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Autore: Song20    09/08/2013    0 recensioni
Il suono dell' ambulanza, i paramedici che urlano e dicono cose incomprensibili, il volto di mia madre, il corpo di mio padre non ricordo neanche più come erano prima di quel momento, prima della distruzione della mia pace, del posto che chiamavo casa, delle persone che chiamavo famiglia. Ora l’unica cosa che ricordo sono le pareti bianche dell’ospedale e i visi delle infermiere che quasi mi guardano con orrore quando cambiano le bende del mio volto deturpato; loro cercano di nasconderlo ma io so che mi ripudiano, che le disgusto
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Kai, Kai
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il suono dell' ambulanza, i paramedici che urlano e dicono cose incomprensibili, il volto di mia madre, il corpo di mio padre non ricordo neanche più come erano prima di quel momento, prima della distruzione della mia pace, del posto che chiamavo casa, delle persone che chiamavo famiglia. Ora l’unica cosa che ricordo sono le pareti bianche dell’ospedale e i visi delle infermiere che quasi mi guardano con orrore quando cambiano le bende del mio volto deturpato; loro cercano di nasconderlo ma io so che mi ripudiano, che le disgusto. Del resto e lo stesso effetto che faccio a me stessa. Mi guardo in quello specchio e vorrei romperlo in mille pezzi perché della persona che ero non è rimasto nulla, solo l’ombra, solo una bambina spaventata che ha troppa paura di parlare per non essere cacciata dall’unico posto dove davvero si sente al sicuro, dove so che il passato non può raggiungermi perché di quello che è successo ne è solo mia la colpa. Uno dei tanti giorni che sto qui dentro, le mie ferite sono molto migliorate ma il mio volto è rimasto deturpato e quella cicatrice non andrà mai via resterà indelebile come quello che è successo. Oggi la mia infermiera ha detto che verrà un nuovo dottore a visitarmi per vedere cosa c’è in me che non va e perché io non parli; in realtà nessuno capisce che in me non c’è nulla che non vada solo che non voglio, non voglio parlare ed essere costretta a raccontare, mi piace anche così. Amo ascoltare le persone dalle più sciocche alle più complesse però purtroppo la mia infermiera è una della prima categoria. “Hai sentito? Hanno detto che il dottore che ti deve visitare è davvero carino, non sei contenta? Io non vedo l’ora di vederlo.” Se fossi stata un oca giuliva che ci prova con tutto quello che respira, sì, non avrei aspetto altro che vedere questo bel dottore di cui tutti parlano, anche se forse avrei ferito i suoi sentimenti, gli avrei tanto voluto rispondere in quel modo ma per fingermi una brava ragazza, sorrisi e annuì cortesemente a quella donna che infondo infondo non era così male. Ah, per pura privacy in questo breve racconto non vi dirò il mio nome, anche perché preferivo quello che mi aveva dato lui anche se ricordavo perfettamente il mio. Dal primo momento che lo vidi c’era qualcosa di strano in quel ragazzo, lo trovavo diverso dagli altri, aveva un sorriso bellissimo, un viso altrettanto splendido e tanto altra bellezza che io non sarei riuscita neanche mai ad immaginare. Vederlo mi affascinava ma allo stesso tempo lo ripudiavo perché averlo così vicino mi ricordava ancora di più il mio insano aspetto. Infatti ogni volta che mi guardava tendevo sempre ad avere il volto basso per non guardarlo, anche se ogni volta che potevo mi divertivo a spiarlo, anche il giorno del nostro primo incontro o dovrei dire seduta, fù così. Sentì un grande vociare fuori dalla mia stanza naturalmente erano le infermiere, stava per entrare la persona che avrebbe dovuto “aiutarmi” anche se io di aiuto non ne volevo affatto, però ci tenevo intensamente a guardare dritto negli occhi quella persona. Tenni fermo lo sguardo sulla porta che piano piano scorreva nei passanti per aprirsi, ed eccolo. Per un misero istante, sgranai i miei occhi color pece e subito dopo quando mi si avvicinò abbassai il volto facendo finta di leggere una rivista che mi aveva portato un infermiera. Nello stesso istante lui mi si parò difronte e cominciò con il presentarsi, incredibile anche la sua voce era bella. “Ciao, che leggi? Io sono Jongin e da oggi e io e te passeremo tanto, tanto tempo insieme. Sarò il tuo peggiore incubo, sarai così stanca di me che parlerai solo per liberati di me.” Risi appena, ma non perché era divertente quello che aveva detto ma perché lo trovavo deprimente, qualunque donna sana di mente vorrebbe che un uomo del genere fosse il suo peggior incubo. Lui naturalmente scambiò la mia risatina per una risata divertita da quello che aveva detto, infatti credo che ne fù sodisfatto e dico credo, perché non lo guardai in viso, fissavo la mia rivista aspettando che lui se ne andasse, però per mia sfortuna non fù così. Anzi compresi che aveva intenzione di restare quando si accomodò su una delle sedie della mia stanza, mi guardò per qualche minuto, forse stava osservando il mio volto sfigurato ma quando riparlò mi resi conto che non era così. “Mh, deve essere interessante quella pagina, ci stai da quando sono entrato. Posso vedere?” Una lieve senso di vergogna mi prese allo stomaco, in realtà in quella pagina c’erano solo varie figure di animali e pochi trafiletti. Se gliela avessi mostrata magari mi avrebbe creduta anche analfabeta oltre che muta. Così feci l’unica cosa che sapevo fare bene lo ignorai sperando che come gli altri dottori se ne andasse, invece lui restò li a fissarmi in silenzio. Forse stava scrutando i miei comportamenti infondo un psicologo è quello che fa osserva, non sopportavo di essere guardata in quel modo da quegli occhi e così mi copri d’istinto il volto. A quel punto le persone smettevano di guardarmi almeno con le infermiere era così, mentre lui continuava, mi fissava con quegli occhi scuri da gatto e poco dopo disse: “Immagino che per una ragazza della tua età non deve essere facile avere il volto sfregiato, devi farti molti complessi.. Ma sai un piccolo taglio non devia la bellezza di una persona.” Strinsi le mie ossute mani sul lenzuolo bianco, uno così bello non poteva neanche immaginare quello che si provava ad avere un tale aspetto; lo guardai per la prima volta direttamente con uno sguardo pieno d’odio negli occhi. Lui non ne sembrava stupito anzi era tranquillo e del resto di che mi sorprendevo era un medico abituato a casi bene peggiori. Ma la cosa di lui che mi diede uno shock fù il gesto che compì un istante dopo, si allungò sul mio letto e di quello che ricordo dopo è solo qualcosa di morbido e caldo sulla mia guancia in corrispondenza della mia cicatrice, forse era un bacio o qualcosa di simile a un gesto d’affetto o almeno un qualcosa per farmi comprendere che quello che stava sul mio volto non gli procurava nessun’effetto. Io lo guardai stupita e lui mi sorrise con i suoi bianchissimi denti scintillanti e infine, disse: “Ci vediamo domani, Yuki.” Quello non era il mio nome e forse mi aveva chiamata così perché la mia pelle era del colore della neve. Dopo quei giorni lui tornò sempre, ogni giorno e stranamente il mio umore era cambiato, mi sentivo felice e allegra ma nonostante ciò continuavo a chiudermi nel mio silenzio. Lasciavo parlare lui che non aveva poca parlantina anzi avrebbe parlato per ore e ore, se ogni volta l’infermiera non veniva a richiamarlo per visitare gli altri pazienti, in quei momenti la odiavo perché lo portava via da me. Ormai mi era chiaro in poco tempo mi ero innamorata di un uomo che non avrei mai potuto avere e che era interessato a me solo perché ero del suo lavoro, ogni volta pensavo che per lui ero solo lavoro, diventavo di nuovo cupa e chiusa in me stessa. Poi arrivò quella notte, sapevo che quel giorno per la priva volta lui avrebbe avuto il turno di notte e così volevo spiarlo anche da lontano. Mi andava bene ma se la mia infermiera mi avesse scoperto, naturalmente mi avrebbe segregato in stanza, quindi ne sgattaiolai fuori a tarda notte riempiendo le coperte con cuscini come si vedeva nei film. Camminai per un lungo corridoio fino al suo studio, fortunatamente le pareti erano con delle finestre così che io potessi vedere dentro. Era seduto sulla sua poltrona, con una mano tra i capelli con cui ogni tanto si accarezzava la corvina chioma, era concentrato su qualche appunto e io mi accomodai su una sedia a rotelle che era li davanti per poterlo osservare in tutta tranquillità. Sapevo che se mi avesse vista forse mi sarebbe stato affibbiato anche l’etichetta di psicopatica ma non mi importava desideravo solo guardarlo, ne avevo bisogno. Stetti li non ricordo quanto, ma appena lo vidi alzarsi per uscire di lì dentro corsi via e mi nascosi nei bagni che erano riservati hai medici e forse non fù un ottima mossa quella di nascondermi in una delle docce ma di certo non potevo immaginare che a quell’ora della notte quella persona desiderava farsi una doccia rinfrescante, mi tremavano le gambe quindi per istino aprì il sifone della doccia in modo che lui capendo che c’era qualcuno non aprisse proprio quella cabina. Vidi passare delle gambe dalla pelle color olivastro sotto la cabina doccia e andare in quella affianco i vetri che dividevano le cabine erano opachi e facevano intravedere l’ombra della persona che c’era dall’altro lato, lui era così snello, davvero perfetto anche se ormai credo dalla mi descrizione si sia capito già. Lo sentivo canticchiare sotto la doccia, sentivo l’acqua scendere scrosciante sul suo corpo e quei pensieri mi fecero sentire il viso avvampare, in quel momento cominciai a pensare di essere davvero psicopatica e che in me ci fosse qualcosa di malato. Mentre mi tormentavo tra me e me sentì la sua voce. “Ehy, tu nell’altra doccia ma per caso sai dove hanno messo i nuovi armadietti?” Ero spacciata, se non rispondevo avrebbe capito ma non potevo parlare, non ci riuscivo, la mia voce era come bloccata, sì rifiutava di dire una semplice parola come 'no'. Così istintivamente pigiai il dito indice sul vetro per disegnare una specie di no, lui dalla parte opposta fece lo stesso seguendo i movimenti del mio dito. Era strano come quel piccolo scorrere le dita su quella parete liscia mi aveva incantata, ma la cosa che mi colpì di più fù che lui mi rispose nello stesso modo, non ricordo che disse, ricordo solo che incondizionatamente seguivo i movimenti di quel dito per capire cosa stesse scrivendo e scioccamente mi lasciai trascinare fino e fuori da li, anche se probabilmente quella notte, era la mia notte fortunata. Quando misi il piede fuori da quella cabina doccia, appena il mio polpastrello si congiunse al suo, la luce si spense, forse per un cortocircuito. In quello stesso istante le nostre mani si intrecciarono e lui mi cinse un fianco con un braccio, sentì il suo corpo contro il mio, era così umido e poco dopo sentiì le sue labbra sulle mie. Era assurdo ma l’uomo che tanto desideravo mi stava baciando e non era un sogno era tutto reale. Sentì la sua calda lingua che accarezza la mia e le goccioline dei suoi capelli bagnati cadermi sul volto, era tutto così bello, piacevole e dolce, in quel momento non mi chiesi perché lo stava facendo, scappai solo via un attimo prima che la luce si riaccendesse. Tornata nella mia stanza mi accarezzai per tutta la notte le labbra cercando di capire il perché di quel gesto, ero una sconosciuta per lui poteva essere chiunque in quella doccia e pure lui mi aveva baciata, forse gli uomini baciavano chiunque. La mattina dopo mi svegliai raggiante e felice, passeggiavo per ospedale disinvolta, finchè non lo vidi con una donna, una donna davvero bella. Rimasi a sentire chi era per e quando venni a sapere la sua identità, tornai a capo basso nella mia camera, stendendomi sul letto scoppiai in un pianto isterico e mi morsi con grande forza le labbra per non farmi sentire della infermiere. Dopo quel grande sfogo che concessi a me stessa, raccolsi tutte le mie forze e registrai su un cd delle parole. Non volevo più stare in quel posto, ma se l’avessi detto nessuno mi avrebbe dato il consenso per andarmene, mi sarebbe stato di certo negato. Così presi le poche cose che possedevo, lasciai il cd sulla scrivania di lui e scappai dal ospedale. Non so se mai l’abbia sentito ma ci tenevo con tutta me stessa che almeno una volta ascoltasse la mia voce. In realtà l’unica cosa che dissi in quella registrazione fu “Grazie, Jongin.” Ora sono molto cambiata, parlo molto e ho voluto ricorrere alla chirurgia plastica per cambiare il mio volto, per dimenticare il dolore della perdita dei miei genitori, per dimenticare quello che quella cicatrice mi ricordava e ormai di quella mia brutta esperienza, ne ho solo offuscati ricordi, mentre in me il ricordo di quello ospedale e di quel dottore sono ancora molto vivi in me. Lui mi ha aiutata quando nessuno era riuscito ad aiutarmi, mi ha fatto sorride quando nessuno riusciva a farmi sorridere, mi ha dato un nome quando nessuno sapeva come chiamarmi anche se è stato per poco lui mi ha dato più di chiunque e a questo punto mi chiedo che forse lui non saprà mai che ero io quella ragazza nella doccia, non saprà mai che sua moglie è stata una sua paziente e che è sempre stata innamorata di lui anche quando ha creduto di incontrarla per la prima volta in quel bar. Anche se in dei giorni ho la strana sensazione che lui sappia tutto e che forse anche lui ha sempre provato gli stessi sentimenti per me.
  
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