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Autore: Bluelle    06/08/2013    2 recensioni
Non sarò un sassolino nella scarpa - continuavo a ripetermi. Lo ripetevo fino allo sfinimento, ogni volta che vacillavo. Ogni volta che incontravo i suoi occhi e pensavo a noi due.
Non sarò un sassolino nella scarpa. Lo pensavo anche quel giorno, poco prima di sedermi vicino alla Plec. Poco prima che iniziassero le riprese, poco prima che tutto crollasse.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Paul Wesley, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Bondage
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Colgo l'inizio di questa nuova fanfic. per ringraziare Beb, l'autrice di Blue Jeans.
Mi ha permesso di utilizzare il suo personaggio, Olivia Parker: Olly, all' interno della mia storia.
Ve la linkko: Blue Jeans
Buona lettura!




CAPITOLO 1.
Sono Arrivata.

 

Scioglievo con cura i nodi tra i miei capelli. L’acqua scorreva limpida e fresca. A breve avrei preso un volo che mi avrebbe portato ad Atlanta, alla vita di Ian. Perciò quando la bottiglia di balsamo mi scivolò dalle mani, non pensai a raccoglierla. I miei occhi erano fissi sulla tenda della doccia. Non sapevo cosa avrei trovato, tremavo all’ idea di una nuova città, di conoscere la sua vita. Fu la sua voce a riportarmi alla realtà, presi un grosso respiro. Era tempo di mettere i vestiti, di volere coraggio, pretenderlo e stringerlo tra le dita delle mani. Era tempo, di lavare i denti, mettere il mascara, ciglia finte non ne avevo a portata di mano.

Avevo un vestito piuttosto carino, un paio di ballerine di cuoio scuro. Erano di mia nonna. Era tempo di raccogliere i capelli in una coda alta, di lasciare quel ciuffo ribelle cadere dalla parte che più gli piaceva; lo avrei preferito a destra, ma non gliene avrei fatta una colpa se avesse optato per la sinistra. Era tempo di chiudere gli occhi, mettere un po’ di burro cacao alla vaniglia e al limone. Era tempo di prendere i biglietti Shy, e’ solo ora di prendere i biglietti, ti devi imbarcare.

Ian sorrideva al check – in. Teneva il mio trolley vicino al suo. Io stavo sudacchiando su una piccola mappa di Atlanta, l’avevo stampata dal mio bellissimo portatile, che avevo lasciato alla fattoria Mckane, così avrei potuto vedere la mia famiglia. “Pensi di salire, Shy? Torneremo, presto. Ho già parlato con Paul. Si è offerto di accompagnare Olly a prenderci. Tranquilla, andrà tutto bene.” Non ne dubitavo, per la verità. Avevo solo l’ansia di quel volo che per niente mi rassicurava. Avevo già volato dall’ Italia al Devon, vero. Molte volte pure. Ma continuava a non piacermi. Non sapevo decidere se avevo paura dell’ altezza o semplicemente del fatto di non poter toccare terra. Forse il cielo preferivo vederlo da lontano, le nuvole preferivo vederle sdraiata su un prato, e non starci nel mezzo.
Quando l’aereo si alzò dalla pista tutto ciò che pensai è – non andare in avaria. I tuoi motori sono stati controllati mille volte, ci sono paracaduti di salvataggio, per ogni passeggero, ma questo non importa, perché non dovremo usarli. Ci sono due piloti fantastici, probabilmente le cloche sono delle brave bimbe, andrà tutto bene – già.
Io e l’ansia avevamo questo rapporto un po’ brillo. Non ero ubriaca, ma non ero nemmeno lucida. Però non sfasavo, il respiro riuscivo a controllarlo. Atlanta ormai luccicava sotto di noi, l’atterraggio fu meno fastidioso del solito. Gli occhi di Ian, per un attimo si preoccuparono.
Io ero contentissima, avevo affrontato la lista di imbarco, io ero scesa, ero libera! Liberaaaa! Mi si avvicinò e mi prese la mano, non capii il perché e poi seguì il tracciato dei suoi occhi. Paul era circondato da una folla spasmodica di gente che lo chiamava per nome e chiedeva autografi. Una ragazza stava al suo fianco, sorrisi per un attimo, nel suo piccolo stava cercando di aiutarlo a passare. Ma se lui fosse venuto verso di noi..allora Ian, sarebbe finito esattamente nella stessa situazione in cui si trovavano i due ragazzi. “Come si fa?” Il ragazzo mi fissò silenzioso, sempre vigile e determinato a trovare una soluzione. Prese l’Iphone dalla tasca, nessun messaggio. Le soluzioni quali potevano essere? Io avrei chiamato sicuramente la sicurezza.

“Sai cosa, ci penso io. Resta qui.” Mi richiamò indietro, ma sorrisi, determinata a fare la mia figuraccia nell’ aeroporto di Atlanta, nessuno sapeva chi fossi, ma comunque, ne valeva la pena. Solo non sapevo se mi avrebbero sentita. Insomma, il baccano era tanto. Urtai di proposito qualcuno della folla, correndo tra loro e attirando l’attenzione. “Iannnn! C’è Ian!” Continuai a correre verso un’ altra sala d’attesa. Ma una ragazza mi bloccò. “Dove l’hai visto!? Dov’è?”
Sorrisi determinata, cercando di liberarmi dalla sua presa, ma la ragazza mi stava stritolando un braccio, dovevo essere credibile. “Lasciami! State qui da Paul, voi. Io vado da Ian!” “come fai a sapere che è lui?” La guardai allibita, come se fosse pazza. Incredula la fulminai, arrogante. “Ma come? La Plec ha lanciato la notizia venti minuti fa, su twitter. I ragazzi partono per una nuova location. Adesso vado, lasciami!”
Mi liberai della sua presa, il vestito svolazzava intorno alle mie gambe.
Persi l’elastico e i capelli presuntuosi sfoggiarono sulle mie spalle. Correre iniziava a diventare complicato. Pregai con tutto il cuore che funzionasse, non mi voltai indietro, ma anzi continuai ad urlare il nome di Ian, pur sapendo che avrei fatto una pessima figura e che lui se la stavo ridendo per bene. Probabilmente aveva la testa inclinata di lato, e lo stomaco piegato in due.
“Ragazze c’è Ian, nell’ altra sala! Andiamo!”Aveva urlato la ragazza. Mi voltai un attimo, l’ammasso di gente stava correndo tutta dietro me. “L’ho visto prima io! Iannn!” Esclamai. Il problema era uno, che non conoscevo l’aeroporto di Atlanta. Mi limitai ad a prendere un’ uscita di emergenza, la percorsi, mi ritrovai nel retro dell’ aeroporto. Feci sgusciare fuori dalla tasca il cellulare. – Rispondi, rispondi. – pensai. “Ian, trascinali via da lì!” Preoccupato mi chiese dove fossi.

Mi guardai intorno, dovevo essere nel deposito dei vecchi aerei, intorno a me c’era puzza di gasolio, rumori stridenti. Quando mi disse che la folla si era dispersa mi voltai per tornare indietro, ascoltavo Ian sorridere per il mio arrivo ad Atlanta, sorridevo anche io, un po’ compiaciuta ma anche imbarazzata, quando arrivai davanti la porta, feci per aprirla, ma troppo tardi mi accorsi che una “porta antipanico” non si apre dall’ interno. Le fossette sulle mie labbra sparirono, le sopracciglia mi si aggrotarono. Mi appoggiai al muro, scivolando lungo la parete sospirai.

“Ian, sono bloccata. La porta non si apre più.”




Spero che questo primo e corto capitolo sia stato di vostro gradimento! :P
Se volete capire in che modo Shy ed Ian si sono conosciuti, vi lascio il link della mia prima fanfiction:Be Still
Mi farebbe davvero piacere poter commentare l'evolversi della storia, insieme a voi, perciò se avete un po' di tempo non siate timidi e fatevi sentire! Un bacio!

 
  
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