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Autore: past_zonk    08/08/2013    2 recensioni
E, anche se in questo momento non riesci a ricostruire il tutto, non riesci a ricordare come ti sei ritrovato lì, in quel bunker, con un corpo freddo e pesante sulle ginocchia e le tue nocche bianche dallo sforzo di stringere la collottola della sua camicia, anche se non ti sembra possibile, e ti sembra tutto surreale, c’è un perché.
E c’è una storia dietro. E sarebbe oltraggioso non ricordarla, non ripercorrerla passo dopo passo. Sarebbe dimenticare, e se c’è qualcosa che hai imparato, è che dimenticare vuol dire scostarsi da quella persona, eliminarne il ricordo. E tu non vuoi eliminare il ricordo di Jiyong, non vuoi dimenticare quanto sia stato coraggioso, non vuoi che questa guerra finisca, le ferite del paese si rimarginino, e nessuno sappia del coraggioso Jiyong, di come ora sia freddo e pesante sulle tue ginocchia.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: G-Dragon, T.O.P., Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Quindi...eccomi qui, pronta a pubblicare una nuova fanfiction in questa categoria. Sto già scrivendo sui Bigbang una storia (una decisamente più semplice di questa, ma dopotutto, qualsiasi cosa sarebbe più semplice di questa qui, argh), Bad Boy. Ma, sarà l'ispirazione, sarà l'autolesionismo psichico a cui mi sottopongo, ho deciso di iniziare un'altra longfic.
Sui Bigbang.
In guerra. Angst.
Sì, lo so. Vi aveva già fatto soffrire Top con 71: into the fire. Ora mi ci metto anche io, già. Sono una stronza.
Prima di lasciarvi alla storia, vorrei dare un paio di precisazioni.

a) Prima di tutto, la situazione narrata, la guerra appunto, non viene dipinta in maniera molto realistica. Parlandoci chiaramente: siamo nel 2013, e se solo scoppiasse una guerra, sarebbe già finita a causa dei rifornimenti di armi nucleari dei vari paesi. Non sarebbe una guerra con soldati e fucili e sparatorie. Ne sono cosciente.
Comunque, ai fini della storia, mi sembrava più adatto dipingere qualcosa del genere.
b) Visto che ci sono abituata, ad essere accusata di cinismo,  a causa di un'altra mia fanfiction sui Muse, Wires (in cui il protagonista affronta l'AIDS), vorrei solo dire un paio di parole: non mi diverte scrivere certe cose. Non lo faccio con cattiveria, o augurando - come mi è stato tramite MP additato - ai personaggi la sorte che affrontano nelle mie storie. Lo faccio per me stessa. Per superare certi miei limiti, e dipingere storie, sì strazianti, ma con una morale. Certo, prendo in prestito un gruppo coreano per farlo, ma il messaggio resta lo stesso (oddio, ora non voglio sembrare arrogante, cioè, ngh, io ci provo, tutto qui :c)
Quindi, se non vi piace leggere di morte, violenza, disperazione, uscite da questa fanfic, non vi biasimo, anzi :) peace&love
.

Ok, direi di essere pronta, ora. Scusate lo sproloquio!

Mini GD, questa è tutta per te! Grazie di tutto, babe :)
Silvia.















Prologo.

 

 
Metti una notte afosa, l’aria irrespirabile, una stanza stretta, un bunker,  tante persone accalcate. Metti un neonato che piange senza fermarsi a prendere fiato, ininterrottamente, la madre che trattiene anch’ella a stento le lacrime, e un tuo amico - viso sporco di cenere e polvere e sangue, occhi a mezzaluna e sorriso forzato- che cerca di farlo ridere.
Gli occhi di tutti sono sul tuo viso. Sulla tua espressione impassibile e vuota.
Per dirla tutta, gli occhi di tutti sono puntati su quello che stringi fra le braccia, con insistenza, da circa tutta la notte. Perché, per essere precisi, quello che stringi fra le braccia da circa dodici ore è il corpo inerme del tuo migliore amico.
E comincia a farsi pesante.
Comincia a pesare sulle tue gambe, a farsi sempre più freddo, freddo e pesante. E non gli hai neanche abbassato le palpebre, no, non hai permesso a nessuno di toccarlo.
Perché se solo qualcuno provasse a sfiorare il volto di Jiyong, sarebbe come ammettere che sia morto. Invece no, vedete? E’ tutto perfettamente tranquillo.
Ci sei tu, con le spalle scottate dal sole poggiate contro il muro che ogni tanto si sgretola sotto il peso di qualche carrarmato che sta passando in superficie, e c’è il corpo del tuo migliore amico, che sta dormendo, perfettamente tranquillo, sulle tue gambe.
Non c’è nulla di sbagliato.
Allora perché, proprio in questo momento, mentre Daesung improvvisa un’ennesima faccia buffa verso il neonato, fai come per urlare, prendendo fiato? Se sta dormendo, Jiyong, con i capelli ancora attaccati alla fronte dal sudore, allora perché non riesci ad urlare a Daesung di stare zitto, di smettere di sperare? Perché non hai più la forza di fare nulla? Un urlo muto è dipino sul tuo viso.
La verità, Seunghyun, è che Jiyong è morto. Così come tutte le altre vittime di questa guerra.
E, anche se in questo momento non riesci a ricostruire il tutto, non riesci a ricordare come ti sei ritrovato lì, in quel bunker, con un corpo freddo e pesante sulle ginocchia e le tue nocche bianche dallo sforzo di stringere la collottola della sua camicia, anche se non ti sembra possibile, e ti sembra tutto surreale, c’è un perché.
E c’è una storia dietro. E sarebbe oltraggioso non ricordarla, non ripercorrerla passo dopo passo. Sarebbe dimenticare, e se c’è qualcosa che hai imparato, è che dimenticare vuol dire scostarsi da quella persona, eliminarne il ricordo. E tu non vuoi eliminare il ricordo di Jiyong, non vuoi dimenticare quanto sia stato coraggioso, non vuoi che questa guerra finisca, le ferite del paese si rimarginino - ma le tue mai, le tue ferite non scompariranno mai, ne sei sicuro -, e nessuno sappia del coraggioso Jiyong, di come ora sia freddo e pesante sulle tue ginocchia.
Forse è per questo che chiudi gli occhi, e inizi a riordinare il discorso, a ricordare di quando tutto era più facile, di quando il mondo vi sorrideva da sotto un palco, di quando eravate ancora I Bigbang. E poi inizi a ricordare di questa guerra. Dell’arruolarsi.
TI schiarisci mentalmente la gola.
Per un attimo dimentichi di Jiyong freddo e immobile, e voli lontano, a ciò che sembra lontanissimo, ad un anno più indietro...







Capitolo primo.

 
Non ti sei mai chiesto se fosse durato; forse è per questo che è durata così tanto, quest’avventura. Non hai mai chiuso gli occhi, hai sempre saputo che sarebbe bastato un momento, un soffio, per perdere tutto. Per questo, ogni notte, ogni concerto, lo vivevi come fosse l’ultimo.
Perché hai sempre pensato di non meritare nulla, e per te tutte quelle persone che ti sorridevano da sotto il palco erano folli, semplicemente folli, perché neanche tu stesso saresti riuscito a sorriderti in quel modo.
Ed è per questo, che ti continuavi a ripetere, imperterrito, che un giorno sarebbe finita.
Non lo dicevi agli altri - la vedevi, quella felicità, nei loro occhi, e non volevi guastarla con le tue paranoie -, lo sussurravi a te stesso, la notte, in silenzio, nel letto.
Sussurravi: non crederci.
E ancora: non affezionarti.
Ed era così che ti addormentavi, ogni notte, gustando quegli attimi di bellezza e vita perfetta.
Ecco perché, quando Jiyong ti si avvicinò e, con sguardo mesto, borbottò “Il nostro ultimo concerto...”, non ne sentisti tutto il peso e la disperazione.
Nel camerino c’era più silenzio del solito.
Vi guardavate tutti negli occhi come per darvi forza. Cercavate il tocco l’uno dell’altro, abbracciandovi in silenzio, rendendo l’aria meno fredda. Avevate paura.
Paura di cosa sarebbe successo dopo.
Seungri piangeva in silenzio, Taeyang, labbra strette e occhi fissi, gli carezzava le nocche  mentre guardava il vuoto.
Avevate spento la televisione, per non sentire le solite notizie, i soliti servizi su come prepararsi all’imminente guerra. Vagavate in un bozzolo tutto vostro.
Per un momento, ti sembra quasi stupido, ammettilo, Choi Seunghyung: ti sembra assurdo arrangiare un concerto in un momento come questo. Ma le persone, le vostre persone ne hanno bisogno; sarà probabilmente l’ultimo momento felice della loro vita. Ed è molto egocentrico, come pensiero, ma ti senti bene a concepirlo.
Sono l’ultimo momento felice di una persona.
Jiyong fa un respiro profondo, raduna attorno a sé il gruppo, si schiarisce la gola, e con voce commossa urla “BIGBANG!”
Dopo una lunga pausa, in cui vi guardate a lungo e a fondo, mormora “Insieme. Probabilmente per l’ultima volta”.
E quasi ti viene da ridere, pensandoci. Jiyong è sempre stato così teatrale...
Seungri tira forte su col naso, ma sorride a modo suo. Daesung è spaventato, a morte. Taeyang silenzioso. Jiyong sorride in quel modo un po’ tremolo che appartiene solo a lui, con i denti in vista e le labbra irrequiete.
E tu?
Tu semplicemente li abbracci tutti. Forte. Senti i tendini scattare. Le mascelle serrarsi. Registri i loro odori, persino, perché sono la tua famiglia, e t’hanno fatto sentire giusto quando invece ti sentivi niente.
Li abbracci forte, e decidi di vivere anche questo concerto come fosse l’ultimo.
Perché, come ha detto Jiyong, probabilmente sarà sul serio l’ultimo.
Chiudi gli occhi e sei sul palco.
 



 
Chiudete il concerto con Heaven.
Avete tutti le lacrime agli occhi quando iniziate a saltare, saltare, senza fermarvi mai, e il vostro pubblico con voi.
Perché è questo che volete dirgli: Il paradiso, anche se scontato ogni giorno pensando di non meritarselo, siete stato voi.
Silenziosi o urlanti, eccentrici o timidi, sempre lì a sostenervi. VIP.
E’ per questo che non vi fermate, e vorreste che la canzone non finisse mai, e piangete ma continuate a cantare.
Sadness
happiness
tears.
Sky.
stars

and you, fools.
Loro, proprio loro, che ora stanno piangendo con voi. Che hanno il cuore spezzato in questa notte di luna piena. Che vivono per l’adrenalina di questo momento, che gustano come mai prima d’ora questi momenti, che per ventiquattr’ore ancora sono liberi.
Un ultimo sguardo commosso alle mille luci che non finiscono di brillare nella notte. Un ultimo sorriso donatovi da una transenna.
Un ultimo “Vi amo” che mormorate, uno ad uno, tutti e cinque, al vostro mondo, prima di uscire di scena e schiantarvi con forza contro la dura e tagliente verità.
 



 
Non ricordi quand’è stata l’ultima volta che hai dormito a casa dei tuoi. Probabilmente avevi diciassette anni. Ti rattrista non ricordarlo.
Tutti, Jiyong, Youngbae, tutti hanno fatto ritorno a casa per dei periodi. Tu no. Sapevi che se fossi ritornato, anche per un giorno, non saresti riuscito ad affrontare di nuovo la tua vita solitaria. Ti sarebbe bastato poco, per mollare tutto il resto - sentire l’odore della colazione di tua madre e tua sorella maggiore urlare “il bagno è occupato!” perché, dai, lo sanno tutti che avete perso le chiavi anni fa e tuo padre ripete sempre che dovrebbe cambiare la serratura...
Ti basterebbe un attimo per essere investito da troppe sensazioni, troppa malinconia, troppo, per tornare indietro.
Eppure non odi la tua vita. Anzi. Ti ritieni una persona estremamente fortunata, ed ami il tuo lavoro. Lo ami davvero. Non avresti abbassato la testa davanti a così tante rinunce - come avere una storia d’amore normale o prendere un caffè in pace - se non fosse stato il tuo sogno.
Rientrare nella tua vecchia stanza è stato un momento strano. Tua madre non ha toccato niente, sembra di tornarci dopo le vacanze - una vacanza molto, molto lunga. Sei sicuro di trovare anche alcuni dei tuoi vecchi vestiti aprendo l’armadio, e infatti è così. Quelle maglie così larghe e slabbrate... Ridacchi ai ricordi che portano con sé.
Jiyong ne avrebbe riconosciuto sicuramente un paio...
Il tuo letto è scomodo come sempre, ma ti piace così. Puoi osservare qualche foto appesa al muro, e pensare a quanto tu sia cambiato.
Chissà cosa direbbe ora quel ragazzino rabbioso e sovrappeso di te. Sarebbe fiero? Sorpreso? Probabilmente guardarebbe con orrore quei vestiti costosi ed eleganti che non indosserebbe mai. A lui bastavano jeans extra-large e bandane per andare in giro e rappare fra quelle strade scure. Chissà...
Tua madre sembra essere invecchiata di vent’anni quando le hai dato la già ovvia notizia. Che saresti andato in guerra, le hai detto, come ogni uomo sudcoreano, e che, no, non saresti scappato via. Hai visto le rughe attorno ai suoi occhi, quelle d’espressione, le stesse che hai tu, infittirsi e divenire più pesanti, come se ci fosse un macigno sulle sue tempie. Ti ha fatto male.
Tuo padre ha preso un altro sorso di vino ed ha annuito, perfettamente conscio di non poter combattere questa guerra per te.
“Hai già combattuto tanto per me, papà. Ora tocca a me.”
E davvero, davvero sai di non poter sfuggire a tutto ciò. Perché avresti combattuto una guerra ben peggiore di questa, scappando. Ed è una vita che combatti con te stesso, Choi Seunghyun.
E’ una vita che ti prepari.
E’ una vita che ti guardi allo specchio e aspetti di vederti comodo in te stesso.
Sospiri. Guardi il soffitto della tua cameretta, qualcosa ti trema nello stomaco.
Quasi ti spaventi, quando qualcuno bussa alla tua porta - un paio di rintocchi ritmici che formano un ritornello conosciuto, una vecchia parola d’ordine fra te e tua sorella.
“Hye Yoon...entra” dici.
La porta si schiude per far entrare una figura minuta che dicono ti somigli tanto. Un sorriso timido e carino, e poi si lancia come suo solito affianco a te sul letto.
“Seunghyuun...! Sei qui, piccolo.” Non sopporti l’appellativo, ma sei il maknae qui in famiglia e immagini ti spetti, quindi non dici nulla a riguardo.
“Hye Yoon, sei sempre molto bella”
Tua sorella ridacchia mentre ti abbraccia. La stringi a te e le posi un bacio sulla nuca.
“Come va con il tuo ragazzo?” le chiedi.
“Non capisco come, nonostante tutto, continui a comportarti tu come il fratello maggiore”
Ridi roco “Perché sei una bambina”
All’improvviso il suo volto si fa scuro “...Si arruola”
Ritrai gli occhi e guardi di lato, in silenzio.
“Io...” inizia Hye Yoon “Io non posso sopportare di perdervi entrambi...N-non...non andare, Seunghyun”
Deglutisci.
Non sei bravo a parlare. Mai stato.
“Hye Yoon...” le carezzi la guancia “Devo.”
Le ti abbraccia.
E’ allora che senti un principio di paura cominciare ad insidiarsi dentro te.
Saidi morire.
Niente potrà impedirlo.
Passate molto tempo in questa posizione.
Tua sorella piange, e mentre lo fa, tu ti addormenti.
 




Si erano ritrovati tutti a casa sua, quella sera. L’aria era fresca, tipica di quel periodo dell’anno. A Seunghyun era sempre piaciuta, la primavera; i fiori gli solleticavano il naso e il sole gli riscaldava la pelle. Per un attimo gli sembrava che tutto andasse per il meglio, anche se non era esattamente così.
Jiyong era steso sul suo letto; se Seunghyun provava a socchiudere gli occhi, gli sembrava proprio di trovarsi indietro di una decina di anni. Tutto era sempre così lento e calmo, rispetto ad ora, anche se a quel tempo gli sembrava di essere trasportato da un’onda anomala o un forte vento senza alcuna meta.
Erano stati dei ragazzi senza alcun limite, avevano vissuto delle situazioni talmente allucinate da ridere anche solo a guardarsi in faccia.
Seungri stava scavando fra le sue cose, aveva trovato dei fogli nella sua scrivania, vecchie rime ed appunti, ed ora li stava leggendo, tutto concentrato. Youngbae guardava la strada dalla finestra, pensieroso. Daesung invece era rimasto in cucina, a discutere con sua madre.
Sembravano un gruppo di adolescenti senza casa.
Seunghyun si sedette sul letto affianco ai piedi di Jiyong. Lui fissava il soffitto con sguardo vacuo e vuoto. Chissà in quali ricordi stava navigando…
In quei giorni di stasi, si sentivano tutti sul filo del rasoio, pronti a cadere in un baratro interminabile, e stavano vagliando i ricordi delle loro vite, come per fare un bilancio. Nelle strade si respirava ansia, i volti della gente erano grigi, potevi camminare tranquillamente senza essere fermato per un autografo, perché, in effetti, con le ultime spese e i preparativi da fare, chi diavolo pensa ai Bibgbang, ormai, a Seoul?
Era quasi un pensiero confortante, ritornare ad essere come prima. Poter sorseggiare un caffè in totale tranquillità, mentre una coppia parla in silenzio al tavolo affianco. Li sentiva, Seunghyun, tutti quei discorsi di tristezza e abbandono. Camminando per le strade di Seoul, poteva sentire addii in ogni angolo scuro. Ad ogni stazione, sotto ogni albero, su ogni panchina; addii sospirati e pianti.
Lui avrebbe detto addio a davvero poche cose; dopotutto, non aveva nessuno a cui dedicare il suo futuro e il suo amore, non ancora. Sperava di non dover dire addio ai suoi amici.
Sperava di non dover perdere nessuno dei suoi famigliari.
Sperava di essere abbastanza da proteggere entrambi.
E allo stesso tempo diceva a se stesso di non illudersi, di non ferire se stesso volendo fare l’eroe senza riuscirci, di non esitare a salvarsi la vita e sopravvivere.
La cena fu un momento molto vivace. Sembrava ritagliato fuori da quella giornata malinconica.
I suoi genitori e amici discutevano allegramente, di questo e di quello. Venivano raccontati aneddoti di tour da Seungri, sempre permeati da una pellicola di nostalgia, e tutti sorridevano e si guardavano. Sua sorella serviva gentilmente le porzioni, e tutti la ringraziavano. Tutto sembrava essere perfetto.
Seunghyun voleva non finisse mai.
Le persone che più amava nella sua vita erano raccolte alla stessa tavola, e lui li osservava in silenzio, come fossero un piccolo miracolo di vita quotidiana, qualcosa che sentiva già gli sarebbe mancato, qualcosa di cui aveva nostalgia anche ora, anche mentre lo viveva. Ogni secondo che passava lo allontanava da quel quadro perfetto, e quando si fu fatto tardi, e ognuno di loro cominciò a congedarsi, Seunghyun sentì che tutto era perduto.
Li accompagnò alla porta, annuendo e inchinandosi educatamente verso ognuno di loro, come sua madre gli aveva insegnato tempo fa, ripromettendo di rivedersi ai campi d’addestramento, di risentirsi, di non lasciarsi andare.
L’ultimo ad uscire fu Jiyong.
Sorrise un po’ sbilenco, rivolto verso il pavimento. Aveva paura.
“Jiyong…”
“No, lascia stare. Non preoccuparti” sorrise ancora, triste, e quando alzò lo sguardo a guardare Seunghyun, c’erano delle lacrime avvallate nei suoi occhi. Sorrideva e sorrideva, anche mentre una lacrima gli solcò il viso, e la sua mano andò a coprirgli la bocca. Ancora sorrideva, lo vedeva.
“Jiyong, puoi evitare tutto questo”
Un’altra lacrima gli traversò la mano.
“Chiedi la seconda cittadinanza, evita di arruolarti, va via. Nessuno ti giudicherà, Jiyong”
Jiyong lo guardò con tutta la paura che aveva dentro. Era folle. Lo guardò abbastanza a lungo da fargli venire i brividi, da fargli contorcere le viscere. Nei suoi occhi era dipinta una disperazione mai vista prima.
“No, non voglio” mormorò, prima di voltarsi. Le sue spalle tremavano impercettibilmente.
“Jiyong…!” lo abbracciò di spalle, lo abbracciò forte, e lui si voltò a stringergli il busto. Lo abbracciò come si abbraccia un figlio, coprendolo col suo corpo. Lo strinse come si stringeva una persona da proteggere.
Un ultimo singhiozzo, e poi Jiyong si staccò dal contatto. Si voltò di nuovo di spalle.
“Solo…non voglio perdervi”
Non aveva paura per se stesso, proprio come lui. Perché la paura più viscerale degli uomini è quella per le persone care, quella di perderle, di vederle volare via davanti agli occhi.
Mentre Jiyong si avviava a passo veloce verso l’auto, Seunghyun non poté vedere la sua espressione, non poté vedere la profonda rottura interiore che si andava a formare sui suoi tratti.
Non importava, comunque, perché era la stessa espressione che aveva dipinta sul suo stesso volto.








   
 
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