riuscita a ristabilire l’equilibrio, dopo quella mezz’ora passata nel pallone più totale, eppure era bastato così poco per distruggerlo di nuovo.

Era scritto nel suo sguardo, nel suo profumo, nella mano che non le aveva ancora lasciato il braccio, nel cuore di Touko che batteva l’allegretto come un metronomo: era il momento giusto, ma non l’avrebbe baciata. Perché Ichinose Touya era il ragazzo più carino del mondo, ma non baciava le ragazze nell’angolo dietro al distributore automatico delle merendine, era troppo per bene per farlo.

Per questo, quando Touya la prese per le spalle, quasi non si accorse che aveva posato le labbra sulle sue.

Le ci volle un momento per realizzare che la stava baciando davvero, ma poi un gran sorriso si allargò sul suo volto, seguito da una risatina che li costrinse ad interrompere il bacio prima di quanto avrebbero voluto.

Touya la guardò con un misto di confusione e spavento, probabilmente chiedendosi se significasse che era stato rifiutato, mentre lei si portava una mano alla bocca, cercando disperatamente di smettere di ridere.

«Scusa... solo... io...» Per fortuna era appoggiata al muro, perché altrimenti sarebbe caduta per quanto si sentiva instabile. «In che senso gira la Terra?»

  Il povero Touya era a dir poco spaesato. «Anti...orario?» rispose, dopo un momento di esitazione.

«Ultime notizie, allora: oggi no. Oggi gira al contrario.»

Lo prese per il nodo della cravatta, continuando a sorridere come una bambina il giorno di Natale, e lo baciò. Touya assecondò i movimenti delle sue labbra, e anche senza guardarlo Touko capì che era enormemente sollevato. Doveva essersi preso un bello spavento. Posò la mano destra sul suo petto, non per spingerlo via ma per il puro gusto di sentire il battito accelerato del suo cuore.

«Touya...»

Riaprì gli occhi, ma non si allontanò che di pochi centimetri, la presa ancora ben salda sulla sua cravatta.

Lui si era fatto nuovamente rosso in viso, e Touko pensò che in fondo era un colore che gli donava.

«Dov’è finito il rispetto per i senpai, teppistella?» mormorò Touya, pizzicandole una guancia con sdegno ben poco credibile.

«Devo averlo dimenticato a casa insieme al pranzo.» ghignò lei. «Ma se vuoi...»

Touya le mise un dito sulle labbra. «No, va benissimo così. Touko

Lei fece per mordergli scherzosamente il dito, ma lo mancò per un pelo. «Vedo che ti sei abituato.»

«Mi adatto facilmente.» sorrise lui. «Credo che sia una caratteristica che mi sarà molto utile, se voglio stare con te.»

Touko alzò le sopracciglia. «Ah, quindi hai già deciso che stiamo insieme?» chiese, stupita. «Non è che per caso sei già andato in Comune a ritirare il contratto di matrimonio ,vero?»

«Sì- cioè, no- voglio dire...» Touya sembrò tornare nel panico per qualche secondo. «Sì, suppongo che non sia così automatico, ci vuole qualcosa di un po’ più... ufficiale...» Le prese le mani e la guardò negli occhi. Fece un profondo respiro. «Vorresti uscire con me, Touko?»

Touko sorrise. Quel ragazzo era davvero troppo carino. Se lo sarebbe mangiato.

«No.»

 «Eh?» fece Touya, basito. «Co-come sarebbe a dire “no”?»

«Scherzavo, scemo.» sorrise Touko, stampandogli un piccolo bacio sulle labbra. «È che mi piace troppo la tua espressione confusa.»

«Sei... sei tremenda.» sospirò Touya, con un mezzo sorriso.

«Lo so, è un talento naturale.»

«...quindi?»

Touko inclinò la testa. «Quindi cosa?»

«Non mi hai ancora dato una risposta. Non puoi pretendere che la gente ti chieda le cose per bene, se poi non rispondi nemmeno.»

«Uhm, mi sa che hai ragione.» Touko sorrise. «Sì, Touya, sarei felice di uscire con te. Anche se questo significherà farmi uccidere da Belle in modo orribile e brutale.»

Touya sbatté le palpebre alcune volte, sorpreso. «Belle?»

«È in classe con me. La cosa è un po’ lunga da spiegare, ma-»

«No, no, so chi è Belle.» ridacchiò Touya. «Non ti devi preoccupare, sono stato io a dirle di mettere una buona parola per me.»

Fu la volta di Touko di stupirsi. Rimase a fissarlo per diversi secondi, senza essere sicura di cosa dire. «Tu?»

«Io.»

«Vuoi dire che...»

Touya distolse lo sguardo, imbarazzato. «Era un po’ di tempo che ti avevo notata, o meglio... mi ero preso una bella cotta per te.» confessò. «Ma non sapevo bene come avvicinarti, quindi...»

«Meno cento punti!» esclamò Touko, guardandolo con aria severa. «Anzi, cento perché hai mentito, cento perché sei un codardo e cento perché sei... lento.» Sospirò, il suo sguardo si addolcì. «Pensavi di farmi aspettare ancora molto?»

Touya sorrise. «Sì, in effetti il mio piano era a lungo termine.» disse. «Ma posso farmi perdonare.»

Si chinò su di lei con il chiaro intento di baciarla, ma Touko parlò prima che potesse farlo.

«Un gelato.»

«Eh?»

«Domani. Portami a prendere un gelato domani pomeriggio e siamo pari.»

Touya la fissò per alcuni istanti, sorpreso, ma quando sembrò aver recepito interamente il messaggio sorrise. «Tutti i gelati che vuoi.» Provò ad avvicinarsi di nuovo, ma venne interrotto ancora.

«Ma non un gelato qualsiasi.» specificò Touko, serissima. «Una coppa enorme, al Galaxy. Sono secoli che voglio assaggiarne una, ma da sola sarebbe stato un po’ triste, così...»

«E allora coppa enorme sia.»

«Ma non semplicemente enorme, dovrà essere-»

«Touko?»

«...sì?»

«Avrai il tuo gelato.» disse Touya, accarezzandole una guancia. «Adesso posso baciarti?»

Touko sorrise. «Certo.»

 

 

Afterword~

Beh, erano un paio di secoli che continuavo a ripetere “Voglio scrivere una TouTou!” mentre continuavo a sfornare ferriswheel, ma non riuscivo a decidermi. Perché loro sono la mia OTP, i miei patati, i miei adorabili bambini che si amano tanto, ed è difficile per me scrivere qualcosa di sensato quando ci sono di mezzo tutti questi sentimenti. Eppure, strano ma vero, ce l’ho fatta. Ci ho messo i mesi – perché credetemi, questa ho iniziato ad abbozzarla a Novembre – ed è stato un vero parto, ma alla fine ce l’ho fatta. Ho la mia TouTou.

Ed è venuta lunghissima D: Ennesima dimostrazione che quando fangirleggio scrivo tanto, troppo.

E poi boh, come al solito nelle note volevo scrivere un sacco di cose ma alla fine me le dimentico tutte quando devo scriverle effettivamente – fuck me.

Concludo con una comunicazione di servizio: UH non è stato lasciato a marcire. Ve lo giuro. È che quest’anno ho avuto seri problemi a scrivere, tra mancanza di tempo e di ispirazione e pare mentali varie, quindi ho finito per doverlo accantonare – nonostante ci pensi ogni giorno della mia vita da quando ho iniziato a scrivere il primo capitolo, e di questo potete essere certi.

Quindi, non disperate. Kim è qui, ha ripreso in mano la penna e se tutto va bene riuscirà a scrivere tutto quello che deve. Fight-o!

Come sempre sappiate che voglio bene a tutti quelli che leggono le mie storie e le mettono nei preferiti, ma voglio ancora più bene a chi spreca cinque minuti a lasciare una recensione <3 (“Osservate la Kim selvatica mentre coerce i suoi lettori a fare cose che non desiderano...”)

 

   
 
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