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Autore: Elle Sinclaire    11/08/2013    1 recensioni
Quando il silenzio fa paura, quando si tenta di riempirlo di suoni e rumori, quando persino compiere i passi verso la vita sembra difficile, l'unico conforto che sembra trovare Martina è quello di rintanarsi in un angolo di se stessa, senza parole da dire né capacità di afferrare il tempo che gli scorre veloce di fianco.
Stefano, il dj di una delle serate più famose della città, sembra avvicinarsi con la stessa lenta apatia al suo mondo fatto di rumori, tenta di penetrare quell'anfratto buio. Poi c'è Rebecca, la sorella di Stefano e amica di Martina, studentessa di filosofia che tornerà a scontrarsi con il suo primo amore, Leonardo. E Irene, una pessima amica senza alcun interesse al di fuori di se stessa, Roma vista attraverso gli occhi di chi la vive ballando, attraverso i suoi vicoli e la sua musica, il rumore del traffico e il vociare di Trastevere.
Questa è una storia fatta di suoni e realtà che collidono, dell'incapacità di affrontare la morte, ma anche la vita.
[Dal primo capitolo: "Giorgia mi sorrideva e basta. Non era una bambina di molte parole, la loquacità l’ha sviluppata verso i tredici anni; all’epoca si limitava a poche frasi e a leggere ad alta voce per me.
Avrei dovuto capire che la sua natura taciturna non era stata solo cancellata con un colpo di spugna, durante un’adolescenza turbolenta. Avrei dovuto capire che Giorgia non diceva quasi niente di tutto quello che in realtà avrebbe voluto e dovuto dire.
Forse se lo avessi capito ora tutto sarebbe diverso."]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Adesso che sai chi sono

a

A chi sa
chi sono.
A chi fa parte
di ciò che sono. 

 

Giorgia era l’unica persona a conoscermi davvero. Non mi piaceva avvicinarmi alle ragazzine di classe mia, se non in pochi e isolati casi, soprattutto a scuola, quando lei era impegnata con le sue amiche. Avevo cominciato a passare più tempo con lei e con le bambine della sua classe già alle elementari, a ricreazione e durante i pomeriggi a casa, quando invitava le amichette e giocavano alle Barbie. Io ho sempre preferito le micro machines e le tartarughe ninja, ma mi ero fatta comprare apposta una Skipper tutta per me, per poter partecipare a quei tè eleganti di cui protagoniste indiscusse erano le nostre bambole. Solo lei sapeva quanto odiassi tutto quello.
Anche crescendo, sono sempre rimasta più legata a lei che a chiunque altro e le uniche persone con cui passavo il mio tempo, oltre a Irene, erano le sue amiche del liceo e dell’università, i suoi amici maschi con cui mi divertivo a giocare a calcio al parco dietro casa, mentre lei mi fotografava e sorrideva quando segnavo. Nessuno di queste persone ha mai conosciuto Martina, quella che ogni notte si nascondeva per andare a dormire più tardi.
Non avevo mai pensato di essere in grado di fare amicizia da sola, senza la spalla di mia sorella e la sua approvazione silenziosa a darmi coraggio. Non avevo mai sentito il bisogno di farmi conoscere da qualcuno che non fosse lei.
È strano che ho dovuto perdere lei, per trovare altre persone su cui contare. Vorrei che anche Giorgia le conoscesse, che vedesse Stefano e parlasse con lui di film. Forse se li avessi conosciuti prima, lei avrebbe avuto dei motivi in più per combattere. Forse io da sola non ero abbastanza.
Lei però per me era sempre stata tutto.

○ ○ ○

Quando Martina apre la porta di casa, già immagina sia Stefano colui che sul pianerottolo suona come impazzito il campanello. Ha in mano un sacchetto bianco che emana profumo di cornetto caldo e un paio d’occhiali da sole vintage a coprire le occhiaie.
Lo lascia entrare in silenzio, con un sorriso stanco sul volto e i capelli scompigliati di chi si è appena alzato dal letto. Lui non ci fa caso e la segue in cucina in un gesto che suona alle orecchie di Martina come una piacevole quotidianità. Sono quattro giorni che Rebecca dorme a casa sua e non esce di casa e Stefano è preoccupato per lei e del disturbo che pensa stia arrecando a Martina, riservata e attenta a non lasciare che qualcuno invada i propri spazi.
Ma lei sembra essersi adattata bene alla presenza della sorella, come se la sua compagnia le illuminasse gli occhi quel tanto che basta per farla sorridere di più; e a Stefano piace vederla sorridere, perché le si forma la fossetta su una guancia sola e le lentiggini sul naso si moltiplicano in una spruzzata di colore sulla sua pelle chiara. Qualcosa che vorrebbe saper dipingere a occhi chiusi, ma che si limita a custodire tra qualche filo di memoria, per poterlo riprodurre una volta o l’altra.
“Rebecca ancora dorme.”
Sempre più spesso, ormai, è lei a parlare per prima, a cercare un punto di incontro che per lui è difficile trovare. Però lei ci riesce sempre, senza sforzi, come se sapesse quale canzone cantare per vederlo ballare. Ha scoperto che non parla con i genitori, anche se non ne conosce il motivo; che la casa dove abita ora era della nonna e che ha lasciato la facoltà di Lettere Antiche pochi mesi prima, poco dopo aver conosciuto Rebecca al corso di storia romana. È dello scorpione e cerca qualcuno con cui andare al concerto dei Radiohead, perché con Irene non parla quasi più.
“Lo immaginavo, è presto. Ti ho portato la colazione però.”
“Metto su il tè.”
Si allontana verso il fornello, con la teiera regalatale da Giorgia anni prima. Prende senza esitazione la bustina di infuso ai frutti di bosco, perché ormai sa qual è il preferito di Stefano, che beve sempre in silenzio, riscaldandosi le mani che ha sempre fredde, anche se fuori la temperatura è tiepida.
“Mi dispiace che stia ancora qui…”
Martina alza le spalle e non risponde, si muove ancora nella cucina, intorno a lui, come una trottola senza assi a tenerla in equilibrio. In realtà è contenta di non essere sola, di avere una scusa per vedere Stefano ogni giorno, con una busta di cornetti in mano e un sorriso sulle labbra che profuma di quotidianità.
“Mi fa compagnia. Però ti prego, se stasera non suoni al Branca salvami dalla tragedia delle commedie romantiche dopo cena.”
Stefano ride, conscio dei discutibili gusti cinematografici della sorella e addenta un cornetto, quello integrale al miele. Martina ha imparato a conoscere i suoi gusti, a sapere che preferisce la carbonara alle lasagne, che mangia la pizza con funghi e salsicce e morirebbe per un concerto di David Bowie.
"Lo scelgo io il film, però vi raggiungo dopo la diretta radio."
Stefano si stiracchia sulla sedia e la guarda davanti a lui, con i capelli legati in una treccia e l’aria stanca. Rebecca si affaccia in cucina in quel momento, con gli occhi gonfi e i ricci che vanno da tutte le parti, come una medusa rossa e terrificante pronta a pietrificare i presenti.
Martina le sorride e le allunga una tazza di cappuccino. La osserva preoccupata, ma senza esagerare.
“Buongiorno…”
Biascica con lentezza e metà viso affondato nella tazza, mentre aspira l’odore acre del caffè e sembra riattivare le sinapsi. Stefano la da un bacio sulla fronte, sporgendosi sul tavolo verso di lei. Rebecca gli sorride, cercando di tranquillizzarlo con uno sguardo spento e dolce, di quelli che sciolgono Stefano in pochi secondi.
Martina ha imparato a conoscere i loro gesti, quell’affetto forte nonostante tutto che aveva già notato legasse Rebecca e Raffaele. Il loro rapporto è più discreto, ma solidificato da anni di convivenza, più amici che fratelli, come se si fossero scelti, non semplicemente trovati. Sono belli da guardare, mentre scherzano, ignorando come sempre il vero motivo per cui Rebecca sia lì, e Martina si sente esclusa da qualcosa che lei non può più capire, qualcosa di cui sente la mancanza ogni giorno.
Avere Rebecca nella casa in cui sarebbe dovuta andare a vivere con Giorgia le sembra sbagliato: alcune volte, quando la vede affacciarsi alla sua stanza per sedersi sul letto con lei, in silenzio, ad ascoltare i rumori della casa, vorrebbe che i suoi capelli fossero più scuri e i suoi occhi meno verdi, che ci provasse a superare quel muro di silenzio, almeno lei. Che le parlasse di Leonardo, di Stefano, di Fedra che non riconosce più, di Raffaele che è troppo lontano, che le chiedesse cosa succede il ventiquattro di ogni mese e perché i suoi genitori non chiamano mai. Vorrebbe avere il coraggio di aprire la bocca e parlare, di ascoltarla; di abbracciarla senza immaginarla più simile a Giorgia.
Rebecca dal canto suo si è rifugiata lì perché quel silenzio apatico e quei rumori casuali la confortano più dell’angoscia di Stefano o della paura di trovarsi Leonardo in salotto, per due chiacchiere con il fratello. Vuole solo relegare ogni pensiero al di là di quel muro, quello tra Martina e il resto del mondo e trincerarsi dalla parte dell’amica, giusto il tempo di respirare di nuovo.
Ma lei non è così, la solitudine le pesa quasi quanto tutto il resto; allora i punti di contatto li cerca e le premure di Stefano, ogni mattina, le chiacchiere e le battute, la fanno sentire di nuovo a casa, come quando era bambina e Leonardo solo un amico e lei la piccola di casa, coccolata da Raffaele e dal padre come un piccolo tesoro da custodire con gelosia. In più la diverte, quel teatrino tra Stefano e Martina. Quel loro guardarsi e cercarsi, il loro comunicare senza aprire la bocca, senza dover spiegare cosa sia quel dolore che li tiene a terra, che appesantisce le loro spalle senza permettergli di essere loro stessi.
Si girano attorno, si annusano. Discreti, silenziosi, curiosi. Forse sono gli unici a potersi tirare fuori da quella gabbia, ma non hanno ancora trovato il modo giusto per farlo. Sembrano quasi un film in bianco e nero, di quelli muti, di quelli che solo loro due riescono ad apprezzare, come delle ombre cinesi che si muovono con fatica, proiettate su un muro scrostato e bianco sporco: graffiti neri che la gente per strada non apprezza perché non capisce.
Belli e malinconici.


Stefano va via un’ora dopo, giusto il tempo di dormire qualche minuto prima di andare in radio per poi tornare lì. Le saluta affettuoso e dice che sentirà anche Fedra per quella sera, per tenerla lontana qualche ora da casa sua e dal pazzo tatuato che frequenta da qualche settimana.
È incredibile come si preoccupi per tutti, anche della ragazzina smunta con cui ha avuto una breve storia mesi prima. A Martina però la sua presenza non da fastidio, è colorata abbastanza da metterla di buon umore.
Quando più tardi arriva, Fedra invade la cucina di profumo di zucchero filato e marshmallows, la sua aria sfatta e gli occhi pesti di sonno. Rimane zitta giusto il tempo di un caffè, poi non smette di parlare un attimo.
Non ha preso nessuna droga, quella sera. Martina lo capisce dalla sua iperattività, dalla fame tossica, dai tanti piccoli tic che caratterizzano la sua figura smunta; è una brava osservatrice, non parla molto, ma nota tutto e ha imparato a conoscere anche i sintomi dell’astinenza di una semisconosciuta che si accampa a casa sua per i film serali in compagnia. I tic nervosi, le unghie mozzicate e gialle: quando comincia a guardarsi intorno con aria febbrile, Martina le passa una tazza di caffè; quando ricomincia a mordere le pellicine sulle dita, tira fuori un pacchetto di patatine. 
Stefano le sorride sempre, dopo ogni piccola premura e Fedra torna tranquilla. 
Le viene naturale prendersi cura di lei e parlarle come se fosse una bambina piccola, per spiegarle ogni cosa, anche la più semplice. Stefano la prende in giro, pensa che si comporti come una madre apprensiva, ma lei non riesce a farne a meno, come se tutte le attenzioni che ha risparmiato per Giorgia negli ultimi mesi abbiano trovato uno sfogo su quel fantasma pallido e rosa che profuma la sua casa di zucchero.
“E poi l’ho trovato svenuto nell’androne, pieno di sangue. Non credo che fosse tutto suo, però.”
Fedra sta raccontando come ha conosciuto Antonio; una macabra storia di sangue, droga e sesso, di quelle che si leggono sui libri o si vedono nei film, ma che poco lontano da casa sua invece prendono davvero vita. Tra le mura di un palazzo sporco, sulle scale macchiate di sangue e vomito, tra i fumi di sigarette che non vengono spente neanche per andare a dormire. Li immagina muoversi nella loro pozza viscosa di disperazione, senza neanche il coraggio di darsi un bacio perché ne hanno voglia.
Forse per questo non butta fuori di casa Fedra, quando le viene il dubbio che in bagno è andata per sniffare. Perché potrebbe essere lei la ragazza con i capelli rosa e la metamfetamina in circolo nel sangue che puzza di fumo e vodka scadente. Con la stessa paura di piangere davanti a qualcuno, di allungare la mano verso Rebecca o Stefano per chiedere un abbraccio. Uno solo, una volta sola.
“Fedra, forse non è la persona adatta a te…”
“Forse hai ragione,” alza le spalle, guardando Rebecca. “ Forse siamo così a fondo che siamo gli unici a poterci tirare fuori. O forse siamo destinati a cadere insieme ancora più giù. Non mi aspetto il principe azzurro, l’uomo perfetto che mi porterà via dal quartiere di merda in cui vivo e mi riempirà di amore. Questo è il massimo che posso avere e mi piace.”
Rebecca annuisce e il silenzio cala, mentre Martina picchietta un dito sul bracciolo del divano, tentando di arginare il ricordo di quella notte e del fondo da cui non è riuscita a tirare fuori Giorgia. Ma sa di non poter aiutare Fedra, di non poter vincere la guerra di una sconosciuta, senza sapere neanche per cosa stia combattendo; se lei non sa neanche di essere triste, troppo offuscata dai piaceri artificiali per rendersi conto di non saper più piangere.
È quello il paradosso della ragazza confetto: la certezza di essere felice, quando invece si è carne da macello.
Ma nonostante tutto Fedra non smette di sorridere.

 

Cenano con una pizza sul divano. Stanno stretti, nel piccolo salotto di casa sua, quasi uno in braccio all’altro, con i cartoni che si toccano e i gomiti che si scontrano. Stefano è accanto a lei e ogni tanto qualche botta gliela da di proposito, con un sorriso sfacciato e gli occhi grandi che fanno finta di non guardarla.
È difficile per lei credere al tipo di rapporto che sono riusciti a instaurare, se pur costellato di silenzi. C’è quel tipo di affetto tra loro che nasce spontaneo, anche se non lo vuoi o non lo cerchi, come un’alchimia indesiderata, che alla fine non puoi fare a meno di assecondare.
"Mi ricordavo di te."
Martina capisce subito a cosa si riferisce, forse perché sta pensando alla stessa cosa. A quando la prima volta era stata a casa di Rebecca e già sapeva chi fosse, non solo come il deejay del lunedì sera. Ricorda ancora quando, due settimane dopo, l'ha guardato davvero negli occhi, senza l'illusione che cambiassero colore sotto le luci stroboscopiche del locale e ha potuto sentire il suo profumo alla menta, senza che fosse mischiato all’alcol e al sudore tipici delle discoteche. Era seduto sul divano, guardava un film e aveva i capelli disordinati e gli occhiali da lettura sul naso.
Si erano già visti e parlati, qualche settimana prima, nei bagni sporchi del Circolo degli Illuminati, sull’Ostiense. Stefano stava vomitando accucciato davanti alla tazza, pallido e sconvolto. Martina non gli aveva detto che pochissime parole prima di offrirsi di riportarlo a casa in motorino, prima che collassasse.
"Sono una che rimane impressa," scherza, in modo naturale. Neanche con Rebecca si sente a suo agio come con lui, ma mantiene sempre quella patina di riservatezza per nascondere tutta la paura che prova nel farsi conoscere da qualcuno.
Stefano invece sa scavare in lei bene e a fondo, perché non chiede, ma prende pezzi di lei e li mescola a pezzi di lui, creando ogni volta nuove persone, nuovi rapporti, nuovi sorrisi. E a lei questo fa una paura strana e nuova, come una vertigine, ma diversa da quella che prova affacciandosi a finestre e balconi. Più dolce e familiare.
“Che film hai scelto?”
Alla fine Stefano non è riuscito a mantenere la promessa e il dvd non l’ha portato lui. È stata Fedra a scovarlo tra gli scaffali impolverati della sua stanza, mentre frugava tra le sue cose senza alcuna discrezione.
“Fight club.”
A Martina viene da ridere e Stefano lo fa apertamente. Rebecca scuote la testa, con un sorriso tenero tra i denti. E sembra quasi che siano lì da sempre, loro quattro e i cartoni della pizza abbandonati, ammassati su un divano che non li contiene, come i soprammobili di una casa che finalmente Martina sembra sentire sua. Sente un po' di vita scorrere tra quelle mura e i commenti di Stefano al suo orecchio accanto a lei e Rebecca e Fedra che si muovono per trovare la posizione più comoda, con l'audio del film a riempire il resto dei silenzi.
Si chiede se a Giorgia loro sarebbero piaciuti. Se li avrebbe accettati in casa loro, se avrebbe organizzato cene come quella, se le sarebbe stato simpatico Stefano e il suo modo discreto di non farsi mai gli affari suoi. Si chiede se le cose sarebbero state diverse, se loro fossero entrati nella sua vita otto mesi prima.
E c'è Marla che parla, nel suo televisore anni '80, con l'immancabile sigaretta tra le labbra e il bisogno di autodistruggersi stampato nelle iridi e a lei ricorda un po' Giorgia, con i capelli ricci scombinati e gli occhiali da sole calcati sul naso. Per la prima volta vorrebbe davvero che Stefano le chiedesse qualcosa, solo per trovare il coraggio di parlare. Lo guarda appena, con gli occhi appannati di lacrime invisibili.
Lui tiene lo sguardo fisso sullo schermo, sembra non la noti neanche. Ma posa la mano sulla sua, sul divano, con una lentezza esasperante e una delicatezza parossistica. Come se avesse paura che lei possa fuggire. Martina però non si muove, non lo guarda più, gli sfiora solo l'ultimo polpastrello del dito medio con l'unghia ed è come se dicesse "grazie", "ascoltami", "resta qui", "non lasciarmi".
Stefano sorride.

 

La mattina dopo, Martina si sveglia ancora su quel divano, con il naso tra i capelli rosa di Fedra e la mano stretta a quella di Stefano. Si è addormentata a metà film, come non le succedeva da mesi, senza preoccuparsi dei rumori, del giorno dopo, di Rebecca, di ogni cosa.
I capelli di Fedra profumano di zucchero e sente il suo respiro leggero muoverle un po’ le spalle. Il russare di Stefano accanto a lei non è fastidioso, è un suono quasi familiare, come se già si fosse abituata. Ha le dita artigliate alle sue e lei non ha intenzione di spostarle, almeno per un po’. Si mette più comoda, ignorando il torcicollo e lo guarda, con gli occhi assonnati. La treccia in cui aveva legato i capelli è ormai disfatta e l’elastico è perso tra i cuscini, ma lei si sposta il ciuffo di capelli che le copre la visuale con un gesto lento della mano libera. Non vuole svegliarli, vuole solo godersi la tranquilla compagnia di entrambi, per la prima volta silenziosi.
Stefano ha le labbra leggermente dischiuse e le ciglia lunghe proiettano ombre sulla guancia incavata; la maglietta dallo scollo largo gli scopre una clavicola sporgente e qualche centimetro di spalle. È magro, a Martina a volte fa quasi impressione. Però nel suo modo particolare di muovere le mani e sorridere, riesce a essere bello, come quei quadri di Goya che non hanno niente di armonioso, ma catturano sempre l’attenzione e che Martina non riesce a non fissare.
Si sveglia proprio in quel momento e la guarda senza riconoscerla per qualche istante. Poi Martina gli sorride e si fa un po' più vicina per appoggiare appena la guancia sulla sua spalla, alla ricerca di una posizione comoda per sonnecchiare ancora.
"Buongiorno, Lisboni."
Ha la voce arrochita e gli occhi di nuovo chiusi, mentre le sfiora i capelli con le labbra, in un gesto dolce a cui Martina non è abituata. Le viene istintivo spostarsi un po' a quel contatto, ma alla fine resta lì, dove per lui è facile raggiungerla e le sembra naturale stare lì, con lui, appena sveglia.
"Sei spigoloso..."
"Non sono un cuscino comodo, Rebecca me lo dice sempre."
Sorride di nuovo senza rendersi conto di avere ancora le mani unite e dell'assenza di Rebecca dal salotto. Il televisore è bloccato su un'immagine tremolante delle spalle di Helena Bohnam Carter ed Edward Norton e se mettesse play sentirebbe i Pixies cantare e vedrebbe i palazzi crollare alla stessa velocità con cui è crollata lei, dopo che l'ha fatto Giorgia.
"Mia sorella odiava questo film..."
Stefano rimane in silenzio, come se conoscesse già l'esistenza di questa sorella di cui non ha mai sentito parlare. Non chiede chi è, come si chiama, perché usa un tempo al passato. Ne ascolta il silenzio, il respiro all'improvviso meno sicuro, la posa rigida della schiena, ma non la interrompe neanche quando si stacca da lui.
"Odiava Palahniuk, lo considerava uno scrittore sopravvalutato che scriveva il nonsense con una scarsa conoscenza delle regole base della narrazione. A lei piacevano le storie vere, quelle che poteva toccare con mano, che poteva vivere chiunque ogni giorno. Le ninna-nanne africane, le modelle sfigurate on the road, l'inferno... Sembrava parlasse del male primordiale, quando parlava dei suoi libri. E odiava anche Brad Pitt. Non ne ho mai capito il perché però... Forse era il suo spirito di contraddizione."
Sorridono entrambi e Fedra si rigira nel sonno, accucciata contro il bracciolo, con le gambe allungate sul pouf davanti al divano. Stefano vorrebbe sapere almeno il nome di questa sorella, ma sa che non è il momento di chiedere, che Martina parlerà solo quando se la sentirà, senza pressioni da parte di nessuno.
"Però a me ricordava tantissimo Marla. Glielo dicevo spesso e lei secondo me ne era un po' felice, perché credo che come personaggio le piacesse. Solo che non voleva darmi questa soddisfazione. Alla fine si lamentava, ma non si tirava mai indietro quando la costringevo a riguardare il film con me."
Martina sospira e si lascia ricadere sulla sua spalla, a occhi serrati. Le sembra di sentire la voce di Giorgia lamentarsi del film, di Brad Pitt, della pizza fredda, del letto scomodo.
“Come si chiamava?”
Sente il verbo al passato e trema un po’. È qualcosa a cui non è abituata e a cui non si abituerà mai, pensare a Giorgia come a qualcosa che non esiste più, non come una persona da poter chiamare, abbracciare, con cui parlare o vedere film. Un ammasso di polvere in un cimitero qualsiasi, una fotografia sbiadita, una canzone arrabbiata, un messaggio in segreteria.
Giorgia, si chiamava Giorgia e lei non pronunciava il suo nome da otto mesi e non parlava di lei e non parlava con lei. Giorgia, perché sua madre era una fan dei Beatles e le aveva dato il nome di Harrison perché erano nati lo stesso giorno. Si chiamava Giorgia.
Stefano rimane in silenzio, senza più guardarla, ma senza spostare la propria mano dalla sua. Con ingenuità aveva pensato fosse arrivato il momento di parlare, di ascoltare, tempo di conoscersi davvero, ma la sua speranza si era scontrata contro quel muro ancora alto e lui si era ritrovato ancora una volta dalla parte sbagliata.
Un telefono squilla, nell’altra stanza. La suoneria viene spenta subito e Stefano riesce a sentire la voce di Rebecca, agitata. Non sa chi sia a chiamarla insistentemente, di nuovo il velo di preoccupazione oscura i suoi occhi luminosi e Martina gli stringe un po’ di più la mano, senza ancora guardarlo. Ha i capelli scombinati posati sulla sua spalla e il naso quasi tocca il suo collo. Sono così vicini che, quando parla, Stefano riesce a sentire il suo fiato sulla pelle.
“Si chiamava Giorgia.”

C’è un gocciolio persistente che lo tiene sveglio da ore, dal momento in cui Federica ha posato la testa sul cuscino e si è addormentata. Ora è mattina e Leonardo di chiudere gli occhi e dormire sembra non avere intenzione, distratto da quel rumore fastidioso e da pensieri che vorrebbe cacciare via.
Forse dovrebbe chiamare un idraulico, per quel rubinetto che perde. Che stringa un po’ i tubi o sistemi la pressione dell’acqua, o asporti completamente il lavandino, solo per dormire tranquillo qualche ora, prima di raggiungere Stefano in radio. Vorrebbe poter chiamare qualcuno anche per dimenticare, per sopprimere quel rumore tutto suo, che sente solo lui, che parla di notti sbagliate tinte di rosso e verde, delle sfumature di Rebecca, delle sue lentiggini.
Quelli come lui non sanno dimenticare, però. Si aggrappano con le unghie ai profumi di lavanda e ai sospiri, ai particolari che gli ricordano che su quel letto c’è stata un’altra donna e non si chiama Federica. E ora quella donna non sa dove sia, se vorrà ancora parlargli, se potrà perdonarlo, amarlo, scordarlo. Perché quelle come lei sanno dimenticare, sanno dimenticare i giochi da ragazzi, il mare di Rimini, i cd in macchina, i tè in centro, amicizie lunghe una vita. Cose che lui si sente dipinte addosso da pennarelli indelebili.
Recupera il cellulare in stanza, silenzioso, spera che Federica non si svegli, che il rubinetto smetta di perdere acqua, che qualcuno cancelli l’ultimo mese, che arrivi l’estate e riesca a prenotare il viaggio in Finlandia con Stefano.
Il telefono squilla a vuoto. tre, quattro, cinque squilli e poi la segreteria telefonica e la voce di Rebecca che dice di lasciare un messaggio, perché probabilmente deve riprendersi dalla sbronza della sera prima. Ricorda ancora la litigata con la madre la prima volta che aveva sentito la sua voce preregistrata. Si era giustificata dicendo che scherzava e lei aveva fatto finta di crederci per poi litigare con Stefano perché stava portando la sua bambina sulla cattiva strada, senza sapere che Rebecca era sempre stata così, sin da bambina, forse la più ribelle tra loro, a cui piaceva infrangere le regole e inventarsene di nuove.
Si prepara il caffè e c’è la macchinetta che gorgoglia, insieme al gocciolio del rubinetto e la radio che fa da ronzio in sottofondo. Federica ancora dorme e lui vorrebbe che non si svegliasse, fermare il tempo in quell’istante o rallentarlo all’infinito, in modo da godere di quegli attimi di pace rumorosa che lo distraggono per poco, prima che gli torni la voglia di telefonare.
Questa volta, al terzo squillo risponde, con la voce un po’ arrochita, e lui non sa se dal sonno o dalle lacrime. Rimane in silenzio, non le risponde subito, ascolta solo la sua voce, quella melodia insistente, che a lui sembra quasi dolce che compone con la cacofonia della sua casa.
“Reb?”
Neanche lei parla subito. Ci mette qualche istante a riprendere lucidità, a ricacciare indietro le lacrime e gli insulti, a fingere indifferenza.
“Leonardo…”
“Non attaccare…” sembra pregarla, le sembra di vederlo, con gli occhi sgranati, chiari e i denti un po’ storti che si scontrano sulle labbra e i capelli arricciati dal suo indice. “Dobbiamo parlare…”
Temporeggia, perché non vorrebbe dire quello che sa di dover dire, vorrebbe tenerlo per sé, fare finta che non sia successo niente, o che vada tutto bene e Federica non esista. Vorrebbe poter credere che lui la lascerà, che sconfigga finalmente quella paura di rimanere solo, senza una persona accanto a guidarlo ogni giorno verso le cose più semplice. Tutta quella sua insicurezza, lei vorrebbe spazzarla via con una passata di spugna, sgrassarla fino alle ossa via dalla pelle. Vorrebbe, ma sa di non poterlo fare.
“Non abbiamo niente da dirci…” trema, la sua voce, e lei vorrebbe essere ferma in quella decisione e che lui la pregasse di ripensarci. Che lasciasse Federica a prescindere da quello che gli dirà e tornerà a cercarla quando sarò pronto, quando saranno pronti entrambi, perché lei sa che lo saranno, forse tra pochi giorni, forse tra qualche anno, ma lo saranno. “È stato un errore. Non succederà mai più niente del genere. Ora, per favore, smetti di chiamare.”
Leonardo sente il fiato che si spezza e il cuore fa troppo rumore, un rumore troppo forte, che copre il gocciolio del rubinetto e la macchinetta del caffè e la radio e il panico della voce di Rebecca. Se prestasse attenzione, si renderebbe conto che non è quello che vuole neanche lei e che potrebbe farle cambiare idea con due parole.
Ma non lo fa.
Leonardo saluta e torna a letto.

○ ○ ○

Buongiorno, Cacofonici e mattinieri radioascoltatori!
Comincia a fare troppo caldo per girare per il centro di Roma, ti viene voglia di chiuderti a Euroma o in una casa col condizionatore a guardare un film tutta la notte. Noi ieri abbiamo visto Fight Club, per la centesima volta e in realtà non c’era neanche l’aria condizionata. In quattro in un appartamento che è un buco, su un divano stretto, non è proprio il massimo per combattere il caldo, ma l’importante è stare insieme, poi al resto ci pensa la birra ghiacciata presa al bar sotto casa.
Le serate tra amici, quelle tranquille, su un divano, a giocare a Trivial Pursuit o a guardare quei film che non guarderesti mai, sono quelle che mi mancano di più da quando ho iniziato ad andare a ballare e poi lavorare in discoteca. Quell’atmosfera di gioco e scherzo, il dormire stretti in una stanza, con le scarpe lasciate sulla porta di casa per non sporcare, che la donna ha appena pulito. Svegliarsi e scoprire di sapere qualcosa in più di ognuno di loro, adesso.
Provare a conoscerli veramente, fare domande forse senza risposta, ma da cui imparare i particolari dei loro volti.
Veniteci, all’Another Great Moretti, stasera che è sempre una gran festa, ma, se non volete venire, non chiudetevi in casa a giocare al computer, chiamate qualcuno, pure quello che non sentite da sei mesi, invitatelo a casa vostra, comprate una birra e conoscetelo. Anche solo guardando Fight Club per capire che film gli piacciono o dove hanno la testa.
La mia è rimasta in quella casa.

 

#where is my mind?

 

Note di un'orribile persona

Eh? Chi? Dove?
No, giuro, non sono stata io. E' la mia gemella cattiva a non avermi fatto aggiornare per più di sette mesi *piange*
Scusate, scusate davvero. Ci ho messo una vita, non ero neanche convinta di voler continuare a pubblicarla su EFP, ma come vedete, per ora ho deciso di tenerla. Sperando l'ispirazione faccia il suo dovere!
Non mi inventerò scuse, non vi dirò cos'ho fatto, vi dico solamente che gli aggiornamenti non credo saranno più regolari,  che Antonio e Fedra sono dei personaggi di un'altra mia storia - che tranquilli, non sto scrivendo, non carichiamomi di altra roba, grazie - e che c'era una cosa importante che volevo dirvi ma l'ho scordata.
Ah, sì, un mese e due giorni fa, Cacofonia Frammenti ha fatto un anno di vita ♥ 
Spero di risentirvi presto e che non vi siate scordati di me né di questi quattro - ormai cinque perché hanno adottato Fedra - disagiati e che vorrete leggere e lasciare due parole, anche solo per insultarmi.
Mi trovate sempre tra i Fenicotteri, le serpi, i pesci, i cigni e ora anche tra i lupi arcobaleno, insieme ad Amanda e a un altro gruppo di folli. 
Alla prossima, Elle. 

   
 
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