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Autore: Norgor    10/08/2013    7 recensioni
Questa è la storia di un bambino dai capelli rossi, un braccio rotto e tanto peso sulle spalle.
Questa è la storia della sua vita, cori di urla strazianti e macchie di sangue sulle pareti.
Questa è la storia di un ragazzino rinnegato, solo ed abbandonato.
Questa è la storia della sua edizione, alla quale parteciparono solamente ventitré tributi.
Questa è la storia di un bambino di dodici anni. La storia di un bambino senza nome.

One-shot narrante gli ultimi istanti di vita dal punto di vista di un tributo qualsiasi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nato sporco. 

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La prima cosa che gli balzò agli occhi una volta sistematosi sulla pedana fu la tenue luce dorata del tramonto, che luminosa e delicata dipingeva con sfumature rosee e aranciate le ombre del cielo. Il silenzio regnava sovrano in quell’atmosfera irrequieta e carica di tensione che lo circondava; il fruscio del vento gli scompigliava delicatamente i capelli e gli solleticava la nuca. Spalancò gli occhi e prese ad osservarsi attorno, la punta di agitazione e timore che lo rinchiudeva in una morsa glaciale. Dalla sua destra aveva inizio una distesa intricata di arbusti e cespugli, che più avanti andavano a generare delle vere e proprie foreste di alberi sconosciuti. Quel luogo aveva un’aria lugubre e alquanto misteriosa, sembrava che al suo interno potesse celare i più oscuri segreti della terra. Dall’altra parte del paesaggio, un deserto sabbioso si estendeva in tutta la sua maestosità fino all’orizzonte, ricco di rocce e spuntoni appuntiti. Davanti a sé, una montagna incombente giganteggiava per la valle, con ripidi fiancate e pericolosi sentieri. E dietro, dietro doveva esserci il mare. Lo capiva dal suono, dall’aria salmastra che ora respirava. Chiudendo gli occhi, riusciva già a immaginare le onde turbolente, che violente increspavano la terraferma e rilasciavano la loro scia spumosa.
  Prima che riuscisse a fermarla, una lacrima innocente gli solcò una guancia, rigandogli il volto. Perché lui era cresciuto con l’acqua, solamente lei gli era rimasta amica, e ora lei stessa diveniva la sua tomba. Il sale nell’aria, la spuma marina, la sabbia sotto ai piedi… per lui erano più famigliari della fragranza del pane e dell’amore di una madre. Il distretto quattro per lui non era stato altro che una prigione, per tutti questi anni. Solo il pensiero di doversi svegliare e alzarsi dal letto ogni mattina lo aveva sempre fatto rabbrividire.
  Perché lui era nato male. Era nato sbagliato. Nato sporco.
  Tutti glielo rinfacciavano, persino sua madre non perdeva mai l’occasione di insultarlo. Era il reietto del suo distretto. E d’altronde, come biasimare la gente? Nessuno avrebbe mai accettato un bambino senza un braccio.
  Un singhiozzo gli fuoriuscì dalla bocca prima che riuscisse ad evitarlo, e la pedana su cui era appoggiato parve tremare per qualche secondo. E lui aveva solo dodici anni, cosa ci faceva lì?
  Una fitta allo stomaco lo colse impreparato, e non avendo appoggi si piegò sulle ginocchia, la fronte corrugata per il dolore. Era stato suo padre. Era stata tutta colpa di suo padre.
 – È stato facile, sai? – aveva detto lui, nell’ora concessa per salutare i tributi. – Sono bastati solamente un paio di bigliettoni, ed è fatta.
– C-che cosa? – le lacrime gli erano entrate in bocca.
– Liberarci di te – aveva affermato lui allegramente, ma con sguardo freddo. – È stato fin troppo facile. Alla Capitolina è bastato dire il tuo nome, indipendentemente dal bigliettino estratto. Il tuo nome… scommetto che non vi è un abitante che lo ricordi.
– P-perché mi fai questo?
– Sei feccia, nient’altro che carne da macello. Per colpa tua ho trascorso dodici anni, andando in giro e vergognandomi di avere un rifiuto come figlio. Ma ora basta. Ora è tutto finito. Ora tu finirai dentro quell’Arena, e finalmente potremo ritenerci una famiglia normale.
  Si morse la punta della lingua per evitare di urlare a squarciagola e sollevò lo sguardo verso il tabellone sopra la Cornucopia. Mancavano dieci secondi allo scadere del timer, ma oramai non importava più. Anzi, non era mai importato. Dovunque fosse andato, sarebbe morto. Non importa come, né quando e né dove. Era già morto. Non aveva mai avuto amici, mai famiglia, mai qualcuno che potesse donargli un sorriso. Che cosa aveva da perdere?
  Cinque secondi. Fra poco, la vita sarebbe soffiata via dal suo corpo come una folata di vento.
  Quattro. Chissà se suo padre lo starà guardando in questo momento.
  Tre. C’era il mare dentro di lui, solo il mare.
  Due. Aveva soltanto dodici anni.
  Uno. E non voleva morire.
  Uno sparo giunse in lontananza, e i primi dieci secondi che seguirono furono come ovattati, al rallentatore. Rivide la sua vita in pochi istanti, cori di urla strazianti e macchie di sangue sulle pareti.
  Ora aveva l’acqua in bocca. Possibile che fosse già nel mare? Non lo sapeva, non gli importava. Nuotò per diversi minuti, mentre le lacrime si mischiavano con le onde. Perché non l’avevano ancora ucciso? Cosa stavano aspettando? Ed ecco l’ombra riflessa dall’acqua, il fruscio che decise il suo destino. Si voltò velocemente per ritrovarsi davanti una ragazza bionda dal feroce sguardo assassino. Era disarmata, ma aveva muscoli talmente sviluppati che avrebbe potuto stritolarlo vivo senza difficoltà. E neppure in quel momento, quando la sua fine era ormai segnata, riusciva a smettere di piangere. La ragazza tuttavia non lo uccise, semplicemente lo prese e lo scaraventò lontano, come se fosse d’intralcio per il suo passaggio. Sul suo volto era dipinta un’espressione di disgusto, e gli occhi parevano allarmati.
  Ma certo. Faceva talmente schifo da non poter essere nemmeno ucciso. Persino i più feroci dei Favoriti non lo avrebbero toccato.
  Si fermò per qualche secondo, il respiro affannoso, e guardò il suo riflesso attraverso le onde. Come risposta ottenne un ragazzino gobbo, basso e senza un braccio, i capelli pel di carota e le lentiggini su ogni centimetro del corpo. E soffriva. Soffriva perché non veniva accettato da nessuno, soffriva perché anche lui, in fondo al cuore, sapeva che la gente aveva ragione. E quindi non ebbe esitazioni quando, tappandosi il naso, si gettò fra i flutti, lasciandosi trasportare dalla cresta dell’onda. E oramai non importava quante frecce potessero attraversare il suo corpo, o quante spade potessero scalfire le sue membra, ad ogni modo si era arreso, aveva deciso di darla vinta alle persone, darla vinta al distretto quattro, darla vinta al padre.
  Ben presto, egli perse conoscenza, i battiti del suo cuore si fermarono, e il suo corpo si disperse nelle profondità marine. E non fu mai più ritrovato, né ricordato.
  La quarantaseiesima edizione ebbe solamente ventitré tributi che gareggiarono fra loro.
  E nessuno si curò del bambino del distretto quattro, morto senza neanche un nome che potesse ricordarlo. 

Angolo autore:
Buonsalve *^* Sì, lo so. So che è da un casino di tempo che non entro sul sito e non pubblico le mie storie, ma ultimamente ho avuto da fare e anche le idee scarseggiavano. Comunque, eccomi con una storia nuova. Effettivamente è abbastanza corta, ma spero la appreziate lo stesso, perché è da un sacco che non scrivo e perdonatemi se sono, ecco, un po' "arrugginito". 
Quindi, grazie mille a chi si è preso la briga di leggere questa mezza schifezza, e vi prego fatemi sapere in recensione cosa ne pensate, è molto importante per me sapere il vostro parere! 
Grazie ancora, alla prossima! ù.ù
Norgor. 

   
 
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