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Autore: Koa__    07/08/2013    4 recensioni
Dopo il suicidio di Sherlock, Greg Lestrade si ritrova di nuovo nel Sussex. Questa volta sembra che Mycroft l'abbia trascinato lì per un motivo piuttosto importante che si ostina a non voler rivelare. Giunto a Pendleton House, Greg si ritroverà a riconsiderare l'intero suo rapporto con Mycroft.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di Mystrade, d'amore e d'altre sciocchezze...'
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I diritti di “Sherlock” non appartengono a me, ma ai legittimi proprietari.
Fa parte delle serie: “di Mystrade, d’amore e d’altre sciocchezze
Prima parte, Seconda parte e Terza parte della serie.


 
Un amore crollato, ricostruito, cresce forte, grande più di prima
 
 


 
Dedicata a Walmourplage
(che forse non leggerà nemmeno mai questa storia,
ma che devo ringraziare davvero:
le sue parole mi hanno dato la voglia di terminare questa shot.) 
 

 
Un vento forte carico d’aria salmastra che spirava dal canale della Manica, investì Gregory Lestrade in pieno viso, scompigliandogli i capelli grigi. L’ispettore di Scotland Yard si portò una mano al viso, così da asciugarsi dalle piccole gocce di pioggia che iniziavano a cadere sempre più di frequente. Sollevò lo sguardo su Mycroft mentre inforcava gli occhiali da sole: se ne stava zitto da ore mentre Greg non faceva che domandarsi quando avrebbe cominciato a dargli delle spiegazioni. Era la fine di ottobre ed Eastbourne non era certamente ideale per una vacanza al mare; il cielo già carico di nubi, infatti, minacciava tempesta. Greg si strinse maggiormente nella sua giacca, fin troppo leggera per il clima marino del Sussex, seguendolo passo spedito. Non avrebbe mai immaginato che sarebbero arrivati fino a lì: quando Mycroft lo aveva invitato a seguirlo per mostrargli un qualcosa che, a sua detta, era importante, non avrebbe mai creduto che avrebbero sorvolato il sud dell’Inghilterra. Era convinto che volesse portarlo al Diogene's Club o nel suo appartamento a Whitehall, ma le sue certezze erano crollate miseramente quando la lunga limousine nera aveva parcheggiato a Downing Street, di fronte ad un elicottero pronto per il decollo. Aveva provato a chiedere delucidazioni in merito, ma Mycroft non aveva risposto a nessuna delle sue domande; domande che erano frullate vorticose nella mente dell’ispettore Lestrade per tutta la durata del viaggio. Anche adesso, dopo ore, il poliziotto si chiedeva dove accidenti stessero andando e perché il suo compagno facesse tanti misteri. O meglio, sapeva in quale luogo si stessero dirigendo, Pendleton House era il solo posto che legava gli Holmes al Sussex, ma non capiva cosa ci andassero a fare in pieno autunno.

Quella situazione non riusciva a farlo stare tranquillo, non era da Mycroft l’essere tanto enigmatico. Tutto il suo sangue freddo era andato a farsi benedire e Greg non era proprio riuscito a trattenere l’ansia. Ansia che aumentava minuto dopo minuto. Il suo compagno aveva qualcosa che non andava e lui non riusciva a capire cosa fosse.
 
Da dopo la morte di Sherlock, il suo già taciturno fidanzato si era rintanato ancor più in sé stesso. Più volte aveva tentato d’abbattere quella spessa corazza che aveva issato, ma i suoi tentativi erano sempre falliti miseramente. Mycroft non aveva mai fatto cenno di voler parlare della prematura morte di suo fratello e lui, dopo qualche timido tentativo, non aveva più insistito. Se per Greg era stato sconvolgente, non poteva nemmeno immaginare cosa potesse provare in quel momento Mycroft. Protettivo come lo era sempre stato, il suo senso di colpa doveva essere troppo grande da sopportare. Ma, dopotutto, lo conosceva sufficientemente bene da sapere che se mai avesse avuto bisogno di lui, Mycroft sarebbe venuto a cercarlo. Nel momento in cui l’uomo che amava avesse desiderato aprirsi e liberare il dolore, Greg si sarebbe fatto trovare pronto.

Fu proprio Lestrade a rompere il silenzio, dopo che furono saliti su di una berlina nera che li attendeva poco lontani dall’eliporto. Già la pioggia era aumentata di intensità e, quando l’auto aveva cominciato a prendere velocità e a correre lungo la strada statale che conduceva a villa Holmes, scendeva ormai a dirotto.
«Non dirmi che siamo venuti qui per un’altra vacanza romantica? Perché non mi pare il clima adatto per fare i bagni di sole» disse, rompendo il ghiaccio in un pallido tentativo di fare ironia che, però, rimbalzò sull’armatura di Mycroft, piombandogli di nuovo addosso e caricando il silenzio di un evidente imbarazzo.
«Tra poco saprai tutto, Gregory, fino ad allora ti prego di non pormi più altre domande.»
«Altre domande?» ripeté lo yarder, a metà tra l’inorridito e l’incredulo, non poteva pensare che se ne uscisse con una frase del genere. «Mycroft, ti rendi conto che le sole parole che mi hai detto da questa mattina sono state: sali in auto, ho una cosa da mostrarti; dopodiché te ne sei rimasto zitto? Cosa ci facciamo qui?»
«Comprendo la tua irritazione e non intendo più ripetermi quando ti dico di attendere; all’arrivo a Pendleton House comprenderai tutto» precisò Holmes, mettendo fine alla discussione in modo definitivo. Lestrade non disse nulla, si limitò ad affondare maggiormente tra i morbidi cuscini posteriori della macchina, appoggiando la fronte contro al vetro. Era inutile insistere e poi non avrebbe dovuto aspettare molto, la casa al mare degli Holmes non era più molto lontana.


 
oOo

 

Rimase esterrefatto, Gregory Lestrade, decisamente sorpreso nel trovare Kathleen Holmes ad accoglierlo all’ingresso. Questa volta, la madre di Mycroft non era acconciata da cameriera e il suo aspetto non era sciatto e trasandato. Vestiva perfettamente in un tailleur bianco, arricchito con un foulard di colore rosa e preziosi gioielli che le abbellivano il viso. Un abbigliamento decisamente insolito per una madre in lutto. Greg si astenette però dal farglielo notare, dopotutto ognuno aveva il sacrosanto diritto di affrontare la morte di un figlio a modo proprio.

Fu però ancora più stupito quando la signora Holmes gli sorrise, assumendo un’espressione che gli ricordava molto Mycroft. Sorrideva, eppure i suoi occhi erano indecifrabili. Il viso era tirato, forse un po’ più magro e sciupato rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, ma stranamente era differente dalla donna che aveva incontrato al funerale di Sherlock. Da un lato pareva più rilassata e quasi gli dava l’impressione d’essere appena uscita da una brutto incubo, come se avesse finalmente trovato una serenità che Greg non riusciva davvero a comprendere.
«Ispettore Lestrade» disse, protendendosi quasi lo volesse abbracciare. Il poliziotto rimase interdetto dal calore con il quale lo aveva chiamato, addirittura si sentiva imbarazzato dal non sapere come salutarla. Che doveva fare, abbracciarla o stringerle semplicemente la mano? Nell’indecisione stette fermo sulla soglia, con un’espressione decisamente sconcertata in viso, limitandosi a mormorare un:
«Signora Holmes» che la fece sorridere di nuovo.
«La prego di chiamarmi Kathleen» disse lei.
«Se lei mi chiama Greg e non ispettore Lestrade» s’azzardò a risponderle.
«Va bene, Gregory, come desidera» annuì, bonaria.
«Come si sente?» domandò lo yarder, con sincera apprensione. «Non ci siamo più visti da dopo il funerale di Sherlock…»
«Mi dispiaccio di non esser stata di compagnia dopo la cerimonia.»
«Ma si figuri.» Fu allora, però, che la voce autoritaria di Mycroft li interruppe:
«Mamma, ti prego di saltare i convenevoli; dimmi dov’è.»
«Dov’è che cosa?» mormorò Lestrade, senza riuscire a capire.
«In biblioteca» rispose lei, accennando alla stanza attigua al soggiorno con un cenno del capo.
«Cosa c’è in biblioteca? È il motivo per il quale sono qui, non è vero?» insistette Greg.

Lestrade si sentì afferrare per un braccio, la signora Holmes ora lo stringeva con forza; anche la sua espressione era mutata: i suoi occhi parevano quasi supplicanti.
«La prego, Gregory, la scongiuro» esordì. «Qualunque cosa oggi lei venga a sapere, le chiedo di riflettere attentamente prima di giudicare mio figlio in malo modo. Mycroft non ha mai avuto nessuno nella sua vita, perlomeno nessuno d’importante quanto lo è lei. Le chiedo di restare al suo fianco sempre e comunque. Quando mi sono finta Thérèse le ho dato un anello, un anello che ora porta al dito come fosse una fede nuziale. Devo quindi supporre che ha promesso al mio Mycroft amore incondizionato?»
«Io…» Greg s’interruppe, più che non saper cosa risponderle, era sorpreso nel sentire quelle parole. Lo sguardo supplicante e la sua evidente sincerità lo spaventavano; cosa aveva fatto il suo compagno di tanto grave? Le sue sensazioni non erano affatto positive, aveva come l’impressione di trovarsi invischiato in qualcosa che non riusciva a capire. Come se si trovasse sulla soglia di una verità da scoprire, ma non riuscisse a vederla. In ogni caso non era a questo a cui doveva pensare in quel momento perché, non solo quello sguardo implorante non lo lasciava, ma Mycroft stesso pareva seriamente desideroso di sapere la risposta. Adesso non sembrava avere più tanta fretta d’andare in biblioteca. Anche se un po’ intimorito da quella strana situazione, Greg non poté che dir loro la verità.
«Io amo suo figlio, signora Holmes» annuì, deciso. La risposta, seppur traboccante di buoni sentimenti, non sembrò placare l’animo di Kathleen, che lasciò la presa sul suo braccio senza tuttavia nascondere l’evidente preoccupazione che mostravano ancora i suoi occhi. Dopo essersi allontanata verso la porta che dava sulla cucina, si voltò e prese a fissarlo. L’atteggiamento di Kathleen era mutato radicalmente: in pochi secondi la signora Holmes aveva indossato nuovamente la maschera che lo aveva accolto; adesso pareva quasi severa.
«Oggi scopriremo fino a che punto, Gregory.» E, detto questo, sparì nella stanza attigua lasciandoli soli.

Mycroft non gli diede nemmeno il tempo di comprendere il significato di quelle parole, che aprì subito la porta che conduceva alla sala da pranzo.
«Conosci la casa» esordì, indicando la porta della biblioteca in fondo alla sala con un cenno del braccio, «ti prego di precedermi, Gregory.» Seppur titubante, Lestrade obbedì. Era passato qualche mese dalla sua vacanza con Mycroft nel Sussex, ma la villa era pressoché identica. Non era cambiato nulla nell’arredamento: lo stesso grande tavolo da pranzo al centro della stanza, le stesse enormi finestre ad illuminarla, i medesimi oggetti preziosi a completarne il mobilio. Procedette quindi con fare sicuro verso la porta della biblioteca, situata sul fondo accanto ad una credenza antica abbinata ad una grande specchiera appesa alla parete, aprendola con un misto di preoccupazione e curiosità che, lentamente si stava trasformando in ansia. Quella situazione era strana, lo era il comportamento del suo compagno, lo erano le parole della signora Holmes, lo era il fatto che fossero tornati nel Sussex per vedere un famigerato qualcosa di cui Greg non riusciva a capirne la natura.

La porta si aprì lentamente, cigolando ed attirando l’attenzione dell’uomo che se ne stava in piedi di fronte alla finestra. Di principio Lestrade non riuscì a capire, era lo stesso studio ordinato che ricordava. Fu solo quando il suo sguardo scivolò alla sua sinistra, che il suo fiato si spezzò. Dovette reggersi allo stipite della porta, quasi non riuscisse a sopportare il peso di ciò che stava vedendo. La sola cosa che sentiva era un vuoto al centro del petto, come se il suo cuore si fosse fermato e poi fosse ripartito. Una sensazione strana, un groviglio di sentimenti che variavano dalla gioia alla paura, dalla curiosità alla rabbia. Già, perché ora, a guardarlo, alto e magro, allampanato come mai l’aveva visto, c’era Sherlock Holmes.
 

 
oOo



Il ticchettio del pendolo del soggiorno scandiva con drammatica precisione quegli istanti che, a Greg Lestrade, parevano infiniti. Era reale? No, non poteva essere Sherlock l’uomo che ora lo fissava e che portava in viso un’espressione che mai gli aveva visto. Non poteva esserne certo, ma avrebbe potuto essere tristezza ed erano i suoi occhi a trasmetterla. Holmes era così diverso dall’uomo che ricordava, che stentò a riconoscerlo. Era passato solo un mese dall’ultima volta che lo aveva visto, ma già sembrava più magro e scavato di quanto fosse mai stato. L’istinto portò Greg ad avvicinarsi per avere modo di poter toccare con mano, vedere da vicino e accertarsi che tutto quello non fosse solo uno scherzo della sua mente impazzita.

«Sono davvero io, Lestrade.» La sua voce, quella voce bassa e profonda, carica di una punta di sarcasmo tipica di lui; poche parole dette alla maniera di chi è abituato a spacciare le proprie idee per assolute verità. Greg si avvicinò di qualche altro passo, allungò un braccio di modo da poterlo toccare: sfiorò una spalla e non resistette alla tentazione di stringerla. Le sue unghie affondarono nella stoffa della giacca, ma le ritrasse immediatamente, spaventato.
«Santo cielo, sei davvero tu» mormorò.
«Noto che le tue abilità deduttive sono peggiorate» ironizzò Sherlock. Quelle parole, il tono di voce che aveva utilizzato erano differenti dal solito. Era ironico e sarcastico, ma non era più lo stesso Sherlock che conosceva: evidentemente qualcosa in lui era mutato profondamente.

In quell’istante però, in quel preciso momento in cui realizzò che si trattava davvero del suo quasi collega Sherlock Holmes, Greg Lestrade fu preso dalla rabbia. Un misto d’ira e dolore che dominò le sue azioni suo malgrado.
«Brutto figlio di puttana» gridò, prima di azzerare la distanza che li divideva ed afferrarlo per il bavero della giacca, strattonandolo con forza. Lestrade strinse i denti e serrò la mascella, aveva voglia di picchiarlo e di riempire di lividi quel suo bel visino sbarbato. Ma tutto ciò che fece fu allentare la presa ed abbracciarlo con forza e lui nemmeno si oppose. Stranamente, l’uomo che non gli aveva mai stretto la mano, si lasciò abbracciare con forza. Lestrade picchiettò le dita sulla scapola, come per accertarsi che fosse reale mentre Sherlock rimaneva rigido tra le sue braccia; non lo spingeva via, ma nemmeno lo ricambiava. Quando dopo pochi istanti il poliziotto si ritrasse gli puntò il dito contro, minaccioso.
«Dannato bastardo, fammi ancora uno scherzo del genere e giuro che ti pesto.»
«C’è una spiegazione logica» rispose Sherlock, prontamente.
«Sarà meglio per te e anche per te, Mycroft» urlò, puntando contro il dito ad entrambi i fratelli Holmes. «Perché tu sapevi tutto fin da principio, vero?»
«Quando Sherly mi ha rivelato il suo piano era già troppo tardi perché potessi oppormi; in ogni caso non l’avrei fatto perché questa era la sola cosa logica da fare e…» Mycroft s’interruppe, Lestrade provò a sondare il suo sguardo, ma pareva indeciso. Di rado lo aveva visto turbato al punto da interrompersi a metà di un concetto. Anche se, a dire il vero, negli ultimi mesi non era mai stato totalmente sereno. Non come agli inizi del loro rapporto perlomeno, durante quei primi tempi in cui si erano da poco messi insieme e si lasciavano entrambi andare all’ebbrezza dell’amore. Greg se n’era accorto, ovviamente, ma aveva imputato il suo cambiamento agli stress lavorativi. Ora però si rendeva conto che c’era dell’altro e forse iniziava a capire.
«Mycroft, questo è il momento della verità. Prima tua madre, ora tu… Cosa c’è che ti tormenta? E non dirmi che non è niente, perché è da che sono tornato da Baskerville che sei così; sono mesi che ti vedo distante. Ho sempre pensato che fossi troppo preoccupato per tuo fratello o stressato dal tuo lavoro, ma mi rendo conto che non lui non c’entra niente. Cosa hai fatto?»

Greg vide il suo compagno sollevare lo sguardo ed osservare prima lui e poi Sherlock, come se stesse cercando un appoggio che, stranamente, il più giovane degli Holmes s’affrettò a porgergli.
«Il nome di James Moriarty ti dice qualcosa?» esordì il più giovane, prendendo a camminare per la stanza avanti e indietro.
«Quell’uomo del processo? Quello che avevi accusato d’essere un consulente criminale, ma che era stato prosciolto da tutte le accuse? Se non sbaglio avevi detto che era collegato alla maggior parte dei crimini di cui ci siamo occupati…»
«Ha distorto la realtà e il solo motivo per cui l’ha fatto era per distruggermi. Mi ha fatto passare per un imbroglione, ha convinto te, la stampa e tutto il mondo che ero responsabile del rapimento dei due bambini, che ero stato io ad uccidere quelle persone e che poi mi divertivo a far ricadere la colpa sugli altri, fingendo d’essere un genio. Addirittura John ha dubitato di me!» E quella volta il tremore era stato evidente, la rabbia che impregnava le parole del consulente investigativo Sherlock Holmes era così palese, da essere palpabile.
«Ma erano tutte menzogne. Ha barato, truccato, falsificato, corrotto, mentito…» Nel sentire quelle ultime parole a Greg tornò alla mente tutti i fatti che appena poche settimane addietro erano accaduti. Si era pentito immediatamente d’aver creduto che il suo strano e geniale amico potesse essere un pazzo assassino, ma sì, aveva dubitato di lui durante l’ultima indagine. In parte si era anche sentito responsabile per la sua morte, come se l’averlo messo in discussione lo avesse spinto al suicidio. Evidentemente il piano di Moriarty doveva essere perfettamente riuscito e Greg c’era cascato con tutte le scarpe. E, i segni li avevano addosso entrambi dopo tutto quel tempo. Ancora adesso, in quella biblioteca, si portavano dietro gli strascichi che Moriarty aveva lasciato dietro di sé. E, se Lestrade si vergognava per ciò che aveva pensato, Sherlock provava rabbia; rabbia per quello che quel tizio gli aveva strappato.
Non fu necessario che aggiungesse altro, Holmes, Greg comprese benissimo dalle mani strette a pugno e dalle labbra contratte, che ancora era furente.  
«Quell’uomo ha trascorso i suoi ultimi anni a cercare di farmi fuori» riprese Sherlock, per nulla più calmo. «Ma uccidermi non gli era sufficiente, sarebbe stato troppo facile e troppo poco divertente. No, lui mi ha spiato, ha assimilato informazioni, ha imbrogliato e solo per arrivare a me. Non avevo idea di come fosse riuscito a conoscere così tante cose riguardo la mia vita, non fino a che...» Sherlock si interruppe, anche lui titubante.
«Fino a che, cosa?» chiese Lestrade in risposta, desideroso di sapere. Non poteva fermarsi sul punto cruciale e lasciar cadere la discussione.
«Sta parlando di quel che ho fatto io» intervenne Mycroft, il poliziotto serrò gli occhi e si bloccò per un momento, lo sapeva. Ecco qual era il grande segreto del suo compagno, che cosa lo aveva tormentato tutti quei mesi e ciò stava per dirgli quel pomeriggio, il giorno che era tornato da Baskerville.
«Moriarty mi ha imbrogliato,» proseguì Mycroft «mi ha dato delle informazioni e in cambio ha preteso di sapere tutto riguardo la vita di Sherlock.»
«Hai venduto tuo fratello?» chiese Greg, alzando il tono di voce.
«Sì» sussurrò Mycroft, in risposta.
«Da questo deriva il tuo mutismo, quelle frasi dette e non dette e che non mi facevano capire un bel niente? Da una coscienza sporca?»
«Gregory.»
«No, adesso lasci parlare me. Tempo fa, eravamo proprio qui in questa casa, tu mi dicesti di non avere una coscienza, ma non avrei mai nemmeno lontanamente immaginato che potessi arrivare a tanto. Mi hai riempito di parole circa il fatto che Sherlock era la persona più importante della tua vita, quanto lo amavi e che era tutta la tua famiglia e poi lo vendi così? Al primo pazzo criminale che ti offre uno scambio d’informazioni? Sei pronto a riservare anche a me lo stesso trattamento? A svendermi al primo che capita? Perché, scusa, ma a questo punto me lo domando: se hai regalato a Moriarty la vita del tuo preziosissimo Sherly, allora che tipo di destino toccherà ad un semplice poliziotto di Scotland Yard?» Scrollò il capo, senza riuscire a nascondere il disgusto che in quel momento non poteva non provare. Si avvicinò quindi alla porta e ne aprì uno spiraglio, stava per uscire, quando venne fermato dalla voce profonda di Sherlock.

«Lestrade, è vitale che nessuno sappia che sono in vita» s’affrettò a dire.
«Perché?» chiese, senza voltarsi.
«Il motivo per cui ho fatto tutto questo ha lo scopo di proteggere tutti voi. Moriarty è sconfitto, ma la sua organizzazione è ancora viva e minaccia di uccidere te, John e la signora Hudson se anche solo immaginano che io sia ancora in vita. Per poterla distruggere, John non deve saperne nulla.»
«Come mai?» domandò, girandosi in sua direzione pretendendo d’avere delle risposte; voleva sapere tutto quanto.
«Perché lo conosco e so che non potrebbe mai fingere che io sia morto. Potrebbero addirittura già avergli messo addosso qualcuno, noi non possiamo… Io, non posso correre questo rischio.»
«Lo farò» annuì Lestrade dopo vari minuti di silenzio. «Ma a patto che tu risponda ad una domanda, l’ultima che ti farò e poi non vorrò sapere altro e sarà come se tu fossi morto per davvero. In questo momento sapere è la sola cosa che mi trattiene dallo spaccare tutto quanto.»
«Chiedi» annuì il consulente investigativo.
«Tu ami John? Non provare a mentirmi o a raggirarmi,» s’affrettò a precisare «sono più che sicuro che non è per me o per la signora Hudson che hai messo in piedi tutto questo, la sola persona di cui ti sia mai importato qualcosa è John Watson e io non posso pensare che tu abbia finto la tua morte a cuor leggero. Ti proibisco di farmelo credere, Sherlock, così come ti vieto di mentirmi sui tuoi sentimenti per quell’uomo.»
«Che importanza ha il dirtelo?»
«Devo scoprire se hai un cuore, Sherlock, perché se anche tu ne hai uno significa che io e Mycroft abbiamo una speranza.»

Il silenzio calò nella piccola biblioteca; ancora sulla porta e con gli occhi fissi a guardare il pendolo della sala da pranzo, Lestrade se ne stava immobile. Il suo respiro era accelerato e il cuore batteva all’impazzata nel petto, in agitazione. Percepiva distintamente lo sguardo di Mycroft su di sé, così come l’odore del suo dopobarba che gli invadeva le narici, confondendolo. Il suo compagno fremeva e a Greg non servivano parole per capire ciò che stava passando nella sua testa: aveva paura d’aver rovinato tutto. Lestrade era certo che Mycroft lo amasse, ma ciò che aveva temuto fin dal principio del loro rapporto era emerso e non c’era possibilità di ricacciarlo indietro. La freddezza che aveva nel trattare con qualunque altra persona, lo aveva sempre terrorizzato e fatto a lungo dubitare sulla veridicità dei sentimenti che sbandierava.

«Dimmi, Sherlock, tu moriresti per John?»
«No» affermò l’altro, deciso. «Però mi fingerei morto e lo allontanerei da me solo per salvarlo. [1] Mi getterei da un tetto e proverei a convincerlo d’esser sempre stato un imbroglione, nonostante non volessi fare altro che dirgli che conoscerlo mi aveva cambiato la vita. Come hai detto tu stesso, John è la sola persona che abbia mai dimostrato di voler stare al mio fianco e anche per me è così e la sola che…»
«Non hai bisogno di aggiungere altro, Sherlock, ho capito.» Detto questo uscì dalla stanza e, a passo rapido, superò il salone raggiungendo l’uscita.

«Gregory.» La voce di Mycroft arrivò alle sue orecchie, ma lui non fermò il proprio passo, voleva andarsene da lì. «Gregory, fermati» disse di nuovo, con voce un po’ più alta. «Dannazione, Greg, vuoi guardarmi!» Ormai giunto sulla porta, Lestrade si bloccò. La mano, già appoggiata alla maniglia, tremò impercettibilmente, tuttavia rimase immobile dove si trovava. Non poteva voltarsi e guardarlo, ma allo stesso tempo non riusciva nemmeno a muoversi e a scappare come avrebbe realmente desiderato fare. Correre fuori da quella casa maledetta, lontano il più possibile da Mycroft Holmes. Lo amava, certo, ma era come se si sentisse tradito, quasi avesse venduto lui al posto di un altro. Gli aveva detto che temeva di subire lo stesso destino, ma in effetti non era la verità. Ciò di cui aveva paura realmente era del suo lato oscuro, di quella parte di lui che, con freddezza, ammetteva di non avere una coscienza.

Ad interrompere il corso impazzito dei suoi pensieri fu la voce di Mycroft, ora un più vicina.
«Qualunque decisione prenderai io la rispetterò, Gregory e comprenderò se deciderai d’interrompere la nostra relazione. In ogni caso non era mia intenzione farti arrabbiare, io ho sempre fatto ogni cosa in mio potere per farti felice.»
«Io non sono arrabbiato, Mycroft» rispose Greg, voltandosi. «Sono terrorizzato. Tu mi spaventi e non ti capisco, non ci riesco davvero. È come se avessi due facce, da un lato c’è l’uomo che mi regala un parco pubblico pur di farmi contento e mi fa pedinare e spiare solo per sapermi al sicuro. Poi c’è l’altro Mycroft, quello che ricatta il mio capo e che vende suo fratello, il Mycroft tratta gli estranei come se fossero il nulla e che perde la testa perché sua madre è nella sua stessa stanza. Non capisco quale dei due sei e ho paura, paura che un giorno io possa fare qualcosa che ti faccia arrabbiare e che possa perderti per sempre. Perché, se i primi tempi avrei cassato il tutto con: è stata una bella avventura, arrivederci e grazie; ora non ne sarei più capace. Ti amo, ma in questo momento non ho la minima idea di come fare con te.» Detto questo Lestrade uscì dalla porta, sbattendola con forza.
La sola cosa che poté sentire, oltre alla pioggia ormai rada che gli picchiettava sul viso, era un rumore di vetri infranti ed un urlo che gli fece sanguinare il cuore.


 
oOo

 
 
Greg Lestrade non amava il mare d’inverno, il più delle volte tirava vento e faceva troppo freddo per le sue vecchie ossa. Tuttavia, dovette ammettere che la costa del Sussex, anche in quell’ottobre, riusciva ad essere piacevole. Ora che la pioggia era passata e che il vento era calato di forza, non aveva più tanto freddo. Si era seduto sulla sabbia chiara, non badando al fatto che gli fosse andata a finire dappertutto, dalle scarpe ai capelli, alle tasche dei pantaloni a quelle della giacca. In quel momento aveva altro per la testa.

Gli sembrava davvero d’essere precipitato in un incubo, ma incredibilmente invece che pensare a tutto quello che aveva saputo, gli tornava alla mente la signora Holmes. Le sue parole erano state ingiuste, lui amava Mycroft e non era il suo amore per lui ad essere in dubbio, lo era tutto il resto. Come poteva fidarsi? Come poteva mettere ancora la propria vita nelle sue mani, dopo tutto quello che aveva saputo? Non riusciva nemmeno più a ricordare tutte le lodi che aveva tessuto riguardo a Sherlock e se lui aveva subito un trattamento del genere, quale sorte sarebbe toccata ad un povero yarder? Aveva sempre saputo che non era un uomo come tutti gli altri, come lo era lui stesso e delle volte ci aveva addirittura scherzato, quando se ne usciva con un regalo spropositato o con una cena in un ristorante aperto soltanto per loro. Si era ritrovato spesso ad utilizzare l’ironia per sdrammatizzare il potere che dimostrava di avere. In parte, tutto quel lusso nel quale Mycroft viveva e l’ascendente politico di cui disponeva, lo avevano sempre fatto sentire a disagio. Dagli elicotteri alle limousine, ai palchi privati all’Opera House; l’investigatore Lestrade non era abituato a tutto quello. Era sicuro del fatto che Mycroft lo amasse, così come sapeva che in quel momento si stava logorando ed era in preda ai sensi di colpa. Ma era anche certo che mai e poi mai si sarebbe esposto, mostrando le proprie paure. Forse era per quel grido lacerante e drammatico, che ancora riecheggiava nelle sue orecchie e lo tormentava.

«Lestrade.» La voce di Sherlock arrivò alle sue orecchie. Greg non si voltò, ma rimase fermo ed immobile a fissare le onde del canale della Manica che s’infrangevano sulla costa. «Non ti ho detto ancora tutto.»
«Sta’ tranquillo, manterrò il segreto con il resto del mondo.»
«Sai perché Mycroft ha fatto ciò che ha fatto?» gli disse il consulente investigativo, ignorando le sue parole.
«Non c’è bisogno che lo giustifichi» intervenne Greg, severo.
«Il giorno in cui farò una cosa del genere per mio fratello, l’Inghilterra crollerà, Lestrade. Ciò che è necessario che tu sappia è che io gli sono grato per come ha agito, perché per la prima volta in vita sua, mi ha dato fiducia. In un modo o nell’altro avrei risolto la situazione e lui ha creduto fortemente in questo, nonostante il senso di colpa lo logorasse. Quella è stata la sola volta in cui non mi ha trattato come un bambino che ha bisogno d’essere protetto. So che lo sai: non ha fatto altro per tutta la vita; perché credi che Londra sia piena di telecamere? [2] E cosa pensi che facciano tutti quegli agenti che lavorano per lui? Sono la persona più sotto controllo della Gran Bretagna, a parte te ovviamente. Ma quando mi ha detto tutto, ho capito che qualcosa era cambiato. E poi, scopro che parla di nuovo con mamma e che si fa venire i sensi di colpa. È cambiato e il responsabile sei solo tu.»
«Dici che ti rispetta?» rispose Greg, per nulla convinto. «Ma guarda come sono andate a finire le cose? L’uomo che ami, e che ti ama, ti crede morto e un pazzo criminale ti ha quasi fatto finire in cella.»
«Non ha importanza questo perché se non avesse agito così, Moriarty avrebbe di sicuro trovato un altro modo. E tu non dovresti farti troppi problemi. Se c’è una cosa che credevo nella mia amicizia con John e di cui sono sempre stato fermamente convinto, era che mi piaceva vivere insieme a lui. Amavo stare in sua compagnia e sarei un idiota, se non facessi di tutto per far finire questa situazione il prima possibile e per tornare da lui. Dovresti cercare di tenerti stretta l’unica persona al mondo che vuole stare con te, Lestrade.» [3]

Quando i passi di Sherlock Holmes si fecero più lontani, Greg rimase solo in quell’angolo di spiaggia di Eastbourne. Le parole del consulente investigativo cambiavano davvero la sua visione d’insieme? Era giusto quello che gli aveva detto? Oppure lo stava solo raggirando? Dubitava che Mycroft l’avesse spinto a raggiungerlo sulla spiaggia. Non solo perché Sherlock non gli avrebbe mai obbedito, ma perché, seppur iperprotettivo, gli dava sempre lo spazio di cui necessitava. Non era da lui insistere per avere una risposta, anzi, solitamente si metteva da parte, di modo da lasciarlo decidere con la dovuta calma. E l’avrebbe fatto anche quella volta.

Le parole di Sherlock erano dunque sincere, anche se si rendeva conto che non aveva più importanza; in quel momento la sola cosa che contava era l’amore. Tornare in quella casa, da lui, avrebbe significato corre un rischio; un rischio grande, enorme. Osare una volta e per tutte e farlo per amore, decidersi se stare con lui ne valesse o meno la pena e farlo in maniera definitiva. Forse non si era mai lasciato nemmeno del tutto andare, forse lui per primo era sempre stato in imbarazzo, sulle spine e mai completamente sé stesso. Nonostante lo amasse profondamente, non si era mai assunto alcun rischio. Si era sempre messo in una posizione totalmente sicura e, se tra loro fosse finita, la colpa sarebbe stata di Mycroft. Mycroft è freddo, Mycroft è calcolatore, Mycroft spia, ricatta… Tutto vero, tutto giusto. Ma in quei mesi di frequentazione non aveva badato altro che ai suoi difetti, accorgendosi dei pregi solo quando gli tornava più comodo. Solamente quando gli faceva dei regali, Holmes diventava dolce ed amorevole; ma non era nulla di tutto questo quando accennava ad aver parlato con sua madre o mentre regalava un sorriso ad Anthea in sua presenza. Sherlock aveva ragione, come al solito si era accorto di cose che lui non aveva affatto notato.

«Rischiare» mormorò e, mentre le parole si perdevano nel vento, Greg prese la sua decisione.
 

 
oOo

 
 
Quando aprì la porta d’ingresso della bella villetta di Pendleton House, Lestrade trovò Mycroft in piedi di fronte alla finestra del soggiorno. Inevitabilmente però il suo sguardo cadde sul tavolo di cristallo, ormai in mille pezzi. Ecco cos’era quel rumore di vetri infranti che aveva sentito. Mycroft però sembrava non badare affatto al tavolo: guardava fuori mentre Sherlock, a pochi passi da lui, teneva il volto affossato tra le pagine di un quotidiano.
«Immagino tu abbia preso la tua decisione, Gregory» esordì il maggiore degli Holmes, senza distogliere lo sguardo ovunque questo fosse puntato.
«Su una cosa Sherlock mi ha aperto gli occhi» disse dopo aver preso un lungo respiro d’incoraggiamento. «Non mi ero accorto del fatto che fossi cambiato. Mi dicevo che eri freddo e distante, ma che diventavi improvvisamente dolce quando mi facevi un regalo o mentre facevamo l’amore. O l’una o l’altra cosa, ma non era così semplice perché, in realtà, tutti i giorni mi facevi vedere che eri diverso. Che ti sentivi in colpa per aver ricattato il mio capo, perché avevi ripreso a parlare con tua madre o a trattare i tuoi sottoposti come delle persone e non come di robot, ma io non mi sono mai reso conto di nulla. Ero troppo preso da me stesso per poterlo fare, da me, dai miei sentimenti, dalla mia paura di soffrire. Io, io e ancora io. Non biasimarmi per questo, ti prego, il divorzio mi ha distrutto più di quanto credessi, ha rovinato me e la mia capacità di amare. Io e mia moglie abbiamo passato troppo tempo ad odiarci ed io ero così abituato a discutere e litigare, che quello era l’unico modo in cui concepivo un rapporto di coppia. Anche per questo ero spiazzato da te e dalla tua dolcezza, dall’amore che mi dimostravi ogni volta che ci incontravamo. Entrambi abbiamo le nostre colpe, ma se ti va, Mycroft, possiamo lavorare insieme sui nostri reciproci difetti.» Greg annuì, così da rimarcare il concetto che aveva appena espresso.

In riposta, Mycroft gli regalò uno dei suoi rari sorrisi.

«Tra poco sarà ora del tè, vuoi unirti a me?»

Ed era come se avesse detto di sì.
 

Fine


 
[1] Questo concetto di amore, questo: “non morirei per la persona che amo, ma farei di tutto per proteggerla” deriva dalla mia passione per i manga. Nel numero finale di City Hunter, Ryo Saeba, il protagonista, fa un discorso simile in cui fa capire che non intende sacrificarsi per Kaori (la donna che ama), ma che anzi la sua concezione di amore comprende sì il proteggerla, ma anche il fare di tutto pur di sopravvivere per rimanere al suo fianco. Questo è un concetto nel quale ritrovo tanto il Sherlock post Reichenbach.
[2] Permettetemi una licenza poetica, trovo spassosa l’idea che Londra sia piena di telecamere perché c’è Mycroft che deve tenere sotto controllo Sherlock.
[3] Qui Sherlock fa riferimento alla storia precedente quando, tramite messaggio, Greg ha detto queste stesse parole a Sherlock.


Il titolo: “Un amore crollato, ricostruito, cresce forte, grande più di prima” è un’ovvia citazione da William Shakespeare.
 
   
 
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