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Autore: martioriginal    07/08/2013    3 recensioni
Si amavano, e non c’era bisogno di dirlo.
Seneca lo sapeva.
Plutarch lo sapeva.
Tutti lo sapevano.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Caesar Flickerman, Plutarch Heavensbee, Presidente Snow, Seneca Crane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prima fan fiction su Hunger Games, spero che vi piaccia.
Rating, Arancione.
Voglio dedicarla a BE WHO YOU WANT TO BE e a ELI96HUTCHERSON che come me sono fan della saga e mi hanno sempre supportato in questa idea.
Enjoy it.
Marti.

"To be the strategist is a challing job"
 
Seneca Crane aveva permesso a due concorrenti di vincere la 74esima edizione degli Hunger Games; Katniss Everdeen e Peeta Mellark.
 Non sapeva per quale assurda ragione lo avesse fatto ma sentiva che quella svolta era necessaria, sfortunatamente il presidente Snow non concordava con questa sua scelta.
Quando Katniss e Peeta erano in viaggio per tornare al Distretto 12 lui rientrò nella suo alloggio, con un leggero filo di angoscia che lo stava perseguitando da quando Snow gli aveva rivolto quello sguardo di ghiaccio.
Quando entrò nella sua stanza trovò quello che più temeva: un modo per morire.
In una ciotola di cristallo dal bordo dorato, posizionata elegantemente su un tavolino in noce, si trovavano i morso della notte. Quelle bacche, blu e perfette, che avevano fatto vincere i due giovani, erano il suo modo di morire.
Nessuno glielo aveva detto, ma una parte di lui sapeva che quel dono speciale arrivava direttamente dal presidente; non aveva altra scelta che accogliere e accettare quel terribile dono.
Avvicinò la mano destra, con fare tremolante, al bordo della coppa, prese tre bacche e le portò vicino alle labbra. Il succo di una di queste si era già riversato un po’ nella mano, rivelando un colore violaceo.
Seneca si fece forza, una forza che non avrebbe mai creduto di avere. Chiuse gli occhi e si sentì pronto ad ingoiare quel veleno mortale.

-Fermo!-

Una voce gridò alle sue spalle e lui si fermò.
Avrebbe riconosciuto quel suono marcato e deciso anche alla fine del mondo.
Era la voce della sola persona che avesse mai amato: Plutarch Heavensbee.
Perché si, anche un uomo di ghiaccio, quale era Seneca Crane, era capace di amare.
Si voltò di scatto e andò ad incontrare quello sguardo spaventato che Plutarch gli stava rivolgendo.
La mano tremolante era ancora vicino alle labbra e a causa dello stupore lasciò cadere lasciò cadere le bacche che fino a quel momento avevano trovato un posto saldo tra le sue dita.
Seneca non se ne rese nemmeno conto, ma improvvisamente le lacrime iniziarono a rigargli le guance.
Alla visione di quel pianto silenzioso,, Plutarch si avvicinò a lui e gli prese la mano.

-Vuole uccidermi-

Seneca crollò in ginocchio, non c’era bisogno di nominare il Presidente, era chiaro che stesse parlando di lui.
-Per quello che ho fatto mi vuole morto.-
Plutarch non rispose, si abbassò, e arrivato alla sua altezza, gli avvolse le braccia paffute intorno alla vita, stringendolo a sé.
Seneca non oppose resistenza e si lasciò avvolgere da quell’abbraccio caldo, posò le mani sul petto del biondo e tirò forte i lembi della giacca, come se da quel contatto dipendesse quel che restava della sua vita.

---
1 ANNO DOPO.

Plutarch Heavensbee  era il nuovo stratega, dopo tre anni Seneca Crane era stato sostituito, era morto; o almeno questo era quello che tutti credevano.
In realtà era ben nascosto nel Distretto 13 aspettando la fine della ribellione per potersi ricongiungere al suo amore.

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DOPO LA RIBELLIONE.

La rivolta era terminata, Snow e Capitol City non erano più un problema,  non lo erano per Panem, e  non lo erano nemmeno per Seneca e Plutarch, erano liberi adesso, liberi di amarsi come non avevano mai potuto fare.
Si amavano.
Seneca tornò a Capitol, ormai una città come un’altra, distrutta dalla guerra appena finita, tra le macerie e il sangue delle vittime, trovò Plutarch.
Un sorriso naturale apparve sul volto di entrambi, non si vedevano da quando si erano separati nella stanza di Seneca, stessa stanza che poi era stata occupata dallo stratega successivo, proprio Plutarch.
Quest’ultimo rimase immobile, incapace di compiere qualsiasi movimento alla vista dell’amato davanti a lui.
Seneca lo osservò per un attimo, la guerra lo aveva cambiato molto, il suo corpo era diventato più snello e il volto era segnato da rughe e ferite, e poi c’erano quegli occhi di vetro che brillavano solo per lui.
Anche Plutarch lo osservò, la barba nera, adesso, non era più rigorosamente tagliata ad onde, era corta ma lasciata un po’ con non curanza, gli occhi azzurri erano contornati da occhiaie pesanti.
Si mossero entrambi, lentamente, si arrivarono incontro.
Non si dissero niente, non era necessario.
Si scambiarono un bacio lungo e lento, un bacio che da più di un anno fremeva per essere dato e adesso stava prendendo il volo tra quelle labbra e quelle lingue che danzavano leggere.
Si amavano, e non c’era bisogno di dirlo.
Seneca lo sapeva.
Plutarch lo sapeva.
Tutti lo sapevano.
Si erano baciati, lì davanti a tutti, con una dolcezza inequivocabile, non importava di quante persone li stessero guardando, non importava niente, esistevano solo loro.
Quando si staccarono per riprendere fiato si rivolsero uno sguardo complice, dopo più di un anno di attesa si sarebbero appartenuti di nuovo, i loro corpi sarebbero stati di nuovo uniti fino a formarne uno solo, loro sarebbero stati di nuovo insieme, e questa volta alla luce del sole.

-Essere uno stratega è un lavoro impegnativo.-

Nessuno di loro due disse quella frase, per cui si stupirono quando la sentirono.
Qualcuno che aveva assistito al loro amore la disse, qualcuno che da sempre era stato innamorato di Seneca, ma che non era mai stato ricambiato.
Qualcuno che dopotutto era felice di vederlo tra le braccia del suo grande amore, anche se questo lo distruggeva dall’interno e gli rigava il volto di lacrime.
Qualcuno come Caesar Flickerman.
   
 
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