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Autore: Marti Lestrange    08/08/2013    5 recensioni
[STORIA SOSPESA]
Emma/Hook; long; New York!AU; what if?
Dal capitolo 6:
{– A proposito… Anche io so essere divertente, anche se non si direbbe. Se ti serve qualcuno con cui non essere seria, fammi un fischio.
Le fece l’occhiolino ed Emma sentì le guance prendere inaspettatamente colore. Cosa andava a pensare? Le aveva soltanto proposto di vedersi, qualche volta. Giusto? Non c’era assolutamente niente di allusivo. Proprio no.
- Oh, be’, sicuro – bofonchiò lei guardandosi le scarpe.
- Ci si vede in giro, Swan.}
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Haunted

CAPITOLO 2

 
 
 
~Tribeca, New York – febbraio 2013
 
I suoi passi risuonavano nitidi nel silenzio ovattato di uno sporco vicolo laterale, la decadenza a due passi dall’ostentata opulenza delle strade principali di Tribeca, gli alti palazzi scintillanti e le luci nitide di case abitate e vissute.
Killian si strinse nel suo cappotto blu, alzando con decisione il bavero per proteggersi il collo dal freddo rigido di quel febbraio newyorkese. Quel giorno aveva nevicato, giusto una spolverata bianca sulla città grigia e frenetica, e la neve, seppur tenue, aveva lasciato dietro di sé una coltre di gelo e tristezza.
Si guardò intorno con circospezione, attento che nessuno lo stesse seguendo. Quel biglietto era stato chiaro. Avrebbe trovato alcune istruzioni preliminari proprio lì, in quel vicolo dimenticato da Dio. All’inizio era stato parecchio scettico, non sapendo se rischiare o meno la fortuna e abbandonare il sentiero già tracciato nei suoi piani. Poi aveva deciso di rischiare, facendo affidamento sulla pistola che portava immersa nella tasca interna del cappotto, pronta per essere sfoderata, quasi fosse una spada.
Il fatto è che Killian non si fidava. Non si fidava di nessuno. Forse nemmeno di se stesso, non dopo l’ultima volta…
Un rumore alle sue spalle lo riscosse dai suoi pensieri, che si stavano avvicinando ad una zona pericolosa. Probabilmente un gatto randagio aveva urtato uno dei bidoni della spazzatura in lamiera, posizionati accanto ad una cenciosa porta scura, muffita e quasi abbandonata, come se non venisse usata da tempo.
All’improvviso, un paio di mani lo afferrarono e lo spinsero contro il muro, cogliendolo alla sprovvista. Lo stringevano dal collo del cappotto e non accennavano a lasciarlo andare. Un altro paio di mani gli frugò nelle tasche esterne, senza però trovarvi nulla degno di nota.
« Cosa volete? » esclamò.
Non riusciva a vederli in faccia. I due malintenzionati indossavano dei passamontagna neri e Killian riuscì soltanto a intravedere un baluginio azzurro negli occhi di uno dei due, prima che anche quel colore svanisse nel buio e nell’incoscienza.
Il colpo in faccia arrivò rapido, e un vortice di oscurità e odore di sangue lo invase.
 
 

~

 
 
~Tribeca, New York – febbraio 2013
 
« Agente Swan, il capitano Hunter vuole parlarle. Nel suo ufficio. »
Emma si riscosse dai suoi pensieri, alzando gli occhi dalla sua scrivania e da quel verbale che non voleva proprio scriversi.
Quelle parole le riportarono alla mente un’altra convocazione nell’ufficio di Hunter, qualche mese prima, quando tutto era diventato indistinto e il suo mondo le era crollato addosso miseramente, facendo naufragare tutte le sue aspettative e le sue consapevolezze¹.
Annuì e sorrise alla sua collega. Si alzò in piedi e si diresse verso l’ufficio del capo, in fondo alla stanza. Che diavolo voleva Hunter? Sperò solo di riuscire a cavarsela in tempo per incontrare Graham. Erano in pattuglia insieme, quella sera. La prima volta dopo tanto tempo - la prima volta dopo Neal.
L’ufficio di Hunter era come al solito ingombro di carte e fascicoli, come se contenesse tutto l’archivio della stazione di polizia di Ericsson Place. Insieme a quelli di altre stazioni, probabilmente, a giudicare dai mobili porta fascicoli sparsi qua e là. Il tutto era però catalogato in perfetto ordine, come sempre.
« Agente Swan! » esclamò l’uomo con quella sua voce tonante e burbera. « Entra, entra, e chiudi la porta. »
Emma obbedì e tornò a guardare il capitano. Se l’ufficio era ordinato quasi meticolosamente, la scrivania quel giorno era un piccolo microcosmo caotico. Il computer rifletteva la sua luce sul volto rubizzo di Hunter, che sorrideva. Una tazza di caffè era poggiata accanto ad altre due, presumibilmente vuote, e il liquido al suo interno fumava ancora. Hunter poggiò la penna e si tolse i piccoli occhialini tondi che era solito portare quando gli toccava scrivere qualcosa a mano. Un pacco di fogli fittamente compilati faceva bella mostra di sé davanti ad Emma. Non riusciva a leggere cosa ci fosse scritto, e forse nemmeno le interessava, pensandoci. Una targhetta laccata d’argento recava la scritta “Capitano Miles Hunter” in cubitali lettere nere, quasi marziali nella loro solidità.
« Siedi pure, agente Swan » aggiunse Hunter indicando la sedia di fronte a lui.
Emma avanzò nella stanza, prendendo posto sulla scomoda sedia dall’imbottitura ormai rovinata, appiattita da tanti agenti che avevano preso posto lì davanti prima di lei.
« Come stai, agente Swan? »
La domanda del suo capitano la colse alla sprovvista. Miles Hunter non era noto per fare soventi lavate di capo ai suoi agenti, ma non era noto nemmeno per i suoi modi gentili. Era burbero, scostante, diretto e anche irriverente, quando si impegnava. Trattava tutti allo stesso modo, ma pretendeva anche che tutti lavorassero sodo e collaborassero per il corretto andamento della centrale. Aveva conservato la sua posizione con una direzione diretta e senza giri di parole, sincera e senza favoritismi o antipatie gratuite, come a volte succedeva nell’ambiente. Bastava poco per inimicarsi uno qualunque degli altri direttori, ma Hunter era incorruttibile e non badava alle chiacchiere, ma ai fatti. Emma si era sempre trovata bene, a lavorare con lui.
« Come sto? » ripeté lei, incredula.
« Sì, Swan, come stai? Non mi sembra una domanda difficile, no? »
Ecco che il lato poco gentile di Hunter veniva a galla. Non era noto per la sua pazienza. Proprio no.
Emma si riprese in fretta.
« Sto bene » rispose, forse in modo troppo precipitoso, perché l’uomo, in tutta risposta, si sporse oltre il piano in mogano della scrivania per osservarla meglio e con attenzione, gli occhi ridotti a due fessure dietro gli occhiali sottili.
« Stai bene? Sul serio? Guarda che puoi essere sincera, Swan. Io sono sincero e mi aspetto che lo siate anche voi. Tutti voi. »
Emma abbassò lo sguardo sulle sue dita intrecciate e fece un respiro. Tornò a guardare Hunter.
« Sto bene » ripeté. « Sul serio. Sono sincera. Tornare al lavoro mi ha fatto bene. »
Hunter tornò ad appoggiarsi allo schienale della sua alta poltrona in pelle marrone sgualcita e si grattò i doppi menti.
« Ottimo » rispose. « Se dici di stare bene, mi fido, Swan. È passata una settimana dal tuo ritorno tra noi. Ho saputo che con l’agente Humbert² sembra essere tornato tutto come prima della tua sospensione. »
Davanti agli occhi di Emma apparve per un momento il viso sorridente di Graham, il modo in cui l’aveva accolta, il calore del suo sorriso.
« Sì, l’agente Humbert e io andiamo d’accordo come sempre. Forse più di prima. Sembra capirmi e si fida di me. Sono due cose importanti, per due partner. »
Hunter annuì.
« Bene. Direi che è tutto, Swan. Volevo solo accertarmi che fosse tutto apposto. Sai, non voglio caos, qui. »
« Ma certo » si affrettò a rispondere Emma.
« Stasera tu e Humbert siete di pattuglia, ricordo bene? »
« Esattamente, capitano Hunter. Speriamo che tutto fili liscio. »
« Sperare che tutto fili liscio durante una pattuglia a New York è un eufemismo, mia cara » esclamò Hunter ridendo, poggiando le grandi manone rubizze sulla pancia, accentuata dalla strettissima cintura che portava infilata nei pantaloni blu della divisa.
Emma si sforzò di sorridere, pur non trovandoci nulla di divertente. Hunter sembrava quasi godere all’idea di un movimentato e caotico e avventuroso giro di pattuglia notturno per le strade di Tribeca.
« Ora smamma, devo continuare il mio rapporto, perdiana! » esclamò Hunter facendole un cenno con la mano, la facciona già immersa nelle carte.
Emma non se lo fece ripetere e si alzò in fretta, per poi uscire silenziosamente dall’ufficio. Indugiò per un momento fuori dalla porta, le mani dietro la schiena ancora poggiate sulla maniglia.
La sala principale della centrale era relativamente tranquilla, a quell’ora. Rimanevano alcuni agenti sparsi, impegnati a compilare verbali e registri oppure a discutere su casi e incidenti vari. Alcuni era già usciti di pattuglia, come ogni sera.
Graham l’aspettava dall’altra parte della stanza. Era poggiato alla sua scrivania e teneva tra le mani alcuni fogli, una tazza di caffè abbandonata accanto a lui. Era intento nella lettura. Era concentrato e, come accadeva sempre, le sopracciglia erano aggrottate e ravvicinate, gli occhi intenti a scrutare il foglio e ciò che vi era scritto, la fronte ondulata e il cipiglio serio e intento. Emma ricordava ancora il loro primo giro di pattuglia insieme, quando Graham era arrivato alla stazione di Ericsson Place…
 
 
 
 
 
 
~Tribeca, New York – maggio 2011
 
« Agente Swan, ti presento il nuovo collega, Graham Humbert. »
La voce di Miles Hunter la riscosse dalla sua allegra chiacchierata con Bryce, seduti al piccolo tavolo traballante nella stanza adibita a cucina. Emma alzò gli occhi dalla sua tazza di tè e incontrò quelli caldi e amichevoli del nuovo agente arrivato proprio quel giorno da Boston. Hunter gliene aveva parlato, circa un mese prima, quando il partner anziano di Emma aveva lasciato Ericsson Place per godersi la sua meritata pensione nel New England. Le aveva detto che sarebbe arrivato un nuovo elemento da un altro distretto e, dopo qualche giorno, era uscito fuori che Boston era il luogo di provenienza di questo famoso nuovo collega, del quale però nessuno sapeva nulla di più. Emma aveva cominciato a nutrire una certa curiosità, che venne appagata quel giorno di maggio, in cui New York si risvegliava dal suo letargo e sorrideva alla primavera. Quella mattina aveva fatto una bella corsa a Central Park, in mezzo agli alberi fioriti e alle aiuole traboccanti di fresie e viole, per poi godersi una bella doccia alla centrale e dedicarsi un ottimo e corroborante caffè da Starbucks in compagnia di Matt e Bryce. Una giornata a dir poco positiva.
Il sorriso di Graham la riportò con i piedi per terra. Si alzò in piedi, facendo grattare la sedia sul pavimento in linoleum, e tese una mano al nuovo agente.
« Emma Swan, piacere » esclamò, sorridendo.
« Graham Humbert, piacere mio » rispose lui stringendole la mano.
Emma sentì un calore improvviso irradiarsi dalle loro mani intrecciate, risalire lungo il polso, l’incavo del braccio e la spalla, per poi fermarsi all’altezza del petto. Fu una strana sensazione, come se lei e Graham avessero avuto una connessione silente, un contatto mistico e misterioso e, toccandosi, avessero risvegliato questo legame.
Si tennero la mano più a lungo del necessario, perché Hunter si schiarì sonoramente la gola e a Bryce scappò un sorrisetto quando, sobbalzando, Emma lasciò andare precipitosamente la mano di Graham.
« Bene » intervenne Hunter prendendo in mano la situazione. « Lo so che è un po’ presto, che oggi è il primo giorno, però vi voglio in pattuglia insieme, stasera. »
Emma alzò gli occhi sul capitano, stupita. Lei e Graham, in pattuglia? Da subito?
« Ma, capo… » cominciò, ma l’uomo scosse la testa vigorosamente, incamminandosi verso la porta.
« Non voglio sentire ragioni, Swan. Tu e Humbert avete un’intesa innata, lo hanno capito anche i muri, e non c’è ragione per cui tu non debba uscire in pattuglia con lui, stasera. Quindi lo farai, e basta. Sono stato chiaro? »
Emma annuì, impotente. A volte era sostanzialmente inutile discutere con Hunter. E poi, era sempre e comunque il suo capo, e spettava a lui decidere. Emma lo guardò uscire dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Tornò a guardare Graham, che intanto aveva stretto la mano a Bryce, cordiale. Quest’ultimo gli stava chiedendo come fosse lavorare a Boston e come mai avesse deciso di trasferirsi a New York. Il solito gazzettino, Bryce, pensò Emma. Tra cinque minuti lo saprà Matt, e tutta la centrale.
Okay, lei e Graham avevano una connessione latente, ma ciò non toglieva che lo conoscesse da soli cinque minuti, che non sapesse assolutamente nulla di lui, a parte il suo nome, la sua città natale – sempre che coincidesse con Boston – e il suo aspetto gradevole e avvenente. Oddio, aveva davvero pensato a Graham – il suo nuovo collega– come avvenente?
Scosse la testa e si avvicinò ai due uomini, che stavano ridendo per non sapeva che cosa. Graham si girò verso di lei, il sorriso ancora sulle labbra.
« Vieni, ti faccio fare un giro della centrale » gli disse.
« Volentieri, grazie » acconsentì lui seguendola.
Bryce lanciò loro un’occhiata strana e si risedette al tavolo.
 
 
 
 
~Brooklyn, New York – settembre 2011
 
« Pensavo » cominciò Graham, « che sono passati tre mesi dalla nostra prima pattuglia insieme. »
Emma fermò la macchina di fronte a casa sua e spense il motore. Si girò verso Graham, che la guardava sorridente dal sedile accanto al suo.
Uscire in pattuglia con Graham costituiva ormai una piacevole routine, così come la loro abitudine che vedeva Emma alla guida a fine turno, perché solo lei era in grado di guidare da Tribeca – dove erano soliti pattugliare – a Brooklyn. Graham si godeva il tragitto comodamente seduto accanto a lei, gli occhi chiusi, mentre l’aria della notte gli sferzava il viso. Erano soliti coprire il turno serale, che si concludeva alle due, oppure attaccavano alle due per tornare a casa alle sei, con la luce dell’alba che sferzava il cofano bianco dell’automobile e il caffè bevuto al volo nel piccolo bar sotto casa di Emma.
« Perché questo viaggio sul viale dei ricordi, Humbert? » ironizzò Emma, sconcertata, sfoderando una delle sue inconfondibili smorfie. « Ti serve proprio un bel caffè forte, temo. »
Così dicendo, uscì dall’automobile e Graham fece lo stesso, solo per bloccarla contro la portiera, ostacolandole il passaggio. Emma lo guardò da sotto le ciglia, confusa.
Lavorare fianco a fianco con Graham era normale, per lei. Okay, era un bel ragazzo, anche parecchio affascinante, ma aveva abbandonato qualsiasi mira sentimentale su di lui quasi da subito. E per varie ragioni. Primo, erano colleghi, e per giunta partner: la cosa sarebbe diventata ingestibile e poco professionale. E rischiosa. Secondo, pur essendo invischiata in una strana e particolare relazione con Neal, che sicuramente non l’avrebbe portata da nessuna parte, Emma non se la sentiva di tradirlo, non così. Terzo, e questa cosa era strettamente legata a quella precedente, Graham sembrava un ragazzo serio, non un banale collezionista di cuori. Era solido e razionale, e queste due caratteristiche lo rendevano molto simile a lei. Quartoe ultimo, Graham non sembrava minimamente interessato a lei in termini sentimentali. Si vedeva che un legame particolare li univa e si notava la loro stima reciproca, la loro intesa professionale, e anche umana, ma tutto finiva lì. Era fuori discussione.
Insomma, pensava di aver battuto l’iniziale attrazione fisica che Graham le aveva ispirato, e che sentiva come reciproca. Pensava che gli occhi di lui non avessero più alcun potere su di lei, e che i suoi non reagissero a quel modo, finendo per fissargli le labbra con desiderio. Non sarebbe dovuto succedere, proprio no. E Graham non avrebbe dovuto bloccarla con il suo corpo contro l’auto in quel modo, impedendole di sgusciare via. Era in trappola, e non aveva fatto nulla per evitarlo.
« Che stai facendo? » gli chiese, agitata.
Diavolo, era un agente della polizia di New York! Avrebbe dovuto reagire!
« Voglio fare una cosa » rispose Graham, deciso.
« Quale cosa? »
Graham la guardava, un lampo deciso e acceso negli occhi. Poi si chinò verso di lei e la baciò. Teneva ancora le mani poggiate sulla carrozzeria della macchina. Emma ricambiò il bacio e si sentì leggera, per la prima volta dopo tanto tempo. Baciare Graham era un po’ come bere dell’acqua fresca: naturale e per niente stancante. Certo, doveva ammettere che non aveva provato fin da subito quel brivido, quello che ti fa capire che quella persona è importante, e speciale, ma in modo diverso da tutte le altre alle quali vuoi bene. Voleva bene a Graham, ma forse non le dava quello che lei cercava in tutte le relazioni: l’amore per il pericolo, l’estasi di trovarsi sull’orlo di un precipizio, sempre rischiando di cadere e farsi male. Moltomale.
« Graham » sussurrò Emma sulle sue labbra ancora dischiuse. « Graham, aspetta. »
Graham sollevò il viso su quello di lei, confuso.
« Che c’è? » le chiese. « Avevo capito ti piacesse… »
« Non è per te » rispose Emma.
Fece spaziare lo sguardo intorno a sé, sulla strada poco abitata alle sei del mattino. Scosse la testa.
« Sono impegnata » gli disse, anche se per un momento vacillò, non sapendo bene se fosse stata quella parola – impegnata– oppure la presenza di Graham tutto intorno a lei – bello e vivido. « E lo sai. »
Graham si lasciò sfuggire un sorriso.
« Lo so » rispose, tranquillo. « Lo so e non mi importa granché del tuo fidanzato. »
Emma rimase in silenzio, mordendosi le labbra, indecisa.
« Sai anche che non dovrebbe succedere. Non dovremmo farlo. Siamo partner. »
« So anche questo. »
« E non ti importa? Nemmeno delle conseguenze se qualcuno dovesse scoprirlo? »
« Si sono accorti tutti di quello che provo, Emma. Hanno notato tutti come ti guardo. Che importanza ha? »
« Ha importanza, Graham! » esclamò lei strofinandosi la fronte stanca con una mano. Era stravolta dal giro in pattuglia e sentiva ogni singolo pezzo del suo corpo andare a fuoco, sia per la stanchezza, sia per la forza di volontà con la quale teneva Graham a distanza di sicurezza. Non sarebbe riuscita a resistergli ancora a lungo. Ed era anche stufa di mantenere quella parvenza di controllo che la contraddistingueva. Voleva lasciarsi andare.
Mandò all’aria ogni cautela e, chiudendo la macchina dietro di sé, prese Graham per mano e lo condusse a passo spedito verso il portone di casa.
« Che stai facendo, Swan? » chiese lui, sbalordito.
« Mando all’aria ogni cautela » rispose lei inchiodandolo contro la parete dell’ingresso debolmente illuminato. « Ho appena deciso che non mi importa. »
Così dicendo lo zittì con un bacio, per poi trascinarlo al piano di sopra.
 
 

~

 
 
 
~Tribeca, New York – febbraio 2013
 
« Stanotte sembra che sia tutto tranquillo, qui » commentò Graham mentre guidava la macchina lungo Warren Street. Sembrava tutto apposto, in effetti.
« Già » commentò soltanto Emma.
Non aveva granché voglia di conversare, quella sera, nemmeno di argomenti lavorativi. La conversazione con Hunter l’aveva lasciata in uno stato confusionario e interdetto: perché tutti continuavano a chiederle come stava? Non era reduce da un incidente mortale, non aveva rischiato la vita e non era stata misteriosamente rapita da una qualche remota popolazione aliena venuta a conquistare il pianeta Terra. Insomma, era perfettamente in grado di affrontare la realtà e ricomporre la sua vita, nonostante il tornado che l’aveva sconvolta nell’ultimo anno. Neal era un capitolo chiuso e richiuso, ormai. Aveva riposto i suoi ricordi in un cassetto della mente, che aveva poi chiuso a chiave. E progettava di gettare quella chiave nell’East River, così non l’avrebbe mai più ritrovata.
In quel momento, un movimento indistinto richiamò la sua attenzione. Sembrava ci fosse qualcuno, in un piccolo vicolo laterale sulla destra. Qualcuno steso a terra, qualcuno che stava cercando di rialzarsi, inutilmente.
« Ferma la macchina! » esclamò ad alta voce.
Graham sobbalzò sul sedile del guidatore e inchiodò lateralmente su Warren Street, proprio davanti ad un vecchio cinema abbandonato.
« Che succede? » esclamò a sua volta.
Emma non rispose, si limitò a scendere precipitosamente dalla macchina, diretta verso il vicolo. Sentì Graham imprecare dietro di lei, ma non le importava. La serata si stava nettamente movimentando, non si sarebbe fatta scappare un po’ d’azione. Con un po’ di fortuna – o sfortuna, a seconda dei punti di vista - quella persona era stata aggredita, e il suo assalitore poteva essere ancora lì intorno. Presupposti perfetti per un bell’inseguimento in notturna.
« Emma » sentì che Graham la chiamava, seguendola. Lei non si girò, anzi, tirò fuori la pistola, circospetta.
C’era davvero qualcuno accasciato sul selciato freddo e umido della neve che era caduta quella mattina. Era un uomo più o meno della sua età, dai corti capelli neri. Indossava un pesante cappotto blu di pregiata fattura, quindi non doveva trattarsi di un malvivente. Il cappotto era tutto inzaccherato e sporco. Stava poggiato contro la scarna parete di mattoni rossi del vecchio cinema, proprio sotto un vecchio poster de “Il Gladiatore” ormai sbiadito. Si teneva lo stomaco: probabilmente era stato preso a pugni o calci. Probabilmente gli assalitori erano almeno in due, considerata l’entità delle tumefazioni e delle ferite sul volto. Respirava quasi a fatica. Alzò lo sguardo quando sentì i passi di Emma avvicinarsi. Gli scappò un sordo lamento, prima di scivolare a terra, senza più forze per resistere.
Emma gli si inginocchiò accanto, mentre Graham controllava il vicolo, assicurandosi che non ci fosse nessuno. Emma poteva sentire i suoi passi sicuri e controllati sull’asfalto. Era sempre cauto, Graham. Non come lei.
« Hey » sussurrò all’uomo, che si mosse leggermente, girando il viso verso di lei, gli occhi scuri vacui e stanchi. « Va tutto bene. Siamo della polizia. »
Graham tornò accanto a lei e Emma alzò gli occhi su di lui, in una muta richiesta che faceva parte del loro codice silenzioso, ormai. Graham scosse la testa. Non c’era nessuno, lì intorno. Non c’era nemmeno qualcuno che avrebbe potuto assistere alla scena, o vedere gli assalitori. Nessuno. Cosa ci faceva quell’uomo in quel vicolo, allora? E chi l’aveva assalito? A due passi da Warren Street, per giunta.
« Come si chiama? » continuò Emma rivolta all’uomo, mentre Graham tornava alla macchina per farsi mandare dei rinforzi.
L’uomo la guardò, poi socchiuse leggermente la bocca, e una voce profonda, anche se annebbiata dal dolore, le rispose fievolmente.
« William Jones³. »
« Bene, signor Jones, abbiamo chiamato un’ambulanza, la porteremo nel più vicino ospedale. Andrà tutto bene. »
Jones le rivolse un’ultima occhiata, prima di scivolare completamente nell’incoscienza.
 
 
 
Note
 
1)    Il dialogo al quale mi riferisco è quello presente nel capitolo uno.
2)    Humbert è il vero cognome di Graham nella serie.
3)    William Jones non è altro che la finta identità di Killian Jones, il nostro Hook. Ovviamente scopriremo qualcosa in più su di lui a tempo debito. Ringrazio Will Turner de “I Pirati dei Caraibi” per avermi suggerito il nome ;-)

 
 
 
Eccomi qui con il secondo capitolo. Finalmente, direi anche! Scusate se vi ho fatto attendere tanto, ma mi ha assalita un blocco da long difficile da sconfiggere. Poi, l’altro giorno, ho deciso di mandare al diavolo tutto e tutti, ho aperto Word e, dopo un’iniziale difficoltà, il capitolo si è praticamente scritto da solo.
In questo capitolo andiamo indietro nel tempo, con ben due flashbacks sul passato di Emma e sulla sua relazione con Graham. Hook viene pestato da questi due ceffi, e non sappiamo bene chi siano e cosa vogliono. Anche in questo caso, scopriremo tutto più avanti. Lo sapete che la figura di Hook è invasa dal mistero, no? :3 Infine, il primo incontro tra la nostra Emma e Killian/William.
Che ne dite? Lo so che il capitolo è transitorio, non succede nulla di che, e per leggere di un primo, vero contatto tra i due dovremmo attendere il prossimo capitolo, però insomma, fatemi sapere. Ci tengo in modo particolare a tutti i pareri.
 
Colgo l’occasione per ringraziare le 12 persone [12? Cioè, non me ne rendo conto *^*] che hanno messo Haunted tra le seguite, e anche chi ha recensito, lasciando un passaggio, chi mi ha dato suggerimenti, appoggio e incoraggiamento, chi segue/legge silenziosamente, e chi semplicemente mi ha spronata a continuare. Vi adoro!
 
Al prossimo capitolo!
 
Vostra, Marti


ps come sempre, mi trovate qui ---- > https://www.facebook.com/groups/503476756335143/
 

   
 
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