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Autore: aiechan    15/02/2008    3 recensioni
Non poteva più rimandare ormai. Era quasi una settimana da quando era finito tutto, e da sette giorni accampava scuse su scuse, trovava impegni inesistenti per rimandare quel momento.
Ambientato all'inizio del volume 21, quando per tutti sembra essere tornata un po' di calma, ma per qualcuno i problemi non sono ancora finiti, anzi!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Renji Abarai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: ho mantenuto il titolo dato da Kubo-sensei, in quanto questa fanfic si basa su "cosa accade dopo in quella stanza, di cui noi abbiamo visto solo una parte" XD.
Ovviamente il tutto è partorito dalla mia mente malata, quindi no spoiler! Enjoy!^^


Something in the Aftermath

Non poteva più rimandare ormai. Era quasi una settimana da quando era finito tutto, e da sette giorni accampava scuse su scuse, trovava impegni inesistenti per rimandare quel momento.
Ora però non poteva più rimandare. Chiuso in bagno, guardava il proprio riflesso di fronte a sé, meditando seriamente se fosse il caso di procurarsi una bella ferita, in modo da potersene restare chiuso nel suo alloggio. Osservò con disprezzo il volto disegnato sullo specchio. Odiava quei tatuaggi, non sopportava la vista di quei capelli color sangue, lo stesso colore che brillava nelle iridi dei suoi occhi. Sarebbe stato meglio se fosse morto quel giorno, sarebbe stato tutto più semplice.
Un misto di collera e risentimento scoppiò dentro di lui, talmente violento da nausearlo. Si appoggiò al muro, distogliendo lo sguardo da quell’immagine. Aveva fallito su tutta la linea, e la coscienza di questo lo aveva colpito con la forza di un diretto allo stomaco. Voleva proteggerla, salvarla, aveva ottenuto il Bankai per riuscirvi, eppure aveva perso. Non una volta era stato in grado di mantenere quella promessa, era sempre, inesorabilmente, finito a strisciare nella polvere, a supplicare che qualcun altro la salvasse al suo posto.
Un rumore di passi all’esterno lo distolse dai suoi pensieri; era il cambio della guardia, e questo significava solo una cosa: era terribilmente in ritardo. Si legò la bandana sulla fronte, a coprire i tatuaggi, ed uscì dal bagno, incamminandosi di malavoglia ma con passo deciso verso l’ala est dell’edificio. Il cambio della guardia voleva dire mezzogiorno, mezzogiorno voleva dire tre ore alla partenza dei ryoka dalla Seiretei, forse anche da quella di Rukia.
Arrivato davanti ad una porta in apparenza uguale a tutte le altre si fermò, esitando nuovamente. Sentì una voce provenire dal suo interno, ma non era quella del proprietario, no, lui non parlava mai con un tono così… gentile. Doveva essere qualcuno della 4° compagnia, probabilmente si stava occupando delle sue ferite, pensò mentre bussava leggermente alla porta.
- Chi è? – chiese la stessa voce.
- Abarai Renji – rispose lui, il tono indifferente perfettamente impostato e intriso di quella sicurezza che tanto lo contraddistingueva di solito quanto al momento se ne sentiva sprovvisto.
- Ah, venga pure luogotenente Abarai, ho finito proprio ora con le fasciature… - replicò lo shinigami, evidentemente sollevato di non dover trascorrere un minuto di più in compagnia del ferito. Aprì la porta, lasciandolo uscire, ed andò a sedersi su una sedia addossata alla parete. Solo allora ebbe il coraggio di sollevare lo sguardo su di lui, sulla persona che ammirava quanto temeva, colui che non avrebbe mai raggiunto, il capitano della 6° divisione, Byakuya Kuchiki.
E lui era lì, seduto sul letto, il petto fasciato da bende candide, gli occhi di ghiaccio rivolti all’orizzonte al di fuori della finestra spalancata e la solita, insostenibile aria distaccata di superiorità che lo divideva con un muro di silenzio da ogni altra persona, lo innalzava come una stella in un mondo di bestie randagie.
Questo senso d’oppressione lo aveva sempre schiacciato, fin dal primo giorno in cui quegli occhi gelidi avevano incontrato i suoi, gli occhi infuocati della bestia del Rukongai.
Quel pomeriggio di fine estate, però, era diverso dalle altre occasioni in cui era stato in sua compagnia.
Era peggio.
Si sentiva soffocare, schiacciato a terra dal peso della consapevolezza della differenza tra loro, del fatto che non l’avrebbe mai raggiunto. Proprio come alla fine di quello scontro di sette giorni prima, quando aveva realizzato che erano su due livelli diversi, due piani non paragonabili, che un misero cane randagio, per quanto rumore avesse potuto fare, non avrebbe mai raggiunto la stella alla quale anelava.
- Ti starai chiedendo… perché sono ancora vivo… -
La sua voce tagliò il silenzio e attraversò la stanza come la più affilata delle lame, risvegliando bruscamente Renji dai suoi pensieri.
- Figuratevi – rispose meccanicamente, mentre si accorgeva di aver fissato per tutto il tempo il capitano, il quale ora stava ricambiando il suo sguardo con uno indecifrabile, come al solito.
- Se voi moriste, chi potrei aspirare a raggiungere per diventare più forte? – aggiunse, cercando di dare a quell’affermazione una convinzione che non aveva, con un risultato quasi soddisfacente. Stava diventando bravo a mentire, ultimamente.
Tuttavia, aveva la sensazione che il capitano Kuchiki riuscisse a leggere perfettamente la verità quando affondava lo sguardo nelle iridi di sangue del luogotenente, per questo motivo abbassò il volto prima di confessare il reale motivo per cui era lì.
- Capitano... io... – ah, ottimo, già gli mancavano le parole... bell’inizio...
- RENJI!!! – qualcuno con una massa di capelli arancioni sulla testa sbucò dalla finestra accanto al letto, interrompendo il luogotenente, che subito scattò verso di lui, furente.
- Fa poco casino! Che cavolo vuoi tu..? Stavo per dire una frase ad effetto, io..! -
Ichigo, il ryoka che aveva salvato Rukia e messo sottosopra tutta la Soul Society, era venuto a cercare la shinigami, ma il luogotenente non ne sapeva nulla ed Ichigo se n’era quindi andato così com’era venuto.
Durante quel breve dialogo tra i due, il capitano Byakuya non aveva aperto bocca, commentando soltanto, quando erano nuovamente rimasti soli, il fatto che il ryoka lo avesse chiamato per nome. Renji però non lo stava ascoltando, intento a riflettere su dove potesse mai trovarsi Rukia.
- Sei silenzioso oggi, Renji. – una semplice constatazione, ma detta dal capitano Kuchiki sembrava sempre acquistare un non so ché di diverso, di più importante, dato probabilmente dal fatto che la sua opinione era qualcosa di fondamentale per il luogotenente… si era reso conto già da un po’ di tempo, infatti, di non riuscire ad ignorarla, a non esserne ferito o lusingato.
- Beh, vi lamentate sempre del mio essere troppo chiassoso, no? – si sorprese della sua stessa reazione, non credeva di essere in grado di rispondergli come suo solito.
- È forse per la “frase ad effetto” che stavi cercando di dirmi poco fa? – e gli occhi imperscrutabili furono attraversati da un lampo di pacata curiosità, che fece sentire Renji fin troppo vicino all’altro, dal quale era diviso solo da uno scarso metro di materasso e coperte.
Stava cercando disperatamente di formulare un discorso sensato per rispondergli, quando la sorte venne nuovamente in suo aiuto sotto forma, questa volta, di Rikichi.
Il ragazzo, però, era venuto solo per portare a Renji un pacchetto che lui aveva appositamente “dimenticato” di prendersi dietro quel giorno, lasciandolo nel suo ufficio, ma che non era sfuggito all’occhio attento e servizievole di Rikichi.
In questo modo il luogotenente era ancora più in imbarazzo. Il pacco, infatti, conteneva la pregiata sciarpa di seta, simbolo e cimelio di famiglia del clan Kuchiki, di valore inestimabile e che lui si era ritrovato addosso, sporca del proprio sangue, alla fine dello scontro tra i due.
- Questa.. questa è vostra, capitano – disse, porgendo il pacchetto ed evitando accuratamente di incontrare lo sguardo dell’altro.
Il sopracciglio destro dell’attuale capofamiglia Kuchiki s’inarcò elegantemente, a mostrare la sua sorpresa nel vedersi recapitato quell’oggetto e nel capire che il suo luogotenente ancora non aveva compreso il motivo per cui lo aveva lasciato a lui. Aprì con delicatezza l’involucro, estraendo il prezioso indumento e facendolo scivolare tra le dita affusolate fino a dispiegarlo completamente.
- Non hai capito nulla – sospirò, rassegnato, accarezzando la seta candida.
Ecco, lo sapeva. Sapeva che avrebbe fatto molto meglio a rompersi una gamba e starsene nel suo alloggio, quella mattina.
- Capitano Kuchiki, io.. -
- Byakuya, Renji. Sono anni che mi conosci, che passi le tue giornate ad osservarmi, vorresti darmi a bere che ancora non sai il mio nome? –
Stupito da quell’affermazione, alzò la testa verso l’altro e commise il suo errore più fatale. Un istante dopo che i suoi occhi cremisi ebbero incrociato quelli dell’altro, sentì le sue guance scaldarsi pericolosamente, eppure non riuscì a distogliere lo sguardo.
- Ma no, ovviamente no. Il punto è, come ha detto ad Ichigo, che non posso darvi del tu come se fossi vostro pari -
- È qui che sbagli -
L’espressione perplessa dipinta sul volto di Renji invitò il capitano a spiegarsi meglio.
- Te l’ho detto, tu mi hai raggiunto. E non è un caso che ti abbia lasciato questa, quella volta – aggiunse, facendo scorrere una mano sulla sciarpa fino a raggiungerne un’estremità.
- Ma allora perché- - non capiva e provò a ribattere, ma venne interrotto da un gesto del capitano, il quale gli faceva cenno di farsi avanti.
- Avvicinati -
Ubbidì meccanicamente, muovendo qualche passo, fino a ritrovarsi faccia a faccia con l’altro, sempre senza staccare lo sguardo dal suo, come se ne fosse rimasto ipnotizzato, cercando di capire cosa volesse dire con quelle parole.
- Non sapevo ancora cosa sarebbe successo nei dettagli, ma ero certo che, in qualunque modo fosse finita, avresti pensato di andartene dalla sesta divisione, o addirittura dalla Seiretei – il luogotenente stava per controbattere qualcosa, ma bastò un’occhiata eloquente del capitano Kuchiki per zittirlo definitivamente.
- E suppongo fosse questo quello che avevi intenzione di dirmi – si prese una breve pausa, lasciando che le parole che aveva detto facessero effetto e constatando, dalla sua espressione, il fatto di aver azzeccato in pieno i pensieri del suo vice.
- Perciò, se non avessi proprio l’intenzione di cambiare idea – e allungò la mano con cui teneva un estremo dell’indumento verso di lui, avvolgendoglielo al collo con un movimento aggraziato quanto rapido – questo sarebbe stato il mio regalo d’addio, Renji. -
E, senza aggiungere altro, lo tirò a sé e gli impedì di replicare qualsiasi cosa, catturando le sue labbra tra le proprie.

--- Owari ---




  
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