Disclaimer: Se fossero miei li avrei già regalati a Kya. Titolo @ Sweet Home Alabama.
Avvertimenti: pre-slash, fluff, Academy!era
Note: Scritta al volo per il prompt sud del COW-T 3.5 @ maridichallenge. (#cityangels ftw!) Qualcuno ha detto Georgia!fic? 8D

Where the skies are so blue

Jim si stiracchia, fa schioccare tutte le articolazioni, apre gli occhi e fissa dritto verso l’alto. Il cielo, azzurro pallido, vibrante, pulito, è immenso.

Jim ne sa qualcosa, di cieli immensi – niente di nuovo, in Iowa – ma qui è… diverso. Non è come a San Francisco, dove il cielo è infinito ma solo finchè non incontra il mare, e non sai mai dove inizia l’uno e dove finisca l’altro; non è come a casa, dove certi giorni l’azzurro sembrava andare avanti per chilometri e chilometri, senza sosta, in una distesa sterminata e opprimente che gli schiacciava il petto con la sua infinita monotonia.

Il cielo in Georgia è diverso, immenso eppure così vicino, rassicurante, e Jim si ripara gli occhi contro il sole del primo pomeriggio e pensa, è così che dev’essere lo spazio.

Ma forse è solo un’impressione. Forse è semplicemente colpa della qualità dell’aria, forse è la stanchezza a parlare, forse così a sud è normale che il cielo faccia questo effetto. Dubbi sciocchi cui un futuro capitano della Federazione dovrebbe saper rispondere, ma l’aria è umida e sciropposa e la sua maglia rubata gli si appiccica inesorabilmente alla schiena, ed è troppo caldo per pensare a sciocchezze del genere. È troppo caldo, in generale, per vivere.

Un’ombra gli cade addosso all’improvviso. Jim strizza gli occhi nella nuova luce, abbassa la mano, sposta lo sguardo e vede la linea delle spalle di Bones, i suoi capelli in disordine, la piega perennemente corrucciata delle sue sopracciglia.

«Ti prenderà un colpo di sole.»

Jim scrolla le spalle, gli lancia un sorriso più accecante del sole sopra le loro teste. «Mi sottovaluti, Bonesy.»

Bones sbuffa, bofonchia ragazzino e anche vedrai quando starai vomitando l’anima, ma appoggia un bicchiere di tè freddo vicino alla testa di Jim e poi gli si siede accanto nell’erba.

Jim rotola su un fianco, punta un gomito a terra per appoggiare la testa sul palmo aperto della mano, fissa il profilo deciso di Bones. Anche lui, come il cielo, sembra diverso. Non nell’aspetto – non solo, anche se ora sembra più rilassato, più morbido, come se ogni miglio lontano dall’aereoporto e verso la casa della sua infanzia gli avesse tolto un peso dopo l’altro dalle spalle – o nell’atteggiamento, perchè tutte le pesche della Georgia («non puoi chiamare pesche quella robaccia che esce dal replicatore, santo cielo, vieni a casa con me e vedrai» «okay») non basterebbero a renderlo una persona gioviale, ma è qualcosa nel quadro complessivo.

Anche lui, come il cielo, sembra diverso – vicino e rassicurante, nell’aria umida e pesante come melassa, e Jim vorrebbe solo raggomitolarsi con la testa sulle sue gambe e sonnecchiare nel tepore del sole sempre più basso. Invece distoglie lo sguardo, prende il bicchiere di tè, deliziosamente gelido contro la sua pelle appiccicosa, e ne manda giù metà in un sorso.

«Piano,» borbotta Bones, «vuoi farti venire un colpo?» ma è poco convinto, senza il solito slancio, più forza dell’abitudine che altro, e Jim sorride al cielo.

È stata un’ottima idea passare le vacanze estive nella vecchia casa dei nonni di Bones.

Il cielo, nella sua immensità, non risponde, ma Jim sospira soddisfatto e chiude gli occhi.