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Autore: Kayzen    08/08/2013    1 recensioni
Anastasia ha sempre basato la sua vita sugli imprevisti, affrontandoli a testa alta e con lo sguardo fiero, quello con la quale cerca da anni di annientare l'insicurezza che le attanaglia lo stomaco. L'imprevisto questa volta ha il nome di Alexander Wilkinson e due occhi di ghiaccio da far gelare il sangue nelle vene. La posta in gioco sembra essere parecchio alta se associata a quello sguardo glaciale e a quel sorrisetto impertinente, ma Anastasia, come al solito, si rivelerà pronta ad affrontare anche tale sfida.
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Anastasia aveva spalancato la finestra e aveva sorriso, come una bambina davanti ad un enorme scatola ricolma di caramelle. Quella era la prima pioggia estiva, e l'aria profumava di vita, di natura, quella natura che aveva deciso di farsi cullare da quella strepitosa acqua purificatrice, lasciandovisi avvolgere senza opporre resistenza. Aveva allungato il braccio e aveva lasciato scivolare quelle piccole gocce sul palmo, ammirandole come se fossero piccoli cristalli caduti dal cielo. Aveva guardato il letto ancora sfatto e aveva immaginato sua nonna seduta là sopra, aveva immaginato il suono caldo della sua voce sussurarle che non avrebbe dovuto avere paura di niente, che anche i tuoni non erano altro che nuvole irate verso se stesse, pronte a far pace per lasciar spazio all'arcobaleno. Il suo sorriso però era istantaneamente morto quando aveva dato una veloce occhiata all'orologio appeso alla parete. Era tardi, davvero tardi, non poteva sprecare l'unica giornata libera che aveva a disposizione lasciando scorrere così inutilmente il tempo. Aveva osservato quel lussuoso abito appeso all'armadio e le era improvvisamente venuto un nodo alla gola. Odiava il lusso, quell'eleganza che le donne di classe si portavano dietro come un'aura del tutto naturale. Lei non aveva mai avuto il dono di averla. Anastasia odiava il lusso, ma non perché non se lo era mai potuto permettere, semplicemente non lo desiderava, la semplicità con la quale era sempre cresciuta la faceva sentire completa e al sicuro, non come quei vertiginosi tacchi che era costretta ad indossare quella sera. Aveva maledetto quella cena tra colleghi alla quale era stata invitata. Non avrebbe voluto andarci, avrebbe voluto godersi quell'unico giorno libero con la sua naturale spensieratezza da donna ventenne in cerca di se stessa. Era stato il suo migliore amico a convincerla, minacciandola mentre le puntava con fare inquisitorio la sua matita preferita, quella con il panda sopra, e piombando tre giorni dopo nel suo modesto appartamento con quel dannato abito in mano. Prima che potesse controbattere aveva aperto la sua enorme borsa a tracolla e aveva letteralmente buttato a terra una scatola, la scatola del male, la scatola degli odiosi tacchi assassini. Lei a quella visione aveva alzato il dito medio alla porta ormai chiusa, il terribile boia Andrew aveva ben pensato di darsela a gambe.

- Annalisa! Alla fine sei venuta.
- Anastasia - aveva sussurrato lei cercando di correggere con cortesia il suo interlocutore.
- Oh, fa lo stesso! - aveva esclamato lui senza scomporsi.
- Benvenuta a bordo! - aveva aggiunto un altro.
Fanculo! avrebbe voluto urlare Anastasia. L'unica sua missione era quella di fuggire il più velocemente possibile da quella gabbia di monotoni assassini. Immaginava Andrew mentre cantava per le strade come ogni sera, con il sentimento e l'amore per la musica che accompagnava ogni sua dignitosa giornata. Voleva essere lì come ogni sera, a lei non interessavano i discorsi sulla moda e sulle auto sportive. I suoi colleghi l'avevano invitata a bere più e più volte e lei aveva rifiutato con indifferenza.
- Annalisa, noi usciamo a prendere una boccata d'aria, unisciti a noi, dai!
- Oh, ma certo, arrivo subito, aspettatemi pure là fuori.
Tutti avevano abbandonato il tavolo e Anastasia aveva tirato un respiro di sollievo, sorridendo con aria colpevole davanti alla bottiglia di vino ancora intatta. Aveva lasciato il conto sul tavolo e aveva afferrato quella dannata bottiglia, dandosela a gambe dall'uscita di sicurezza. In vent'anni non aveva mai fatto niente di totalmente sconsiderato, e sentiva che quello era il giorno giusto. Anastasia rideva mentre trascinava quel dannato vestito elegante per le vie piovose di Los Angeles, scusandosi mentalmente con Andrew e mandandolo poi al diavolo insieme al resto dell'umanità. Si era sentita improvvisamente in colpa e aveva deciso di andare a vederlo suonare anche quella sera, infischiandosene della sua ramanzina, era quasi del tutto certa che gliene avrebbe fatto una. Il vino faceva schifo. A una come lei, astemia sino al midollo, avrebbe fatto schifo persino il più pregiato vino esistente al mondo. Aveva però continuato a bere senza sosta, per il semplice gusto di farlo, cercando un pretesto per dimenticare gli assurdi discorsi dei suoi colleghi e pensare positivamente al lavoro che aveva ottenuto dopo anni di fatica e sacrifici. Aveva cominciato a ridere e a canticchiare insieme alla voce del suo amico che ormai sentiva sempre più vicina.

Appena Andrew l'aveva vista, conciata in quel modo, con quella dannata bottiglia in mano, contrariamente alle aspettative di Anastasia aveva riso di cuore.
- Sei ubriaca! Anastasia Lockwood è ubriaca!
Anastasia era riuscita a biascicare solo un ''Vaffanculo'', per poi cominciare nuovamente a ridere senza sosta per nessun motivo apparente, sorreggendo la bottiglia e appoggiandosi al muro più vicino a Andrew e alla sua band. Aveva appena iniziato a suonare la canzone più bella che Anastasia avesse mai sentito. Non sapeva se la considerasse stupenda per l'effetto dell'alcool o per lo sguardo appena incrociato dell'uomo più bello che avesse mai visto. Era duro, severo, uno di quegli sguardi severi verso se stessi e verso il mondo. La stava fissando, ne era sicura. Andrew continuava a cantare quella stramaledetta bellissima canzone incurante di ciò che stava succedendo al di fuori della sua band, al di fuori della sua musica, a Anastasia, mentre lei, avvolta in quel suo lunghissimo abito bianco si era avvicinata agli occhi azzurri di quell'uomo dallo sguardo enigmatico, riuscendo a non barcollare e a sussurrargli:
- Non siamo stelle che risplendono.
- Non ho mai detto che lo siamo - aveva sussurrato l'uomo a su volta prima di lasciarla lì, a volteggiare per quella splendida canzone che sembrava infinita, infinita come la pace che Anastasia era riuscita a trovare in se stessa e nel fondo di quegli occhi in tempesta, quella pace che avrebbe dimenticato molto presto all'alba di un nuovo giorno. Tieni duro, tieni duro aveva urlato a se stessa.

  
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