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Autore: Clockwise    08/08/2013    1 recensioni
«È che sono così stufa di essere così… Cosi noiosa, insulsa, uguale a tutte le altre, sempre trattata con i guanti, io voglio vivere come si deve, voglio crescere, ridere e amare, ma non posso farlo con questo corpicino, capisci?»
Un gatto e una bambola di porcellana.
Piccolo sogno di mezzanotte. Anzi no, erano le cinque e mezza di mattina.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di gatti e vecchie bambole

 
Clockwise era estremamente soddisfatto del proprio aspetto mentre si ammirava in una pozzanghera sul marciapiede: il pelo grigio liscio e lucente, striato leggermente di marrone, il muso vispo, non schiacciato come quello di quel presuntuoso persiano di Mathias, e il corpo agile e scattante. Inoltre, il nuovo paio di occhiali che aveva raccattato all’angolo della strada qualche minuto prima lo rendeva assolutamente affascinante, anche se non capiva perché mai quegli umani squilibrati dovessero desiderare di vedere tutto blu. Comunque, con quell’aspetto, Tat’jana non avrebbe assolutamente potuto negargli una bella passeggiata. Aveva appunto rialzato la testa e si stava dirigendo verso la casa della gattina bianca, quando si fermò improvvisamente rizzando il pelo. Ora, Clockwise era un gatto di mondo, ne aveva viste di cose; e aveva visto che le bambole di porcellana se ne stavano sedute sugli scaffali di qualche vecchietta istupidita a guardare fisso con i loro occhi spalancati. E di certo non si muovevano. Quindi, perché mai ora c’era una bambola di porcellana che camminava sul marciapiede? Guardingo, si avvicinò. La bambola, notandolo, sorrise e tese una manina verso di lui. Clockwise balzò indietro, soffiando. Parola di gatto, era la bambola più malmessa che avesse mai visto: il vestito stracciato, i boccoli scompigliati, la porcellana sporca e ricoperta di crepe. La boccuccia rossa prese una piega triste quando il gatto balzò via, e Clockwise se ne dispiacque, così si avvicinò di nuovo, tentennante. Quando vide che non correva alcun pericolo, si accucciò davanti alla bambola. La bambola sorrise e parlò.
 
La signora Sheldon collezionava bambole da quando… Ah, nemmeno lo ricordava più, da quanto. Fatto sta che un’intera stanza della sua casa era riservata a loro, i suoi tesori, le sue bambine, e la signora Sheldon passava giornate intere a pulirle, sistemarle, parlare con loro, ammirarle. Ne aveva un centinaio, venivano da ogni angolo del mondo, avevano tutte un nome e una storia, e non le lasciava avvicinare da nessuno oltre a lei. Un giorno, però, la stanzetta accolse una visitatrice inaspettata: ad una nipote della signora Sheldon era stato accordato il permesso di giocare con le sue bambole. La bambina esaminò con attenzione tutti gli scaffali, cercando di scegliere una bambola. I suoi occhi si illuminarono all’improvviso: alzatasi in punta di piedi allungò le manine verso uno scaffale nell’angolo, dove due bambole sedevano vicine, e ne prese una. Giocò per tutto il pomeriggio con quella bambola, con lei sola. La bambola era così felice che fra tutte le sue compagne avesse scelto lei, solo lei, la privilegiata! E quante avventure visse: divenne imperatrice, eroina, principessa sfortunata, fata, attrice, cantante! Ma il pomeriggio volse verso sera, la bambina fu richiamata e la bambola giacque lì, sul pavimento, abbandonata. E allora si sentì triste. E questo era strano, perché era una bambola, e le bambole non sono tristi. Sentì che non voleva, non poteva essere rimessa su quello scaffale e continuare a guardare amabilmente il vuoto. Sentì che quel corpicino delicato le stava improvvisamente stretto. E questo era strano, perché c’era nata e vissuta in quel corpicino e le era sempre andato bene. Lentamente, scricchiolando, si alzò dal pavimento. Dondolava leggermente. Decisa, avanzò verso la porta; la bambina ne aveva lasciato uno spiraglio aperto, e la bambola dovette usare tutta la sua piccola forza per ricavarsi un passaggio oltre quella porta. Le altre bambole, intanto, avevano cominciato a mormorare, qualcuna gridare addirittura, e ‘torna indietro!’ e ‘dove vai?’, ma lei non le ascoltava. Si ritrovò nel corridoio, e da lì scese le scale, si recò alla porta d’ingresso e attese; quando uno dei servitori aprì la porta per uscire, corse fuori non vista fra le sue gambe. E, oh, com’era felice ora! Correva sulle sue gambette fragili, dondolando di qua e di là, con i capelli al vento, la gonnellina svolazzante. Corse e camminò per chi sa quanto tempo, ma non fu affatto facile: doveva stare attenta a schivare le automobili, le gambe dei passanti, i cani, le crepe sulla strada, i sassi. Ma ad ogni passo, ad ogni metro guadagnato, si sentiva più libera, più fresca, meno oppressa. Il suo corpicino però era delicato, e si riempiva di crepe. Ma lei non se ne curava, oh, perché mai? Era tutto così bello, così nuovo, lei si sentiva così bene, così allegra!
E allora incontrò Clockwise.
 
«Quindi sei in giro che cammini da giorni? Ma perché? E non hai fame?» domandò il gatto, quanto mai stupito dalla curiosa storia della bambola. Parola sua, non aveva mai visto bambole camminare e parlare e andarsene dalla comoda casa in cui vivevano.
«È che sono così stufa di essere così… Così noiosa, insulsa, uguale a tutte le altre, sempre trattata con i guanti, io voglio vivere come si deve, voglio crescere, ridere e amare, ma non posso farlo con questo corpicino, capisci?»
No, Clockwise non capiva bene, ma si guardò dal dirglielo. Stettero un attimo in silenzio, poi il gatto domandò:
«Di' un po’, ce l’hai un nome?»
La bambola lo guardò accigliata. Un pezzo delle sue gote rosate si staccò e cadde a terra. Ormai era pieno di schegge di porcellana tutt’intorno a loro.
«Devo avercelo, da qualche parte, ma non lo ricordo… Eppure devo avere un nome… Oh, sì, era qualcosa come Angelina, Lily, Lilina, io… » guardò il gatto spaesata. Non ricordava il suo nome. Ma poi, la cosa aveva davvero importanza? In fondo, lei non era più una docile bambolina seduta su uno scaffale: lei si era alzata, aveva viaggiato tutta sola. Ed ecco ancora, quella sensazione opprimente al petto, che si faceva più forte e più forte…
«Poco male, puoi sempre trovartene un altro. Anche perché Angelina non è un gran ché come nome, se vuoi posso aiutarti. Tipo, che ne dici di Landslide? O Nonsense. O Caleidoscopio, Caleidoscopio è carino… »
Ma la bambola non lo ascoltava, era impegnata ad ascoltare le foglie che cadevano, i passi delle persone intorno a lei, il suono della città, la musica della vita, e il battito del suo cuore, il suo cuore, e l’aria che entrava nei polmoni, e allora respirò per la prima volta in vita sua.
E Clockwise interruppe la sua lista e osservò la bambola davanti a lui sorridere e sgretolarsi: il vestito si afflosciò a terra, i capelli caddero, gli occhi di vetro rimbalzarono a terra. Clockwise non capiva, si tolse gli occhiali con una zampa, alzandosi. E dal corpo della bambola, da quello che ne era rimasto perlomeno, vide uscire una coda, e delle zampe e poi una gattina balzò fuori dall’involucro di porcellana. Clockwise non credeva ai suoi occhi. La gatta scosse via le schegge di porcellana dalla pelliccia, e si guardò intorno, felice di quello che vedeva.
«Marauder, Malandrina… suona bene. Sì, direi che da oggi in poi puoi chiamarmi Marauder.» disse, gli occhi azzurri scintillanti. Clockwise si riprese dallo stupore, anche se ancora non credeva a quello che aveva visto. Eppure ecco i cocci…
«Ma-Marauder, sì, bellissimo, davvero… Hum, io sono Clockwise, comunque… » disse, affrettandosi a seguire la gattina grigia che si era già avviata per la sua strada lungo il marciapiede.
Dimenticò i suoi occhiali lì, accanto ai cocci di porcellana, su un marciapiede. 




***
Non ho molto da dire, in realtà. Tutta colpa di Alice nel Paese delle Meraviglie e del troppo caldo che mi impedisce di dormire.
Spero ci troviate un senso, perchè, ne sono certa, da qualche parte un senso
c'è. Da qualche parte. Credo. Per questo l'ho messo in Nonsense, ditemi se dovrei cambiare sezione. 
Hasta la vista!
E.
  
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