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Autore: Windter    14/02/2008    3 recensioni
[Natsuki x Shizuru]
Attenzione: presenza di Shoujo-Ai, di linguaggio poco edificante e di tematiche adulte.
Kuga Natsuki. Un animo solitario tormentato dalla sete di vendetta, dopo più dieci anni vissuti nel rancore. La caccia del lupo non può, non deve avere fine sino a quando l'ultimo dei nemici non sarà ormai polvere.
Nella desolazione della morte, fra la danza degli scheletri e dei fantasmi del passato, come potrebbe mai la volontà scrostare via il dolore e ammorbidire le ferite, insanabili, del cuore?
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Natsuki Kuga, Shizuru Fujino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Untitled

[ Rosso Come Il Sangue - Natsuki x Shizuru ]


IV

Inconsapevolezza








Istanti eterni.
Eversive emozioni
Tra i fiori in boccio.



Quella sera fu a suo modo indimenticabile. Tornai a casa in moto sfrecciando tra le automobili ed il traffico convulso, godendo del rombo del motore mentre acceleravo il più possibile. Decisi di allungare volutamente il percorso, prendendo la strada tortuosa che conduceva lungo la costa.

Avevo lo stomaco stretto in una morsa violenta, mi sentivo piena di energia. Pronta a spaccare il mondo.
In sella alla mia Ducati mi slanciai ad aggredire la strada, sfogando quella potenza nelle larghe curve veloci piegandomi il più possibile sull'asfalto, imitando i piloti professionisti. Sulla mia destra il mare si gettava violento contro gli scogli, riempiendo l'aria del profumo del sale. Ed io mi sentivo come la tempesta, pronta ad avventarmi sull'acqua e trasformarla in feroce strumento di morte.

Tutta quell'agitazione mi ribolliva nelle viscere come una forza scatenata. Mi sentivo capace di ogni cosa. Se solo non fosse stato così tardi avrei potuto guidare per ore ed ore, scaricando energia nella folle velocità.

Giunsi a casa che la sera era ormai avanzata, e nella notte scura i lampioni illuminavano la città. Lasciai, con una carezza, Duran Mark III in garage e salii in casa, soddisfatta della mia lunga cavalcata. Nella mente un solo pensiero: il domani.

Già immaginavo la scena. Sakomizu sarebbe stato di spalle, del tutto assorto nel lavorare su qualcosa. Io mi sarei avvicinata a lui, di soppiatto, e quando l'avrei chiamato la sua enorme mole sarebbe sobbalzata dallo spavento.
Allora con sadico divertimento l'avrei guardato, sprezzante, e facendo finta di niente gli avrei chiesto, a bruciapelo, se si ricordasse o meno di me.
Già vedevo la sua fronte imperlata di sudore, gli occhi colmi di spavento, l'imbarazzo...
Oh, con una sola domanda l'avrei inchiodato al muro. Non vedevo l'ora.


Sfilai gli stivali senza nemmeno chinarmi, premendo il piede opposto contro il tacco, e li lanciai verso la scrivania senza badare a dove atterrassero. Non c'era tempo per curarsi di ogni altra cosa, i cancelli del domani mi attendevano già spalancati.

Tutta quell'eccitazione mi aveva nascosto la stanchezza. Non appena toccai il futon crollai in un sonno pesantissimo.



***



La mattina radiosa spalancò le sue braccia nell'accogliermi in un nuovo giorno ed io, rintanata nel mio futon, ancor prima di aprire gli occhi pensai che avrei voluto morire.

Tutto l'entusiasmo della sera precedente era stato risucchiato nel gorgo oscuro della notte. Dibattendomi mi districai da sogni inquieti che, pesanti come melma, non sembravano volermi lasciar sfuggire. Nella torbida confusione, mentre con respiro veloce riprendevo coscienza, brandelli di ricordi della sera precedente sfumavano ai margini della mia consapevolezza come immagini remote, distanti, che ai miei occhi sembravano non aver mai avuto una dimensione solida e reale.

Tutto era inganno, e dolore, e sofferenza.

Faticavo a credere come avessi potuto essere così entusiasta solo poche ore prima, quando la falsa luce dei neon mi aveva abilmente nascosto le angoscianti prospettive della mia esistenza, ora fatte risplendere dall'accecante luce del sole.

Avrei combattuto ed avrei ucciso, avrei ucciso e sarei morta.

Sarei morta.


Il concetto non mi era nuovo. Ma in quell'attimo, quella mattina, la potenza di quel pensiero mi sfondò lo stomaco. Mi rannicchiai nel futon nel disperato tentativo di sfuggire a quella cristallina verità, ma l'angoscia montò violenta in me, esponenzialmente, ed in un solo istante fu troppa. Fu un'eruzione vulcanica, una bomba atomica lanciata direttamente nel centro del mio petto. Come fiumi in piena, torrenti di pensieri scardinarono le dighe della mia mente, invadendomi.

L'incidente; ancora quel maledetto, orrendo, terribile incidente riemergeva dalle profondità della mia anima per salire a me travolgendomi, afferrandomi nel suo palmo e tirandomi giù, sempre più giù, verso le profondità del mare. Soffocarmi nel suo grembo acre e salato, l'odore delle lacrime. Il sapore delle lacrime.

Avrei già dovuto essere morta da tempo. Il filo della mia esistenza si era spezzato quella notte, molti anni prima, e il relitto di me aveva continuato a vivere come un corpo vuoto, animato dalla sola brama di giustizia, dalla sola sete di quel massacro che ogni giorno si ergeva ai miei orizzonti come pilastro del mondo, unico e solo obiettivo.
Le mie carni erano già imputridite, la mia anima stracciata, nulla di me era sopravvissuto agli abissi oceanici. La mia data di scadenza era già trascorsa, e mentre marcivo giorno dopo giorno, si avvicinava sempre più la data in cui mi sarei ricongiunta con il mio destino, dopo aver trascinato in un inferno di sangue i miei nemici.

Morendo.


Strinsi fra i pugni la stoffa della fodera, deglutendo a fatica. La gola mi bruciava nel tentativo di trattenere le lacrime, ma non avrei pianto. Per nessun motivo al mondo avrei pianto. Nessun motivo al mondo.

Perché Kuga Natsuki non piangeva. Mai.


E per scacciare quell'angoscia lontano, via da me, mi ribellai alla mia stessa mente cercando di manipolare il pensiero e scagliarlo lontano, altrove. Cercando aria, cercando vita, emersi bruscamente dal futon slanciandomi verso la luce, mio orrendo torturatore e mia unica salvezza.
Il sole battè con forza sulle mie palpebre, accecandomi. E respirando a fondo, sotto i riflessi di un cielo blu cobalto, disperatamente trovai la forza di chiudere le serrature del pensiero, circoscrivendolo strettamente alla mattinata.

E nella mia mattinata, nella scialba, ossessiva quotidianità c'era una sola cosa ad attendermi.


Mentre allontanavo dalla mente le ultime tentacolari profondità del mare, e lentamente recuperavo il controllo di me, un singulto agitò il mio stomaco mentre si parava alla mia coscienza un'ennesima, rivoltante prospettiva a brevissimo termine. Ormai eravamo all'ultima settimana di scuola.


L'ultima settimana era sempre stata il peggior supplizio da sopportare, in tutto l'anno. Un vero e proprio tormento per me che ero solita considerarmi in vacanza fin dalle prime gocce della stagione delle pioggie. Una volta passati gli esami trimestrali, secondo logica nessuno avrebbe più dovuto metter piede lì dentro fino alla cerimonia d'ingresso di aprile. A quel punto le lezioni non avevano più utilità, i voti erano ormai stati decisi; chiunque sostenesse che continuare a portare avanti tutta la baracca avesse un senso, aveva torto marcio in partenza.

E invece le cose non andavano così, e l'ultima settimana si ripeteva ogni anno trascinandosi nella sua totale, folcloristica inutilità. Il mio spirito critico, crogiolandosi nell'usuale disprezzo, infuriò con l'accendersi della consapevolezza che avrei passato l'ennesima ignobile giornata a sopportare i miei compagni di classe.

Come ogni altra volta, avrei dovuto sorbirmi tutte le patetiche scenate che avrebbero messo in piedi, stracciandosi le vesti all'idea di abbandonare i loro compagni, in un'ondata di rivoltante, stucchevole buonismo. E la cosa peggiore è che avrebbero cercato di trattarmi come un'idiota, sorridendomi e coinvolgendo la loro cara Kuga-san nei loro buoni propositi di amicizia per sempre, o simili cretinate prive di senso.

Che nausea.


In quel momento di debolezza il male profondo che avevo dentro ribollì, tentando di tornare a prendere possesso della mia coscienza, ma lo bloccai in partenza imponendomi di non pensarci, e di mantenere le mie prospettive fisse sul futuro prossimo. Mi concentrai, respirando piano, su quella sensazione di nausea; mi ci aggrappai, quasi, facendola mia. Controllandola.
Diressi di nuovo la mente verso la mia mattinata, con ferreo autocontrollo, e ricacciai nel profondo, stavolta definitivamente, il mio incubo più grande.

Considerate le prospettive, avrei fatto carte false per non presentarmi al Fuuka Gakuen, considerai. Eppure, sapevo di non potermelo permettere. La presidentessa del Concilio Studentesco era stata chiara: i miei voti, per quanto buoni, non bastavano a garantirmi la promozione. Ancora un giorno di assenza e sarebbero stati guai seri.

Per qualche istante fui tentata dall'idea di falsificare in qualche modo i registri delle presenze, ed indugiai a lungo su quel pensiero. La mia mente iniziò a ticchettare, valutando tutte le possibilità. Non sapevo dove venissero tenuti, ma una domanda a Watanabe mi avrebbe garantito la possibilità di raggiungerli. O forse, addirittura, persino la possibilità di vederli modificati senza sollevare un solo dito. Il problema era: fino a dove si sarebbe spinta la fedeltà di Watanabe nei miei confronti? Era facile intuire cosa sarebbe accaduto se mi avessero scoperta, e il suo silenzio rappresentava il punto critico del mio piano. Dopotutto non avevo mai fatto nulla per incoraggiare quei suoi tristi tentativi di avvicinarsi a me. Niente mi garantiva che sarebbe stato zitto.

Sospirando, dovetti ammettere con me stessa che non conveniva rischiare. Allontanai quell'idea dicendomi che così, perlomeno, avrei potuto continuare a fregiarmi di non essermi mai venduta a chicchessia, per nessun motivo. E, arrendendomi all'inevitabile destino, mi alzai.



***



Quando entrai nella hall del Fuuka Gakuen mi guardai intorno, incredula, e per un istante dubitai della fermezza delle mie gambe. Ignoravo chi avesse potuto tirare fuori un'idea di così pessimo gusto, ma al di sotto della grande cupola di cristallo erano stati tesi tanti, tantissimi lunghi nastri rosa arricciati che si aprivano come ali a fianco di un immenso cartellone, sul quale troneggiava la parola VOLONTA'.

Mi sentii male all'idea di dover passare là sotto per entrare. Sì, era decisamente iniziata l'ultima settimana di scuola.


Ancor più di pessimo umore di quanto già non fossi, allungai il passo verso la mia aula sperando di non incrociare altre mostruosità lungo i corridoi. E mi riscoprii in una certa misura sollevata quando vidi che tutti gli altri ambienti non erano stati toccati. Evidentemente la frenesia da fine dell'anno non aveva colto quella gente con abbastanza forza da convincerli a trasformare in una bomboniera l'intero edificio.
Forse la giornata non sarebbe stata pesante come avevo preventivato.


Spalancai la porta della mia classe e trovai molti occhi fissi su di me. La lezione era già iniziata ma Suzuki sensei, in piedi di fianco alla cattedra, mi ignorò completamente continuando come sempre la sua spiegazione, rispecchiando in pieno le mie aspettative. Sapevo fin dall'inizio che anche quel giorno non avrebbe dato peso al mio ritardo, così come si era abituato ormai da tempo a fare.

Mi attendevo che anche l'attenzione dei miei compagni calasse drasticamente subito dopo il mio ingresso, non appena mi avessero riconosciuta. Molti, invece, continuarono a guardarmi come se fossi stata una strana apparizione. Un po' perplessa mi dissi che forse non pensavano avrei osato entrare a lezione iniziata persino durante l'ultima settimana di scuola, sebbene non fosse certo la prima volta che lo facevo.

Senza una sola parola attraversai l'aula e presi il mio posto. Continuavo a cogliere occhiate nella mia direzione. Innervosita da tutta quell'attenzione concentrata su di me, serrando i denti cercai di tenere duro, intimandomi di resistere e ricordando che era una delle ultime volte che quella scena si ripeteva, almeno per quell'anno.

Poggiai la cartella per terra e sistemai le mie cose, con tutta calma. Guardai un attimo la lavagna e rinunciai immediatamente a capire cosa, in particolare, stesse spiegando il professore. Era inutile cercare il libro, quindi mi appoggiai contro la finestra preparandomi alle solite ore di noia.
Fu allora che, guardando sbadatamente l'aula attraverso il vetro, notai che le occhiate continuavano ancora, con insistenza, e la cosa mi stupì. Perché mi sembrava improvvisamente di essere così al centro dell'attenzione? Che accidenti stava succedendo in quell'aula?

Cercai di scacciare quella sensazione, concentrandomi sulla bella giornata primaverile che sembrava chiamarmi da fuori, ma non potei non notare agitarsi sullo specchio della finestra tutta una serie di sguardi, bisbiglii ed una strana eccitazione, quasi frenetica, che sembrava rimbalzare di banco in banco.

Infastidita, voltai il capo di scatto cogliendo Kobayashi che mi fissava. Lei arrossì, girandosi.
No, decisamente c'era qualcosa che non andava.


Suzuki sensei non sembrava notare nulla, eppure ai miei occhi era palese l'agitazione dei miei compagni. Cercai con lo sguardo Watanabe, sperando di trovare in lui una spiegazione, ma lo trovai ferreamente intento a fissare la lavagna, come se non capisse quel che c'era scritto.
Guardai anche io la lavagna, con maggiore attenzione. Le equazioni non erano affatto un mistero per Watanabe. Non seppi spiegarmi perché lui, unico fra tutti, evitasse il mio sguardo.

Non feci in tempo a interrogarmi oltre su quel che stava accadendo, che una voce sovrastò con forza quella del professore.

- "Shitsurei Shimasu!"

Immediatamente di seguito una mano spalancò bruscamente la porta, e alla mia vista si mostrò la figura di un enorme mazzo di fiori dietro il quale sbucava un viso familiare.


Suzuki sensei s'interruppe, e l'aula piombò nel silenzio più assoluto. Attonita, mi ritrovai a fissare il nuovo venuto come avevano fatto i miei compagni poco prima con me, cercando di ricordare chi fosse e domandandomi quali fossero le sue intenzioni. Cosa poteva voler fare?
Il ragazzo entrò e chiuse la porta, e fu solo quando ebbe raggiunto la cattedra che m'illuminai: si trattava di un compagno di classe di Shizuru.

Questo continuava a non spiegare le sue intenzioni, ma almeno gli dava un'identità, anche se non propriamente un nome.


- "Mi perdoni per aver interrotto la sua lezione, Suzuki sensei", disse quello inchinandosi profondamente alla volta del professore.
- "Non importa, non importa", fece quello osservandolo da al di sopra della montatura degli occhiali da presbite, leggermente abbassati sul naso. "Fà ciò che devi".

Il ragazzo annuì e senza aggiungere altro si risollevò in tutta la sua altezza, con estrema compostezza. Quindi si avviò attraverso i banchi, con passo sicuro, imboccando la mia fila.


Perplessa, scoccai un'occhiata a Itou, seduta sulla mia destra, un banco davanti a me. Scriveva convulsamente, facendo finta di portare avanti l'esercizio e cercando di non guardare davanti a sè. Era evidente che quel mazzo di fiori fosse destinato a lei, ed i regali di commiato per via della fine dell'anno non erano rari, nella nostra scuola. Ma come poteva qualsiasi ragazza acconsentire a che qualcuno la mettesse in imbarazzo in quel modo così rozzo e plateale? Un dono di fine anno così clamoroso avrebbe scalfitto la reputazione di chiunque, la scuola ne avrebbe parlato per mesi e mesi e chissà che genere di pettegolezzi ne sarebbero derivati.

Stavo considerando tutto ciò quando il ragazzo con mia enorme sorpresa oltrepassò il banco di Itou, e dopo essersi inchinato mi puntò contro quel gigantesco mazzo di fiori.
Sollevai lo sguardo, impietrita.
Era paonazzo in viso e aveva gli occhi lucidi.
Mi si fermò il cuore.


- "K-k-kuga-san... questo è..." iniziò a balbettare mentre io, raggelata, finalmente realizzavo.

Loro sapevano! Sapevano tutti, e per quel motivo mi avevano fissata con tanta insistenza!
Dardeggiai con lo sguardo tutt'intorno, lanciando occhiate di fuoco ai miei compagni. Nessuno di loro osava guardarmi, avrei voluto sbranarli! Come avevano osato non dirmi nulla?

- "... un dono... voglio dire... per la fine dell'anno, no? Insomma, l'anno... sì, l'anno finisce e..."

Piantai lo sguardo in quello del ragazzo, e se avessi potuto l'avrei incenerito sul posto. Lui si zittì, ed un silenzio pesantissimo calò sull'aula. Sentivo il sangue rimbombarmi nelle tempie.

- "Che cosa vuoi?", ringhiai senza mezzi termini, cercando di spaventarlo. Avrei voluto che la terra si aprisse e mi inghiottisse all'istante. Sapevo che tutti ci stavano fissando.
- "E'-... insomma... è un regalo, ecco!" disse lui con un sorriso stentato, rifacendo il gesto di tendermi il mazzo di fiori.

Abbassai gli occhi alle sue mani con una delle mie occhiate peggiori, cercando di caricare lo sguardo di tutto il mio disprezzo. Poi, senza dire niente, li risollevai su di lui. Sapevo che l'avrei pietrificato, e così fu: si zittì nuovamente, rosso come un peperone, consapevole che passavano gli istanti e io ancora non accettavo il suo regalo. E la sua posizione, di istante in istante, si faceva sempre più imbarazzante.
Dopo lunghi momenti di silenzio tentò nuovamente di farsi avanti, riprendendo la parola con voce bassa, estremamente esitante.

- "L'anno prossimo è quello che per me segnerà il... passaggio... a nuovi impegni. Sì... nuovi impegni mi terranno particolarmente... impegnato... e, insomma, io vorrei... chiederti... di..." s'interruppe, diventando se possibile ancor più rosso in viso. "... Uscire con me".


Doveva essere impazzito. Il mondo intero doveva esserlo. Non poteva stare succedendo una cosa del genere, e soprattutto non poteva star succedendo a me.
Non in quel momento. Non in uno degli ultimi giorni di scuola. Non io. Non io.
Guardai Itou. Mi fissava.
La rabbia esplose dentro di me.

Mi alzai di scatto in piedi e, senza dire una sola parola, scansai con gesti meccanici il ragazzo - di cui mi venne in mente il nome in quel preciso istante, mentre gli davo le spalle: Takeda Masashi.

Spronata dall'urgenza imperativa di uscire il prima possibile da quel luogo, mentre avvertivo le mie guance andare a fuoco, senza una sola parola attraversai l'aula con movimenti che non mi appartenevano, come una furia, probabilmente sotto gli occhi di tutti. Non m'importava di niente e di nessuno; volevo solo uscire da quel luogo, il prima possibile, e seppellire alle mie spalle quella situazione grottesca.

Mi avventai sulla porta, mi aprii un varco come se ne andasse della mia vita. Mi slanciai fuori senza nemmeno voltarmi, e non appena ebbi chiuso la porta alle mie spalle avvertii piombarmi addosso il peso di quel che era appena accaduto.
Deglutii, spalle alla porta, ansimando per l'agitazione. E non appena sentii salire il chiacchiericcio dall'interno dell'aula che avevo appena abbandonato, non potei resistere oltre. Mi gettai correndo lungo il corridoio, scappando via.



***



Il rumore della porta scostata mi sorprese e, trasalendo, mi voltai di scatto. L'ultima cosa che avrei desiderato, come culmine della mattinata, sarebbe stata farmi scovare da uno dei miei compagni.

Immaginavo che dopo la mia uscita di scena di qualche ora prima tutta la scuola fosse in subbuglio per cercarmi, o qualcosa di simile. E se anche le cose non fossero andate così, comunque non avrei avuto il coraggio di andare a controllare. Avevo deciso di rintanarmi nella seconda aula di musica per sfuggire la vergogna, e mai e poi mai avrei acconsentito a chicchessia di denunciare la mia presenza in quel luogo.
Sarei stata pronta a sequestrare lì dentro chiunque, pur di non farmi scoprire.

La mia mente stava già calcolando quale potesse essere la frase più d'impatto ed aggressiva da usare per accogliere il nuovo venuto, quando con immenso sollievo vidi che si trattava di Shizuru.

Mi rilassai leggermente. Con lei forse sarei stata al sicuro.


- "Natsuki?" fece lei con una punta di sorpresa, notandomi. La guardai per qualche momento, un po' spiazzata, senza sapere come rispondere.
- "Sì", mi limitai a dire.
- "Cosa fai, sola, in questa stanza vuota?" mi domandò accompagnando la porta, con un sorriso tranquillo.

Sembrava non fosse al corrente di quel che era successo in mattinata, e la sua domanda aveva il tono della genuina curiosità. Probabilmente Takeda - solo in quel momento mi permisi di pensarci - si era sentito così umiliato dalla mia reazione da decidere di nascondere tutto quel che era successo, e non parlarne a nessuno.
Beh, gli stava bene, considerai. Avrebbe dovuto pensarci prima di azzardarsi a mettermi in imbarazzo con un gesto così monumentalmente stupido.

Stavo già ripercorrendo per l'ennesima volta nella mente la scena che si era svolta in classe quando la voce di Shizuru mi riscosse.

- "Ara, Natsuki è pensierosa, quest'oggi. E' il caso che ti lasci sola?"

La guardai, riflettendo sulle sue parole. Volevo stare da sola? Sì, in fondo non volevo che essere lasciata in pace. Ma dopotutto la presenza di Shizuru non mi dava fastidio. E poi, era davvero meglio rintanarmi in quel luogo e rimuginare tutto il giorno su quel che era successo, aspettando che tutti se ne fossero andati da scuola per sgattaiolare poi fuori, come una ladra? Almeno lei, se si fosse fermata, mi avrebbe distratta un po'.
La guardai ancora, scuotendo il capo.
Lei sorrise.

- "Che insperata fortuna", sussurrò inchinandosi leggermente a mani giunte, come se mi stesse ringraziando di qualcosa. Inarcai leggermente un sopracciglio, un po' colpita da quella strana risposta, osservandola mentre poi, sorridendo fra sè e sè, prendeva a muoversi nella stanza.

Per alcuni momenti rimasi a guardarla mentre vagava tra gli scaffali, poi mi venne in mente che forse era lì perché voleva qualcosa e mi allungai, facendo per scendere dal banco su cui ero seduta.

- "Cerchi qualcosa, Shizuru? Ti posso aiutare?"

In piedi di fronte ad un'alta vetrinetta, lei si voltò ad osservarmi con un piccolo sorriso, e per un attimo fugace come un lampo mi sembrò quasi stranamente sorpresa. Poi, tendendo leggermente una mano mi fermò con un piccolo, composto cenno di diniego, ed io capii che il suo era un gentile rifiuto.
Mi ritrassi, risistemandomi sul banco mentre per l'ennesima volta mi domandavo cosa potesse stare pensando quell'enigmatica donna.

Shizuru era sempre stata così, in tutto. Aveva sempre l'aria di sapere con assoluta precisione quali pensieri ti frullassero in mente, come se sapesse leggerti nello sguardo, ma nello stesso momento tutto ciò che la riguardasse era un totale mistero. I suoi sorrisi erano gentili per tutti alla stessa maniera, i suoi movimenti composti e perfetti. La sua voce sempre lieve e ferma, i suoi discorsi seri e inattaccabili. Da che la conoscevo, le rare volte in cui mi ero soffermata a pensarci avevo risolto che al di là della sua perfezione, da qualche parte, doveva sicuramente covare qualcosa di strano. Non poteva essere materia umana, uno spirito come il suo.

Non osai dire nulla mentre lei con gestualità quasi sacrale recuperava da uno degli scaffali uno shinobue, quasi temendo di incrinare con le mie parole la speciale quiete di quegli attimi. Raggi di luce filtravano dalle finestre, illuminando il pigro vorticare della polvere. Shizuru rigirò lo strumento fra le mani osservandolo con estrema attenzione più e più volte, tanto che ad un certo punto mi trovai a domandarmi cosa potesse non aver ancora notato. Io in quel periodo di tempo avrei imparato a memoria ogni dettaglio di quell'aggeggio.

Ad un tratto, inaspettatamente risollevò lo sguardo su di me iniziando a parlare così, un po' all'improvviso.


- "E' davvero un'insperata fortuna aver trovato Natsuki così facilmente senza doverla cercare per tutta la scuola".

Mi irrigidii leggermente. A cosa si riferiva?

- "In verità potrei avere motivo di lamentarmi, poiché di recente è sempre più difficile incontrare Natsuki, ma sceglierò di gioire per il piacevole incontro che ci ha permesso di trovarci insieme in questo luogo".

Accusai con una smorfia la stoccata, senza rispondere, e al posto delle mie parole si levò un silenzio irreale che lasciò sospesa la sua frase, ed un discorso non finito tra noi. Poi lei si avviò dalla mia parte con il flauto tra le mani, reggendolo con grazia, come se fosse stato un delicato petalo di ciliegio. E sistemandosi vicino a me riprese a mormorare, con quella sua solita voce gentile e calma, cambiando completamente discorso.

- "Se ti fosse affidato un compito molto importante, non di vitale importanza ma comunque di grande rilevanza per qualcuno a te caro, ma questo compito andasse contro i tuoi desideri cosa faresti, Natsuki?"
- "... Ovviamente non lo farei, che domande!" ribattei direttamente, senza nemmeno soffermarmi a pensare al problema. La risposta era così logica!
- "E se quel qualcuno di a te caro tenesse veramente, ma veramente molto a che sia proprio tu a portare avanti quel compito? Se non potesse fidarsi di nessun altro all'infuori di te, e tu fossi la sua sola ed unica speranza... non saresti disposta a sforzarti nemmeno un po'?"

La guardai, chiedendomi dove stesse cercando di andare a parare. Sembrava estremamente seria. Stavo ancora riflettendo sulle sue parole quando lei spezzò il filo dei miei pensieri, riprendendo il discorso.

- "Prendi me per esempio. Oh, no... esempio sbagliato..." indugiò qualche momento, pensierosa, per poi ricominciare. "No, lo faremo andar bene. Prendi me per esempio. Immagina che la mia Okaa-sama desideri che io faccia qualcosa in particolare, qualcosa che va contro i miei desideri... e pensa che questa cosa sia molto importante per lei, mentre per me non lo è granché... Si tratta di un esempio, naturalmente, eh? Ma trattandosi di una situazione simile, tu al mio posto cosa faresti?"
- "Non so, beh, dipende naturalmente dal problema..."
- "Non obbediresti a tua madre?"

Quelle poche parole mi colpirono in pieno petto, affondando come lame nel burro. Risposi in uno scatto di rabbia improvviso.

- "Ma sì, che domande!"


Sembrò colpita dalla mia brusca reazione, perché dopo quel mio sbotto seguì un nuovo attimo di silenzio, che ebbe modo di pesare abbastanza da farmi pentire di aver reagito a quella maniera. Piena d'imbarazzo, senza un solo appiglio per giustificare quel mio sfogo, stavo ancora pensando a come scusarmi quando fu di nuovo lei a prendere la parola.

- "Chiedo umilmente a Natsuki di perdonarmi se la mia grossolana domanda ha turbato la sua onorevole, squisita sensibilità."
- "Ma quale sens-..." feci per rispondere, ma lei stranamente proseguì il discorso, spingendomi così a tacere.
- "Ci sarebbe maniera dunque, m'interrogo, di convincere Natsuki?"

Non potevo eludere la domanda, dopo quella reazione ero in debito con Shizuru. Mi soffermai a pensare alle sue parole, storcendo leggermente le labbra.


- "Beh, effettivamente se fosse una cosa importante e non andasse poi così tanto contro i miei principi credo che si potrebbe fare... A patto che non sia nulla di troppo gravoso, s'intende, no? Insomma, poi dipende anche da chi lo chiede, e da che cosa si tratta!" esclamai, ripensando a mia madre.
No, a lei non avrei mai potuto negare niente.
- "E se fossi io a chiedere qualcosa a Natsuki, avrei qualche possibilità di convincerla?" mi domandò Shizuru irrompendo nei miei pensieri e, ancora pensando a mia madre, distrattamente annuii.
- "Beh, certo, dipende da cosa si tratta..."
- "Ah, che bello sarebbe..." disse lei con tono sognante, il che fece suonare un enorme campanello d'allarme nel retro della mia mente. Perché una reazione così strana? Cos'avevo detto di particolare?

Cercai di ricordare le ultime battute che avevamo scambiato, e quando realizzai che Shizuru stava architettando qualcosa avvertii un brivido scendermi lungo la schiena. Le sue trovate erano sempre pessime.

- "No, no, un attimo, Shizuru... parliamone... in che senso?"
- "Eh, se Natsuki sapesse... quale greve problema ricade sulle mie spalle..." iniziò lei senza la minima traccia di scherzo nel tono della voce, lasciando sfumare la frase in un nuovo sospiro.

Data la sua reazione, mi dissi che dovevo aver capito male e che sicuramente doveva trattarsi di qualcosa di serio. Ero stata davvero un'idiota a dubitare di lei. Era la prima volta che mi capitava di vedere Shizuru in quel modo, e mi sembrava fragile come non avrei mai potuto immaginare. Avrei voluto chiederle di più, ma mi sentivo già abbastanza un verme per potermi permettere di insistere; quindi, decisi di chiederle scusa nell'unica maniera che in quel momento mi venne in mente.

- "Shizuru, insomma... io... non so... insomma, non immaginavo che tu potessi... voglio dire... beh... se potessi in qualche modo darti una mano..."
- "Davvero?" mi domandò guardando il pavimento ed io, dopo aver preso un profondo respiro, mi decisi ad annuire. Non sapevo a cosa stessi andando incontro, ma ormai era inevitabile farlo.
- "Davvero".

Shizuru risollevò gli occhi su di me e mi sembrò di scorgere nel suo sguardo una profonda, vivida scintilla di gratitudine.
Poi annuì leggermente, sorridendo. E mi rispose in un soffio, a fior di labbra.

- "Grazie".


Qualcosa mi scosse nella sua reazione. Niente risate, niente scherzi. Doveva esserci qualcosa di molto, molto grave nell'aria per aver spinto Shizuru a comportarsi in quel modo.
Imbarazzata, con una mano dietro la nuca cercai a lungo le parole per riuscire a risponderle, ma non le trovai. E mentre ancora la vergogna mi ardeva, lei si avviò verso la porta d'uscita dell'aula, con piccoli passi morbidi.


- "Ara, dimenticavo..." fece quando ormai era sulla porta, voltandosi per osservarmi.
- "Sì?" le chiesi, senza immaginare cosa potesse volermi dire.
- "Per quella cosa... facciamo qui, domattina alle otto?"

Per qualche attimo non capii molto bene quel che intendeva. 'Quella cosa' quale cosa? A che si riferiva?
Stavo per chiederglielo, quando mi venne in mente che il mattino seguente sarei stata a lezione, non certo in giro a bighellonare per le aule.

- "Shizuru... io vorrei, ma domani devo essere a lezione..."
- "Ara? Natsuki sta diventando una studentessa diligente?"
- "Ma cosa c'entra!" risposi leggermente innervosita dalla solita insinuazione sul mio saltare le lezioni.
- "Penserò io a parlare con i professori, domani. Qui per le otto, allora" cinguettò lei con strana decisione, come se avesse già recuperato il buonumore.

La cosa mi insospettì un po'. Ma il pensiero di poter saltare la lezione bastò per cancellare qualsiasi dubbio residuo.

- "Certamente!" esclamai, saltando giù dal banco.



***



Non potevo - anzi, non volevo crederci.

Mi voltai a cercare con lo sguardo Tate Yuiichi, un mio compagno di classe che mi aveva accompagnata fin lì rispondendo a "Precise indicazioni del Concilio Studentesco", come aveva accennato la professoressa di Economia Domestica dandomi l'autorizzazione a saltare la sua lezione. Non sapevo come Shizuru fosse riuscita a convincere persino i mastini del Concilio a lasciarmi in pace, ma sfilare lungo i corridoi di fianco a Tate, uno dei loro galoppini preferiti, incrociando durante l'orario di lezione Suzushiro Haruka - uno dei miei peggiori incubi in quella scuola - era stata una vera delizia. Soprattutto perché, per una volta, ero assolutamente nel giusto e perciò assolutamente intoccabile.

Tate si limitò ad osservarmi con il suo solito sguardo da mi-dispiace-io-non-c'entro-nulla, rimanendo in silenzio. Bravo, Tate, pensai. Questa volta non l'avrebbe passata liscia.


- "Ojama Shimashita!" salutò quindi lui, uscendo dalla stanza seguito dalle mie imprecazioni mentali.


Rimasta lì in piedi senza uno scopo né un perché, non mi rimase che rivolgermi all'unica che avrebbe potuto darmi una spiegazione. Il peggior incubo di tutti, quando ci si metteva.
Consapevole di aver già perso in partenza, mi arresi all'idea di cercare spiegazioni in Shizuru che, seduta dietro il tavolo, sembrava osservarmi con grande ilarità.

- "Qualcosa ti diverte, Shizuru?", le chiesi senza preoccuparmi di nascondere il mio nervosismo, scoccandole un'occhiata di fuoco.
- "Ara, non potrei mai essere divertita quando Natsuki è di così cattivo umore come sembra in questo momento. Potrei dire che qualcosa mi compiace, invece", rispose lei con la sua solita, granitica compostezza.

La guardai senza farmi incantare, incrociando le braccia.


- "Ah davvero?" ribattei, senza riuscire a frenare un'evidente nota di acidità. "E cosa compiace lo spirito di Shizuru Fujino Ojou-sama, di grazia?" ringhiai, avviandomi nella sua direzione.
- "L'idea che Natsuki sia qui tutta per me riempie il mio cuore di gioia, per esempio", disse lei lasciando che sulle sue labbra facesse capolino il suo solito sorriso del trionfo; un'espressione a metà fra il divertimento e la presa in giro. Avvertii una vampata di calore incendiarmi il viso. Non la potevo sopportare, e non potevo sopportare la sua mania di mettermi in imbarazzo!
- "Shizuru!"
- "Ara, ara..." ridacchiò lei tranquillamente, "... quant'è passionale l'istinto di Natsuki..."

Scossi il capo mestamente, con un sospiro. Non potevo credere che avesse tirato in piedi tutta la scena del giorno prima per convincermi a fare una cosa talmente ridicola. Spostai lo sguardo direttamente sul tavolo: una miriade di nastri rossi erano sparsi su tutto il piano e poco più in là, su un altro tavolo, si imponeva alla vista un cartellone con una scritta a caratteri cubitali: CORAGGIO.
Non era possibile che mi avesse reclutata per assemblare quell'orrore. Io, che più di tutti detestavo quel genere di idiozie di fine anno!

- "Haruka-san sarà contenta, teneva così tanto a che la sua idea fosse realizzata..." esordì lei dopo qualche momento di silenzio, con assoluta pacatezza.

Storsi le labbra, il pensiero di lavorare per quell'idiota di Suzushiro era insopportabile ancor più di quello di farmi prendere in giro da Shizuru. Non capivo perché fossi in quel luogo, e cosa diavolo mi spingesse a rimanerci. Per chi mi aveva preso?! Era folle se pensava che avrei acconsentito a sprecare le mie energie per partecipare a un simile, ostentato sfoggio di brutale idiozia.

- "Shizuru, io..." mi voltai nella sua direzione con l'evidente intento di protestare, e il mio tono più deciso. Ma non appena incrociai i suoi occhi qualcosa mi zittì nelle profondità dell'animo.

Non so cosa fu. Una strana luce nel suo sguardo, credo. Fiducia, forse... speranza?


Probabilmente lo stavo solo immaginando. Non era da lei, non da Shizuru architettare un piano del genere se non con la sola mira di divertirsi alle spalle di qualcuno. E poi, chiamarmi fin lì per una scemenza del genere...! Da quando ci eravamo incontrate la prima volta sino a quel momento avevo avuto più e più occasioni di maturare la consapevolezza di quanto le piacesse prendermi in giro, a tutti i costi. E di per certo non avevo tempo da perdere per farle, per l'ennesima volta, da bersaglio!

Nonostante ciò, quando la guardai le parole mi morirono in gola. Sicuramente ero ancora condizionata dal discorso che mi aveva fatto il giorno prima, inseguita dallo spettro di mia madre e delle responsabilità. E sì, per mia madre... per mia madre mi sarei resa ridicola ogni giorno della mia vita, se solo lei l'avesse voluto. Per lei avrei indossato solo kimono rosa e avrei acconciato i capelli con lacci e fiocchetti, per lei avrei studiato e avrei avuto voti alti in ogni materia. Per lei avrei fatto mia qualsiasi tipo di arte, cerimonia, danza o disciplina. Solo per lei.

Solo per lei.


Guardai nuovamente quei fiocchi, la scritta sul cartellone. Coraggio.


Per lei l'avrei fatto. Non per Shizuru, no... ma per mia madre. Quello sguardo non c'entrava niente.

Fu l'aria quindi, un'ispirazione, un bisbiglio dell'anima, per una volta, ad intimarmi di stare zitta e di non lamentarmi.
Per una volta l'ascoltai.


Stringendomi nelle spalle mi avvicinai a quel tavolo, poggiando una mano su un fianco, e nell'arrendermi, infine, cercai di assumere il tono più scocciato conoscessi.

- "Allora, iniziamo?"

Lei mi guardò per un attimo con uno strano sorriso, come se per la prima volta nella vita fosse rimasta sorpresa da una visione inattesa. E per qualche momento la Shizuru di tutti i giorni sembrò sparire, eclissata al di là di un lampo fugace nei suoi occhi rossi.
Con perplessità la fissai di rimando, e in quel momento credo che il mondo avrebbe potuto fermarsi solo per assistere allo sbocciare di quella sua espressione assolutamente nuova.


Poi Shizuru tornò ad essere la solita Shizuru. E tirandosi in piedi con perfetta eleganza, sorridendo con un perfetto sorriso, con quella sua voce perfettamente melodica mi rispose:

- "Iniziamo".



***



La mattina radiosa spalancò le sue braccia nell'accogliermi in un nuovo giorno ed io, rintanata nel mio futon, ancor prima di aprire gli occhi pensai che avrei voluto morire. Di nuovo.

L'ultimo giorno di scuola si affacciava alla mia coscienza come il salvifico termine ultimo, la meta agognata ormai così terribilmente vicina da fare quasi male. Avrei fatto di tutto pur di non alzarmi, quella mattina. La consapevolezza di dover affrontare l'ennesima giornata mi schiacciava. Ma l'idea di quanto poco mi separasse dalla fine di quell'anno scolastico riuscì a convincermi, e a darmi una scossa. Ancora poche ore e sarei stata libera, almeno fino ad aprile. Era l'ultimo sforzo. Quasi non potevo credere di avercela fatta.


Arrivai a scuola senza aver fatto colazione. In ritardo, come sempre, ma nessuno avrebbe notato la mia assenza durante le cerimonie di addio dei senpai.
Che poi, 'addio'. Avrebbero semplicemente cambiato classe, nessuno di loro si sarebbe trasferito in un'altra scuola. Ma sembrava che tanto poco bastasse per scuotere i loro fragili animi di giovani camelie, o come accidenti diceva quella vecchia canzone.

Dopo essermi imbucata nell'aula magna ed aver mostrato che c'ero, passando con noncuranza di fianco a Suzuki sensei e facendo finta di non averlo notato, assistetti alla consegna dei primi tre diplomi prima di dileguarmi il più silenziosamente possibile. Il mio atto di presenza l'avevo fatto, non vedevo perché avrei dovuto interessarmi allo spettacolo di Suzushiro che si rendeva ridicola persino in un'occasione ufficiale come quella.
Perché l'avrebbe fatto, era inevitabile. Non c'era bisogno della mia presenza perché ciò avvenisse.


Il campus brulicava di parenti e fratelli minori, nell'unico giorno aperto alle danarose famiglie da cui discendevano i miei cari compagni di scuola. C'era da stupirsi che così tanti dirigenti e manager trovassero il tempo di curarsi dei loro eredi. Ma forse si trattava dei loro sgherri: stipendiati come tanti altri che venivano pagati per star dietro al frugoletto di casa, ed esaudire ogni suo desidero. Schiavi moderni in nome del dio denaro, senza un futuro, con un passato cancellato e gettato ormai alle spalle. Non li compativo affatto.

Nemmeno io avevo un futuro, mi dissi stringendo un pugno al mio fianco. Ma almeno ero in possesso di uno scopo per continuare a esistere finché non avessi concluso la mia missione.
Ero già morta, ma la mia esistenza tendeva verso l'alto, come il sacro fuoco che consuma il mondo. La loro era appiattita al suolo, decrepita, misera come quella di un filo d'erba destinato a venir schiacciato dalla suola delle mie scarpe da ginnastica mentre attraverso il prato.


Tutta quella folla m'infastidiva, così decisi di allontanarmi lungo i giardini sul retro, dirigendomi verso la Presidenza. L'unico luogo sicuramente disabitato, in quel momento.

Affondai nel prato fiorito con particolare piacere, riflettendo su quanto fosse bella l'idea di lasciarmi alle spalle l'ennesimo anno d'inferno.
Anche quell'anno ero riuscita per il rotto della cuffia a strappare la promozione, e benché a me non importasse un accidente della scuola, sotto sotto un po' di orgoglio lo provavo. Mia madre, da qualche parte, sarebbe stata fiera della mia resistenza al dolore, alla fatica, alla convivenza forzata con gente così manifestamente stupida come i miei compagni di classe.

- "Vedi, Ooka-san? Tua figlia non si fa abbattere da niente, nemmeno da questo", mormorai scivolando nel sonno, cullata dal tepore del sole di fine marzo.


Fu un alito di vento leggermente più teso a svegliarmi, e quando aprii gli occhi trovai una figura china su di me. Trasalii, pensando immediatamente a Sakomizu.
Mi aveva trovata, e voleva uccidermi.

Fu un istante, e una sola nota della sua voce bastò a tranquillizzarmi.

- "Qualcuno non ha ancora perso il vizio di schiacciare i fiori?"
- "Shizuru..." mormorai, confusa dal sonno.
- "Ara, a me sembrava fosse Natsuki a farlo!" ridacchiò lei.

Non la trovai una battuta divertente, e non feci niente per nasconderlo. Mi tirai a sedere osservandola da capo a piedi nella divisa estiva, che mi dava l'impressione di avere qualcosa di strano.
Solo, non riuscivo a capire cosa.


- "Che succede? Il sole abbaglia i begli occhi di Natsuki?" chiese lei, sollevando per un attimo lo sguardo al cielo.
- "Mah, niente" feci io, agitando leggermente una mano. "Hanno finito con quella lagna dei diplomi?"
- "Sì, hanno finito" ribatté lei con fare noncurante, mentre mi guardavo intorno per capire se ci fosse ancora gente in giro.
- "Oh, finalmente tutta quella gente se ne andrà a casa!" esclamai allungando le braccia al cielo per stiracchiarmi, e non sentii la sua risposta. Così mi voltai per cercare il suo sguardo, senza capire il motivo del suo silenzio.

Aveva in mano qualcosa che non avevo notato prima. Un foglio arrotolato.
Mi ricordai in quel momento che Shizuru era una studentessa del terzo anno, almeno sino a quella mattina. All'improvviso notai che alla gola portava il fazzoletto rosso dei liceali.
E quello che aveva in mano era sicuramente...

- "A dire il vero sono qui per un motivo", disse lei con voce seria interrompendo il flusso dei miei pensieri. La guardai aggrottando la fronte, come a volerla spronare silenziosamente a continuare. "Ho un piccolo regalo di ringraziamento per Natsuki, per i suoi sforzi ed il suo impegno durante quest'anno".
- "Shizuru, ma... cosa stai dicendo?" le chiesi, senza capire.

Lei, che sino a quel momento mi aveva guardata con serietà, sciolse la sua espressione in un sorriso quieto. E mi tese il suo diploma, con entrambe le mani, accennando un inchino.

- "Questo è per Natsuki. Con l'augurio di poter raggiungere risultati sempre nuovi e sempre più alti".


La fissai. Il sole giocava con i suoi capelli chiari, accendendoli di riflessi dorati che facevano risplendere il suo viso. I suoi occhi rossi mi osservavano impenetrabili, al di sopra di un sorriso discreto ma convincente. Sembrava sincera.


- "Shizuru, il tuo diploma... Mi dispiace se..."
- "Gradirei che Natsuki accettasse il mio dono, se non la mette in difficoltà il farlo. In questo caso, se mia è la colpa del suo imbarazzo, possa ricadere su di me il suo disagio".

Era troppo. Potevo ribellarmi alla Shizuru scherzosa, potevo opporre dubbi ed obiezioni alla Shizuru di tutti i giorni, ma non potevo contrappormi ad una Shizuru così formale.
Sentii l'esigenza di adattarmi i suoi modi. E rispondendo ad inchino con inchino accettai il suo diploma in dono, senza sapere bene cosa dire, o cosa potesse significare.
Semplicemente consapevole che si trattasse di un gesto molto, molto importante.



***



La prima cosa che trovai alle mie spalle fu la sedia della mia scrivania, e mi ci abbandonai con tutto il peso del mio corpo, incredula. Non avevo idea di cosa pensare, e la confusione mi agitava la mente. Non era possibile.

Indizi dietro i quali ero corsa per mesi, ricerche e tentativi caduti nel vuoto, indagini promettenti che erano fallite miseramente. In tutto quel periodo avevo smosso mari e monti per cercare una sola, singola, maledetta traccia da seguire, e dopo tali e tanti tentativi non mi rimaneva in mano nulla, se non la sicurezza che Yamada ormai era sparito veramente.

E invece ora così, dal niente piovevano dal cielo nuove piste, nomi e numeri, indirizzi da cui ricominciare. In maniera assolutamente spontanea e gratuita, come in una sorta di natale anticipato, dove i regali si accumulavano nel mio cestino appallottolati in palline di carta straccia, avvolti da fiocchetti colorati chiamati "Vendetta".

Era difficile accettarlo. Estremamente difficile. Eppure la verità campeggiava lì di fronte ai miei occhi. Sul foglio che era stato accuratamente arrotolato all'interno del diploma di Shizuru.

Non sapevo cosa le fosse venuto in mente. Cosa l'avesse spinta a comportarsi in quel modo. Ma non appena avessi avuto la possibilità di parlare con lei, l'avrei sbranata.
Qualunque cosa le fosse balzata in mente, chiunque avesse contattato per arrivare a quelle conclusioni, stava mettendo a rischio la pelle azzardatamente, e probabilmente non se ne rendeva minimamente conto.
Anzi, sicuramente non se ne rendeva conto, il che rendeva la situazione ancora più grave. Non potevo permetterle di mettere così le mani nei fatti miei. Non aveva la minima idea di quale fosse la storia dietro tutto ciò che, con le sue indagini da quattro soldi, poteva aver solo minimamente scalfitto in superficie. Non poteva immaginare quale fosse il pericolo di immischiarsi in quella storia, non poteva immaginare quali e quanti sforzi stesse rischiando di far naufragare con simile semplicità.

Idiota.

Non avevo bisogno dell'aiuto di nessuno, men che meno del suo.


Segnai i nomi che mi aveva lasciato, per sicurezza, poi diedi fuoco a quel foglio. Vecchie abitudini lasciatemi in eredità da Yamada.


Mi fermai solo un attimo a riflettere sul da farsi. Se mi avessero controllata, dopotutto sarebbe stato un problema. Serrai i denti.
Maledizione, in che problema mi aveva cacciata Shizuru!

Però, in realtà, non potevo permettermi di dubitare. C'era in ballo la vita di un'altra persona.

Mi voltai ed afferrai la giacca della moto. Duran Mark III mi aspettava.







Note, a cura dell'Autore:


Natsuki è molto popolare fra i ragazzi, eh?
Considerato tutto il dolore e la estenuante missione cui si è dedicata, ogni tanto credo sia drammatico ricordarsi che in fondo è ancora solo una ragazzina di 14 anni. Con i problemi e le ingenuità che caratterizzano anche i suoi coetanei, che lei tanto disprezza.

Sono qui presentate alcune piccole variazioni dalla storia, che si allontanano per certe piccole cose in particolare dai racconti originali che esplorano gli avvenimenti prima di Mai-HiME. Non abbastanza da rendere il tutto vistosamente percettibile, naturalmente, ma specifico di stare seguendo una mia versione della linea temporale ufficiale - che si sa, nei lavori legati a questa serie è già di suo parecchio contraddittoria e frammentata.

Finisce qui l'anno scolastico del 2001/2002, e approfitto dell'occasione per ricordare che qui Shizuru e Natsuki si conoscono da poco meno di un anno.



L'haiku al principio del pezzo è pensato e composto direttamente in italiano, secondo le regole poetiche italiane. Non me ne vogliano i cultori della perfezione della tradizione giapponese. Pertanto, le vocali in termine ed inizio di parola si legano con quelle successive e seguenti, secondo lo schema:

I-stan-tie-ter-ni.
E-ver-sivee-mo-zio-ni
Trai-fio-riin-boc-cio.

L'haiku è pensato come scritto da Shizuru in un periodo vicino, se non contemporaneo, alle vicende raccontate dal punto di vista di Natsuki.


Duran Mark III. E' il nome della moto di Natsuki.

Sensei. E' il titolo onorifico che si utilizza, sotto forma di suffisso dopo il cognome, per definire gli insegnanti.

Shinobue. Flauto traverso di bambù, tipico della tradizione giapponese, che viene spesso impiegato nelle feste tradizionali e nel teatro. Ha un suono simile al nostro flauto dritto classico, solo tendenzialmente più morbido.

Shitsurei Shimasu. Formula codificata che si utilizza quando si sta per entrare in una stanza, è utilizzata pressoché in qualsiasi situazione. Letteralmente significa "Sono maleducato", la maggior parte delle volte viene utilizzata come "Mi dispiace di disturbare".In questo caso specifico si può tradurre come "Permesso!", inteso nel senso che la persona che sta per entrare - seppur spiacente di doverlo fare - interromperà sicuramente quel che si sta svolgendo all'interno della stanza. Considerato il fatto che c'è una lezione in corso, è un piccolo indizio di quanto sia deciso Takeda nel farsi avanti.

Ojama Shimashita. Formula codificata che si utilizza congedandosi prima di uscire da una stanza. Letteralmente significa: "Ho disturbato". In questo caso si può tradurre come un educato, e forse un po' imbarazzato, "Conpermesso".

Ooka-sama. Significa "madre", inteso nel modo più onorifico e rispettoso possibile. E' il termine utilizzato da Shizuru.

Ooka-san. Significa "mamma", inteso in maniera più familiare di Ooka-sama. E' il termine utilizzato da Natsuki, e quello generalmente più diffuso.

Ojou-sama. Principessa, signorina, giovane ragazza di nobili origini.

Senpai. Compagno di scuola più grande.




  
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