Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: Fangirl97    06/08/2013    20 recensioni
Cat è una ragazza di 18 anni vittima di bullismo da tanti anni, talmente tanti che i genitori la obbligano ad andare in un centro estivo per "rafforzarsi". Ma lei lì conoscerà un ragazzo davvero speciale, Justin Bieber, conoscerà la vera se stessa e dirà addio alle vecchie amiche.
Riuscirà la ragazza a diventare davvero più forte? E riuscirà a non crollare quando ritornerà a scuola? E, soprattutto, il famoso gentiluomo della città, Justin Bieber, l'aiuterà?
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"Cat." ripete pronunciando il mio nome e leccandosi le labbra, come per assaporarne il suono, o semplicemente il nome.
"Gatto." dice poi guardandomi di sottecchi.
"Già." dico rimanendo seria e osservandolo. Osservando i suoi bellissimi occhi color caramello in cui mi perdo.
"Cat la gatta. Suona bene. Si adatta a te." esclama ad un tratto per poi alzarsi.
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Una ff piena d'amore, amicizia, competizione e vendetta.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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 1.
 
“The Lodge 69.”
“La casetta 69.”
 

 
 
Cat’s Point of View
 
Sono in macchina, con i miei genitori e mio fratello che ha solo un anno in più di me. Mi stanno portando ad un campo estivo per “rafforzarmi”, così dice mia madre. Secondo loro sono troppo debole, così debole che non posso fare niente.  Per loro sono solo una ragazza di appena 18 anni che non si sa difendere, che si fa prendere in giro da tutti e che si fa menare. Si menare. A scuola lo fanno quasi sempre. Ho due amiche, ma non credo che si possano ritenere proprio “migliori” amiche. A scuola non mi si avvicinano perché hanno paura che poi verranno prese di mira anche loro dai bulli. Loro vogliono diventare popolari.
 
Io d’altro canto  sono la nerd che non va mai ai party e che prende il massimo dei voti in tutte le materie e che odia lo sport. Si, è vero: odio fare educazione fisica, sudo e non posso andarmi a lavare nelle docce insieme alle altre perché mi prendono in giro per il mio fisico. Loro sono tutte degli stecchini mentre io sono… formosa. Be’, ma è anche normale: ho origini italiane e si sa, le italiane sono formose, ed è per questo che piacciono ai ragazzi. Altro che le ochette magrissime!
 
Arriviamo dopo tre ore di macchina, questo significa che i miei saranno lontani da me e con il loro lavoro non potranno venire a trovarmi, ma credo che sia meglio così.
Mio fratello è venuto in questo campo quando aveva undici anni e ora i miei genitori hanno creduto giusto che ci entrassi anche io per l’estate.
La macchina rallenta e appena mio padre trova un parcheggio si ferma. Scendiamo dalla macchina e mio padre tira fuori dal bagagliaio la mia valigia. La posa a terra e richiude lo sportellone.
 
“Allora tesoro… fai la brava, ok? Per qualsiasi cosa chiamaci e noi corriamo. Fai tutto quello che dicono gli istruttori e non replicare, ok? Ciao tesoro.” Mi dice mio padre e mi abbraccia. Annuisco e poi mi stacco da lui. Mi volto verso mia madre che sorride tra le lacrime. Non è abituata a non potermi vedere per ben 3 mesi.
“Chiama? Chiama.” Mi dice e mi abbraccia.
“Si mamma.” Le rispondo.
“Ti voglio bene.” Mi sussurra e si stacca.
“Anche io.” Le dico e poi mi volto verso mio fratello.
“Conosco questo posto perciò non andare ai party notturni che gira la droga, in quelli serali invece ci puoi andare tranquillamente. Non metterti contro gli istruttori che ti possono rendere la vita qui impossibile. Se qualcuno ti da fastidio chiamami.” Mi avverte e poi mi abbraccia.
“Come vuoi fratello.” Gli dico e ricambio l’abbraccio.
“Ti voglio bene.” Gli dico e lui mi risponde con un ‘anche io’ e poi ci stacchiamo. Prendo la valigia e mi allontano da loro diretta all’entrata del campo. Mi giro e sorridendo muovo la mano in segno di saluto. Mi volto e il sorriso sparisce. Nella mia famiglia ci sono un sacco di bugie. Come il fatto che ci vogliamo tutti molto bene.
 
Arrivo all’entrata dove c’è una specie di chioschetto, mi avvicino e tossisco per farmi notare visto che la donna che è dietro il bancone è piegata su dei fogli. Alza la testa e mi guarda curiosa. Mi squadra dalla testa ai piedi e poi dice seria: “Sei qui per il campo?”
Annuisco. Non è forse ovvio?
“Il tuo nome.” Mi chiede, ma non è una domanda.
“Cat. Cat Lancaster.” Dico e lei guarda sui fogli. Ne sfoglia tre e poi alza la testa.
“Qui c’è una ragazza che fa cognome Lancaster, ma non si chiama Cat. Si chiama Caitlin Ruthie.” Dice. Alzo gli occhi al cielo e poi torno a guardarla.
“E’ il mio nome. Odio quando mi chiamano così.” Replico. Annuisce, fa un segno accanto al nome e poi mi porge il foglio.
“Subito accanto al nome devi mettere la tua firma e poi ancora accanto, sui puntini, devi mettere il nome con cui vuoi essere chiamata qui. Senza cognome.” Mi informa e io annuisco. Firmo e come nome metto il mio, ma quello abbreviato. Quello con cui mi chiamano sempre: Cat.
Rigiro il foglio e poi la donna si alza e mi dice di seguirla.
Lo faccio.
 
Prendo la valigia e mi porta davanti ad una casetta di legno. Sale i tre scalini, prende le chiavi che portava dentro alla tasca dei pantaloni e apre la porta. Mi fa entrare e poi mi segue dentro.
“Questa sarà la casetta in cui dormirai. Queste sono le chiavi.” Dice porgendomele.
“Se qualcuno ti chiede in che casetta dormi devi dire nella casetta 69.” Continua e io annuisco.
“Lì puoi mettere i tuoi abiti e le tue cose, ma lascia dello spazio perché dividerai la stanza con un’altra ragazza.” Mi dice e se ne va. Mi guardo intorno e poso le chiavi su un mobiletto all’entrata.
 
Lascio lì la valigia e mi faccio un giretto per la stanza, anche se è piuttosto piccola. Ci sono due letti singoli vicini divisi solo da due comodini. Il comò è dall’altra parte della parete accanto all’armadio, sono divisi solo da uno specchio a parete a grandezza naturale, e poi c’è il bagno in fondo alla stanza. Entro e ci trovo una vasca, una doccia, il lavabo e le altre cose solite di un bagno con un piccolo mobiletto sopra al lavabo e al centro uno specchio. Sempre in fondo alla stanza c’è un tavolinetto con due sedie e poi una piccola dispensa.
 
Esco dal bagno e prendo la valigia. La poggio sul letto più vicino alla porta e la apro. Apro il primo cassetto del comò e ci metto dentro le magliette, nel secondo cassetto invece ci metto la biancheria intima. Poi apro l’armadio e ci metto i giacchetti e i pantaloni e sul fondo le scarpe. Apro il cassetto sotto all’armadio e ci metto l’asciugacapelli con le spazzole e il bagnoschiuma e lo shampoo. Tiro fuori dalla valigia il caricatore per il cellulare e lo metto nel cassetto del comodino. Chiudo la valigia e la metto sull’armadio dopo essere salita sulla sedia. La rimetto apposto e poi mi sdraio sul letto.
 
“E questa è la tua casetta, la 69.” Dice la signora di prima facendo entrare un’altra ragazza. Ha i capelli scuri e gli occhi verdi. È alta proprio quanto me, ma è un po’ più magra.
La ragazza entra e si guarda intorno e poi mi sorride.
“Piacere, sono Louise, ma qui mi chiamo Loux.” Mi sorride avvicinandosi a porgendomi la mano. Mi metto seduta sul letto e gliela stringo.
“Io sono Cat.” Le rispondo facendo un timido sorriso.
“Quella signora mi ha detto che mi avresti spiegato delle cose.” Mi dice e annuisco.
“Si. Allora quello è l’armadio, il comò, i comodini, il posto dove mettiamo le chiavi, questi sono i letti, poi c’è il bagno con la vasca, la doccia e il lavabo e lì c’è un tavolinetto con due sedie e la dispensa.” Sorrido indicando tutto.
Ride e poi risponde: “Si, lo avevo intuito.”  Rido e poi le spiego che se ci chiedono in quale casetta dormiamo dobbiamo rispondere con il numero e poi le dico dove ho messo le mie cose e se le danno fastidio.
“No, no. Non ti preoccupare!” mi sorride e mette apposto anche lei le sue cose. Intanto chiacchieriamo.
“Quanti anni hai?” mi chiede e io le rispondo e poi le faccio la stessa domanda.
“Anche io! Non vedo l’ora di sapere cosa faremo.” Esclama sorridendo. Io annuisco e poco dopo sentiamo dagli altoparlanti che si trovano sparsi per il campo che il pranzo sarà servito alla casa centrale tra venti minuti.
 
Usciamo dalla nostra casetta prendendo le chiavi e cerchiamo la casa centrale, ma scopriamo che si chiama così perché si trova proprio al centro del campo.
 
  
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