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Autore: Alicegym    10/08/2013    0 recensioni
Stivi, Jack, Leo e Alice . Quattro amici che da soli non sono niente ma insieme fanno "Gli Smog", una band creata solo per divertirsi e magari intrattenere quei quattro gatti alla pizzeria di paese. Ma cosa succederebbe se un famoso produttore li scoprisse e li facesse partecipare a un concorso di musica internazionale? Semplice: il chitarrista conquistatore di ragazze, il timido e impacciato batterista, il suonatore di tromba e basso con l'amore dei fumetti e la bella ragazza capace solo di cantare, partono per una incredibile avventura a Londra, coinvolgendo cantati provenienti da tutta europa, colpi di scena e piccole storie d'amore
Genere: Commedia, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stivi mi accarezzava dolcemente i capelli, seduto accanto, senza svegliarmi. La chioma castana con le punte dipinte di mille colori gli cadeva sul petto mentre dormivo pesantemente sulla sua spalla.
Era veramente strano il colore dei miei capelli e mi procurava spesso domande dagli sconosciuti e rispondevo sempre la stessa cosa: «Quando ero bambina, in un estate, ho partecipato a una di quelle estrazioni di paese dove il primo premio era un auto d’epoca» rispondevo ma loro, dubbiosi, mi richiedevano: «E allora?»
«Ho vinto il secondo premio: un abbonamento a vita dalla parrucchiera».
In tutti quegl’anni avevo utilizzato bene quel buono. Mi ero assolutamente torturata i capelli, rendendoli di ogni forma, taglio e colore immaginabile. Passavo tranquillamente dalla lunghissima treccia verde erba, al caschetto biondo. A volte mi tenevo una pettinatura anche solo per un solo giorno. Me li facevo fare e poi, la mattina dopo, mi guardavo allo specchio e non mi piacevo più. «Quando una donna vuole cambiare, inizia dai capelli» diceva sempre mia madre, anche se chiamarmi donna alla sola età di 8 anni, era un po’ strano. Dopo un paio di anni tutti quanti si erano scordati il mio colore naturale. Se non fosse stato per le foto di quando ero piccola me lo sarei scordato pure io. All’età di 10 anni rimasi per molto con un capelli neri corti ma già a 12 me li feci allungare e li feci diventare color grano. Poi, circa un anno dopo, decisi che dovevo smettere di cambiare per avere finalmente un aspetto… definitivo. Essendo passata per tutti i look della storia ero abbastanza sicura su quello che volevo e che mi stava bene. Li feci rimanere lunghissimi, a tre quarti della schiena, boccolosi e color cioccolato, colore abbastanza vicino a quello naturale. In seguito, essendomi rimasta comunque la fissazione dei capelli stani, li tinsi, ma solo gli ultimi dieci centimetri dei capelli, ogni ciocca di un colore diverso. Giallo, rosso, verde, blu e così via. La fine dei miei capelli era stravagante, lo sapevo bene, ma solo in quel modo, di mille colori (taglio chiamato “Mille gusti più uno”) mi sentivo veramente me stessa.
«Elìs? Elìs! Svegliati. Mi si è addormentato il braccio» mi strattono dolcemente Stivi.
«Te ne compro un altro. Adesso fammi dormire» boffonchiai io senza aprire gli occhi e sistemandomi meglio sul suo bicipite. Sentì una risata. Molto familiare. Avevo ancora le cuffie nelle orecchie, spente. Appena mi ero addormentata, Stivi aveva preso I-pod e aveva fermato una canzone di Caparezza.
«Ma siamo arrivati» mi disse dolce nell’orecchio. Io, a quelle tre parole, spalancai gli occhi e guardai attraverso il piccolo finestrino dell’aereo.
«Londra, eccoci!» dissi sussurrando.
 
«Ragazzi, dovete scendere» ci disse una hostess.
«Scusi, ma qualcuno non voleva svegliare una ragazza» disse Jack provocatorio guardando Stivi, imbarazzato, che si era alzato in piedi per prendere il mio bagaglio a mano dal ripiano in alto.
«Ma, no. È stato molto dolce» intervenne una sua collega non staccando gli occhi da Stivi, incantata dal suo fascino, come tante altre.
Mi alzai assonnata ma felice fino al midollo.
Mi diressi verso l’uscita ma Jack mi fece segno di fermarmi e guardare dietro di lui. Vidi l’hostess, che teneva enormemente il petto in fuori, come se volesse risaltare già la quarta abbondante di seno, porgere un bigliettino a Stivi, che lo accettò con sorriso malizioso e scendendo dall’aereo. Non era la prima volta che Stivi riusciva ad avere il numero di una bella ragazza, o di una giovane donna, come in quel caso, non facendo assolutamente niente, se non mostrando il suo corpo. Jack cercava di contarli, ma a volte, anche dopo un solo giorno, perdeva il conto.
Scendemmo per le scalette d’aereo sperando di ripercorrerle più in là nel tempo possibile. Un vento leggero mi invase i capelli. L’estate stava ormai finendo, si sentiva, ed erano passati mesi dalla fatidica chiamata.
 
*circa tre mesi prima*
Una cosa che avevo sempre adorato di Leo, era la possibilità di fare un minimo di cose femminili con lui. Da sempre avevo preferito i maschi dalle femmine, come amici. Non pensiate che sia dell’altra sponda, assolutamente, ho le mie amiche femmine ma il rapporto che ho con loro è molto diverso. È difficile da spiegare, ma ho sempre trovato più facile con i maschi. Loro non si offendono facilmente e non ti ripetono mille volte “Quant’è carino quel ragazzo”. No, i ragazzi, sono diversi. Se a loro piace una ragazza, ci provano direttamente con lei, senza farsi troppe giramenti di testa. Perciò, per questi motivi, mi ero allontanata sempre di più dalle mie amicizie femminili per concentrarmi sui quei tre rincitrulliti che adoravo con tutto il cuore. E comunque la mia amica c’è l’avevo. Era Leo. Magari non potevamo parlare dei dolori mestruali o depilazione, ma con lui potevo sedermi su un divano a mangiare chili di gelato alla fragola, e parlare del ragazzo che mi aveva appena spezzato il cuore, oppure passare un ora a decide che vestito mettermi per una festa. Sì, con lui lo potevo fare, e questo mi rendeva veramente felice.
Quel pomeriggio ero, insieme a lui, sul suo divano enorme a vederci un film strappalacrime, con i fazzolettini in mano.
«Come potete vedere cose del genere?» ci chiese schifato Stivi dando uno sguardo al film per poi tornare a chattare su facebook con cinque ragazze contemporaneamente, come al solito. Eravamo nella nostra “Sala della musica”. Appena saputa la storia della band, il padre di Leo, svuotò una delle innumerevoli stanze d’archivio della casa e ci creò un salotto insonorizzato tutto per noi. Era meraviglioso! Una batteria era in mezzo alla stanza, insieme a più di una chitarra e con una miriade di altri strumenti di ogni tipo. Dei vecchi vinili decoravano le pareti colorate, e molte note nere erano sul soffitto. Un enorme divano rosso, perfetto per la stanza, era davanti a un altrettanto enorme televisore che veniva acceso non molto spesso. Oltre a essere la nostra stanza per fare le prove, diventò il nostro rifugio, la nostra tana, dove potevamo fare di tutto. Un luogo tutto nostro. Credo che quello fu uno dei pochi regali di suo padre che Leo fu veramente felice di ricevere.
«Da Elìs me lo potevo aspettare ma da te, Leo, NO!» disse il chitarrista vedendo tutti e due con le lacrime agli’occhi.
Leo alzò le spalle e io risi, ritornando a guardare la fine del film. Jack era a scuola ai corsi di ricupero. Quell’idiota aveva insultato la professoressa d’arte avendo come premio un bel rimando in quella materia, anche se aveva un bellissimo sette. I titoli di coda iniziarono a scendere e Leo si alzò per togliere il film affittato. Mentre discutevo del film con lui, sentì una musica rock invadere la stanza. Era un sequenza senza senso di accordi di chitarra che conoscevo fin troppo bene. Quell’egocentrico di Stivi l’aveva registrata apposta per la suoneria del cellulare. Il suo Samsug abbastanza scrauso era accanto a me e lessi ad alta voce la scritta sul display: “numero sconosciuto”.
«Passa» mi disse venendo verso di noi. Io gli lancia il telefono centrando perfettamente la sua mano (come al solito).
«Pronto» disse sedendosi accanto a me e ficcandosi in bocca un biscotto al cioccolato che una delle domestiche ci aveva fatto. Fu un grave errore dato che lo sputò nemmeno un secondo dopo. Io, stupita, stavo per dirli qualcosa, ma mi fermai quando lo vidi alzarsi di scatto e pulirsi la bocca con la mano, come se dovesse essere bello solo per una telefonata. Iniziavo a preoccuparmi.
«Yes, Yes, Mr. STAYES». L’ultima parola la urlò con lo sguardo rivolto a noi, per farci capire chi era al telefono. Non avevamo avuto più notizie da lui da un mese, e a quel punto avevamo perso le speranze, pensando che avesse già scelto qualcun altro. Invece no, era lì, dall’altra parte di quel telefono, a parlare in inglese con Stivi. La felicità invase il mio corpo, ma questa bella emozione fu subito sostituita dall’ansia, perché poteva tranquillamente aver chiamato per dare brutte notizie.
«Yes, I’m fine, I’m sorry. Tell, tell as well» (Sì, sto bene, mi scusi. Dica, dica tutto) disse lui mentre io e Leo lo guardavamo. C’era silenzio. Solo silenzio. Non avevo mai visto Stivi così attento in una conversazione.
«Really?» (Veramente?) disse. Improvvisamente un sorriso arrivò sul suo viso e fece un salto stringendo in un pugno la mano libero. Io e Leo li andammo incontro chiedendo cosa fosse successo senza però avere risposta. Stivi ci guardò e disse velocemente in inglese, che feci fatica a capire: «Wait, Wait a moment. I say to other guys, who are here before me. Only a moment and back right with you» (Aspetti, Aspetti un momento. Lo dico agl’altri della band, che sono qui davanti a me. solo un momento e sono subito da lei).
Stivi si fermò, si girò verso di noi e con fare incredulo ci disse: «Ci ha scelti. Ci ha scelti in tutta Italia. Andiamo a Londra». Il mio sorriso si allargò fino a farmi male hai muscoli della faccia. Ci fu un attimo di silenzio in cui tutti e tre non ci credevamo e poi… Leo iniziò a saltare per tutta la stanza. Io, che ci misi qualche secondo in più per rendermi conto di quanto mi avessero appena detto, mi misi a saltare anch’io appena mi sbloccai, insieme a Leo. Stivi riportò il telefono all’orecchio e ci disse di fare silenzio.
Parlò ancora un po’ con Niall e poi attaccò. Io gli corsi in collo abbracciandolo dalla felicità.
Iniziammo a cantare a cappella “Dammi una lametta”, più felici che mai.
«Chiamiamo Jack» disse Leo interrompendo la canzone.
«Hai ragione» li dissi, prendendo il cellulare dalla tasca e digitando il 2 come chiamata rapida (l’uno era mia madre, il 3 Leo, il 4 Stivi e il 5, Dotothy, la parrucchiera). Il cellulare squillò a lungo ma non rispose nessuno.
«È in classe» disse Stivi. Dalla foga di chiamarlo ci scordammo che era a scuola. Senza nemmeno pensarci corremmo al liceo che io e Jack frequentavamo nella stessa classe e irrompemmo nell’aula senza nemmeno pensarci. Io, incorniciata nella mia solita timidezza, sarei rimasta sulla sogna, o forse non sarei nemmeno entrata, ma la felicità mi aveva portato anche molta sfacciataggine. Jack che fu sorpreso dalla nostra entrata, scattò in piedi appena Stivi gli spiegò in due parole quello che era successo. Prese la borsa, ci schiaffò in malo modo gli oggetti che erano sul banco e andò davanti alla cattedra. Il ragazzo mise la mani davanti alla giovane professoressa. Sembrava che le stesse per dare un pugno, cosa che io temevo, per questo andai da lui e gli impugnai il braccio per farli capire che non era il caso. Invece non alzò un muscolo. Disse solo: «Professoressa, in questi solo due anni di liceo, dove lei mi ci ha “insegnato” l’arte, io ho odiato la sua materia più di ogni altra. Poi ho capito che non era la materia ma solo lei. Lei, acida, bacchettona, che crede di poter comandare tutti solo perché è dietro della scrivania. In questo modo si fa solo odiare e non ha possibilità che la gente l’ascolti durante quelle pallosissime ore piene di isteria e noia. Direi che dovrebbe smetterla. Sgridarci di meno e scopare di più». A quelle parole la professoressa si alzò in piedi, sbattendo le mani e richiamando con un urlo il silenzio della classe che rideva. Stava per dire qualcosa a Jack ma lui la bloccò subito e aggiunse: «Ah, un ultima cosa» le prese il viso con le mani e la baciò. Quel semplice bacio a stampo fu raccontato per moltissimi anni. Pur essendo l’insegnate probabilmente, più cattiva e crudele sulla faccia della terra era comunque un bellissima donna di 30’anni con un seno e culo mozzafiato che non faticava a nascondere. Jack ci sbavava dietro dalla prima lezione di storia dell’arte. Dopo quel gesto avventato, prima che la professoressa gli rigirasse uno schiaffo, portammo via il nostro amico, tra le risate e gli applausi di quelli che erano i nostri, ormai vecchi, compagni di classe.
 
In seguito Stivi ci disse tutto, quasi parola per parola, di cosa gli avesse detto Niall al telefono. Ci spiegò che eravamo stati scelti per rappresentare l’Italia all’ Europe Talen Band. L’ETB era un nuovo e praticamente sconosciuto, Talent Show inglese che sfidava cinque band avversarie, provenienti da cinque paesi differenti.
«È uno dei Talent Show più strani che abbia mai sentito» dissi io un giorno.
 
  
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