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Autore: RomanticaLuna    12/08/2013    2 recensioni
Erik Phelps, 17 anni, Distretto 1, figlio unico. Il ragazzo atletico, bello e muscoloso che tutte le ragazze vorrebbero al proprio fianco.
Rosaline Smith, 17 anni, Distretto 4, terza di quattro fratelli. Robusta, intelligente, atletica ed espansiva.
Jasmine Brave, 16 anni, Distretto 8, prima di sei fratelli. Mingherlina, paurosa e timida.
Oliver Parker, 16 anni, Distretto 10, una sorellina da mantenere, una grande forza d’animo, coraggio da vendere, amichevole ed affettuoso.
Quattro ragazzi, un solo destino: partecipare ai 60°Hunger Games. Quattro sogni, quattro caratteri, differenti ambizioni e passioni, differenti Distretti ed abitudini, ma la stessa missione: vincere e non essere uccisi. Quattro storie che si legano nell’arena, una sfida che affronteranno insieme.
Che i sessantesimi Hunger Games abbiano inizio e che la Fortuna vi assista!
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1 - La Mietitura





Distretto 1, Distretto dei gioielli e delle cose preziose. Un ragazzo si allenava prendendo a pugni un sacco di patate, sui pugni chiusi erano ben visibili le vecchie cicatrici dei combattimenti. La porta del magazzino si aprì ed entrò una ragazza bionda dagli occhi di un verde splendente.
“Tuo padre ti cerca” disse con una voce cristallina.
Il ragazzo si fermò e la guardò. Gli occhi scuri di lui la sfiorarono per qualche secondo prima di tornare al sacco marrone che gli stava di fronte.
“Dice che è importante” rincarò la ragazza.
Con uno sbuffo il giovane diede un ultimo pugno e la raggiunse controvoglia. Quando suo padre lo cercava non era mai un buon segno ed un brutto presentimento appesantiva il cuore del combattente. Sentiva che centrava qualcosa con gli Hunger Games, ma non ne era completamente certo. Entrò nell’immensa villa con un pizzico di paura nel cuore ma con la solita aria di strafottenza e sfida che lo caratterizzava. La ragazza bionda lo teneva per mano, i suoi passi lo guidavano.
“Grazie, Emily, ora continuo da solo. Ci vediamo più tardi” disse il giovane. Lei lo guardò un momento prima di lasciargli la mano. Si alzò sulle punte dei piedi e gli sfiorò le labbra con le sue, poi se ne andò. Rimasto solo, aprì una porta dietro l’altra e si diresse fino allo studio di suo padre, che trovò stranamente aperto.
“Volevi vedermi?” chiese in aria di sfida.
“Figliolo, siedi” disse l’uomo, indicando una sedia rivestita di velluto rosso. Il ragazzo non si mosse. Guardò il padre dall’alto del suo metro e novanta, osservò l’immensa stanza che formava lo studio. Non era mai entrato lì prima di allora.
“Bene. Allora, Erik tu sei mio figlio e come tale hai degli obblighi. Tra cui assicurare che la gente del Distretto viva in pace. So che ti alleni ogni giorno e credo sia giunto il momento di arruolarti nell’esercito di Capitol City” continuò.
Uno sbuffo di scherno dalla parte del ragazzo ancora in piedi. “Mai” disse solamente prima di uscire e sbattere la porta dietro alle sue spalle. L’esercito di Capitol City, diventare un Pacificatore. Andava contro tutti i suoi principi. Lui voleva distinguersi, non ritrovarsi ad indossare una divisa bianca ed essere chiamato con un numero…sarebbe stato uno dei tanti. Non faceva per lui quel lavoro. Lui sarebbe diventato famoso!
Erik Phelps, 17 anni, Distretto 1, figlio unico. Il ragazzo atletico, bello e muscoloso che tutte le ragazze vorrebbero al proprio fianco. La sua passione era quella di combattere, il suo sogno nel cassetto quello di far conoscere il proprio nome. E c’era un solo modo a Panem per riuscirci: partecipare e vincere gli Hunger Games. Doveva farcela. Quell’anno, Erik si sarebbe offerto volontario alla Mietitura. Avrebbe vinto, lo sapeva, perché si allenava sin dalla nascita. Sarebbe diventato famoso e, finalmente per la prima volta nella sua vita, suo padre sarebbe stato fiero di lui. Ce l’avrebbe fatta, ne era certo, perché lui era il figlio del primo cittadino del Distretto 1, sarebbe stato un Favorito. Così, con una camicia di un bianco candido e un paio di jeans attillati si dirigeva verso la piazza per la Mietitura. Sicuro di sé guardava il cielo azzurro e stringeva la vecchia pietra blu ereditata dal nonno. Corse per i dieci minuti del percorso, sorrise agli amici e, senza la minima traccia di paura, si mise in fila. Dalla parte opposta, Emily lo guardava estasiata, gli occhi verdi e grandi che si beavano della sua bellezza, le labbra rosse e carnose che desideravano la fine della Mietitura per incontrare nuovamente quelle di lui. La pelle candida in risalto con l’abito nero ed elaborato. Era l’unica a conoscere il desiderio di Erik di offrirsi agli Hunger Games e si era convinta che lei doveva essere coraggiosa quanto lui: sarebbero andati insieme, sarebbero stati i due Campioni del Distretto 1. Così, prima che il Prefetto estraesse il pezzo di pergamena dalla boccia delle ragazze, Emily alzò la mano, sicura di sé, e si offrì come volontaria sotto gli occhi increduli di tutta la comunità. Erik la imitò, seguito dagli applausi dei compagni. Insieme salirono sul palco, si strinsero la mano, guardarono i compagni e sorrisero. Avrebbero affrontato quest’avventura insieme, come voleva Emily. Sarebbero rimasti sempre insieme, senza considerare che negli Hunger Games può esistere un solo Vincitore.
***
Nello stesso istante, nel Distretto 4 una ragazza sfogliava lentamente la pagina di un libro vecchio e logoro. Il canto degli uccelli ed il suono delle onde erano gli unici rumori nella baracca di legno in cui la giovane si era rifugiata. Non voleva più saperne di guerre e combattimenti, non voleva continuare a star male per la volontà di pochi, lei voleva essere libera. Libera come l’usignolo che volava felice da un ramo all’altro del vecchio pioppo, libera come la farfalla che aveva tatuata sul piede. Desiderava con tutto il cuore poter essere libera di andarsene.
Una voce maschile la riportò alla realtà, le immagini di un’avventura epica svanirono dalla mente della fanciulla, che si guardò intorno in cerca del padrone di quella voce.
“Che vuoi?” chiese schietta.
“Oh, oh, oh, calma Sirenetta! Volevo solo parlare con te” disse lui sulla difensiva.
“Non abbiamo niente di cui parlare, mi sembra che abbiamo completamente chiarito come stanno le cose!”
“Questo lo dici tu. Ora, se non ti dispiace, siediti qui e stai zitta” dicendo ciò la bloccò sulla sedia più vicina e si assicurò il suo totale silenzio.
“Volevo scusarmi con te, non credo a ciò che hanno detto in piazza. So che tu non hai rubato nulla” disse con calma.
“Strano, fino a due ore fa urlavi proprio il contrario. Tu mi hai accusata, tu stesso mi hai portata davanti al sindaco. Tu, il mio migliore amico. E ora vorresti il mio perdono? Vattene, è meglio per tutti!” urlò la giovane, tornando al suo libro.
“Sono stato costretto a dirlo!” gridò lui sullo stesso piano, prendendo di scatto quello stupido libro che la separava dai suoi occhi e gettandolo dalla parte opposta della stanza.
“Costretto? Come puoi essere costretto ad accusare gente innocente? Come puoi essere stato costretto a urlare il mio nome? Ti conosco da quando avevamo cinque anni, so quando menti. Ed ora stai mentendo!” lo accusò.
Lui rimase in silenzio, per qualche minuto, continuò a guardarla e studiarla. Erano dodici lunghi anni che la conosceva, eppure non sapeva niente di lei. Non sapeva come prenderla, come parlarle, cosa dirle. In quel momento non sapeva nemmeno chi lei fosse, gli sembrava una perfetta estranea. Lasciò la baracca e se ne andò. La giovane rimase sola, piegò la testa e pianse. Come poteva non capire i suoi sentimenti per lui? Come poteva essere così cieco e non accorgersi del male che le aveva provocato accusandola ingiustamente? Forse, alla fine, ancora non lo conosceva veramente. Non era più quel bambino frignone che si nascondeva sempre dietro di lei per essere protetto, era cresciuto era…un uomo! Ma non il suo. Non sarebbe mai stato il suo Richard! Le loro strade si dividevano e lei doveva prendere la sua, staccarsi dalla sua vita monotona e trovare la sua avventura.
Rosaline Smith, 17 anni, Distretto 4, terza di quattro fratelli. Robusta, intelligente, atletica ed espansiva. Il suo scopo nella vita era quello di assistere la nonna malata, il suo sogno nel cassetto era scappare. Il suo hobby era la lettura, il suo difetto l’irresponsabilità, il suo pregio migliore il coraggio. Nelle lunghe giornate d’inverno si sedeva davanti al caminetto acceso con un grosso libro sulle ginocchia e si perdeva tra le pagine ingiallite, tra quelle righe stampate. Leggeva veloce ogni lettera che si univa per formare una parola che, unita ad un’altra e ad un’altra ancora, formava una frase. Ed ogni frase era in grado di trasportarla in un altro mondo, il suo mondo. Un mondo migliore, senza guerre o tiranni o paura per il futuro. Ma, nel suo presente, Rosaline doveva presentarsi alla Mietitura, non poteva rimanere nel suo mondo, doveva risvegliarsi da quello stato di trance che l’aveva rapita. Così indossò l’abito argento ed attillato che, a contatto con il suo corpo, lasciava intravvedere le sue forme sinuose ed abbondanti nei punti giusti. Legò i capelli e vi intrecciò una conchiglia prima di uscire. Si diresse verso la piazza del Distretto, ancora deserta. Era sempre la prima ad arrivare. Suo fratello Marc arrivò di corsa e si mise in fila di fianco a lei, più titubante ed insicuro di sé. Aveva accumulato troppe tessere, non l’avrebbe scampata tanto facilmente. Rosaline lo prese per mano e lo rassicurò, lo tenne stretto fino al momento di dividersi. Quando la piazza si riempì, il sindaco annunciò l’entrata di Carmen Pius, rappresentante del Distretto 4 a Capitol City. Con la sua acconciatura sgargiante e le conchiglie appuntate nei capelli azzurri, mescolò per bene i nomi nella boccia di vetro delle ragazze, fino ad estrarre il fortunato: Rosaline Smith. Uno sguardo di sfuggita al giovane Marc e la ragazza salì sul palco vicino al piccolo Ivan, di soli 12 anni.
***
Distretto 8. Le donne tessevano vestiti pregiati per la capitale, il sole era caldo e bruciava la pelle. Una ragazza correva per i campi, inseguendo un cagnolino nero, ancora ignara della vita. I capelli biondi si libravano nell’aria fresca a contatto con il vento, gli occhi azzurri si perdevano nell’immensità del cielo limpido. Le piaceva la sua vita, eppure le mancava qualcosa. Corse fino ad un prato con pochi alberi e tante rocce e lì si fermò. Guardò i sassi uno ad uno e si sedette vicino ad uno levigato. Sulla sua superficie erano incise le parole –Kara Tunner in Brave, 7 dicembre 2080-8 gennaio 2110-. La ragazza prese un fiore rosso e lo posò sulla lapide, giunse le mani ed invocò una preghiera personale.
“Ti voglio bene, mamma” bisbigliò la giovane prima di lasciare la tomba e andarsene.
Le campane suonarono dodici rintocchi, segno che era giunta l’ora di rientrare per il pranzo. Suo padre sarebbe tornato a casa nel giro di qualche minuto e lei doveva ancora preparare la tavola e richiamare i suoi fratelli. Doveva sbrigarsi o…si massaggiò la spalla, ricordando la punizione che il padre le aveva inflitto l’ultima volta che gli aveva disubbidito. Non voleva succedesse ancora, non voleva capitasse mai più né a lei né ai suoi fratelli. Doveva proteggerli da lui, in qualche modo. Ma non aveva il coraggio di ribellarsi ad un uomo più grande di lei, più vecchio e che le aveva donato la vita e assicurato cibo con il suo lavoro per tutto quel tempo. Era suo compito di primogenita assicurarsi la felicità di tutta la famiglia. E lei avrebbe portato a termine il suo compito, con qualsiasi mezzo, in qualsiasi modo.
Jasmine Brave, 16 anni, Distretto 8, prima di sei fratelli. Mingherlina, paurosa e timida. Il suo obbiettivo era quello di restare invisibile, confondersi con il paesaggio per non essere vista da nessuno, il suo sogno nel cassetto, come per ogni ragazza, trovare l’amore. Sperava che un giorno la sua anima gemella arrivasse e la rapisse, la portasse in un posto lontano, fuori dagli Stati di Panem, a visitare luoghi esotici. Il suo desiderio più grande era visitare il mondo. Ma Jasmine sapeva che questo non si poteva fare, non nel Distretto 8, non a Panem. Nessuno può lasciare Panem. Nemmeno gli animali. È una prigione le cui sbarre sono indistruttibili. Talmente strette che tolgono il respiro e talmente robuste che tolgono la speranza. Ma un desiderio o un sogno non viene abbandonato per strada: sebbene impossibile da realizzare, lo si tiene ben custodito in un cassetto e, al momento giusto, lo si estrae e lo si rivendica. E Jasmine aveva scritto una lista di tutti i suoi desideri e l’aveva nascosta in un romanzo perché il padre non la trovasse. Lui non riteneva giusto lasciare le proprie terre per visitare posti sconosciuti, secondo lui era troppo pericoloso. Se avesse visto quei pochi punti scritti su un foglio, li avrebbe stracciati immediatamente, infuriandosi contro la fantasia della primogenita. “Molto bene ragazzi, con il vostro permesso vado a stendermi un po’” disse l’uomo appena terminato il pranzo.
I figli iniziarono a raccogliere le proprie cose, a sistemare la casa. Poi uscirono. Era il giorno della Mietitura, il giorno più odiato dell’anno. Il giorno in cui due amici sarebbero andati a morire.
Jasmine lisciò la gonna bianca ed allacciò l’ultimo bottone della camicetta candida, prese per mano la sorella ed il fratello appena undicenni e si diresse verso l’odiato centro della città. La piazza era lontana da casa sua, doveva attraversare il bosco e fronteggiare le fabbriche in cui lavorava suo padre. Tenne stretta in pugno la fede nuziale della madre, sicura che l’avrebbe sempre guardata dall’alto e l’avrebbe protetta in ogni situazione. Patrick Tumori, rappresentante di Capitol City, annunciò la sessantesima edizione degli Hunger Games ed iniziò a mescolare le pergamene delle ragazze, pescò il foglietto e lo spiegò. Il nome che riecheggiò per la piazza fu “Eleanor Brave”. Un nome, un battito perso del cuore di Jasmine. Un nome, la paura di perdere un componente della sua famiglia, la tristezza che avrebbe invaso la casa e la sua anima. Spinta da un moto di coraggio, la giovane si frappose tra sua sorella ed il palco, offrendosi come volontaria per il Distretto 8.
Nessun applauso da parte dei compagni, solo qualche lacrima. La stavano lasciando, sapevano che Jasmine non sarebbe mai sopravvissuta agli Hunger Games, erano una sfida troppo grande per lei. Non avrebbero mai più rivisto l’affezionata amica.
***
Distretto 10, l’allevamento. Un ragazzo ed una bambina mettevano in fila una decina di pecore pronte per essere rasate. Era una giornata splendida e calda di mezz’estate, le voci degli altri allevatori aleggiavano nell’aria, il belato degli agnellini accompagnava quello delle madri. Era faticoso badare agli animali, ma al giovane moro non importava, avrebbe fatto di tutto per vedere felice la bambina che gli stava di fronte e godeva di ogni suo minimo sorriso. Sapeva che lei amava quelle terre e non desiderava lasciarle. Gli piacevano le colline soleggiate, i campi verdi, gli alberi sempreverdi, il canto degli uccellini la mattina. Era amico di tutti al villaggio e molti lo prendevano come un esempio da seguire. Si asciugò con la manica logora della camicia il sudore dalla fronte e tornò al suo lavoro, ricominciando a tagliare ciocca dopo ciocca quella lana sporca. Gli avrebbe fruttato un po’ di soldi da parte della capitale, doveva riuscire a battere i suoi compaesani sul tempo e venderla ad un prezzo vantaggioso. Doveva darsi da fare e non aveva tempo per le pause o per godersi i vantaggi della sua giovane età. Non aveva tempo da perdere con i giochi o con gli amici, doveva lavorare e portare un fardello troppo pesante per lui, cresciuto troppo presto. E nei momenti liberi si allenava, aumentando la sua forza fisica. Voleva un lavoro più redditizio e si dava da fare per ottenerlo.
Oliver Parker, 16 anni, Distretto 10, una sorellina da mantenere, una grande forza d’animo, coraggio da vendere, amichevole ed affettuoso. Il suo obbiettivo era quello di rendere felice la sorellina, il suo sogno quello di far finire la guerra contro Capitol City. Si allenava, da anni. Doveva diventare Pacificatore per guadagnare più soldi e poter permettere le lezioni private alla sua adorata Anne. Si allenava ogni giorno ed in ogni condizione e non gli importava delle chiacchiere dei compagni o dei compaesani. Lui doveva riuscire a far felice Anne, nulla gli importava più di lei. Fu con il cuore spezzato che la lasciò, quel giorno di luglio, per dirigersi insieme a qualche compagno alla piazza cittadina. La Mietitura per i 60°Hunger Games sarebbe iniziata nel giro di qualche minuto e lui non poteva arrivare in ritardo. Chi non si presentava o arrivava in ritardo, nel Distretto 10 veniva punito. E spesso toglievano a tutta la famiglia il cibo, o si veniva frustati, o erano previsti lavori extra. Oliver si mise in fila davanti al Pacificatore, sul petto scoperto il segno di una vecchia cicatrice, sul viso un’espressione impavida e di sfida. Si avvicinò a Stephen, il suo migliore amico, sicuro di non essere chiamato. Parlarono a lungo della stagione, delle vacanze estive e del mondo del lavoro alle porte. Entrambi non temevano la Mietitura, avevano pochissime tessere, non sarebbero stati estratti. Ma il destino gioca brutti scherzi, nonostante le tessere di Oliver non toccassero nemmeno la decina, fu proprio il suo nome quello ad essere estratto. Così il ragazzo dovette prefissarsi una nuova missione: vincere gli Hunger Games e garantire fama al Distretto e ricchezza alla sua famiglia. Affiancò la compagna sul palco, salutò gli amici e si lasciò trasportare dal sindaco verso il palazzo comunale, pronto ad affrontare la carneficina che gli anni addietro aveva visto solamente in televisione.
******


L'angolo di *L*

Ciao carissimi Tributi, mi sono messa di impegno per la costruzione di una nuova storia. Sono particolarmente fiera di come sia uscita, spero che anche a voi piaccia! =) Vi lascio leggere con calma ;-)
Un bacione grandissimo a tutti! 
 

  
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