Imbronciato
“Yamato?!”
Alza un sopracciglio ramato, Sora, incurante di mostrare
la propria sorpresa. Beh, non è che sia mai stata una
brava attrice, lei. Troppo sensibile per certe cose, le bugie gliele leggono in
faccia come un libro aperto.
E di sicuro quegli occhi azzurri,
un po’ troppo severi, stanno leggendo qualcosa sul suo volto che si ostinano a
rinnegare. Sora vorrebbe chiedergli cosa ci vede, ma semplicemente il nodo alla
gola le impedisce di parlare. Ma forse, è solo paura
la sua, perché quel volto infondo non l’ha mai capito.
Neanche ora, mentre la guarda dalla porta con quel suo cipiglio impertinente
che fa tanto imbestialire Taichi, la sua mente annebbiata dalla febbre riesce a
focalizzare la questione. Perché il punto è proprio
quello, no? È scritto tutto in quegli occhi, lei lo sa, però non è certa di
saper leggere quel linguaggio criptato tanto bene come
lui. Tanto più che adesso proprio non è in forma per
certe cose, già è un miracolo che riesce a reggersi in piedi.
Maledetta febbre – vorrebbe gridare – ma tra tanti giorni
proprio oggi che c’è il sole dovevi venire?
“Stamattina non eri a scuola”, dice ad un tratto lui, il
volto sempre amabilmente imbronciato.
E Sora arrossisce, chissà perché, a
quelle parole. Forse è solo salita la febbre. O forse
è quel broncio perenne a farla sentire così?
È così sciocco, dopotutto. Non era stata lei a sorridere quando aveva sentito il citofono, mentre già si
preparava una ramanzina per la totale mancanza di puntualità da fare a Taichi? Sempre lei a sentirsi un po’ più sollevata perché quella testaccia
alla fine era andata a trovarla e magari, con un po’ di fortuna, a portarle
pure gli appunti della mattina. Ancora lei, poi, a
stupirsi di ritrovare quel viso corrucciato anziché del volto caldo e un po’
scanzonato di Taichi.
Ma allora perché
non riesco ad esserne delusa?!
“Cos’è, hai la febbre per caso?”, e Yamato è sempre
Yamato, con quei suoi modo burberi e da orso bruno che
tanto la fanno arrabbiare e divertire insieme.
“Cosa credi che ci faccia in
pigiama a quest’ora, sennò?”, lo sfida con lo sguardo Sora, vagamente scocciata
da quel suo atteggiamento.
Ehi, non gli ha chiesto mica lei di passare a trovarla! Il
pensiero la fa avvampare e si accorge solo ora di essere
ancora in pigiama. Chissà come deve sembrare ridicola a
quegli occhi oltremare… Buffo, con Taichi non si è mai posta quel genere
di problema. Taichi non faceva mai caso al suo abbigliamento, neanche se si fosse presentata alla porta vestita da coniglio bianco.
Semplicemente era troppo svampito per badare a certe frivolezze. Ma Yamato…
Yamato ci badava? Oh, e lei aveva indossato quello stupido
pigiama con gli orsacchiotti. Perché non aveva pensato
a cambiarsi prima di andare ad aprire?
Si accorse con una certa meraviglia di essere preoccupata
da quello che quegli occhi potevano intendere. Era già passata da allegra
dodicenne a imbranata colossale? Forse
sì, e il suo volto doveva essere bordeaux, se lo sentiva. Magari aveva
anche gli occhi lucidi e i capelli arruffati, giusto per completare l’opera.
Oh, voleva scomparire. Ma perché Yamato era lì?
Yamato non è mai
venuto a casa mia.
Don't
know much about your life [Non so molto della tua vita]
Don't
know much about your world but [Non so molto
“Tieni”
È di nuovo la voce sua a riportarti alla realtà. Così
bassa e profonda che non sembra per niente la voce di un dodicenne.
E Sora abbassa la testa, un po’
intontita dall’aspirina e dal mal di testa, e il suo cuore fa una capriola
senza avvertimenti quando capisce che è venuto a portarle i suoi appunti.
Don't
want to be alone tonight [Non voglio restare da sola stanotte]
On this planet they call earth [Su questo
pianeta che tutti chiamano Terra]
La Takenouchi alza lo sguardo, soffermandosi ad osservare la sua figura a tratti persino
severa.
Il fisico asciutto, il filo di muscoli messo in risalto dalla maglietta bianca con le maniche verde, i polsini a
lambire i polsi ossuti, le mani chiuse a pugno, i capelli biondissimi e irti di
come quando erano a Digiworld, gli occhi azzurri un po’ vacui e forse persi in
un mondo a sé stante, le labbra strette in un filo…
E il cuore batte un po’ più forte,
stupidamente. Non dovrebbe essercene motivo, dopotutto, perché a lei non è mai
interessato lui, no? Perché lei aveva sempre avuto gli
occhi solo per Taichi, e a quel biondo non aveva lasciato nemmeno lo spazio per
farsi conoscere.
“G-grazie”, balbetta lei, abbassando lo sguardo da quegli
occhi troppo attenti per illudersi di nascondergli le proprie vibranti
emozioni. “N-non ce n’era bisogno”
“Lo so”, ribatte lui, sorprendendola per la seconda volta
nel giro di poco e costringendola suo malgrado ad
alzare quegli occhi di miele per puntarli sul suo volto incolore. “Non l’ho
fatto per te”
Lo dice veloce e, per la prima volta, distogliendo lo
sguardo.
“No?”
Cos’è quella nota nella sua voce?
“No”
E quella di lui? Magari è solo la
sua immaginazione ad averla avvertita.
Chissà, magari se Sora gli avesse permesso di farsi
conoscere meglio, avrebbe capito che era una menzogna quella maschera indossata
ad arte. Ma lei questo non lo sa, non può capirlo, o forse non vuole capirlo mentre gli lancia un’occhiata di quelle in grado di
mettere a tacere chiunque, persino Taichi. Chiunque, appunto, ma non lui che
invece si ostina a tenere quello sguardo da un’altra parte senza riuscire a
dissimulare il lieve rossore sulle sue gote.
“E allora perché l’avresti fatto, sentiamo!”, incrocia le
braccia al petto Sora, un po’ petulante e un po’ saccente, ma decisamente amabile.
E Yamato arrossisce, senza motivo
apparente, cercando di nascondere i propri occhi ai suoi incuriositi.
“Me l’ha detto il professore”, dice
alla fine, in un sussurro che spegne qualcosa là in fondo al cuore della
ragazzina.
Che stupida, che si era aspettata
dicesse? Davvero si era aspettata qualcosa? E allora
cos’è quella sensazione nel petto? Disfatta? Delusione?
“Beh, grazie allora”, e la voce si indurisce,
i muscoli del viso si contraggono severi e la testa non smette di girare.
Si aspetta che lui se ne vada a quel punto, come fa
sempre, eppure ciò non rientra nelle intenzioni di Yamato come pare. Se ne sta
lì, sulla porta, il volto ancora girato da un’altra parte e le mani strette a
pugni. Chissà a cosa sta pensando…
Un bambino testardo e indisponente,
capace di stuzzicare solo con lo sguardo, senza fare niente di particolare. Ma non è sfidata
che si sente lei in quel momento, no. È piuttosto una sensazione di attrazione, quasi, come se ci fosse stata una calamita
invisibile ad attirarla verso quel volto un po’ perso. E
ha voglia di conoscerlo meglio, di sorridergli, di vedersi sorridere…
Che stupidaggine. Deve essere la febbre.
Ma la febbre non ti fa venire le farfalle allo stomaco, o
no?!
E lui continua a pensare,
imperscrutabile. A cosa, poi?
“Dovresti essere a letto”, esordisce ad un tratto lui,
constatando una realtà dimenticata mentre con gli
occhi va a cercare di nuovo il suo volto.
Sora arrossisce, per l’ennesima volta. Pare che non riesca
a fare altro, ultimamente. Un altro sintomo della febbre?
“Beh. Qualcuno doveva pur aprire, no?”, dice cercando di essere gentile, mettendoci dentro anche un bel sorriso
sincero.
Poi lui la guarda, però, e di quella spontaneità non
rimane che un vago sentore attutito dalla consapevolezza di non poter resistere
a quegli occhi tremendamente azzurri. Terribilmente profondi.
“Non c’è tua madre”
È una domanda?
“No”
“D’accordo”
“Cosa?”
E lui è già entrato, portandosi
dentro quella scia di menta e pino che è il suo odore.
“Non puoi stare da sola”
You
don’t know about my past and [Tu non conosci il mio passato e]
I
don’t have a future figured out [Io non ho immaginato un futuro]
And
maybe this is going too fast [E forse questa cosa sta andando troppo in fretta]
And
maybe it’s not meant to last [E forse non è destinata a durare]
È così strano avere Yamato in casa che il cuore non riesce
ad abituarsi e nemmeno le gambe, con il loro incedere incerto, sembrano poi
reggere tanto bene la novità. Forse è ancora la febbre, ma ti sembra davvero
che lui sia troppo Yamato per stare
lì. Come un oggetto di lusso che non c’entra niente con te, con la tua vita, ma
che allo stesso tempo non puoi fare a meno di rimirare e di sentirti orgogliosa
di averlo comunque lì, tra le tue cose ordinarie.
Con Taichi è diverso. È tutto diverso. Con lui certi
pensieri nemmeno ti sfiorano. Con lui sei rilassata, a proprio agio, perché
infondo lo conosci da sempre e forse per questo te ne sei innamorata? Lui ti dà
sicurezza, perché qualsiasi cosa accada tu sai che girandoti, è il suo volto a
sorriderti che troverai.
Ma adesso non c’è tempo per simili
sciocchezze perché Yamato è già avanzato nel soggiorno, incurante di non aver
ricevuto nessun invito, e Sora non può fare altro che seguirlo, imbarazzata.
“Davvero, non… Non è necessario che tu rimanga. La mamma
tornerà a momenti e…”, è una bugia, lo sa, non è brava a mentire e di questo ne è consapevole anche lui.
Perché la fissa a quel
modo? Che significa quel sopracciglio alzato, un po’
canzonatorio? Vorrebbe saperlo, Sora, ma semplicemente non lo sa. Dopotutto, se ne rende conto adesso
più che mai, lui non lo ha mai conosciuto davvero. Sempre troppo intenta
a preoccuparsi di Taichi per rivolgere uno sguardo a Yamato. Le viene quasi da
piangere, da terribile sentimentalista che è.
But [Ma]
“Non l’ho fatto per te”, ripete di nuovo lui, il tono più
leggero di prima.
“No?”
Lui non vorrebbe arrossire, ma lo fa, e lei che non avrebbe dovuto notarlo non può fare a meno di sentire dei
brividi di fronte a quel rossore improvviso. Che senso
ha tutto quello?
“No”
“Ah”, sospiro, la mano destra a cercare
il braccio sinistro e il volto, incredibilmente cupo, a voltarsi verso un punto
indefinito delle sue ciabatte. “Allora perché…?”
Yamato scrolla le spalle, con un ghigno sottile e appena
percettibile che rende il suo volto ancor più impertinente di prima. Anche così, sarebbe adorabilmente da prendere a schiaffi.
“Taichi mi ammazza se ti lascio sola”, risponde vago lui,
e lei non capisce se lo abbia mandato lì proprio il ragazzo o se sia venuto di sua spontanea volontà.
Ma tanto…che cambia? Forse, solo
qualcosa nel suo cuore, proprio lì dove batte il soffio della vita.
What
do you say to taking chances? [Che ne dici di
rischiare?]
Probabilmente Yamato ha un’altra idea di compagnia.
Probabilmente per lui significa starsene lì, su quel
divano, a guardare punti imprecisi di fronte a loro senza dirsi una sola parola
per sciogliere la tensione (come in effetti stavano
facendo).
Probabilmente.
O forse era lei che aveva un’idea
sbagliata di compagnia?
Non lo sapeva. Il suo unico termine di paragone era Taichi
e, infondo, poteva anche essere il ragazzo ad essere esagerato in quelle
occasioni con tutte le sue chiacchiere, no?
Forse.
“V-vuoi qualcosa da bere?”
“No. Grazie”
“Ah. Okay”
Avanti Sora, puoi
fare di meglio!
“Sei sicuro?”
Non è esattamente
quello che avevo in mente, ma comunque è sempre un
inizio, no?
“No”
Cos’è, le legge anche nel
pensiero adesso?
“No, vuoi da bere?”
“No, grazie”
“Oh”
Di nuovo quel silenzio, a cui lei non
riusciva ad abituarsi. Ha voglia di parlare, perché non riesce a capirlo? È
costretta in casa con solo la sua compagnia, perché non può sforzarsi ad essere
un discreto oratore per una volta?!?
“Com’è andata oggi, a scuola?”, riprova di nuovo lei,
mordicchiandosi il labbro per vincere la tentazione di voltarsi a fissarlo.
“Solito”
E stavolta non ce la fa ad impedirsi di guardarlo, senza più sapere se prenderlo a schiaffi o se abbracciarlo
di slancio per quei suoi atteggiamenti provocatori. E gli verrebbe voglia di
additarlo e di fargli sapere che dire qualche parola in più non lo ucciderà di certo, però quel volto l’ha un po’ paralizzata.
Non si è mai accorta, o non ci ha semplicemente mai fatto
caso prima d’ora, di come fosse perfetto il suo viso. Appena
imbronciato, forse, ma dopotutto senza il suo broncio Yamato non sarebbe più
stato Yamato.
What
do you say to jumping off the edge? [Che ne dici di
saltare nel burrone?]
“Beh?”, lui si volta a scrutarla con cipiglio un poco
sorpreso, avendo avvertito su di sé i suoi occhi di miele, e lei distoglie lo
sguardo imbarazzatissima.
“N-niente”, biascica.
Che grama figura che ha fatto…
Ma perché davanti
a lui devo sempre apparire così imbranata?!
Si domanda, senza chiedersi però il motivo di tutta quella
preoccupazione.
Never
knowing if there’s solid ground below [Senza sapere se sotto c’è terreno
solido]
Or a
hand to hold [O una mano da stringere]
Or
hell to pay [O un mucchio di guai]
“Sei tutta rossa”, la sua voce profonda e un po’ troppo
bassa la riscuote ancora dai suoi pensieri.
Sora alza lo sguardo e il suo cuore ha un tuffo quando si accorge dei suoi occhi azzurri così vicini
ai propri. Quando si è alzato? Non l’ha sentito
muoversi. Non l’ha nemmeno visto chinarsi di fronte a lei, proprio davanti al
suo volto per osservarlo con quelle pietre preziose e arcane.
“È…sa-sarà la… Deve essere la…”, ma
non riesce a terminare la frase perché la sua mano fredda sulla sua fronte
bollente le blocca in gola ogni altra vuota parola.
Non ricordava il suo tocco. Non ricordava neppure la
sensazione che lascia la sua pelle. Nemmeno la
dolcezza della sua mano. Ed è così fredda e pallida
che al confronto la sua pelle sembra quella di un pellerossa. Ed è così liscia che ha paura quasi che possa scivolare via
dalla sua fronte da un momento all’altro, spezzando quel tocco gentile e
talmente raro.
Si può fermare il tempo?
“Scotti”, dichiara ad un tratto Yamato, dopo aver
ponderato per un istante sulla situazione.
Sora arrossisce ed è solo merito alla febbre se lui non
capisce che è per imbarazzo. Ma la mano scivola via
alla fine e lei non può fare nulla per impedirlo. Solo, rimanere a guardarlo.
“Dovresti essere a letto”, ripete lui, fissandola con
quegli occhi incredibilmente azzurri.
“N-non fa niente”, risponde lei, sorridendo perché
dopotutto quel loro modo di parlare la diverte.
“Dovresti”, replica ancora Yamato, tenace, e dalla sua
ostinazione non è difficile capire che non si muoverà dalla sua posizione.
“Va bene”, acconsente infine lei quando
lui si alza per consentirle di fare lo stesso.
What
do you say? [Che
ne dici?]
What
do you say? [Che
ne dici?]
La testa affonda nel cuscino, i capelli ramati sparsi
dappertutto a delineare deliziose trame sulla fodera bianca.
Come hai fatto a resistere in piedi per tutto quel
tempo?
Adesso che è nel letto, Sora non riesce proprio a
capacitarsi di come abbia fatto a sorreggersi sulle
gambe quando le sente così fiacche.
Infondo, pensa con un sorriso velato
mentre Yamato senza preavviso si siede su un pizzo del letto, ha avuto
ragione lui alla fine.
I
just wanna start again [Io voglio solo ricominciare]
Maybe
you could show me how to try [Forse tu potresti mostrarmi come provarci]
“Yamato?”, lo chiama lei dopo poco tempo di silenzio.
È inutile, la tentazione di parlare e di fare quelle
domande è troppo forte per resistere. Non è mai stata una persona taciturna, ma
neppure una gran chiacchierona come Taichi. Deve essere l’influenza a farle
quell’effetto.
“Uhm?”
Sora tentenna per un istante, girandosi su un fianco per
poterne vedere il profilo perfetto e sempre, dannatamente imbronciato.
“Perché sei qui?”
La domanda è spontanea, tanto quanto lo è il suo cuore
carico di emozioni. Chissà, forse nemmeno le
risponderà. Forse si limiterà a sbuffare, o ad alzare le spalle. Forse.
Vale la pena tentare, no?
Maybe
you could take me in [Forse tu potresti prendermi dentro]
Somewhere
underneath your skin [In qualche posto sotto la tua pelle]
“Non l’ho fatto per te”
“No?”, domanda con il cuore in gola lei, in quel discorso
che sembra divertirsi a ripetersi.
“No”
“E allora perché…?”
“Perché hai la febbre”
Già.
E allora perché non la guardi in
volto, eh Yamato? Perché quello sguardo basso? Perché quel lieve rossore?
What
do you say to taking chances? [Che ne dici di
rischiare?]
What
do you say to jumping off the edge? [Che ne dici di
saltare nel burrone?]
“Puoi anche andartene, se vuoi”
La voce di Sora è particolarmente dura, ma Yamato non può
scavarle negli occhi perché lei li ha chiusi proprio per nasconderli a lui. E lei non può scorgere così sul suo viso quell’espressione
contrita che l’ha scalfita, sfuggendo per un attimo a quel perenne finto
distacco verso tutto e tutti.
“Non sei obbligato a restare”, ribatte ancora
Vuole ferirlo, come lui ha ferito lei l’istante
prima. Che cosa sciocca, tutto sommato. Lei non
dovrebbe neanche sentirsi ferita. A lei non è mai importato cosa pensasse lui
prima d’ora. O no?
Lei non ha avuto occhi che per Taichi, fino ad ora.
“Voglio restare”
E sbarra gli occhi, Sora, insicura
di aver sentito bene. Ma Yamato è ancora lì e la sta
fissando con i suoi intensi occhi azzurri che tanto le fanno battere il cuore.
Non sta mentendo, anche se lui è più allenato di lei in quello.
Never
knowing if there’s solid ground below [Senza sapere se sotto c’è terreno
solido]
Or a
hand to hold [O una mano da stringere]
Or
hell to pay [O un mucchio di guai]
È una sua impressione, oppure Yamato è arrossito?
Forse sono solo gli occhi lucidi per via dell’influenza a
farle vedere cose che non ci sono. Ma il punto è, allora: per quanto tempo ha avuto l’influenza? Sora non se lo ricorda. Non è nemmeno
sicura che le sia venuta solo oggi. Le pare di vedere annebbiato da tempo
immemore.
Ma dove sono finite tutte le altre
emozioni? Tutti gli altri sentimenti? Da quando è iniziato a cambiare qualcosa,
in lei?
Strano. Non se n’è neppure accorta,
prima. Non ci ha mai fatto caso.
Eh. Sono tante le cose a cui non ha
fatto caso, in effetti.
Però vorrebbe rimediare, perché c’è
ancora tempo per farlo, no? E quel biondo, sempre così
indisponente, potrebbe anche imparare a conoscerlo, proprio come ha fatto
Taichi prima di lei.
Già, Taichi…
Il pensiero vola a lui, a quel bambinone un po’ troppo
cresciuto che si dimentica persino di portarle gli appunti. Eppure
in qualche modo è sempre lui il primo a riuscire a capire le cose. Chissà come fa, poi. Sora gli ha invidiato spesso quella sua
peculiarità, e lui nemmeno se ne accorge di averla
certe volte. Perciò gli vuole così dannatamente bene. Così tanto che a Digiworld gli era bastato un suo sorriso
per sentirsi a casa, perché Taichi era un po’ la sua famiglia con quel sorriso
confortante a portata di mano. E lei da brava digiprescelta dell’amore se ne era innamorata, così, e forse un po’ se l’era aspettato
che accadesse.
Stare con lui equivaleva a stabilità, perché per qualsiasi
cosa c’era sempre lui a proteggerla, a buttarsi a capofitto per aiutarla. Oh, e
lei aveva così dannatamente bisogno di stabilità con suo padre così lontano e sua madre così indaffarata a prendersi cura di lei (che
ironia della sorte).
Ma poi c’era l’altra parte della medaglia, quella poggiata
sulla maglietta e che difficilmente esce alla luce del
sole.
Yamato.
Perché quei due erano l’uno l’opposto
dell’altro, eppure legati inscindibilmente. E tanto
era stabile Taichi, quanto imprevedibile Yamato.
Il castano non aveva avuto bisogno di bussare alla sua
porta, perché era già dentro.
Il biondo non aveva suonato e basta,
arrivando senza preavviso a sconvolgere gli equilibri.
E allora c’è da chiederselo se davvero questo significhi
qualcosa, o se è solo un altro capriccio dell’influenza, mentre il sole alle spalle di lui inizia a tramontare e l’arancio dei raggi si
confonde con il dorato dei suoi capelli spinosi.
What
do you say? [Che
ne dici?]
What
do you say? [Che
ne dici?]
Non si è neanche accorta di aver chiuso gli occhi, se solo
non avesse sentito quel fruscio di lenzuola e il peso di lui
farsi sempre più vicino.
Così li sbarra, miele nel cielo, avvampando nel notare
quanto fosse maledettamente vicino adesso. E la sua mano così vicina alla sua che basta un minimo gesto
per poterla sfiorare.
“Sora?”
“S-sì?”
Perché non può essere
imparziale come lui? Perché dalla sua voce non riesce
a fare a meno di trasparire la propria agitazione? Oh, è agitata?
“Niente”, dice e abbassa di nuovo lo sguardo, così abile
nel celare le proprie emozioni.
Di nuovo quella sensazione, a strisciarle nel
petto e a provocarle quello spasimo involontario. Cos’è? Possibile che sia
ancora…delusione?
Decide di non pensarci, di chiudere gli occhi e di
lasciare che quel dolce torpore le lambisse il corpo,
per quanto mera astrazione. Bizzarro come una camera che hai avuto da una vita,
possa farti sentire così protetta da lasciarti col fiato sospeso, proprio tra la gola e i
polmoni. Ma forse non è la stanza. Forse è Yamato.
Che assurdità.
Pensi, mentre non riesci a fare a meno di sorridere,
dentro e fuori.
E quasi non si è resa conto di essersi assopita, se solo
non avesse sentito la sua mano sfiorare la propria,
risvegliando senza saperlo tutti i suoi sensi.
“Non l’ho fatto per te, Sora”, dice, la voce così profonda
da entrarle dentro a smuovere qualcosa d’indefinito. “L’ho fatto per me”
And
I’ve had my heart beaten down [
But I
always come back for more, yeah [Ma io sono sempre tornata
indietro per avere di più, yeah]
There’s
nothing like love to pull you up [Non c’è nulla come l’amore per
tirarti su]
When
you’re lying down on the floor there [Quando sei là sul pavimento]
Il cuore batte, fa strani scherzi
in quel petto scarmigliato, e sale la voglia di ridere così incontrollabile che
a fatica si trattiene.
Cosa? Vorrebbe chiedergli cosa ha fatto
per sé, di che sta parlando. Ma non osa neppure aprire
gli occhi.
Non vuole rovinare quel momento, non vuole
interrompere quella confessione, non vuole che lui smetta di parlarle.
È così dolce la sua voce che gli verrebbe voglia di sgridarlo,
perché davvero la fa sentire troppe poche volte.
“Sono un egoista”
So
talk to me, talk to me like lovers do [Allora parlami, parlami come fanno
gli amanti]
Ma Yamato si alza, senza preavviso,
come a sempre. E il movimento di Sora è così repentino
che a stento si rende conto di averlo fatto, di avergli preso la mano.
È così fredda che sembra priva di vita, ma il suo sguardo
azzurro è così vivo che sembra quasi
un controsenso. Il battito che arriva alle orecchie, la testa che pulsa e
qualcosa a strizzarle lo stomaco.
“Ya-Yamato”, farfuglia, perché proprio non è capace come
lui a rimanere imparziale.
Eppure, ciò nondimeno, l’effetto è quello che è sul volto
stanco di Ishida che si passa la mano, quella libera,
nei capelli appuntiti ma così invidiabilmente morbidi. Chissà perché vorrebbe
essere lei quella mano, vorrebbe accarezzare lei
quelle spighe dorate. Anche se è una cosa piuttosto
sciocca da pensare.
“Non l’ho fatto per te”, dice lei, in una bizzarra
inversione di ruoli.
Yamato sorride sotto quella scorsa da duro e, stando al
gioco, si avvicina alla sponda del letto.
“No?”
Il tono di voce tranquillo e sempre un po’ canzonatorio.
“No”, replica Sora, in un sorriso che sa più di mille
parole.
E lui arriccia le labbra in un
ghigno, provocatorio, che lo fa apparire di nuovo imbronciato. Ma non importa, alla fine. Yamato è così.
È inutile. Non
sono proprio brava con le bugie.
Yeah
walk with me, walk with me like lovers do [Sì cammina con me, cammina con me
come fanno gli amanti]
Like
lovers do [Come fanno gli amanti]
“L’ho fatto perché sono egoista”, continua lei, il
coraggio di dire quelle cose pescato chissà dove. “E… E volevo restassi con me”
Adesso è arrossita, Sora, impietosamente. Ma che valore
può avere dopotutto essere arrossita o meno?!
E Yamato sorride, anche se
impercettibilmente, perché lui non è proprio bravo a sorridere. Forse lei
potrebbe insegnargli come si fa, e in cambio lui potrebbe insegnarle a mentire
così bene.
What
do you say to taking chances? [Che ne dici di
rischiare?]
What
do you say to jumping off the edge? [Che ne dici di
saltare nel burrone?]
Sora non avrebbe mai pensato che stare con Yamato potesse
significare provare simili emozioni.
Si sentiva così bene, così protetta da trovare persino
incredibile il fatto di essere da sola con lui forse per la prima volta dopo
l’esperienza di Digiworld. Com’è possibile?
Senza preavviso, appunto.
Forse se non avesse avuto la febbre, lui non sarebbe mai
andato a portarle i suoi appunti e probabilmente adesso non sarebbero ancora lì
a tenersi la mano, senza bisogno di parole. Anche se lei
vorrebbe tanto potergli chiedere la vera ragione della sua visita, il vero
motivo. Il suo motivo. Infondo, non gliel’ha ancora detto il perché di
quell’egoista.
Poi però pensa che lui non le avrebbe
risposto comunque, magari sviato, magari scrollato le spalle, magari
sbuffato. O no?
È che lei non lo conosce così bene come credeva, alla
fine. Forse, non l’ha mai conosciuto veramente.
Però…
Si può sempre rimediare, giusto?
Never
knowing if there’s solid ground below [Senza sapere se sotto c’è terreno
solido]
Or a
hand to hold [O una mano da stringere]
Or
hell to pay [O un mucchio di guai]
Intanto Yamato si è seduto di nuovo, sempre così
maledettamente vicino da provocarle tanti stupidi brividi. Che motivo hanno di esistere?! Sarà la sua mano, ancora stretta nella sua, che lui non si decide a sottrarre. Chissà, magari fa
piacere anche a lui quel contatto. Oppure ha solo
paura di ferirla, togliendola.
Quante cose possono celare quegli occhi di ghiaccio?
Come si fa a decrittarli?
Con Taichi è più facile. È tutto più facile. Lui è così
estroverso che sarebbe impossibile non riuscire a capire cosa frulla in quella
testa castana.
Yamato no. Yamato è diverso. Con lui è tutto più…strano. Persino il battito del cuore è
diverso. È più accelerato, ecco.
E forse, chissà, un giorno avrebbe
accantonato il suo amore per Taichi e rivalutato ciò che provava per Yamato.
Senza preavviso. Giusto.
What
do you say? [Che
ne dici?]
What
do you say? [Che
ne dici?]
Oppure, era già cominciata e non se ne era
neppure accorta.
Colpa della febbre, sì.
Le annebbiava la vista, le intorpidiva le membra, le
ubriacava la mente, anche se non si era mai sentita tanto lucida come in quel momento.
E lui si ostinava a rimanerle seduto affianco, senza la
voglia di dire alcunché, le braccia abbandonate sulle
gambe lunghe e la mano fredda ancora
avvolta da quella calda di lei.
E sulle labbra quell’adorabile
broncio. Così…
Imbronciato.
Don't
know much about your life [Non so molto della tua vita]
Don't
know much about your world [Non so molto
Note: volevo semplicemente ringraziare tutti coloro che hanno letto questa one-shot un po’ particolare
ambientata l’anno successivo a Digimon 01. Non è stato
affatto facile descrivere il Yamato di quei tempi, decisamente più
introverso e scontroso di quello di Digimon 02, perciò spero davvero di esserci
riuscita. Che altro dire? Oh, beh, il motivo di questa
fanfiction credo sia dovuto all’insonnia (Sae‼
Ti ricordi, vero? ^.-), alla splendida canzone riproposta che mi fa sempre
sognare (senza sapere che anche la mia sorellina Sae l’ha utilizzata per una
delle sue fanfiction! Ehi best, ormai ci leggiamo nella mente, proprio, eh?) e
al sorato, senza cui la mia immaginazione non avrebbe
senso di esistere. Diciamo che l’intento era quello di
scrivere un po’ come sia iniziata tra loro, cosa ha fatto cambiare idea a Sora
che da Taichi va ad innamorarsi poi del nostro caro Yamato. Anche perché, non
so voi, ma nella mia mente bacata regna questa idea
per cui Yamato si sia innamorato di Sora ben prima di lei. Ho sempre pensato
che in qualche modo già in Digimon 01 lui abbia iniziato
a vederla sotto un altro aspetto, non lo so, per certi sguardi o frasi non
dette. E perciò in questa storia Yamato non va a
trovarla proprio per i compiti, ma perché è un “egoista”, come si
autodefinisce, in quanto lo fa diciamo più per se stesso che non per altro.
Spero si sia capito il mio contorto ragionamento. @.@ Perciò…
Dedico questa
fanfiction a tutti coloro che, come me, credono che
Yamato e Sora siano destinati a stare insieme.
Detto questo non mi resta che ringraziare, come sempre, la
mia sorellina Sae per il supporto e per l’incoraggiamento (senza di te sarei
persa, lo sai no?), Sora89 per l’affetto con cui legge le mie fanfiction
(sorato forever, giusto? ^.^), HikariKanna perché comunque trova sempre il modo
per farmi sorridere (e per starmi vicina! Grazie, sei un
tesoro!), DarkSelene89Noemi per la dedizione e la profonda pazienza con cui
aspetta i miei aggiornamenti (sono pronti, lo giuro! E anche tu devi
aggiornare, eh!), Kalie anche se non ci conosciamo poi
molto per l’interessamento (scrivimi, scrivimi, scrivimi!), Kari89 perché
nonostante sia una taiora convinta si appresta sempre a leggere le mie
fanfiction sorato, DenaDena perché senza i suoi commenti non sarebbe lo stesso
(sei un tesoro! ^.^), infine ma non ultime Beamerkecope,
Apochan e Addison perché non smettono mai di seguirmi nonostante gli impegni
(maledetta università‼). E poi, ovviamente, un caloroso grazie va a tutti
coloro che apprezzeranno, commenteranno o
semplicemente leggeranno questa cosina, senza di cui non avrebbe senso scrivere
nulla alla fine.
Grazie ancora e alla prossima! Baci!
Memi J
[La canzone è “Taking Chances” di Celine
Dion. Digimon e i suoi personaggi non mi appartengono ma
sono © copyright del rispettivo autore e della casa. In entrambe i casi, comunque, non vengono ivi da me utilizzati a scopo di lucro
ma per puro diletto.]