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Autore: SandFrost    13/08/2013    5 recensioni
Appoggiò la tazza sul tavolo e lo avvolse con le sue braccia. Si stesse sul divano e inizio a inspirare il suo odore. Quell’odore di shampoo e sigaretta. E tra quelli odori confusi chiuse gli occhi e lasciò la mente libera di ricordare, nel dettaglio, cosa era successo solo qualche ora prima.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akihiko Usami, Misaki Takahashi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  03:00

Misaki non riusciva a prendere sonno quella notte, o mattina considerando l’ora. Era successo tutto cosi in fretta che forse stava realizzando solo ora il tutto. Si sedette sul letto e si guardò intorno. Sul fondo della stanza c’era Suzuki-san che lo fissava. Come ci era finito lì? Eppure era certo di averlo lasciato in camera di Usagi-san.

Usagi-san.

Quel nome. Quel nome aveva un volto. Quel volto era arrabbiato. Quel volto era ricoperto di lacrime. Che cosa aveva fatto? Perché si era comportato in modo tanto ridicolo? Perché doveva respingerlo sempre in quel modo? Perché non riusciva a dirgli quelle due parole che lui voleva tanto ascoltare?

“Aah” urlò lanciando le coperte e scendendo dal letto. Non aveva nessuna voglia si uscire dalla stanza, aveva paura d’incontrarlo, anche se lui era uscito sbattendo la porta e non l’aveva sentito rientrare.

Erano due uomini, era sbagliato e allora perché voleva uscire di casa, correre per strada, cercarlo, trovarlo e stringerlo forte? Anzi, voleva fare di più, voleva urlargli che non poteva scappare così e lasciarlo solo, non poteva comportarsi in quel modo, sbattere la porta e non tornare. Voleva baciarlo e chiederli di fare l’amore con lui. Voleva..

“Ahh smettila idiota” si urlo contro e si gettò di peso sul letto. Stava impazzando, eppure quei pensieri erano cosi forti e reali nella sua mente. Voleva che Usagi-san gli scompigliasse i capelli e gli dicesse quelle due parole.

“SMETTILA” urlo ancora. Doveva fare qualcosa, doveva smettere di pensare a lui, a dove fosse o con chi fosse. A chiedersi se era ancora arrabbiato o se stava piangendo sulla spalla di qualcuno che non fosse lui. Gli aveva detto che era stato l’unico a vederlo in quello stato, era ancora cosi?

“Ah basta. Sarà meglio che mi vada a preparare un tè di sotto”. Rassegnato, si alzo dal letto e, afferrato per un braccio Suzuki-san, uscì dalla stanza. La casa era così silenziosa e così triste. Non c’erano le sue urla di disapprovazione a riecheggiare nell’aria. Non c’era la voce di Usami a sussurrarli “ti amo” all’orecchio.

Perché sentiva quella sensazione nello stomaco? Era fame forse? Non aveva cenato e non aveva intenzione di farlo. Usagi-san gli aveva fatto una promessa e la stava infrangendo. E perché il suo cuore batteva cosi forte nel petto? La stanza era cosi silenziosa che, il battito del suo cuore, si sentiva così forte. Batteva così forte che quasi faceva male. Stava forse impazzendo anche lui? Che, forse, gli mancasse? No, quello era impossibile.

“Devo mantenere la calma. Usagi-san tornerà presto e cercherà di portami a letto, come sempre, e mi sussurrerà t-ti amo all’orecchio, anche se io gli dirò di non farlo e si addormenterà, non facendomi finire la frase che volevo iniziare. Si andrà proprio cosi, come sempre”.

Ma era quello che voleva? Voleva che Usami lo portasse di sopra e che facesse l’amore con lui? Voleva davvero che sussurrasse quelle due parole all’orecchio? Le stesse parole che non riusciva a pronunciare e che non riusciva ad ammettere di provare? Com’era iniziato tutto? Come si era trovato a urlare contro Usami, fino a vederlo piangere e scappare furioso? Che cosa aveva fatto nascere il tutto?

Se ne stava seduto sul divano, con una tazza di tè caldo in mano e la testa appoggiata contro quella di Suzuki-san.

Suzuki-san aveva il suo odore.

Appoggiò la tazza sul tavolo e lo avvolse con le sue braccia. Si stese sul divano e iniziò a inspirare il suo odore. Quell’odore di shampoo e sigaretta. E tra quelli odori confusi chiuse gli occhi e lasciò la mente libera di ricordare, nel dettaglio, cosa era successo solo qualche ora prima.




Misaki era seduto alla scrivania, intento a finire i compiti per il giorno dopo. Doveva risolvere un problema complicato e ogni volta finiva per sbagliare un passaggio. Non voleva farlo, ma era l’unica soluzione per completare quel problema e passare al prossimo.

Usami era seduto dietro di lui, sul divano a leggere il giornale. Non riusciva proprio a capire il perché si ostinava a stare nella sua stessa stanza quando faceva i compiti. Era cosi strano, soprattutto quando si voltava e lo sorprendeva a fissarlo e guardando negli occhi gli diceva di amarlo. Quel ricordo gli provoco un brivido lungo la schiena, ma cercò di ignorarlo e si voltò.

Ed eccolo lì, con il giornale tra le mani a fissarlo. Era serio, ma il suo sguardo era caldo e anche un po’ preoccupato. Che avesse forse capito che aveva un problema nel finire i compiti? “Usagi-san” non riuscì a dir molto, dato che l’uomo si alzò e gli si avvicinò. I loro visi erano vicini un respiro, eppure non lo baciò.

“Hai qualche problema con i compiti?” disse solamente. Come aveva fatto a capirlo? Che avesse dei poteri o, forse era troppo prevedibile?

“S-si. Vedi non mi esce questo problema e ci sto lavorando da un po’” disse tornando a fissare il foglio e non più i suoi occhi “forse sbaglio qualche passaggio, perché non mi esce mai il risultato”. Usami si sporse oltre la sua spalla e iniziò a guardare il foglio. Analizzò ogni passaggio. E, come sempre, successe così veloce che quasi non se ne accorse.

Un braccio di Usami era stretto intorno al suo bacino e con l’altro, scrisse qualcosa sul foglio, qualche numero e un po’ di segni e il problema era risolto. Con agilità lo fece voltare e iniziò a lasciargli una scia di baci lungo il collo e ogni volta che provava a lamentarsi o ad allontanarlo, lui intrappolava quelle parole non dette con la sua bocca.

Lui era fatto così e ora mai c’era abituato, ma non riusciva ad abituarsi alla sensazione che tutto quello gli provocava. Quella sensazione di vuoto nello stomaco e il suo cuore che voleva implodere e poi esplodere, per la troppa velocità con cui batteva. Non poteva permetterlo.

Non poteva permettergli di usare ancora il suo corpo. Doveva fermarlo. Doveva farlo subito o il suo corpo sarebbe stato succube di quella strana attrazione che gli faceva perdere il controllo e dimenticare anche il suo stesso nome.

“U-usagi- san. Usagi-san adesso basta. Basta. Allontanati da me. Devo finire i compiti e non posso permetterti di usare ancora il mio corpo. Io non sono un tuo giocattolo, e devi smetterla di usarmi quando ti fa comodo e dirmi quelle parole. Smettila.” Urlo. Non riusciva a credere a quello che aveva appena fatto. Appoggiò le sue mani tremanti sul suo petto e lo spinse via con forza.

Gli capitava spesso di respingerlo, ma non gli dava mai vinta e finiva per fare quello che lui voleva, quello che anche lui voleva. Anche se non riusciva ancora ad ammetterlo. Ma non era pronto a quello che gli si parò di fronte. Non era pronto a vedere quello sguardo cosi spento. Sembrava che gli avessero appena spezzato il cuore, sembrava che gli avesse appena spezzato il cuore.

Che cosa aveva fatto? Perché gli aveva urlato tutte quelle cose contro? Perché si era comportato in quel modo? Usami era molto suscettibile quando gli diceva che lo usava e faceva male anche a lui dirlo e allora perché lo faceva? Perché commetteva lo stesso errore? Perché aveva cosi paura di ammettere che gli piaceva?

Adorava la sensazione nelle sue mani calde e forti sul suo corpo. Quando lo baciava lentamente e dopo gli chiedeva di guardarlo negli occhi. Quando, dopo aver fatto l’amore, si addormentava al suo fianco. Non poteva restare lì, immobile, a fissarlo. Doveva uscire subito da quella stanza e in fretta.

Anche se la sua mente urlava di scappare il suo corpo era immobile, come se fosse una statua. I suoi occhi ancora intrappolati nei suoi e questo non andava bene. Doveva provarci e riuscirci. Doveva uscire da quella stanza e subito.

Fu un movimento rapido, ma non molto deciso. Spostò il suo corpo in avanti e vacillò fino alla porta. Fece un respiro profondo e iniziò a scendere in fretta le scale, ma non riuscì ad arrivare alla porta d’ingresso perché una mano decisa afferrò il suo braccio e lo fece voltare.

“Pensi realmente tutte quelle cose? Pensi che io ti usi e che non provi niente per te? Che sei un mio giocatolo per divertimento e basta?” quella voce cosi arrabbiata, quelle lacrime che non avevano il coraggio di scendere lungo le guance, quello sguardo perso.

“Usami.. Lasciami” urlò ancora, scostando il braccio e allontanandosi di poco.

“Okay. Se è quello che vuoi, ti lascerò stare”. E senza dargli il tempo di rispondere, di dirgli che non era quello che voleva, usci di casa sbattendo la porta, lasciandolo lì.




“Usami” urlò, scattando a sedere e realizzando che si era addormentato abbracciato a Suzuki-san. Si strofinò gli occhi con la mano, quando sentì una leggera risata. Spalancò i suoi occhi e lo vide. Usagi-san era seduto a gambe incrociante sull’altro divano e lo stava guardando. Oddio una voce urlò nella sua testa, realizzando che aveva appena urlato il suo nome.

“Mi stavi sognando?” chiese con quel tono calmo che lo caratterizzava. Aveva lo sguardo puntato su di lui, mentre spegneva la sigaretta nel portacenere a forma di panda.

“N-no. Cioè non lo so. Mh Usagi-san? Posso farti una domanda?” chiese un po’ imbarazzato.

“Certo che puoi, Misaki” aveva pronunciato il suo nome. Lo aveva detto con quel tono dolce.

 
Baciami. Amami. Fammi tuoi.

“Ehm.. ecco.. dove sei stato? Perché sono le..” guardò in fretta l’orologio appeso al muro “sono le 4:30 e tu sei tornato solo ora e.. cioè puoi anche non rispondere, non è un obbligo. Non devi dirmi tutto quello che fai, ero solo curioso e vedi..” che diavolo gli stava succedendo? Perché faticava a parlare?

“Tu vuoi saperlo?” chiese Usami, non lasciando il contato visivo. Misaki annui impercettibilmente e Usami continuò a parlare “Ho fatto una passeggiata e sono rientrato quasi un’ora fa. Ti ho visto dormire cosi amorevolmente che non me la sono sentita di spostarti o di svegliarti”.

“E sei rimasto lì a fissarmi dormire?” chiese arrossendo appena. Questa volta fu Usami ad annuire e Misaki fece un piccolo sorriso felice. Usami non era più arrabbiato e il suo volto non era più così triste. Non c’erano più quelle brutte lacrime a rovinare il suo volto, anche se…

Doveva scusarsi, dirgli che non pensava tutte quelle brutte cose. Dirgli che voleva le sue mani sul suo corpo e le sue labbra sul suo collo. Doveva dirgli che lo amava anche lui e che aveva paura. “Usagi-san” tentò, ma Usami fu più veloce e iniziò a parlare.

“Non farò niente. Non ti toccherò più. Non ti dirò più tutte quelle cose che ti danno così tanto fastidio. Se è questo, quello che vuoi. Sei realmente molto importante per me e farò di tutto per non lasciarti solo. Ho sbagliato a scappare in quel modo e so che mi hai chiesto di lasciarti stare, ma non posso. Devo starti accanto per stare bene. Ho bisogno di te, Misaki. E se per averti al mio fianco, devo ignorare i miei impulsi allora lo farò, Misaki.”. Disse più serio che mai.

C-come? Che cosa voleva dire? Non lo avrebbe più sfiorato? Non gli avrebbe più detto quelle due parole all’orecchio? Non lo avrebbe più baciato? Cosa?

Non era giusto. Era stato lui a dirgli di smetterla, ma non pensava che lui lo avrebbe realmente fatto. Aveva bisogno di sentire la sensazione che provocavano le sue mani sul suo corpo. Poteva negarlo quanto voleva, ma a lui Usagi-san piaceva, doveva solo trovare il coraggio di dirlo.

“Usagi-san ti.. Usagi-san ti.. Usagi-san TI AMO E NON VOGLIO CHE TU SMETTA DÌ SFIORARMI O DÌ BACIARMI E DÌ DIRMI TUTTE QUELLE COSE IMBARAZZANTI.” Urlò con il capo basso e i pugni stretti sulle ginocchia. Non era stato poi cosi tanto difficile, no?.

“Misaki?” il modo in cui pronunciò il suo nome, il modo in cui il suo stomaco si contorse. “Misaki guardami. Misaki mi posso avvicinare?”. Perché glielo stava chiedendo? Perché ora gli veniva da piangere? Perché si sentiva così debole e aveva bisogno di sentirlo vicino, per tornare a sentirsi forte? Perché era sia la sua debolezza sia la sua forza?

Non riuscì a dir molto, perché le lacrime iniziarono a cadere copiose sul suo volto e a singhiozzare. Perché non lo stava stringendo? Perché era cosi lontano da lui? Perché..? Quella fragilità venne portata via come un soffio di vento, quando Usami lo strinse forte e iniziò a sussurrargli che non lo avrebbe mai lasciato solo, che lo amava e che voleva solamente sentirsi suo.

“Usagi-san” supplicò Misaki, ancora stretto tra le sue braccia. Stava impazzendo. Il suo cuore stava bruciando nel petto e voleva solamente essere suo. Ora.




Era steso su quel letto che aveva sentivo lamentele e gemiti di piacere. Che aveva ascoltato dei sussurri privati e parole non dette, non almeno a voce. Quel letto che aveva visto i loro corpi muoversi, fino a diventare uno solo. Fino a vederli stare bene.

Quella volta avrebbe visto due persone che si volevano con la stessa intensità. Due persone che non avevano paura di alzare un po’ la voce, perché c’erano solo loro. Due persone che sarebbero diventate una sola, da lì a poco.

“Misaki, ti amo” continuava a ripeterli all’orecchio Usami, mentre lentamente lo spogliava. Misaki aveva gli occhi chiusi e la bocca semi aperta. Al suo corpo era mancato il tocco delle sue mani, anche se era assurdo, considerato che lo avevano fatto il giorno prima. Era tutto diverso ora. Ora non aveva paura di dire: “Anch’io, Usagi-san”.
  
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