Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: hugmeciastin    11/08/2013    5 recensioni
Uno scambio di lettere.
Uno scambio di sguardi.
Uno scambio di amore.
"Cosa farai quando cadrai nel vuoto?"
"So che ci sarai tu a rialzarmi."
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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"Sono rinchiusa qua dentro da quante ore? Ventiquattro? Ormai non so più neanche contare.
In realtà ero chiusa là dentro da una settimana.
Ma io non ero malata. Io non ero pazza.
Io ero solo troppo innamorata di una vita che non mi avrebbe mai convinta abbastanza.
Perchè non riuscivo mai ad essere felice? Perchè?
Mi sento come se fossi costantemente rinchiusa in una bolla. Inutile gridare, inutile piangere, disperarsi, chiedere aiuto. Nessuno. Non c'era nessuno capace di salvarmi là dentro.
Era come se mi avessero costruito un muro di mattoni intorno.
Ho paura della solitudine.
Ho paura di me stessa."
 
 
Charlotte ripiegò il foglietto in quattro e lo posizionò nello stesso posto in cui lo metteva ogni giorno, prima di ritornare in cella.
Le era concessa solo qualche ora di libertà al giorno, in un'aula chiamata 'Liberty room.'
Ma non bastava. Non per una ragazza normale come lei. Non per una persona con un cervello, in grado di pensare e di elaborare.
Là dentro erano tutti pazzi. Matti da legare. Ma lei no. Lei non lo era.
Non capiva ancora perchè sua madre l'aveva abbandonata là dentro, non ricordava niente di quel giorno.
 
 
"Mamma, dove andiamo?" Chiese Charlotte, mentre inviava un messaggio a Travor, il suo attuale ragazzo.
"Vuoi essere felice, tesoro?"
"Certo che voglio essere felice, mamma."
"Ed è per questo che lo farò."
Qualcuno mi tappò la bocca con un fazzoletto, facendomi perdere i sensi. E da lì, solo il buio totale.
 
 
Non capivo ancora perchè l'aveva fatto. Ero la figlia perfetta.
Andavo bene a scuola, avevo tanti amici, un ragazzo che mi amava e volevo bene ai miei genitori. Parlare al passato fa così schifo. Ricordare ciò che ero fa così male.
Perchè non so se tornerò più ad essere quella ragazza.
Charlotte scosse la testa, tentando di mandar via tutti quei pensieri che per tutta la giornata l'avevano intrappolata.
Si alzò e il tenente Ray la portò nella sua cella.
La 365.
La sua cella.
La sua stanza.
Il suo inferno.
 
Le celle erano tutte collegate tra loro, una accanto all'altra, 20 per corridoio, 10 da una parte e 10 dall'altra. Una finestrina permetteva al sole a alla luna di fare un po' di luce in quei buchi neri.
Charlotte si distese sul suo lettino, guardando il soffitto.
"Buonanotte Evangeline." Ogni sera, da quando ero là dentro, quella frase le faceva spipare gli occhi. Quella stessa frase, ogni santa sera, pronunciata da una voce maschile e sicura, ma persa nel vuoto.
E Charlotte riusciva a capire chi si perdeva nel nulla. Anche lei lo era. Era persa.
Ma non per sempre.
Qualcuno doveva ritrovarla.
Il suo compagno, quello della cella accanto, sussurrava quella frase talmente piano da non farlo sentire a nessuno. A nessuno, tranne che a Charlotte. E alla famosa Evangeline.
Chissà chi era.
Forse era innamorato.
Forse era come me.
Forse non era pazzo.
E con quei pensieri nella testa, Charlotte chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo.
 
 
La luce del sole penetrò dalla piccola finestra, permettendo a Charlotte di capire che era mattina.
Non c'erano orologi in quell'inferno. Neanche calendari. Entravi là dentro, e perdevi la cognizione del tempo, oltre che al cervello.
La porta della sua cella si aprì improvvisamente.
"Sei sveglia?" Chiese Ray. Charlotte si limitò ad annuire, per poi alzarsi e farsi accompagnare nella LR. Aveva voglia di scrivere, già di prima mattina.
Aveva voglia di sfogarsi, appena apriva gli occhi.
Da giorni faceva sempre lo stesso sogno.
Un angelo si avvicinava a lei, nella sua cella. Il suo volto era coperto, e aveva una veste bianca addosso, con due ali spalancate alle sue spalle.
"Ti aiuterò." Diceva.
Ma quando Charlotte tentava di muoversi o di aprire bocca per chiedere qualcosa, non ce la faceva. Dannati sogni in cui sei impedito e bloccato dal fare qualsiasi cosa.
Si avvicinò al suo tavolo preferito: era fatto di un legno pregiato di quercia bianca ed era posizionato proprio accanto a una finestra enorme, con due tende rosse che ricadevano ai suoi lati.
Charlotte si mise a sedere e riprese, come al solito, il biglietto che aveva scritto il giorno prima.
Faceva sempre così.
Scriveva un biglietto, poi lo ripiegava e lo metteva nello stesso angolo di sempre. Ritornava, lo prendeva, lo rileggeva e dopo lo strappava, riscrivendone un altro che faceva sempre la stessa fine del primo. E così andava avanti, da quando era rinchiusa là dentro.
Quando era libera, quando era a casa sua, aveva un diario. Ogni giorno la sua vita era piena di news, avvenimenti ed eventi che la rendevano quella che era prima: una ragazza felice.
Non strappava mai nessun foglio da quel diario, perchè voleva poter rileggere ogni cosa successa.
Ma, dopo essere stata rapita dal suo paradiso ipotetico e rinchiusa in un carcere, le sue giornate erano monotone. Monotone come lei, e come tutto ciò che scriveva.
Aveva bisogno di qualcuno.
Aveva bisogno di essere salvata.
Aprì il biglietto che lei stessa aveva scritto il giorno prima e ne lesse il contenuto, convinta di rileggere le stesse cose che scriveva ogni giorno.
Ma qualcosa le fece capire che qualcosa non andava.
 
 
 
"Non sei sola. Io posso aiutarti. Hai bisogno di me. Io sono come te.
Il ragazzo della cella accanto."
 
 


Ciao belle giuoie.
Questo è il prologo della mia nuova fanfiction.
Riusciranno due persone ad amarsi talmente tanto da riuscire a lottare fino alla fine?

Spero che vi piaccia, lasciate tante recensioni e prometto che aggiorno subito.
E vi aggiorno anche Afterlight, yeah, non me ne sono dimenticata.


Bye.
  
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