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Autore: JeffMG    05/08/2013    3 recensioni
Lei rimarrà in me come una cicatrice e non posso farci niente, per quanto disperato possa essere il mio pianto, per quanto crudele il mio dolore.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spero che nessuno mi odi per aver scritto che il protagonista odia profondamente gli Aerosmith,ahah. 
Buona lettura, a te che leggerai. 
Ps. Qui non c'è trippa per gatti che cercano storie a lieto fine e tantomeno con sviluppi gioiosi. 




                         Heavy.

Era notte fonda e solo la luna illuminava la stanza,
Chris la stringeva come se fosse potuta scivolare improvvisamente dalle sue braccia.  
Si era calmata, ma non abbastanza da poter affermare di non volersene andare,
non abbastanza da dire che lo amava ancora.
Dalla solitudine più sordida era passato all'amore
e niente al mondo l'aveva nauseato più di quello.
Si era abituato a lei, e non sapeva più se era una cattiva abitudine come la nicotina
o qualcosa di più semplice e benigno, ma era certo che dentro di lui ribolliva un forte
sentimento e non poteva assopirlo, ogni volta che la guardava si sentiva in apnea. 
Il suo corpo si era frantumato e da qualche parte
l' anima aveva preso a vagare in cerca di conforto,quando lei innondata
da i suoi riccioli rossi si era chinata per poggiare a terra due pesanti valigie.

"Ti aiuto?" le aveva detto.

Ma non ebbe risposta, solo un accenno di tristezza in una lacrima
che le cadeva sul volto, tra quella pelle diafana tempestata di lentiggini. 
In quella lacrima aveva sperato che ci fossero mille parole o un sorriso, 
qualsiasi cosa che non glie l'avrebbe fatta perdere.
 
Per anni Chris aveva lasciato da parte l'angoscia o il senso di essere
inadeguato e irrimediabilmente legato alla solitudine, solo per bruciare e vivere per lei. 
Aveva cambiato ciò che era, a volte fingendo avvolto dalla gioia di starle accanto, 
solo per vederla sorridere e compiacerla. 
Si era sentito legato all'amore come un prigioniero e poi come un bellissimo
uccello fuori dalla gabbia.
Aveva tutte le carte in regola per definirsi un solitario sprezzante delle persone,
eppure arrivò lei per ciò che si dice "destino" e inziò quello che ora sembrava
avere un punto, una fine dannatamente drammatica. 

 
Gli aveva promesso che non sarebbe sparita nel nulla e che si sarebbero visti ogni tanto,
ma non  era più come prima, non c'era quella che tutti chiamano la scintilla anche se lui la scintilla non l'aveva mai avuta, solo un fuoco che piano si accendeva ad ogni giorno passato insieme, ed un fuoco così potente raramente si spegne.

Allora i suoi sentimenti erano effimeri,
era stata solo una storia per tappare qualche buco insignificante? 

 
Si sentiva come un bambino perso e tendeva la mano nel vuoto sentendosi spaventato. 
Aveva solo lei e ci si aggrappava disperatamente, come se fosse stata l'ultima speranza di vita.
Morto dentro, incapace di percepire il battito del cuore e di sentirsi di nuovo caldo,
afferrava il calore dal corpo della sua giovane amante, che ignara del dolore che cresceva in lui, dormiva sonni tranquilli.  

Avrebbe smesso di respirare a momenti, ne era sicuro, l'ultima cosa che avrebbe visto sarebbe
stata lei e se la sarebbe portata via con i più bei ricordi, senza litigi o disprezzo. 
Aveva voglia di alzarsi, di andare a fumare una sigaretta 
e viziarsi con le luci delle centrali in lontananza.  
Guardò l'orologio sul comodino, le quattro della mattina e ancora era sveglio a pensare. 
Aprì la finestra scorrevole e porse una mano al vento, tirando la sigaretta così tanto
da sentire il fumo scendere allo stomaco.
Gli girava la testa e più pensava e più si sentiva scottare. 
Era un bambino che aveva finito la corsa agli auto scontri e non aveva più gettoni per far ripartire la macchina.
Impotente, quando si voltava e la vedeva distesa nel letto voleva correre da lei ma la vedeva svanire tra le lenzuola. 

 
"Sei ancora sveglio?" Finì la sigaretta fino a sentire l'odore del filtro bruciato.
"Stavo pensando..."
La raggiunse e si infilò sotto le coperte, sfiorando le sue gambe e
ritrovando quel contatto che da giorni sembrava perso nei litigi.

 
"Domani parto,Chris..." Non gli aveva nemmeno detto dove sarebbe andata.
"Non mi lasciare, resta con me"

Implorava come uno stolto, si commiserava e si odiava
allo stesso tempo per supplicarla e lasciarsi l'orgoglio alle spalle. 

 
"Non posso, è finita..." 
 
Le sfiorò il collo e un desiderio folle di ucciderla si impossessò di lui. 
Si alzò come se gli avessero fatto un salasso e barcollò incosciente fino alla porta.
 
"Chris, dove vai?" 

 
Prese le chiavi e sparì dietro la porta d'ingresso. 
La strada sfrecciava dal finestrino e alla radio davano una vecchia canzone degli Aerosmith,
li aveva sempre odiati e ora più che mai avrebbe voluto buttare via quella maledetta radio.
Imprecava come un ubriaco e aveva il volto rosso per il pianto. 
Non avrebbe dovuto guidare in quelle condizioni, aveva la patente da soli tre mesi 
e ancora aveva attaccato il cartello di principiante, ma si sentiva di andare a 100 all'ora e schiantarsi contro un albero, così quel dolore che sentiva al petto sarebbe terminato. 
La rivedeva negli occhi e gli sembrava che fosse morta
e invece sapeva che era viva e felice di lasciarlo.
Doveva essere gradevole scaricarsi di un peso e continuare
per la propria strada, seminando dolore.

Vide un fanale abbagliare l'interno della macchina e tutto quello
che sentì fu il frantumarsi di un vetro.

"Si sente bene?" Aprì gli occhi lentamente e avanti a se vide un uomo che gli toccava la spalla.
"Si, sto bene. Che cosa è successo?"
"Non ti ho visto! Andavi così veloce che non ho potuto evitarti!
Sai come sono queste stradine di campagna, troppo strette! Gesù, mi dispiace!"

Chris si toccò il volto e le dita raccolsero del sangue.
Il sangue, l'aveva sempre trovato affascinante, ti fa vivere e fluisce in te e
nelle tue generazioni da secoli.
Si guardò nello specchietto, la ferita era alla fronte, probabilmente aveva sbatutto sul volante.

"Vuole che chiami un'ambulanza?"
"No, ho detto che sto bene."

Accese il motore e se ne andò, lasciandosi alle spalle l'uomo urlante.
Il sangue continuava a scendergli sul volto,
sarebbe dovuto andare in un ospedale ma poi avrebbe
dovuto aspettare le ore in sala d'attesa e il silenzio avrebbe peggiorato le cose,
perchè i ricordi sarebbero affiorati e non voleva pensare. 
Doveva cercare un posto rumoroso, affollato, dove le voci degli altri
avrebbero potuto soffocare i pensieri.
Dopo mezz'ora di viaggio trovò un locale sulla destra, sembrava un country club
e lui odiava tutto ciò che era country, ma in quel momento persino il peggio poteva aiutarlo.
Parcheggiò tra una serie di jeep e  si avviò su di una stradina imbrecciata.


Aperta la porta del locale, una musica country gli perforò le orecchie. 
Colpa di un vecchio juke-box all'angolo, così vecchio che la musica andava a scatti. 
Dei tavoli rotondi e delle sedie di legno occupavano l'intero locale, disordinati e caotici. 
Le cinque della mattina, segnava l'orologio a cucù sopra la testa della cameriera.
Niente di più pacchiano  e di cattivo gusto, d'altronde erano gli anni 00.
Si mise seduto al bancone e cominciò a giocare con degli spiccioli che aveva in tasca.
Sentiva lo sguardo inquisitore della cameriera su di se e il rumore delle sue unghie
battere un tempo impreciso sul bancone. 
La guardò perplesso e quando si accorse che era ancora più nervosa dopo quella gara di sguardi,
decise di ordinare

"Una birra, grazie"
"Alle cinque della mattina?"
"Una birra, grazie" 

 
Marcò il grazie e deglutì un blocco di saliva.
In cinque secondi la bevanda era avanti a lui,stretta tra le sue mani, con troppa schiuma e rossa.

"Pensavo che se uno ordina una birra gli viene data bionda, non rossa" protestò il cliente.
"Quella bionda è finita"
"A me non piace la birra rossa"

La cameriera gli strappò il bicchiere di mano con tanta furia da far schizzar fuori mezza birra.
Si voltò isterica e riempì un bicchiere.

"Ecco a lei"
"Coca-cola? Io non ho chiesto una coca-cola! Non ho chiesto una dannata coca-cola!
Voglio una birra bionda, mi dia una birra bionda!"

Si era alzato, era al centro del locale, gli occhi coperti da ciuffi di capelli,
i pugni chiusi e le vene gonfie.
Gli unici clienti rimasti lo guardarono stupiti, incerti se prenderlo e sbatterlo fuori o se andare a tranquillizzarlo.
Il juke-box aveva cessato di vivere e il silenzio regnava senza
che nessuno si preoccupasse di riempirlo.
Il bicchiere della coca-cola era caduto a terra, sporcando il pavimento.

"Mi dispiace, é stata una brutta nottata" lasciò dieci dollari sul banco per il disturbo,
tutto ciò che aveva in carta.
Si liberò il volto dai capelli e scoprì degli occhi piangenti.
Alzò le mani in segno di resa e raccattò la giacca, uscendo piano dal locale.
Una volta fuori si sentì una vecchia ballata degli anni '60 e le persone cominciare a parlare di ciò che era appena successo.
Qualcuno l'aveva definito un pazzo e forse non era poi così lontano dallla verità.
Diede un calcio ad un albero e urlò in preda ad una crisi di nervi.
Niente nella sua vita era mai andato come doveva andare e ora tutto sembrava vuoto e senza speranza.
Si sentiva rotto come quel juke-box all'angolo. 

Il sole stava sorgendo e quella che una volta avrebbe potuto considerare una piacevole
mattinata d'inverno, si stava trasformando in un incubo freddo. 
Il grigio del cielo sembrava avvolgerlo in una grande angoscia, e le mani del freddo lo stringevano in una presa infernale.
Si era dimenticato il cappotto a casa.
"Maledizione..." urlò a pieni polmoni.

Quando salì in macchina si accese una sigaretta e cominciò a tirare
come se non ne uscisse il fumo e poi la riaccese e la riaccese, anche se già ardeva.
Provò a far partire il motore, ma non ci riusciva e poi si ricordò di aver lasciato
la radio accesa con quei dannati Aerosmith che continuavano a suonare le loro lagne melense.

"Parti,parti! Avanti..."

Si addormentò in macchina, con ancora la sigaretta tra le dita e una canzone
dei Cure che andava a tutto volume.
A svegliarlo fu la cameriera del locale, battè incessantemente le mani cariche di gioielli sul vetro.
Abbassò il finestrino e la guardò con gli occhi gonfi e stanchi. 

"Non so che problemi hai bello, ma vedi di levare il culo da qui.
Dobbiamo chiudere il cancello e non vogliamo estranei in mezzo ai piedi. Chiaro?"

Prese un'altra sigaretta, la infilò in bocca e l'accese con la lentezza di una casaligna sotto valium.

"Limpido"

Fece volare in direzione della donna una nuvola di fumo e provò a riaccendere la macchina.
Dopo centinaia di tentativi ore prima, la vecchia vettura partì a tutto gas.
Quando tornò a casa erano le otto della mattina e lei se n'era già andata. 
Il letto rifatto, le chiavi sul tavolo e la colazione pronta.
Pensava che dopo tutto quello che aveva fatto poteva lasciare la colazione pronta
e un biglietto con scritto "Addio,mi dispiace"? 
Si addormentò sul divano, con la tazza dei cereali tra le gambe e un cartone per bambini proiettato sul volto.  

Continua...
  
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