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Autore: _eco    06/08/2013    4 recensioni
[Pre-Hunger Games] [Gale Hawthorne/Katniss Everdeen]
[Questa storia si è classificata quarta al[MULTIFANDOM] Unoriginal Summer Contest indetto da .rie]
Non è forse fiducia, questa – Gale che l’avvisa della presenza di un pericolo, e lei che non pensa nemmeno per un attimo che lui la lascerebbe inciampare? Katniss che non fiata, perché, in una maniera tutta sua, sente di potersi abbandonare alla guida di Gale?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Io vi avverto. Questa è la merdata schifezza più assurda che abbia mai scritto. E la cosa buffa deprimente è che mi ci sono pure impegnata parecchio!
Si vede che questi due non mi piacciono proprio insieme, eh? Cioè, come innamorati, intendo. Ma vabbé, ho deciso di sfidare me stessa, abbandonare i miei amati Everlak, e scrivere sto papocchio qua. Che poi partecipa pure ad un concorso. Il che è doppiamente umiliante, perché fa veramente schifo.
La mia introduzione è davvero invitante, eh?
L'ho pubblicata ora, così mi tolgo il pensiero.
Piccola lunga premessa fondamentale per la comprensione: Si tratta di un’analessi molto, molto antecedente agli Hunger Games. Katniss e Gale si conoscono da poco, e non si fidano ancora l’uno dell’altra: hanno paura, e alle volte – per come la vedo io – temono che uno possa tradire l’altra, o che possa approfittarsene. Sono solo due ragazzini. Nel libro, ricordo che Katniss accenna ad un posto isolato in cui ha scovato un cespuglio di fragole, ed  è qui che entra in gioco il leggero Otherverse: nella mia storia, è Gale ad averlo trovato; nella mia mente, Gale ci mette un po’ di tempo per lasciare che Katniss scopra come arrivarci. Per il momento, la guida “alla cieca”, così come lei fa con lui per quanto riguarda i nascondigli dei suoi archi.
Buona lettura.
E scatenatevi pure con le bandierine arancioni.
S.

Step by step.
 

Sotto le scarpe, le foglie secche scricchiolano. È un rumore che a Katniss è sempre piaciuto, ma non si è mai permessa di star lì ad ascoltare i suoi piedi fare tutto quel baccano: spaventerebbe soltanto gli animali, e, per come la vede lei, si giocherebbe la cena.
Adesso, però, lei e Gale non se ne preoccupano – hanno già un consistente bottino di selvaggina - , perciò, se accompagnata dal piacevole cric croc delle foglie sotto di lei, stare ad occhi chiusi e camminare alla cieca non la infastidisce troppo. Fa parte dell’accordo con Gale, e lei è disposta a rispettare questo punto, a patto che lui rimanga all’oscuro dei nascondigli in cui tiene i suoi archi.
Non si può dire che il loro sia un rapporto basato sulla fiducia: è più che altro complicità, collaborazione, offerta di aiuto in cambio di altro aiuto. Hanno mezzi diversi, ma uno scopo comune.
Ad ogni modo, lo scricchiolio delle foglie rende il tutto più sopportabile.
Non tira un alito di vento, il che è giustificabile, visto che siamo in pieno giugno. Le dita di Gale sono strette intorno al polso di Katniss, in modo da poterla guidare meglio. Ogni tanto si gira verso di lei, più per accertarsi che non inciampi, che per controllare se abbia gli occhi chiusi. Katniss se ne accorge dai lievi spostamenti d’aria causati dai movimenti di Gale.
- Tronco. – la avverte lui, rallentando il passo e voltandosi nuovamente, per darle il tempo di scavalcare l’ostacolo.
Katniss punta il piede destro in avanti e s’imbatte in quella che, anche senza l’affermazione di Gale, avrebbe riconosciuto come corteccia robusta. Misura l’altezza ipotetica del tronco, e poi, una gamba alla volta, lo oltrepassa con lentezza studiata.
Non è forse fiducia, questa – Gale che l’avvisa della presenza di un pericolo, e lei che non pensa nemmeno per un attimo che lui la lascerebbe inciampare? Katniss che non fiata, perché, in una maniera tutta sua, sente di potersi abbandonare alla guida di Gale?
Un controsenso bello e buono – parlare di fiducia in un rapporto che sembra trasudare diffidenza – ma non c’è altro modo per definire ciò che li lega in questo momento.
Inutile nascondere, però, che Gale, nell’esatto istante in cui ha pronunciato “tronco”, si è quasi mozzato la lingua per soffocare la voce. Katniss avrà pure gli occhi chiusi, ma è una cacciatrice, e anche molto brava, se è per questo. Ne consegue che ha un eccellente controllo dei sensi che le rimangono attivi e che le tornerebbero più utili, in questo momento: udito, olfatto, e, di tanto in tanto, tatto. Adesso sa che c’è un albero abbattuto al suolo, lungo la strada per arrivare al cespuglio di fragole che Gale ha scovato mesi fa. E nessuno toglierà mai quel segno distintivo, se non lo farà lui. Ma qualcosa assicura a Gale che Katniss non proverà mai a raggiungere la sua riserva nascosta di frutti rossi e succosi senza di lui. Quel qualcosa – così immagina Gale – è la stessa certezza che spinge Katniss a star sicura che lui non schiuderà mai le palpebre per scoprire i nascondigli dei suoi archi.
Il sole smette di picchiare sulle guance accaldate della ragazzina, che segue a stento il passo spedito di Gale, ma non proferisce una lamentela. Gale inizia a girarsi più spesso, perché adesso la boscaglia è più fitta, e il rischio che Katniss inciampi in qualche radice sopraelevata aumenta. Di tanto in tanto, devia di pochi centimetri, e si premura di spostare il braccio nella direzione giusta, per non farla sbandare troppo e all’improvviso.
- Ci siamo quasi. – la informa, intravedendo, fra foglie, cespugli e rami, minuscoli puntini rosso vivo.
Questa volta, Gale si sofferma un paio di minuti ad osservarla. Questa volta, Gale scopre che non c’è lo scrupolo di controllare se abbia gli occhi aperti o la preoccupazione di vigilare su un possibile ostacolo, intorno a lei, a spingerlo. Gale vuole trattenersi a studiare la ragazzina che si è portato dietro per quasi un chilometro. Le palpebre sono abbassate, sì, ma è come se Gale riuscisse a vedere le iridi grigioverdi, cosparse di pagliuzze color fieno, tanto le conosce bene. Un po’ perché sono tratti distintivi comuni a molti degli abitanti del Giacimento, un po’ perché sono gli occhi di Katniss, e tanto basta perché rimangano impressi nella sua mente. Le guance sono praticamente assenti, ma Gale ricorda che, un tempo, quando il signor Everdeen era ancora vivo, erano più piene, più paffute. Adesso il suo volto è scarno e smagrito, e magari è perché è cresciuta, perché è in quella fase un po’ traballante chiamata adolescenza, però, in lui, c’è l’amara consapevolezza che la colpa sia da attribuire per lo più alla mancanza di cibo. Il naso è sottile, dritto, minuto, ed è davvero l’unica cosa che appartiene completamente a Katniss: per quel che Gale ricorda, suo padre non possedeva quello che può proprio definirsi un “nasino”, e nemmeno la signora Everdeen – non così piccolo e delicato, almeno. Le labbra sono secche, rosa scuro. Il collo lungo, slanciato; Gale nota due minuscoli nei a cui prima non aveva mai fatto caso. Sorride di quei graziosi puntini marrone scuro che le trapuntano la carnagione rosea. Ma si rabbuia ben presto, richiamato dalla trasparenza della pelle sulle clavicole spigolose, che quasi fuoriescono ad ogni movimento.
- Posso guardare, ora? – domanda Katniss, un po’ spazientita.
Gale annuisce, ma si ricorda quasi subito che lei non può vederlo.
- Sì. – risponde, schiarendosi la voce.
Allenta la presa sul suo polso sottile e ossuto, e si avvia, chino sulle ginocchia, verso i cespugli. Katniss impiega pochi secondi a mettere a fuoco ciò che la circonda, poi segue Gale, ma stavolta servendosi della propria vista. È un sollievo, per lei, che detesta essere dipendente da qualcuno. Tuttavia, usufruire delle fragole di Gale non le ha mai causato quell’insopportabile peso all’altezza dello stomaco, quell’odiosa sensazione di doversi continuamente sdebitare. Perché Katniss fornisce a Gale uno scoiattolo o due, a fine giornata. Sono complici, non debitori.
Quando Gale stacca un frutto rosso e succoso dal cespuglio verde scuro, la sua mente si trasforma in un cinema, in cui rapidi fotogrammi si susseguono: la cucina di casa sua, le pareti cariche di umidità e crepe, il tetto pericolante, il pavimento sconnesso, un tavolo traballante, qualche sedia cigolante, un uomo, le spalle larghe e la barba incolta, un paio di mani robuste e callose, macchiate di carbone, un puntino color sangue fra l’indice e il pollice, una bocca carnosa, rossa anche lei. Hazelle andava matta per le fragole, e il signor Hawthorne, quando ne aveva la possibilità, se ne procurava una manciata da farle trovare la sera, a cena. E ogni fragola era una sorta di incantesimo. Gale rimaneva affascinato dalla delicatezza con cui suo padre avvicinava il frutto alla bocca di sua madre: quelle dita, così grosse, così pesanti, minacciavano di schiacciare il piccolo frutto da un momento all’altro, eppure non lo facevano mai. Hazelle assaporava con goduria la polpa, anche, e soprattutto, quando era aspra, perché ogni morso le ricordava quanto fosse stato faticoso, per suo marito, portargliele.
Èin questo preciso istante – osservando le labbra sottili, non carnose, e rosa, non color ciliegia, di Katniss – che Gale si accorge di voler imitare la magia cui assisteva, rapito, da bambino.
Katniss non capisce subito cosa diavolo Gale voglia fare con quella fragola fra le mani, ad un centimetro dalla sua bocca, ma l’istinto, per fortuna, le suggerisce di schiudere le labbra.
Il frutto è dolce, ma la polpa non è ancora matura e alcuni granelli le finiscono attaccati al palato e ai denti.
- Com’è? -.
- Buona – risponde lei, un po’ troppo ovviamente.
La padronanza di aggettivi più ricercati non è una sua peculiarità, ma, del resto, se la fragola è gustosa ma non abbastanza da farle brillare gli occhi, cos’altro potrebbe dire? È buona, punto e basta.
E poi, a Gale non sembra importare molto della sua risposta. Pare sovrappensiero, e in effetti lo è.
Nella sua mente, l’incantesimo continua: suo padre poggia le labbra su quelle di sua madre, delicato, spontaneo.
Gale si domanda se sarebbe capace di fare anche questo. Se vorrebbe farlo. Guarda Katniss, che assapora un altro frutto, raccolto da lei. È buffa, con la sua solita treccia laterale scompigliata, diverse ciocche scure appiccicate alla fronte sudata, il viso arrossato per il caldo e le labbra macchiate di rosso. Sorride, e Gale non può non pensare che sia carina. E tenera. E… piccola. E non perché sia bassa o minuta, ma perché è davvero ancora una bambina; e lo è anche lui, del resto, sebbene dimostri più anni della realtà, e sia stato costretto a saltare molte delle solite tappe dell’adolescenza.
- Lasciane un po’ per noi, Catnip – la rimbecca.
Spezza l’incantesimo con questa frase. O forse no. Forse la vera magia è la risata cristallina di Katniss, indispettita e al contempo divertita da quel curioso nomignolo che le è rimasto cucito addosso. Forse la vera magia – si dice Gale – sta nell’aspettare, nel crescere insieme, nel conoscersi meglio. E quando Katniss mormora, più a se stessa che a lui, quanto Prim apprezzerebbe quelle fragole, aggiunge alla lista degli ingredienti anche qualcosa di nuovo, o apparentemente nuovo: fiducia.
- Porteremo anche lei, la prossima volta. –
Gale non si cura del fatto che Prim non abbia ancora nemmeno otto anni, e Katniss non bada al fatto che la sua sorellina non si addentrerebbe mai nei boschi. Entrambi sanno bene che non la porteranno con loro, ma è il significato di questa proposta a rincuorarli.
L’accordo sta vacillando.
- Non sarà semplice guidare due cieche – ribatte lei.
- Non lo sarete – precisa lui.
E Gale, Gale che ha sempre tenuto per sé i segreti delle sue trappole e gli inarrivabili posti dove si riforniva di fragole, Gale che non si è mai fidato di nessuno, che ha il continuo terrore che qualcuno attinga dalle sue stesse fonti e lo privi della sua merce, decide di lasciarsi andare. Katniss è un’amica, Katniss è una socia, Katniss è da proteggere.
- Vieni, ti insegno come si fa – prorompe lei, dopo minuti di silenzio.
Stringe le dita attorno al suo arco, e Gale capisce al volo le sue intenzioni.
- Non è difficile. Mio padre ci ha messo poco a spiegarmelo, e, sarà anche banale da dire, ma è tutta questione di esercizio. –
Mentre Katniss lo raggiunge alle spalle, guidando le sue mani lungo la superficie lignea dell’arco, spiegandogli come incoccare la freccia e prendere la mira, Gale si perde nell’ammirazione del suo viso, della sua espressione così concentrata e appassionata, così adulta e matura, per un volto dalla conformazione ancora tanto infantile. Si concentra sulle lente movenze delle labbra, che si schiudono, si riaprono e si serrano nei momenti di riflessione. Pensa che potrebbe anche baciarle, quelle labbra, che vorrebbe baciarle. Ma riconosce che hanno entrambi saltato troppe tappe, che sono cresciuti all’improvviso. E, almeno in questo, desidera fare con calma.
- Gale? –
- Sì? –
- Puoi prendere uno degli archi che mio padre ha fatto per me. –
Silenzio. Gli occhi grigioverde del ragazzo si illuminano.
- Ce ne sono alcuni ancora troppo grandi e pesanti, per me. –
- Lo prendi tu? –
Katniss tace, pare combattuta.
- No – risponde, infine. – Ci andiamo insieme. -

  
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