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Autore: andromedashepard    12/08/2013    5 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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“Happiness hit her like a bullet in the back
 Struck from a great height
 By someone who should have known better than that”

 (Florence + The Machine, "Dog Days Are Over")

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Si era svegliato nel cuore della notte con un groviglio di minuscoli fili insidiosi a solleticargli viso e aveva fatto per spazzarli via d’istinto, con gli occhi ancora chiusi. Poi, aprendoli, l’aveva vista dormire beatamente nella penombra. Aveva sorriso, notando che nel sonno si era girata verso di lui e si era raggomitolata contro il suo torace, le mani sovrapposte sul cuscino sotto il suo viso. Era bella, in un modo che non avrebbe mai pensato. Persino i suoi strani capelli avevano qualcosa di affascinante ai suoi occhi. La guardò dormire per un’eternità, desiderando di scostarle quella ciocca ramata che ricadeva sul suo volto e che ogni tanto le faceva arricciare il naso. Era la prima volta che poteva guardarla liberamente, senza che lei se ne accorgesse e si voltasse altrove imbarazzata. Studiò a lungo il suo viso, memorizzandone ogni singolo particolare… le lunghe ciglia, le lentiggini appena visibili nella luce azzurrina, le sue labbra piene leggermente dischiuse. Provò lo strano desiderio di sfiorarle, quelle labbra, con le sue, ma era talmente sbagliato… Si sforzò di guardare altrove, senza successo; i suoi occhi indugiarono sulle linee morbide del suo corpo, sulle sue mani piccole, ma forti, ricoperte di vecchie ferite, su quel lembo di pelle scoperto tra la maglia e i pantaloni, sui suoi piedi che si muovevano appena ad indicare che stava sognando.
Ma… era davvero così sbagliato?
Nessun rumore proveniva da fuori, gli altri membri dell’equipaggio avevano finalmente deciso d’interrompere i festeggiamenti per andare a dormire, e lui sarebbe rimasto volentieri sdraiato in quella piccola porzione di letto, se solo non fosse appena diventato così difficile. Faceva male vederla lì e non poterla toccare, faceva male non capire perché desiderasse così tanto allungare una mano per accarezzarle il viso, faceva male adesso che l’effetto dell’alcol era svanito insieme alla sua spensieratezza. Sì alzò lentamente, impegnandosi con ogni muscolo del suo corpo a non farla svegliare e lasciò il Supporto Vitale. Non era nel suo stile, ma non riusciva a non avere paura di un eventuale risveglio in cui lei l’avrebbe guardato inorridita e avrebbe iniziato a urlare di non ricordare nulla della sera prima, sostenendo di aver solo commesso un tremendo errore.
Si guardò intorno e vide il caos. La sala mensa era piena di bottiglie vuote ad ogni angolo, bicchieri di plastica accartocciati e cocci di vetri sul pavimento, una torta che sembrava essere stata divorata e risputata da un Varren e Grunt che ronfava sul divano, facendo da cuscino a una placida dottoressa Chakwas. Se solo non fosse stato così tormentato per Shepard, avrebbe sorriso di sicuro alla vista di quella scena a metà fra il tenero e l’inquietante.
Scese le scale di servizio e giunse nell’hangar delle navette, trovando la quiete e l’ordine che cercava in un piccolo angolo ritagliato appositamente per gli esercizi fisici. Si disfece della maglia e iniziò a stirarsi i muscoli lentamente, preparando il suo corpo all’allenamento. Sentì uno strano fastidio alla mano destra, qualcosa di anomalo. La osservò da vicino e notò che un capello era rimasto intrappolato fra le sue squame. Sorrise e lo guardò a lungo, come se si aspettasse che da un momento all’altro quel minuscolo aggregato di cellule cheratinose potesse parlare e rivelargli qualcosa della sua proprietaria originale. Semplicemente assurdo. Lo lasciò cadere sul pavimento e si avventò su un sacco da boxe, finchè non sentì i motori della Normandy riaccendersi e capì che era già l’indomani.
 
 
 
Una vibrazione diffusa, poi un rumore deciso e l’energia che inizia a fluire dal Drive Core in una serie di scie bluastre attorno al nucleo. Shepard avrebbe riconosciuto quel suono tra mille. Si svegliò di soprassalto, mettendosi a sedere su un letto che non era il suo, gli occhi ancora semichiusi e una mano a reggersi fronte, una smorfia di dolore sulle sue labbra per via del pesante cerchio alla testa. Quando finalmente ebbe il coraggio di aprire completamente le palpebre, provò un forte senso di smarrimento e la sua mente, già provata, fu invasa dai flash della serata precedente. Si concesse un attimo per riprendersi, restando con le gambe a penzoloni sul lettino mentre faceva mente locale. Una bottiglia blu finemente decorata sulla scrivania, due bicchieri, i suoi stivali allineati per terra, a fianco del lettino. Si portò entrambi le mani sul viso e diede un lungo sospiro, scuotendo la testa.
Che cosa diavolo ho fatto…
Poi, l’orrore. Iniziò a grattarsi convulsamente le braccia, mettendo a fuoco la vista nella penombra. Sollevò maggiormente le maniche della maglietta e vide un rossore esteso sugli avambracci, bollicine in rilievo sull’epidermide e una sensazione di prurito che le ricordava le punture di un insetto, ma moltiplicato per dieci. Che fosse una reazione allergica a quella bevanda misteriosa? Ma ciò non avrebbe spiegato l’improvvisa apparizione del rash solo sulle braccia. Shepard deglutì e decise che prima di fare ulteriori speculazioni sarebbe andata da Mordin. Recuperò gli stivali e li indossò velocemente, poi cercò l’elastico e legò i capelli in una coda, lisciandosi la maglietta.
Restò per almeno trenta secondi a fissare il portellone del Supporto Vitale, prima di decidersi ad uscirne velocemente, sperando con tutta se stessa di non imbattersi in nessuno. Si fiondò all’interno dell’ascensore senza neppure dare un’occhiata alla mensa e salì fino al ponte di comando.
 
Mordin sollevò appena la testa quando la vide entrare nel laboratorio con un’aria decisamente stravolta. Prima che potesse anche solo salutarla, lei gli si era parata di fronte, mostrandogli le braccia scoperte.
“Umh”, Mordin attivò il factotum, passandolo brevemente a distanza.
“E’ per via di quello che ho bevuto?”, chiese Shepard, impaziente. Mordin le rifilò uno sguardo scettico. “Ingerimento di sostanza nociva non si manifesta in questo modo. Tuttavia, scanner conferma che tu reduce da sbronza. Alcol tossico per organismo, Comandante”.
“Allora dimmi, che significa?”, tagliò corto lei. Non serviva uno scienziato Salarian per capire che l’alcol non fosse propriamente salutare.
“Trattasi di eruzione cutanea. Infezione? No, non può essere, scanner rileva produzione di globuli bianchi nella norma. Malattia esantematica? No, fuori discussione. Dev’essere dermatite da contatto.”
Shepard rimase a fissarlo, mentre lui girava su se stesso con una mano sotto il mento e le palpebre strette intorno agli occhi. “Shepard, toccato un Drell per caso?”
Colpita e affondata.
“No, cioè… non…”
“Unico Drell su questa nave Thane Krios. Thane Krios non presente ieri sera. Tu sparita all’improvviso. Effetti post-sbornia. Tu e Thane Krios sbronzati insieme. Avuto anche allucinazioni?”
Shepard avrebbe riso se l’imbarazzo non l’avesse fatta pietrificare come una statua. “Allucinazioni? Mordin, di che diavolo stai parlando?”, trovò poi il coraggio di domandare.
Lui iniziò a camminare in tondo trafficando col factotum. “Specie reagiscono in modo diverso allo stress. Attività sessuale normale come valvola di sfogo, tuttavia raccomando cautela con Thane. Contatto orale può causare allucinazioni. Pelle di Drell ricoperta da film idrolipidico velenoso per Umani, simile a veleno di rospo terrestre. Ecco, leggi pagina 340, mio trattato su Xenobiologia, vinto numerosi premi, sezione su Drell. Informazioni interessanti”, disse trasferendo un link al factotum di Shepard.
Lei ascoltò quel discorso delirante con la mascella che toccava ormai terra e la gola secca, incapace di rispondere.
“Consiglio utilizzo di oli o unguenti per ridurre disagio prossima volta. EDI può fornire materiale video dimostrativo per rapp…”
“Mordin, frena!”, Shepard quasi urlò, resistendo all’impulso di tapparsi le orecchie e cantare sopra la voce del Salarian come avrebbe fatto un bambino. “Non è come pensi. Non c’è stato nessun contatto orale e nessun… diamine… Ma come ti è venuto in mente?”
“Abituato a trarre conclusioni, utilizzo di logica ed esperienza”.
“Senti, questa cosa deve restare tra noi, intesi?”, disse, agitando una mano.
“Certamente, Comandante”, sorrise lui, per niente infastidito, “Prendi, usa questo per dermatite”, concluse porgendole un barattolo colmo di una sostanza oleosa dall’odore gradevole. Shepard lo afferrò e corse nella sua cabina, mentre il Salarian ancora mormorava “prossima volta consiglio meno alcol e buona musica”.
 
Non avrebbe potuto pensare ad un risveglio peggiore, quella mattina. Seduta sul bordo del suo letto, si ostinava a fissare in cagnesco quel barattolo e poi le sue braccia, tentando di resistere all’impulso di grattarsi come se potesse far svanire il prurito solo con la forza di volontà. Sarebbe stata paradossalmente più tranquilla se solo avesse dimenticato tutto della notte precedente, e invece ricordava ogni minimo dettaglio con assoluta chiarezza, tanto che se ripensava alle sue braccia che si stringevano intorno alle sue, poteva sentire il suo stomaco fare una capriola all’indietro. Si lasciò cadere sul materasso e sospirò profondamente, meravigliandosi di quel sorriso che, impertinente, si stava formando sulle sue labbra contro la sua forza di volontà. Quand’è che aveva iniziato a sentirsi così, com’era successo? Prima di farsi sopraffare ulteriormente dai pensieri decise di fare una doccia, almeno avrebbe smesso di odorare di spumante.
 
La Normandy, intanto, era in rotta verso il sistema di Xe Chan, dove erano state segnalate un gran numero di risorse utili per la missione. Dopo il lavoro intenso delle scorse settimane, Shepard aveva deciso di dedicarsi ad attività meno faticose per la squadra, adesso che Omega 4 sembrava avvicinarsi sempre di più. Thane era ritornato al ponte equipaggio, fermandosi in sala mensa per preparare un caffè. Era quasi certo che non avrebbe ritrovato Shepard al Supporto Vitale, ma in caso contrario non avrebbe voluto presentarsi a mani vuote. Quando rientrò in cabina si sentì sollevato di trovata vuota, ma dispiaciuto allo stesso tempo. Si chiese dove fosse andata, se quando aveva riaperto gli occhi l’avesse cercato nel buio oppure era stata felice di non trovare nessuno accanto a sè. Fece passare un’altra mezz’ora in questo modo, facendo nient’altro che crogiolarsi nei dubbi, poi si disse che se non voleva rischiare di complicare una situazione già di per sé delicata, era arrivato il momento di affrontare le cose faccia a faccia, almeno per accertarsi che lei stesse bene e non si sentisse a disagio dopo quella serata. Attivò il factotum e le inviò un messaggio per chiederle di essere ricevuto. Scomodare EDI per questo gli sembrava troppo eccessivo.
 
Shepard si stava rivestendo quando il suo factotum emise il tipico bip di un messaggio in entrata. Lo attivò con una mano, mentre con l’altra continuò a grattarsi convulsamente attraverso la manica della felpa che aveva indossato, larga abbastanza da far respirare la pelle arrossata delle braccia. L’e-mail era di Thane e chiedeva di vederla. Deglutì, senza ben sapere cosa rispondere e senza chiedersi il motivo di quel colloquio. Era piuttosto ovvio che volesse parlare della sera prima. Probabilmente si era reso conto dello sbaglio che aveva commesso e voleva accertarsi che le cose cadessero nel dimenticatoio per entrambi, in modo da poter continuare la missione in pace. E a lei andava bene così, non riusciva a pensare ad un altro modo per risolvere le cose. Gli scrisse che lo aspettava nella sua cabina e poi iniziò a riordinare tutto in preda alla frenesia, allineando meticolosamente persino i modellini delle navi mentre tentava di resistere al prurito.
 
“Sorprendente. Non è già il secondo caffè che beve stamattina?”, domandò sorridendo la dottoressa Chakwas, avvicinandosi al bancone della cucina dove Thane stava versando dell’altro caffè in una tazza.
“Mi ha beccato, dottoressa. Ho scoperto di avere un debole per questa bevanda terrestre”, mentì spudoratamente lui, che non l’aveva mai neppure assaggiato. Lei lo guardò dall’alto in basso con una malcelata espressione compiaciuta dipinta sul volto. Thane sapeva che da quella piccola finestra che dava sulla mensa, la Chakwas riusciva sempre a monitorare tutto. “Piuttosto lei, ha dormito bene dopo i festeggiamenti di ieri sera?”, domandò lui, sornione. La Chakwas arrossì e farfugliò di aver dormito a meraviglia, prima di tornare in infermeria a passo spedito.
Thane sorrise compiaciuto e si avviò verso l’ascensore, cercando di trovare le parole più adatte per ciò che avrebbe voluto esprimere a Shepard, benchè non sapesse neppure cos’è che davvero aveva voglia di dirle. Arrivato davanti al portellone della sua cabina, fece un respiro profondo e si ripromise di comportarsi in modo naturale… avrebbe deciso sul momento.
Lei lo accolse con un timido sorriso. Non si aspettava di trovare una cabina così spaziosa, c’era persino un gigantesco acquario da parete. Nessun pesce, notò, mentre le porgeva il caffè.
“Grazie”, disse lei, accettando con piacere quella gentilezza. Gli fece cenno di accomodarsi sul divano di fronte al letto e prese posto accanto a lui. Appoggiò le labbra al bordo della tazza e desiderò di sprofondarci con tutta la faccia, mentre il caffè, zuccherato come piaceva a lei, dava un nuovo sapore a quella giornata. “Come sapevi che lo prendo così zuccherato?”, domandò sorpresa.
“La sera che abbiamo fermato Kolyat, in Osservatorio hai detto che metti due cucchiaini di zucchero a qualsiasi bevanda, anche nel the”. Lei sorrise, ecco un caso in cui la memoria perfetta si rivelava davvero utile, e diede un altro sorso. “Non ti sfugge niente, eh?”
Lui fece per rispondere, ma poi si bloccò, “Shepard, cos’hai alle braccia?”, chiese improvvisamente, cogliendola di sorpresa. Le maniche della felpa avevano lasciato scoperti i suoi avambracci. Non c’era alcun modo di nascondergli la verità, a quel punto. Poi i suoi occhi si spostarono sul barattolo con l’unguento che le aveva dato Mordin. Lei non ci aveva fatto caso, ma l’etichetta presentava una scritta in alfabeto Drell.
“Questa è opera tua”, disse, cercando di sdrammatizzare prima che lui trovasse la conferma in quel piccolo contenitore. I suoi occhi neri, già grandi, si spalancarono increduli, per poi lasciare spazio ad un’espressione corrucciata. “Non avevo idea che… Non avevo mai…”
“Non preoccuparti, non è colpa tua. Nessuno di noi sapeva”, si affrettò a dire lei.
“Quello te l’ha dato il professor Solus?”
“Si”, sorrise lei, “è stato… molto premuroso, a modo suo. Ha anche detto… no, lascia stare”. Shepard si fiondò di nuovo nel suo caffè, desiderando che non finisse mai, invece era rimasto solo un po’ di zucchero sul fondo. Poggiò la tazza sul tavolinetto davanti e iniziò a grattarsi istintivamente, l’autocontrollo ormai al minimo. Lui le si avvicinò e afferrò il barattolo. “Posso?”, le domandò prima di prendere in mano un po’ di quella sostanza oleosa. Lei annuì e gli porse le braccia, avvertendo un brivido ben distinto quando le sue mani sfiorarono la sua pelle. Non osava sollevare lo sguardo per incontrare i suoi occhi, si sentiva pietrificata da quel contatto deciso e delicato allo stesso tempo, dalle sue mani che sfioravano le sue braccia quasi fossero la cosa più fragile del mondo. Desiderò che smettesse subito e che non finisse mai, scontrandosi a forza con la consapevolezza che non si era mai sentita talmente al sicuro come fra le braccia di quell’assassino la notte scorsa.
Dio, perché dev’essere così difficile?
“Sono stata bene ieri sera”, farfugliò, mangiandosi quasi le parole. Il perché, di quella confessione, non lo sapeva neanche lei. Lui sorrise e si rasserenò. “Anche io, Shepard”, rispose interrompendo il contatto. “Va meglio, adesso?”, domandò dolcemente.
“Direi di sì”, rispose lei sorridendo.
Calò il silenzio fra loro due, un silenzio permeato da mille cose che nessuno dei due avrebbe mai detto. Thane pregò di non incappare in una delle sue memorie, soprattutto memorie della notte scorsa. Shepard pregò di non incappare nel suo sguardo e pensò freneticamente a qualcosa da dire per interrompere quel momento imbarazzante. “Oggi a pranzo ci sarà bistecca di manzo”, esclamò stupidamente.
“Ah”, mormorò lui, accennando un sorriso. “Come quella di tre giorni fa?”
“Esatto. Come trovi la cucina di Gardner?”
“Esotica… Ma mi piace”.
“Esotica è un termine appropriato”, rise lei. Non avrebbe potuto trovare un argomento più stupido. Forse questo faceva addirittura concorrenza all’argomento tempo atmosferico. “Ti unisci a noi, oggi?”, domandò.
“Mi sembra il minimo visto che non ho preso parte ai festeggiamenti ieri sera”.
“Non devi sentirti costretto…”
“Affatto. Mi farebbe piacere”.
“Ti avviso però, la situazione potrebbe degenerare… specialmente adesso che c’è Jack le cose tendono a diventare più movimentate del solito”, sorrise lei.
“Me la caverò”, rispose lui.
Un altro lungo silenzio e il desiderio di scolarsi un’altra bottiglia di quel liquore per ritornare nella condizione in cui non c’era nulla che potesse metterla in imbarazzo, prima che Shepard facesse un sospiro, ordinandosi di prendere in mano le redini della situazione. “Non ti ho ancora chiesto il motivo di questo colloquio”, disse determinata, “c’è qualcosa che volevi dirmi? Qualche problema?”
Thane scosse il capo. “No, volevo solo assicurarmi che stessi bene”, rispose gentilmente, “e scusarmi per essere andato via all’improvviso. Non riuscivo a dormire e avevo bisogno di muovermi…”
Shepard fece un gesto della mano ad indicare che era tutto apposto e sorrise brevemente. “Nessun problema. E grazie per il caffè”.
“Era il minimo”.
“Allora…”, i suoi limpidi occhi verdi indugiarono per un breve istante sui suoi, prima che una forza estranea dentro di lei la costrinse ad alzarsi.
“Allora…”, ripeté lui, alzandosi a ruota con un ombra d’imbarazzo sul suo volto. “Ti lascio riposare, Shepard”, si costrinse a dire, avviandosi verso il portellone. Lei lo accompagnò stringendosi nelle spalle come a voler abbracciare se stessa e sorrise appena.
“Se hai bisogno di me sai dove trovarmi”, concluse lui prima di andare via.
 
 
 
Dieci secondi di attesa e Shepard si lanciò sul letto a faccia in giù, scalciando come una bambina capricciosa, quasi a volersi disfare dell’imbarazzo che l’aveva investita pochi attimi prima. Voleva ridere, voleva prendere in mano un fucile e voleva avventarsi su un sacco da boxe, voleva far esplodere l’acquario con un globo d’energia oscura e voleva raggomitolarsi fra le lenzuola per non emergerne mai più, come se improvvisamente la sua integrità e la sua compostezza fossero svanite nel nulla. La situazione le stava decisamente sfuggendo di mano e ogni volta che la sua mente la spingeva a riflettere, a considerare le opzioni, a scandagliare i pochi ricordi e le emozioni, prontamente un’altra parte di sé ergeva un muro e la bloccava, impedendole di compiere quel breve passo.
Concentrati Shepard. La missione è la tua priorità, tutto il resto non esiste, non ha importanza.
Era vero. Dopo la sua ricostruzione, dopo l’abbandono da parte dell’Alleanza, dopo il voltafaccia di Alenko, non le restava altro che quella dannata missione, l’unica ragione di vita, l’unica cosa che giustificasse il suo essere in vita. Avevano recuperato il suo corpo e l’avevano ricostruito con lo scopo preciso di usarlo per sconfiggere i Collettori e lei aveva intenzione di onorare quell’opportunità fino in fondo. Era questo per cui era nata, d’altronde: proteggere chi ne aveva bisogno… lei che aveva la fortuna di essere una donna intelligente, forte, abile, carismatica, lei che aveva sconfitto Saren e i Geth salvando milioni di vite. Non poteva farsi distrarre dall’ultimo arrivato, soprattutto trattandosi di un Drell e, ancora peggio, di un assassino. Decise di archiviare quella serata, si alzò dal letto, nascose il barattolo sotto alla scrivania e iniziò a lavorare alle solite scartoffie. 
   
 
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