Pagina autore.
NdA
Quasi non ho voglia di scrivere le note, anche
perché, dopo aver terminato
questa cosa oggi, ho esaurito tutte
le mie energie per compiere qualsiasi altra azione. In più,
non pubblico
qualcosa da non ho neanche idea quanto, quindi mi sento un
po’… Boh,
semplicemente male, penso.
Comunque, questo scritto l’ho iniziato precisamente a
gennaio. Esatto, a
gennaio. Generalmente una cosa simile l’avrei finita in due
giorni, ed invece c’ho
messo otto mesi, perché non riuscivo a riprenderla fra le
mani, per i più
svariati motivi. L’ho finita perché avevo
necessità di liberarmene,
nonostante non sappia quanto stia facendo bene a
pubblicarla qui. Ma, alla fine, il distacco con quello che
c’è scritto qui è
già avvenuto da un po’, quindi immagino sia ok.
Spero possa piacervi, nonostante sia una one-shot
senza alcun tipo di pretesa.
Byeong. ~
Park
ChanYeol.
Il suo nome spiccava sulla
copertina di
quel quadernetto, scritto in grande, calligrafia tondeggiante,
nell'angolo in
basso a destra, a coprire la coda del gatto stampato sul cartoncino. Lo
stesso
gatto che, una volta, aveva accompagnato ChanYeol
durante una delle sue fughe notturne, lasciando passi roventi dietro di
sé,
mentre percorreva le strade che sceglieva con cura, in modo da non
dover
incrociare lo sguardo di nessun passante, in modo che nessuno potesse
ricordargli che stava sbagliando di nuovo.
YiFan aprì il
quadernetto, la sua espressione severa che non perdeva un colpo,
neanche in un
momento come quello. Ma le mani, le dita sottili, gli sudavano, le
sentiva
appiccicose, creando una fastidiosa sensazione a contatto con la carta
- come
se non sentisse già abbastanza fastidio dentro di
sé.
Chiunque
tu sia, se hai trovato questo quaderno, vuol dire che, ciò
che è accaduto la
notte di Capodanno, non è stato un incidente. Ho davvero
deciso di dirvi
"Ci vediamo" e la colpa non è di nessuno.
Park ChanYeol
voleva vivere disperatamente, assaporare anche il dolore che ne
consegue, ma
lui non lo sapeva. Quello di cui era consapevole, era che, in
realtà, negli
ultimi cinque anni aveva mentito senza ritegno. Perché Park ChanYeol
rideva tanto. Se qualcuno si sentiva morto dentro, poteva guardarlo
sorridere e
sentire di star tornando "di qui". Perché il sorriso di Park
ChanYeol non era solo un
sorriso "bello",
"luminoso". Il sorriso di Park ChanYeol
era
tutto quello che lui stesso era. Un insieme di cose belle che aveva
cercato di
esasperare per non permettere ad esse di venire inghiottite dalle
troppe cose
brutte. Ed il sorriso di Park ChanYeol
era, così,
tristemente allegro, splendidamente grigio ed in seguito nero.
Sono
sul treno e sono le quattro del mattino. Ho sonno. Sono stanco. Tanto.
Non so
cosa si sia rotto così malamente per non poter essere
più recuperato.
YiFan continò
a leggere, l'espressione immutata che però prense ad essere ancora
più contratta, come se i muscoli
facciali avessero continuato ad essere tirati da qualcuno per poi
rompersi,
strapparsi, mutare in qualcosa di doloroso.
YiFan lesse i
messaggi che ChanYeol
aveva lasciato prima alla
madre, dicendo che non le avrebbe chiesto scusa, perché non
sarebbe stato mai
abbastanza, e che le voleva bene, ma che sarebbe stato improbabile
credergli, a
quel punto.
Lesse il messaggio che aveva
lasciato al
suo migliore amico, Byun
BaekHyun.
Ed in quel momento Wu YiFan
si chiese cosa avrebbe pensato, come avrebbe reagito ChanYeol,
a sapere che Baekhyun
s'era tolto la vita, senza
esitazioni, il primo giorno dell'anno, con i polsi tagliati in
profondità,
cadendo con un rantolo a terra e reggendo nella mano destra un
foglietto
scritto in caratteri agitati. « Perché
lui non
sa ancora quanto lo amo. »
YiFan continuò a
leggere. Note per qualche altro amico, qualche altro ricordo, molto
vago,
scritto fra le righe e mirato a squarciare l'anima di chi legge, dei
destinatari di quelle parole. E Wu
YiFan aprì la
bocca, alla ricerca urgente di ossigeno, e
serrò gli occhi, stringendo i denti, cercando di far fronte
alla fitta
insopportabile che si fece sentire con prepotenza al petto, quando vide
il suo
nome scritto in blu sul foglio.
Fate
scegliere a Kris i pezzi da mettere
al mio funerale. Lui sa.
Dopo quelle ultime righe, solo una
pagina bianca.
YiFan attese di uscire
dalla casa del suo ormai
defunto compagno per continuare a leggere oltre quello spazio bianco
che, in
quel momento non aveva altro che farlo sentire maledettamente vuoto,
come a
ricordargli cosa aveva perso.
Park ChanYeol,
una volta, aveva deciso di uscire di casa in piena notte. Nulla di
assurdo, per
lui, che non aveva paura di niente - almeno non delle ombre di uomini
malintenzionati che si annidano nella notte. ChanYeol,
quando soffocava, varcava la soglia, sentendosi improvvisamente libero,
improvvisamente calmo. Con le cuffie nelle orecchie, si beava dell'aria
gelida
di dicembre o quella mite di luglio. Comunque, le righe che stava
leggendo YiFan, seduto
al tavolino di un locale, con un piano bar
particolarmente straziante,
si
riferivano ad una notte di dicembre.
Non
sono uno di quei ragazzi la cui storia prevede
che vengano salvati dalla musica o da qualche altro miracolo
provvidenziale.
YiFan prese a
ricordare le parole disperatamente calme che ChanYeol
stesso gli aveva detto tempo prima, fra giacconi pesanti, sciarpe
morbide e
mani intrecciate.
--
- Se avessi potuto, sarei diventato un
musicista. -
YiFan
si voltò con una punta di stupore alle parole dalla
sfumatura rassegnata
dell'altro. A quanto pare, certe ferite non guariscono mai, e quelle di
ChanYeol continuavano a
bruciare dolorosamente, seppur in
silenzio. E YiFan lo
sapeva. Ma, per quanto ne fosse
al corrente, sentir parlare il compagno di note tristi e di strumenti
che
diventavano il prolungamento dei suoi arti, lo stupiva sempre un po'.
D'altronde, avevano speso buona parte della loro vita a parlarne; gli
pareva
abbastanza. Lo lasciò continuare.
-
Sarebbe stato bello, - diceva, e ad ogni
parola pronunciata da Park ChanYeol,
Wu YiFan avrebbe intervallato con
pensieri come "lo so" oppure "me lo ricordo".
-
Sarebbe stato bello, - ripeté, - ma non ci
credevo neanche io stesso quando dicevo di volerlo diventare. -
YiFan
gli strinse appena la mano, ed intanto guardò il cielo.
Amburgo era una bella
città, così diversa da Seoul, poi... E le nuvole
cariche di neve parevano
nascondere segreti diversi, che lui aveva ancora solo pochi giorni per
comprendere. In ogni caso, appena sgattaiolati da una delle uscite
d'emergenza
dell'albergo, entrambi avevano riposto negli immensi batuffoli bianchi
il loro
segreto: erano letteralmente scappati, decidendo di rimanere per
un'intera
giornata fuori, senza neanche avere la benché minima idea
della scusa che
avrebbero messo su con i professori.
Ed
ora camminavano per questo parco che era per qualche motivo deserto,
ascoltavano il rumore dei loro anfibi sulla neve, facevano attenzione a
non
scivolare e a non inciampare, e YiFan,
come sempre,
teneva aperti i collegamenti con la mente di ChanYeol.
- Ogni
tanto spero ancora che possa succedere. Dico, sai, appassionarmi
così tanto
alla musica da avere la determinazione per poter imparare da solo ed
andare
avanti... Ma non succederà. E per quanto creda di essere
bravo in
qualcos'altro, poi devo ricredermi. Devo anche ricredermi di aver
trovato
qualcosa che possa aver rimpiazzato o almeno eguagliato la musica in
quel
senso. -
- Lo
sai che io amo come scrivi, ChanYeol.
-
- Solo
perché, in fondo, sei a pezzi quanto me e quindi puoi
considerare qualcosa di
più o meno sensato tutte le cazzate che scrivo. -
Park
ChanYeol spiegava che,
secondo lui, scriveva davvero
cazzate e che, per questo, fino ad allora, nessun editore a cui avesse
presentato i suoi lavori avesse deciso di dargli una
possibilità, nonostante la
grammatica, la forma ed il lessico a dir poco perfetti. Tutti dettagli
che,
probabilmente, non dovevano far differenza a trovarsi davanti a certi
discorsi,
a certe storie non comuni. Non comuni per un diciottenne, non comuni
per uno
come lui, fra l'altro.
--
Wu YiFan
scosse appena la testa, lasciando che il vortice di
pensieri lo mollasse per un attimo. Fece terminare la tempesta di
ricordi con
l’immagine di loro due uniti sotto le coperte della loro
stanza d’albergo,
quella notte, ad Amburgo. Ricordò che fu una delle volte
più belle. Le mani,
ormai, non erano più mani, ma solo meravigliosi strumenti
che guarivano le
anime altrui. I respiri avevano un qualcosa di eterno ed inafferrabile.
Tristemente inafferrabile. Perché in tutto quello
c’era qualcosa di
dannatamente malinconico. Erano malinconiche le coperte color vinaccio
e le
lenzuola morbide, era malinconica la neve che cadeva lenta in contrasto
al loro
disperato annaspare, erano malinconiche le luci, era malinconico
l’essere e il
non essere più da qualche parte, era malinconica la notte,
come lo era il loro
tentativo di afferrarsi, rendersi conto di non riuscirci e rinunciarci,
lasciare che le cose andassero in maniera quasi normale, ma bearsi e
trovare
pace nella consapevolezza che, almeno per una volta nella loro vita,
avevano
entrambi trovato qualcuno che avesse desiderato vivere l’io
dell’altro,
respirarlo, farlo proprio.
Non andò ancora avanti
nel pensare,
semplicemente perché non voleva ancora rendersi conto di
aver fallito.
Continuò a leggere, con un’espressione turbata, il
volto ormai diventato una maschera
dolorosa, con lo sguardo ormai troppo stanco e troppo duro, con la
pelle non
più perfettamente curata come tempo prima.
Non
so fare bene nulla. Vien fuori che non sono bello,
ma già ne ero consapevole. Le cicatrici, o meglio, i segni
– perché quelle non
sono cicatrici – su di me stonano, perché non sono
bello, perché non sono
nulla. Sono sempre stato il nulla, pensando di essere qualcosa, e vien
fuori,
ancora, che in realtà non sono mai stato, forse. Per cui,
per quanto riguarda
me, la persona col mio nome, non va bene stare male, perché
c’è chi ne ha di
più e ci sono io che, sotto sotto, dicono, non ne ho
affatto. Perché ci sono io
che, così brutto, non ho il diritto di abbellirmi col dolore.
Non riuscì quasi credere
a ciò che si
ritrovò a leggere. Poggiò il quaderno sul
tavolino e lasciò il peso del suo
corpo contro lo schienale della sedia. Buttò giù
il resto del suo drink – qualcosa
di cui non conosceva neanche il contenuto – e fece andare la
testa
all’indietro, chiudendo gli occhi. Per un attimo tutto parve
girare, si mischiarono
i pensieri e le immagini, e tutto quello che desiderò fu
catapultarsi nel suo
letto – non accogliente, comunque – e non uscirne
più per chissà quanto tempo. Poi
decise di tornare in sé, tornare alla dura
realtà, e continuare a passare in
rassegna ciò che stava leggendo.
Prese a ricordare di nuovo.
ChanYeol aveva diciotto
anni, compiuti da poco, quel Natale, e YiFan
venti,
anche lui compiuti di recente. I genitori di entrambi fuori casa, a
festeggiare
chissà dove e a ritornare chissà quando.
La mattina era stata un agglomerato di messaggi dolci, in cui non
mancavano di
chiamarsi amore, intanto che ChanYeol
era rimasto a
letto fino a mezzogiorno, ed intanto che YiFan
aveva
girovagato per quella casa senza neanche un addobbo, reggendo una tazza
di
caffè che era andato raffreddandosi lentamente. E poi le
sigarette che lasciava
distrattamente a consumarsi nel posacenere poggiato vicino al camino. ChanYeol si rigirava nel letto, YiFan
leggeva un giornale, ChanYeol
ogni tanto sentiva di
addormentarsi, YiFan
pensava a che regalo fare al
compagno quel giorno, ChanYeol
non cessava di
piangere e pensare, YiFan
si apprestava ad ascoltare
questa canzone dei Jazzyfact,
Always Awake.
Pensava che ChanYeol
avesse davvero buon gusto in fatto di musica,
intanto che sedeva alla sua scrivania, col computer davanti, l'ennesima
sigaretta fra le dita a creare riccioli grigi sempre diversi ed in
movimento.
« Avrei voluto che fossi qui,
stamattina.
»
« Ci sarò domani. »
Per entrambi non c'erano regali sotto l'albero, non c'erano caotiche
cene, non
c'erano una moltitudine di parenti di cui magari non ricordavano
neanche il
nome. Per YiFan c'era
il grigio ed un'assenza perenne
e per ChanYeol c'era
semplicemente un giorno
consumato nella maniera sbagliata, così come una vita
letteralmente
sprecata.
Fu la serata perfetta. YiFan
ricordava bene d'averlo
portato in un ristorante giapponese dove aveva prenotato settimane
prima ad
insaputa del più piccolo, in modo da non avere sorprese
quella sera. Fu solo
quando ebbe chiuso la chiamata con quelli del ristorante che si
ricordò che a
Natale rimangono tutti a casa, in famiglia. Poco male. ChanYeol,
il suo Yeollie, non era
una consolazione. Era tutto
quello che non aveva mai avuto. Era la sua famiglia, il suo amante, il
suo
migliore amico e qualsiasi altra cosa assieme la quale, sapeva, avrebbe
potuto
benissimo vivere anche sotto un ponte. Perché, per YiFan,
ChanYeol poteva rendere
il verme più viscido qualcosa
di bellissimo. Tutto il resto erano fronzoli, meri suppellettili, delle
aggiunte,
se Park ChanYeol
sorrideva. Se Park ChanYeol
gli sorrideva.
Tuttavia, non erano ancora sotto un ponte, non c'erano vermi
né altri
particolari disgustosi, e si amavano potendo godere - purtroppo con
limiti
troppo ristretti - di una certa tranquillità. YiFan,
appunto, pensava che la loro tranquillità si limitasse per
davvero soltanto al
non dover pensare a come sopravvivere, sotto il punto di vista pratico,
ad un
nuovo giorno. Per cui, sapendo quanto lui andasse matto per la cucina
giapponese, decise di fargli quel piccolo regalo.
Andò a prenderlo sotto casa sua alle otto in punto, nella
sua Mercedes nera
tirata a lucido, come sempre. Attese qualcosa come trenta secondi,
esattamente
il tempo che a ChanYeol
servì per infilare il
giubbotto, prendere il regalo, le chiavi, il cellulare ed uscire dal
cancello
di quella casa singola modesta ed anonima. Tutto in tempo record,
decisamente.
YiFan aveva atteso in
macchina per quel breve tempo
rendendosi conto d'aver acceso una sigaretta inutilmente, quando lo
sentì
aprire la portiera dopo neanche un minuto.
- Tieni, - disse subito ChanYeol,
in un tono quasi
brusco, saltando i saluti o qualsiasi altro panegirico e porgendogli un
pacchetto rosso. O almeno così sembrò a YiFan, che
l'aveva guardato con la coda dell'occhio.
Non fece troppo caso alle maniere di ChanYeol.
Sapeva
che, in casi come quelli, non sarebbe stato in grado di mettere su una
scenetta
da film. Quindi, si voltò a guardare quello che presumeva
fosse il suo regalo.
Era una scatoletta incartata con cura. Non era certamente delle
dimensioni di
quelle che contengono anelli o qualsiasi cosa che vagamente vi
somigliasse, e
ne fu in qualche modo sollevato.
Aprendo il pacchetto, ricordava YiFan,
bevendo ora
l'ultimo sorso di un Tom Collins, si era ritrovato davanti ad un
orologio che
qualche mese prima aveva visto esposto alla vetrina di una gioielleria,
mentre
lui e ChanYeol erano
usciti per una passeggiata in
centro. Era un orologio argento, di quelli che davvero solo uomini con
una
certa agiatezza potevano permettersi, con una montatura un po'
massiccia, che
al polso dava decisamente quel tocco in
più a chi lo indossasse. Ed era anche abbastanza
costoso. Lo aveva visto,
aveva fatto un commento, ma non ci si era soffermato più di
tanto.
Quando poggiò il bicchiere con il Tom Collins sul tavolo,
rimase a fissare
l'orologio tenuto al polso. Se fosse stato a casa sua, già
un po' più brillo,
probabilmente l'avrebbe letteralmente tirato via e lanciato contro il
muro, o
chissà cos'altro. ChanYeol
aveva messo da parte per
mesi i soldi - che i genitori gli concedevano mensilmente - per poterlo
acquistare. Ed ancora YiFan
non sapeva come sentirsi
a riguardo. ChanYeol
aveva poco per sè.
Davvero poco, qualche felpa, due pantaloni ed un paio
di scarpe. Certamente YiFan
aveva apprezzato quel
gesto, ma da un lato gli faceva una gran rabbia.
--
Chiuse il quadernetto per un po', il gatto che, sulla copertina,
ripreso di
profilo e col muso rivolto in alto, sembrava contemplare
chissà cosa. Con il
bicchiere ormai vuoto, tenuto a mezz'aria di fronte le labbra, YiFan gli mandava delle occhiate
quasi minacciose, per
qualche motivo. Dopo un po' distolse lo sguardo e si mise a seguire con
distrazione dei video musicali che passavano alla tv da svariati
pollici
dall'altra parte del locale. Fissava i cantanti e gli attori dei video
senza
davvero riuscire a seguire la trama delle vicende che in alcuni casi
venivano
raccontate. Di colpo aveva iniziato a sentire un'insolita stanchezza,
un peso,
come se qualcuno lo stesse spingendo contro il tavolo, in modo da
appoggiarvisi
e prendere a dormire lì. Unita a quello, vi era
un'improvvisa riluttanza nel
volersi realmente concentrare sul mondo, nel volersene interessare.
Tutto
quello che sentiva, in realtà, era la pioggia scrosciante
che si stava
abbattendo su Seoul quella sera. Ma chissà, poteva anche
essere l'alcool.
Fin quando non iniziò a distinguere delle note famigliari
provenire proprio
dalla tv. Non aveva mai visto il video, e poco gli importava, ma la
melodia era
quella, e si comportò come un bel coltello infilato nel
fianco. Un'espressione
tangibile del fatto che quel dolore era reale, che non poteva lasciarsi
andare
sul tavolo - né da nessun'altra parte - e dormire, e neanche
che poteva
sfuggire al mondo, per quanto la presenza di Park ChanYeol
indugiava anche in quelle forme così sottili. Ed intanto che
Muneojyeo
dei Dear Cloud andava alla tv, YiFan, con voce
sorprendentemente tremante, chiamò il
cameriere e si fece portare dello sherry.
--
In realtà non fu la serata perfetta, quella di Natale. La
cena fu deliziosa,
quell'imbarazzante felpa con le orecchie da gatto che per scherzo aveva
deciso
di regalare a ChanYeol
gli calzava a pennello - ed in
qualche modo sembrava anche piacergli. Il ciondolo apribile a forma di
cuore lo
aveva oltremodo adorato ed aveva letto la frase contenuta al suo
interno con
occhi lucidi, ma decidendo di non versare lacrime.
Your life, your traces, your everything, piercing me again. »
Aveva
saltato un «
We became
different »
alla fine di quel biglietto. Perché loro non erano diversi.
Loro erano un
tutt'uno. Erano un completamento, nonostante fossero anche
incredibilmente
simili. E seppur con parole semplici e scarne, in qualche modo YiFan voleva fargli capire che
lo rendeva debole, seppur in
maniera positiva.
Tuttavia, c'era quell'orologio che lo disturbava in modo insolito. E ci
fu
l'improvviso, violento distacco da colui che lo completava.
Natale non era mai stata una bella festa.
Per le undici tornarono a casa. A casa di ChanYeol.
Entrambi concordavano nel pensare che casa di YiFan
fosse eccessivamente fredda e spoglia. Nonostante usufruisse di
oggettistica
estremamente economica, la madre di ChanYeol
aveva
avuto un certo gusto, una certa cura ed un certo amore nell'arredare
quella
casa non troppo grande e che a YiFan
- e a suo modo
anche al compagno - faceva venire in mente delle storie di un'infanzia
vissuta
nella dolcezza e nel calore, fra biscotti alla cannella appena
sfornati, latte
caldo, cartoni animati, libri delle fiabe ed abbracci. Eppure,
lì aleggiava
anche qualcosa di sgradevole. Non tanto presente come un appuntito
sassolino
nella scarpa, ma neanche meno insistente di un minuscolo insetto che fa
prudere
appena la nostra pelle. Era qualcosa che bisognava notare e, a quel
punto, diveniva
opprimente. Tuttavia, lo si poteva anche nascondere sotto l'ammasso di
biscotti, latte, cartoni
animati, libri
ed abbracci.
In definitiva, a YiFan
quella casa piaceva.
Alle undici e dieci erano sul morbido e caldo divano del salotto, un
bel plaid
a coprire i loro corpi, intenti a lasciare che il mondo andasse avanti,
che
bambini, madri, padri, parenti ed amici si scambiassero i loro regali,
che
allegre risate si affievolissero e che il tempo non scorresse
più su una linea
ben dritta e definita, ma che si disperdesse in frammenti
così piccoli da
riuscire a rimanere fermi anche per un'eternità.
Nascondevano e soffocavano
ogni singola cosa che fosse esterna alla loro bolla attraverso baci
lenti e
profondi, a preannunciare una notte piena di loro stessi e di un amore
che
avrebbe potuto trascendere qualsiasi tipo di descrizione romanzesca.
ChanYeol cercava
costantemente le mani di YiFan.
Lui non esitava un solo istante nello stringergliele
per non lasciarlo andar via, ma portarlo con sé ogni volta
di più, consapevole
di necessitare di quel suo pezzo mancante per poter continuare a vivere
e non
accontentarsi di esistere.
Alle undici e trentacinque, ChanYeol
era rimasto a
guardare YiFan stando
un palmo dal suo viso, con
riccioli castani che gli davano un po' fastidio agli occhi, ma che non
aveva
voluto scostare, convinto che avrebbero potuto celare quello sguardo
così
trasparente.
Dal canto suo, YiFan
riuscì a percepire una nota
scura provenire dagli occhi color cioccolato del compagno. Fu
probabilmente
quello il momento in cui si rese conto che Park ChanYeol
gli apparteneva molto meno di quel che credeva, che tutti i suoi sforzi
nel
tenerlo attaccato all'esistenza - effimera o meno che fosse -
continuavano ad
essere probabilmente vani. Tutto quello che riuscì a fare fu
guardarlo con
occhi semplicemente innamorati, ed a loro modo devastati -
perché anche Wu
YiFan poteva ridursi in
pezzi.
E sollevò una mano, con lentezza, portandola a sfiorare il
viso altrui, intanto
che sentiva il suo sguardo freneticamente calmo diventare via via
più
pressante.
« Facciamo il bagno? »
--
Le note di Muneojyeo
terminarono alla tv, ma YiFan
non aprì gli occhi.
Rimase con la schiena abbandonata contro il legno della sedia e le
braccia
mollemente poggiate ai braccioli imbottiti. La musica si
fermò lasciando spazio
ad un vuoto oltremodo inquietante, permettendo a pensieri e ricordi di
diventare martellanti, di fare un gran fracasso.
Si era fermato a leggere il quadernetto in un punto in cui ChanYeol
si era rivolto ad un loro amico, Do KyungSoo, chiedendogli di
continuare a
scrivere un romanzo di cui gli aveva fatto leggere le bozze. La
richiesta
includeva anche che uno dei due protagonisti riuscisse a sorridere
genuinamente, almeno una volta, per quanto grande potesse essere
l'alone nero
che si portava dentro, ed anche che nella vita potesse riuscire a combinare grandi cose.
Fa' che scriva, balli e canti. Fa' che
sia felice, come volevo esserlo io.
Wu YiFan abbandonò quel
locale portandosi dietro una bottiglia di brandy. Una volta in
macchina,
constatando che non veniva giù neanche una goccia d'acqua,
risalì per buona
parte dell'Han, fino ad un punto dove non passava troppa gente.
Lì bruciò il
quadernetto, lasciando che la cenere fosse portata via dall'acqua.
Acqua che
Park ChanYeol diceva di
amare, perché poteva lavare
momentaneamente via ogni tipo di sporco.
Alle due di notte, tre quarti dell'alcool contenuti in quella bottiglia
erano
in circolo nel suo corpo, e lui era abbandonato sul pavimento della sua
stanza,
poggiato al freddo armadio in metallo. Era già diventato un
pallido riflesso di
quello che Wu YiFan
appariva agli altri. Ma come poteva lui stesso essere a colori, se
tutto quello
che lo circondava appariva come un amalgama senza senso di sfumature di
grigio
prive di vita?
--
ChanYeol
iniziò a preparare la vasca da bagno: acqua
calda, quasi bollente, ma non insopportabile, schiuma, tanta schiuma,
dovuta ad
una quantità industriale di bagnodoccia al patchouli che BaekHyun
gli aveva regalato per il compleanno. Niente candele; non ne aveva.
Però la
luce calda proveniente dal salone, oltre il piccolo disimpegno, dava il
suo
contributo, assieme alle colorate e fioche luci prodotte dallo stereo,
impostate in modo che cambiassero lentamente.
Il profumo intenso, speziato ed avvolgente del bagnoschiuma riusciva ad
arrivare alle narici di YiFan
anche mentre era in
camera di ChanYeol, a
girare in tondo, nervoso, al
buio, intento a discutere, seppur in maniera in qualche modo pacata,
col padre.
Solo quella sera, però. Probabilmente entrambi erano ben
consapevoli del fatto
che, almeno quel giorno, potevano risparmiarsi urla ed imprecazioni,
veleno e
parole come stilettate al cuore.
Pochi minuti dopo, YiFan
s'era immerso nell'acqua
calda. ChanYeol l'aveva
aspettato con calma,
immobile, con gli occhi chiusi e le gambe portate al petto. Riprese a
guardare
davanti a sé quando sentì il compagno
raggiungerlo fra la schiuma e, una volta
sistemati in maniera da stare comodi, ChanYeol
con la
schiena poggiata al petto altrui, si voltò per poter posare
lo sguardo sul suo
volto. YiFan fu
graziato di un breve e flebile
sorriso troppi secondi dopo che i
loro sguardi si erano incontrati. Per tutto il tempo prima, si era
ritrovato
davanti ad un'espressione piatta che, proprio perché non
diceva nulla in particolare,
forse diceva tutto. E l'unica cosa
che riuscì a fare fu avvolgerlo con le sue braccia, nel
tentativo di ritrovare
un certo conforto ed una certa tranquillità in quei momenti
che, durante gli
anni, si erano ritrovati a ripetere più e più
volte.
Muneojyeo
si ripeteva fra altre tracce casuali, tutte dello stesso stampo, con
melodie
che suonavano simili, strumenti e voci che evocavano immagini e tempi
idilliaci
e decisamente fittizi per essere vissuti dal vero. Tuttavia, la
perfezione era
lì, fra i loro corpi caldi e come fusi insieme, fra l'acqua
conciliante di una
tranquillità inesauribile ed inespugnabile, fra la voce
profonda di ChanYeol
che rispondeva con i suoi soliti sottintesi che,
ormai, YiFan decifrava
alla perfezione, dopo aver
fatto scivolare fuori dalle sue labbra qualche nuova confessione o
qualche
antica e confortante convinzione.
E le bollicine scoppiavano, imbarazzate, ad ogni nuovo bacio rovente,
ad ogni
tocco leggero o più avvolgente. Scoppiavano, scoppiavano... Always Awake si ripeteva,
si ripeteva You,
Remaining As Beautiful Memories, si
ripeteva Canine
dei the god and death
stars, si ripeteva... E le bolle
scoppiavano, una dopo l'altra, in fretta, e le note andavano, come
andavano
loro, impegnati nel viaggio per il loro universo, per i loro io.
« We
became different. »
Un 'Ah' di dolore
abbandonò le labbra
di ChanYeol, ora seduto
davanti al compagno, fra le
sue gambe. YiFan non si
allarmò, ma cercò di
individuare il motivo di un lamento così secco, e tagliente.
Curandosi di
scostare subito gli occhi dal viso inspiegabilmente contratto di ChanYeol, tirato in
un'espressione pre-pianto, con le palpebre serrate, prese a
far vagare lo sguardo
altrove, finché esso non si posò sulla propria
mano, tenuta stretta attorno ad
una coscia dell'altro. Allentò immediatamente la presa. Non
batté ciglio, non
disse nulla. Restò a fissare profondi tagli di un rosso vivo
fra i singhiozzi
sommessi dell'altro.
Da quel momento, le scuse silenziose ed il pianto di Park ChanYeol,
divennero la colonna sonora di ogni loro azione futura.
Ma Wu YiFan
non sapeva che il suo tempo per rimettere insieme i
pezzi di ChanYeol e
dipingere un futuro era ormai
passato, senza preavviso.
--
Poco più di una settimana fa. Tutto quello era accaduto poco
più di una
settimana fa, in un trascorrere di eventi inesorabile, impossibile da
fermare,
come un treno lanciato a tutta velocità sulle rotaie ed in
procinto di deragliare
da un momento all'altro. Tutto ciò che ora restava ad YiFan,
erano solo ferraglie e superstiti, lui fra di essi. Tuttavia, il
conducente di
quel treno, ChanYeol,
aveva portato con sé tutto ciò
che YiFan non avrebbe
mai potuto recuperare e tentare
di mettere insieme. Rimanevano solo ferite sgorganti sangue vivo che
aveva come
l'orribile impressione che non si sarebbero mai e poi mai rimarginate.
Tutto quello che riusciva a fare, nel profondo di quella notte, in un
luogo
senza più un nome ed in un tempo senza più una
collocazione su una linea retta,
era fissare un buio profondo che continuava a girare, provocandogli una
nausea
destinata a permanere chissà per quanto. La sensazione del
freddo pavimento
sotto le sue mani era come la prova tangibile di una realtà
inflessibile.
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Furono giorni simili ad una veglia. Non era più un conto
alla rovescia di
giorni, ore, minuti ed insulsi secondi per l'anno nuovo. Era una
sensazione
tramutata in una delle loro solite convinzioni, solo che, stavolta, era
una
convinzione che portava con sé un orribile presagio. ChanYeol,
in alcuni giorni, era in fibrillazione. In altri, sembrava
inspiegabilmente
felice. Ed YiFan era
intrattabile, oppure più
silenzioso del solito. Delle giornate venivano vissute come se fosse un
dono
prezioso, altre con la svogliatezza di coloro che non hanno
più da prendersi
cura di nulla.
Capodanno fu una bella giornata. YiFan
e ChanYeol girarono per
le strade deserte del paesino, più a nord
rispetto a Seoul, dove s'era trasferito il loro amico JongDae.
Ad un tratto, ChanYeol
si era fermato ed aveva deciso
di togliere le scarpe, perché diceva che camminava
più comodo scalzo. Ne
conseguirono battute, prese in giro, frecciatine e risate, ed YiFan aveva più volte
rischiato di lanciare le buste con le
bottiglie di spumante chissà dove.
Fu una serata di baci lievi sul balcone di quella casa su due piani, al
freddo,
senza aver voluto indossare i giacconi. Si riscaldavano a vicenda, e le
voci
allegre di BaekHyun, JongIn,
MinSeok e ZiTao,
provenienti dall'interno, contribuivano largamente. Si udivano anche i
rimproveri di KyungSoo e JoonMyun.
Ad ognuno di essi,
ChanYeol ed YiFan si
guardavano qualche istante e sorridevano. E poi c'era Lu Han che si
affacciava
alla finestra, li richiamava dentro, sorridendo in maniera gentile. JongDae, ad ogni loro
ricomparsa, faceva allusioni e
battute di ogni tipo, senza risultare cattivo, e l'atmosfera tornava ai
livelli
di un sogno ovattato. YiXing
e SeHun
si godevano lo spettacolo in silenzio, ed YiFan
finiva con il fare lo stesso, lasciando che ChanYeol
usufruisse appieno di tutta quella meraviglia, risultando,
così, solo un
pilastro rassicurante dietro di lui. O, almeno, ci sperava.
YiFan, alle quattro e
mezza del mattino, aveva
terminato di accompagnare a casa YiXing,
BaekHyun, JongIn e KyungSoo.
Nella macchina era calato il silenzio. ChanYeol
era
diventato ermetico, inavvicinabile, pronto a sputare qualsiasi tipo di
frase
spiacevole se mai YiFan
avesse tentato di chiedergli
qualcosa. Ed era successo, quando, poco dopo lo scoccare della
mezzanotte, ChanYeol
aveva iniziato a piangere senza alcun motivo
apparente, in silenzio, chiuso in bagno. YiFan
si era
ritrovato semplicemente spaesato, come se fosse stato tagliato fuori
dal suo
ruolo. Per anni ed anni, non era mai successo che ChanYeol
non gli avesse permesso di avvicinarsi a lui, in qualsiasi senso.
Un'altra
avvisaglia, un altro punto nero su una tela già ampiamente
macchiata.
ChanYeol scese dall'auto
e poi rimase a guardarlo,
dal finestrino, per svariati secondi. YiFan
poteva
giurare che fosse in procinto di riprendere a piangere ma, d'un tratto,
i suoi
occhi non dissero più nulla per davvero. Brividi lo
attraversarono facendolo trasalire,
alla realizzazione che ChanYeol
sembrava come essersi
spento. Il suo modo di camminare
verso il cancello di casa fu meccanico, degno di un automa. E non ci fu
un
bacio, un saluto, uno sguardo pieno del più semplice ed
infinito amore. Amore,
forse, effimero.
Alle dieci e qualcosa del mattino, YiFan fu brutalmente svegliato
dallo squillo insistente ed
urgente del telefono di casa, e lui, da persona precisa e diligente
qual era,
s'apprestò a rispondere nonostante il richiamo sin troppo
forte del suo
letto.
Il corpo di ChanYeol
era stato trovato senza vita in
prossimità di un cavalcavia vicino la sua abitazione. Si era
lanciato da esso,
frantumandosi il cranio a contatto con le rocce. Aveva lasciato degli
indizi
scritti su un quadernetto poggiato sulla sua scrivania. Sua madre non
poteva
parlare perché era stata presa da un attacco psicotico.
Si era sentito dire questo, YiFan,
da un poliziotto
che scandiva le parole come se fosse stato dotato di voce
computerizzata.
Tuttavia, lui non disse nulla. Riagganciò e tornò
a letto, sapendo che si
trovava all'interno di un terribile incubo e, in realtà, non
si era mai
svegliato.
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Dieci anni dopo, YiFan
si era spostato dal pavimento
della sua stanza, nella casa dei suoi genitori, alla vasca del bagno
della casa
che, invece, condivideva con sua moglie e due figli. A quanto pare,
però, la
sveglia che lo avrebbe fatto ridestare da quell'incubo, stava tardano a
suonare.
Quella sera di Natale, chiese a sua moglie se poteva lasciarlo da solo
e
portare i bambini a cena fuori. Non giustificò la sua
richiesta assurda in
alcuna maniera, e di rimando ebbe una concessione fra mille
imprecazioni. Lui,
tuttavia, non udì assolutamente nulla.
Così, per le undici di sera, quando non vi era ancora
nessuno, in casa, a parte
lui, preparò la vasca da bagno, riempiendola d'acqua calda e
bagnoschiuma al patchouli,
a formare tanta, tanta schiuma. Poi spense quasi tutte le luci ed
accese un
vecchio stereo con su un vecchio CD, vecchie canzoni, vecchie voci e
vecchie
storie.
Quando s'immerse, l'acqua risultò dannatamente fredda,
contribuendo a fargli
realizzare che, effettivamente, era diventato più debole di
quanto credesse,
per non parlare di quanto si sentiva ridotto ad un semplice involucro
di carne
vivente. Poi, riconobbe le note iniziali di Muneojyeo.
Le rughe che avevano iniziato a farsi strada sul suo viso non c'erano
più, i
suoi capelli erano di nuovo biondi, più lunghi, le sue
orecchie ancora adornate
da svariati piercing. La vasca da bagno, invece, era più
piccola, il Natale
sembrava essere Natale - un Natale molto personale
e particolare, a dire il vero.
Nell'aria, si sovrapponeva anche un lieve profumo di cannella. Lui
viveva e
respirava e, fra le sue braccia, stringeva qualcuno. Qualcuno dai
capelli color
caramello, ricci, con un sorriso così felice da poter
sembrare semplicemente
stupido. Qualcuno con cicatrici diventate prova che era stato salvato,
e che
stava rimanendo nell'universo e nel tempo che lui ed YiFan
avevano creato assieme, respirando l'uno la vita dell'altro.
YiFan restò a
stringere ChanYeol
finché la sveglia, liberatoria, non suonò.
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