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Autore: _eco    12/08/2013    6 recensioni
[Haymitch Abernathy/Katniss Everdeen]
Guardo la bottiglia. Mezza vuota. Guardo il bicchiere. Mezzo vuoto.
- Mossa sbagliata, dolcezza. Decisamente sbagliata. -
[Partecipa alla Challenge Multifandom e Originali con il prompt #50 Alcool]
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sappiate che sto cominciando ad odiarmi per la rapidità con cui pubblico, ma, per il momento, meglio approfittare di questa ondata di ispirazione, perché se ne va quando meno me lo aspetto. A beneficio delle vostre testoline, aggiungo.
Bene. La prima Haymitch/Katniss che scrivo. Un missing moment che risale a "Catching Fire".
Niente, spero di non essere andata troppo fuori canon con Haymitch, che è il mio personaggio maschile preferito dopo Peeta.
Buona lettura.
S.

Ritornano sempre.

Ventitré anni. Quarantasei tributi. Novantadue occhi.
Numeri esorbitanti, esagerati, ma reali – un po’ meno, se accompagnati da una buona dose di alcol. Ed è sorprendente la loro capacità di insinuarsi nella mia testa tutti insieme, in una sola notte. Scorrono rapidi come in una parata. Sguardi che riconosco per via di una particolare pagliuzza nelle iridi, o per un taglio singolare dell’occhio, o, più comunemente, per il colore. Sguardi che, tuttavia, non sono stato abbastanza lucido da studiare in passato, e che, adesso, stento ad accompagnare col nome del proprietario. Sguardi che non sono in grado di collocare nel tempo. Sguardi di ragazzi morti che vivono nella mia testa. Ma comunque morti. Perciò, chi se ne frega di sapere a quale edizione hanno partecipato?
Tanto lo sanno che non posso più fare niente per loro, che sicuramente con alcuni di loro non ho nemmeno fatto un tentativo, quando avevo anche la più infinitesimale possibilità di salvarli.
E allora perché diavolo non se ne vanno? Perché diavolo non mi lasciano in pace?
Il fatto che stanotte a popolarmi la testa ci fossero soltanto gli occhi di un ragazzetto del 12, morto forse una quindicina di anni fa, mi ha indotto a pensare che scrollarselo di dosso non valesse il prezzo di svegliarsi del tutto e alzarsi.
Comunque, adesso sono in piedi. Perché gli occhi sono diventati quattro, poi otto, poi sedici, poi trentadue. E perché, in ogni caso, oggi non ho bevuto abbastanza. E tanto basta per strisciare i piedi verso la cucina.
Saranno le tre. O le quattro. È notte di sicuro, perché nel corridoio c’è silenzio, e ogni tanto mi arriva il rumore di un respiro addormentato o di un accanito russare.
Per qualche strano motivo, la mia testa sente il bisogno di collegarlo necessariamente ad Effie Trinket.
Effie Trinket con la sua parrucca, che sembra una nuvola di zucchero filato, mezza caduta, a pancia in giù, con la bocca aperta e grondante saliva, che russa della bella. Esilarante.
Il pavimento è gelido e io sono senza ciabatte, ma non è un problema. La porta della cucina non è chiusa, ma nemmeno aperta, e un cono di luce calda si riflette sul pavimento.
Prima di preoccuparmi di identificare la mia compagnia notturna, rimedio ad un problema ben più urgente. Accertarmi di essere entrato nella stanza giusta. E con “giusta” intendo qualsiasi luogo, anche il più angusto e puzzolente, che sia munito di un frigorifero con del liquore fresco.
C’è un frigo. Lo apro. Strizzo gli occhi e maledico quella luce fredda e bastarda. C’è l’alcol. Perfetto.
- Anche tu? -
Mi giro in direzione della voce, che, tanto per la cronaca, mi dà tanto l’impressione di appartenere ad una che vuol fare conversazione. Ma poi mi accorgo che la mia compagnia notturna non è altro che Katniss Everdeen, e mi rilasso un po’, perché parlare non è esattamente il suo forte, perciò immagino che quell’ “anche tu?” sia la versione alternativa di un “ciao”.
Tanto per non stare zitta.
Ha le spalle curve, come in una sorta di guscio, e la testa piegata in giù, a dimostrazione del fatto che tutti i libri che Effie le ha impilato in testa non sono serviti ad aggiustare la sua postura. Ma Effie qui non c’è, quindi al diavolo le buone maniere e lo star seduti composti!
La consapevolezza di ciò, mi spinge a sbattere i piedi nudi sul pavimento ad ogni passo, e a schioccare la lingua come un cavallo. A questo punto, vorrei che Effie fosse qui, per sbatterle in faccia tutte le mie buone maniere. Ma questo è un altro paio di maniche.
Butto giù un po’ di liquore, direttamente dalla bottiglia. Che è la penultima, ed è anche mezza vuota. Devo ricordarmi di metterne altre in frigo.
Anche tu?, cosa?
Tra le mani, stringe un bicchiere di vetro scintillante. Di quelli pregiatissimi che mettono qui, nei treni diretti a Capitol City, tanto per farti godere della tanto aspirata ricchezza e del lusso capitolino, prima di gettarti a morire come un disgraziato.
Guardo la bottiglia. Mezza vuota. Guardo il bicchiere. Mezzo vuoto.
- Mossa sbagliata, dolcezza. Decisamente sbagliata. -
- Il frigo è di tutti. Ergo, il liquore è anche mio. Se non vuoi metterlo a disposizione degli altri, fatti mandare uno di quei congelatori portatili e ficcatelo nella tua stanza. -  mi risponde la ragazzina, in tono di sfida.
Ha fottuto il mio liquore. Ha fottuto il mio-dannato-liquore.
- Ma se la tieni dentro a stento, quella roba. -
Katniss mugugna, indispettita, ma almeno ha perso quell’aria saccente, che mi provoca un gorgoglio nello stomaco e la sensazione di dover vomitare da un momento all’altro per il disgusto.
- Versamene un po’. -  mi chiede, sollevando la testa in direzione della bottiglia che ho in mano.
È già bella rintronata. Con un solo bicchiere. O forse due, perché la bottiglia è mezza vuota. Era mezza vuota, perché l’ho quasi ripulita.
- Te lo scordi, dolcezza. -  ribatto. – Questa – dico , prendendo l’ultima dose di liquore bianco che rimane in frigo - è tutta mia. Torna a dormire e a ciucciarti il pollice. -
- Ciucciatelo tu, il pollice. Sempre che tu riesca a distinguerlo, dopo la sbronza che ti prenderai. -
Katniss riduce gli occhi a due fessure.
- Dovresti stare lontana da quel gatto… com’è che si chiama? Ragnettolo? Soffi come lui, dolcezza. -  
- Ranuncolo. -  mi corregge, a denti stretti. - Versamene un po’, Haymitch. -
Quasi rabbrividisco – no, rabbrividire non è propriamente nel mio stile, piuttosto, mi immobilizzo di scatto. Perché, al posto di Katniss, adesso c’è una che somiglia parecchio a quei morfaminomani che si vedono in giro. Alcol. Morfamina. C’è poi tanta differenza?
Si cerca di scappare e basta. In entrambi i casi.
Io ho trovato una via di fuga in qualcosa che, comunque la si veda, non concede scampo. Ma quegli istanti di evasione valgono il prezzo di una dipendenza da alcol assicurata.
- Perché non ti trovi un’occupazione tutta tua? Dipingi o cuci o fai delle torte, che so io? -  biascico.
- Perché non la fai tu, una torta? -  replica.
- Devi smetterla di ritorcermi contro le mie stesse parole, dolcezza. Hai il fascino di una lumaca morta. -
- Dì, Haymitch? Dov’è che ti servi per originalità? Questa battuta l’hai già usata. -  mi ricorda, cantilenando e imitando – senza successo, per inciso – la mia voce.
Cala il silenzio. Katniss incolla le labbra al bicchiere, respirando deliberatamente in maniera rumorosa, e annebbiando il vetro con una nuvoletta di fiato caldo. Non beve, anche perché il liquore è praticamente finito, ma non ho intenzione di versargliene un altro po’.
L’alcol è mio, punto e basta. Che si trovi qualcos’altro. Peeta lì, non può insegnarle a mettere insieme quattro ingredienti e a fare una torta?
Katniss ha lo sguardo perso nel fondo del bicchiere, ma non ci vorrebbe un genio per capire che non è quello ciò che sta fissando.
Da qualche parte, tra le palpebre e le iridi, dev’esserci qualcosa di oscuro e atroce. Come succede a me. Novantasei occhi intrappolati nei miei.
Ma io ho la mia bottiglia, e me la tengo stretta. Che si trovi qualcos’altro, mi ripeto.
Striscio i piedi sul pavimento e mi avvio verso la porta, con la bocca incollata al collo della bottiglia.
- Non andranno mai via, non è così? – sento dietro di me.
Mi volto, con aria decisamente seccata, pronto a lasciar trasparire tutta la mia irritazione, ma non vedo quel che mi aspettavo. Katniss è rimasta di spalle, ancora curva come in un guscio, mentre credevo che mi avrebbe scoccato uno di quegli odiosi sguardi di sfida che mi fanno venire il disgusto.
Cosa? Cosa non andrà mai via?
Ma, quando sei sopravvissuto a ventitré ragazzi, e non sei riuscito a salvarne quarantasei, queste non sono domande da porsi.
Ho già capito a cosa si riferisce. Ma sono già abbastanza sbronzo e assonnato per poter pensare lucidamente. O forse è soltanto che mi secca ficcarmi di nuovo in quella melma, ora che ho la chiave per la mia quotidiana evasione dagli incubi.
Incubi. Parla di questo, senz’altro.
La verità è racchiusa in un’unica, piccola parola, che per altro non richiederà più di dieci secondi di separazione dalla bottiglia. Non è questo il problema.
E, anche se dire una bugia mi risparmierebbe la fatica di ammettere, per l’ennesima volta, e persino ad alta voce, l’atroce realtà dei fatti, proprio non mi riesce di rifilargliene una. Anche perché, da brava – non proprio tanto, ma almeno è migliorata negli ultimi tempi  – bugiarda che è, mi smaschererebbe subito.
Perciò, decido di essere sincero.
- No. – mugugno, con un piede oltre la porta e uno ancora dentro, la bottiglia a mezz’aria, vicina alla bocca.
La sento irrigidirsi, dietro di me.
- No, dolcezza.
So che, quando la sbronza sarà passata, torneranno di nuovo. Novantasei occhi. Più quelli di mia madre, del mio fratellino, di tutti quelli che, più o meno indirettamente, sono morti per una causa che include me.
Ma, fino ad allora, tanto vale buttare giù quel che rimane nel bicchiere e ficcarsi a letto.

  
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