Storie originali > Romantico
Segui la storia  |      
Autore: DreamsMaker_    13/08/2013    0 recensioni
- ‘Ieien’, che stai facendo?
Quel suono così piacevole e familiare. Quel ‘Ieien’ che mi mancava così tanto! Alzai subito la testa e, senza esitazioni, abbracciai così forte il mio ‘salvatore’.
- Myky! Oh, mio Dio. Quando sei tornato? – Chiesi, abbracciandolo forte.
- Un paio di ore fa. Non riuscivo a dormire perché non ti ho salutata, quindi mi sono affacciato alla finestra e il caso ha voluto che ti trovassi qui… a fare non so cosa – disse squadrandomi dalla testa ai piedi con fare preoccupato.
Myky era il mio migliore amico da sempre. Lo eravamo da così tanto che ogni volta perdevamo il conto. Abitando nello stesso palazzo, io al secondo e lui al terzo piano, eravamo sempre insieme; fino a pochi mesi fa, quando decise di partire per arruolarsi nei Marines. Era da molto che ne parlavamo e non credevo sarebbe mai successo. Questo non perché non fosse in grado, anzi, ma perché, egoisticamente, non volevo che andasse via.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
- Lea Sanchez, fermati immediatamente! - Urlai con tutto il fiato che ancora avevo e con l’affanno, dovuto alla ‘corsetta’ che mi costrinse a fare, la implorai di fermarsi.
Mi chinai in avanti poggiando le mani sulle ginocchia e la testa rivolta verso il basso, mentre aspettavo che quella disgraziata tornasse indietro.
- Su, non farla tragica! E’ solo mezz’ora che corriamo - Continuò saltellando sul posto.
- Ma tu non ti stanchi mai? - le chiesi guardandola disperata – Senti, tra meno di un isolato c’è la casa di Candice. Perché non ci fermiamo lì?  
Mi accennò un sorriso!

 Candice e Lea erano le mie migliori amiche. Lea aveva una carnagione olivastra, capelli  corti e neri, occhi color nocciola, con un’altezza nella media e una personalità… esuberante; Candice invece aveva una pelle di un candore a volte spaventoso per quanto bello, occhi castani e capelli, castano chiaro, lunghi fino alle spalle. A chiunque, Lea, dava l’impressione di essere una pazza, costantemente fuori di sé, ma in realtà era anche peggio… a volte. Candice sembrava timida, ma non si lasciava passare una solo mosca sotto il naso; ciò spesso la rendeva antipatica agli occhi degli altri, invece è di una dolcezza quasi innaturale.
E poi io, Audrienne Hall: la via di mezzo. 1.65 di stupidità, razionalità e spontaneità pura, capelli ricci e neri e gli occhi castani, il tutto coperti da degli occhialoni fighissimi.Ho sempre amato i miei occhiali; a volte mi facevano da scudo. Mi ‘proteggevano’  da tutto: dalle insicurezza, dalla timidezza e dagli sguardi traditori.
 
Ancora tutta dolorante mi diressi verso la casa di Candice, osservando quel piccolo ciuffo di capelli neri svolazzare qua e là. Sorpassai il cancello affiancato da siepi magnificamente curate che abbracciano un modesto giardino altrettanto curato e, camminando davvero faticosamente, arrivai sull’uscio di casa.
- Cos’hai? Sei proprio di pasta frolla!
- Candy, non ti ci mettere anche tu!
- Quando la smetterai di chiamarmi Candy…
- Hey, ammettilo: Candy è un nome… dolcioso - Mi supportò Lea.
Ci sedemmo tutte comodamente sui puffi che Candy ha in camera, sorseggiando una bella spremuta d’arancia preparataci gentilmente dalla Signora Cooper.
- Mh… ieri pomeriggio ho incrociato Lalo in caffetteria - Disse Candice.
Finì a stento la frase e Lea fece un balzo, affogando quasi con la spremuta: - E solo ora ti viene in mente di dirmelo?!
 

Lalo , o Lawrence Ross, la cotta epica di Lea. 1.80, carnagione olivastra, capelli castani e pettinati alla “come viene”, occhi marroni, molto spiritoso. Un senso dell’umorismo molto pungente nei confronti di Lea. Da più o meno un mese io e Candice avevamo aperto un centro scommesse, fermamente convinte di un possibile interesse anche da parte dell’altro.
 
- Ti ricordo che ieri sei scomparsa per mezza giornata e ora sono appena le 10.30; non ho dimenticato un bel niente.
- Come vuoi… ha detto qualcosa? - Chiese Lea con forse troppa enfasi.
- Cosa avrebbe dovuto chiedermi, se a stento ricorda il mio nome?
La osservammo incuriosite, poi le chiesi: - E tu con chi eri?
- Garrett, ovviamente! – rispose soddisfatta Candice.
- Garrett? Quel Garrett Green? Allora avete parlato? – sbottò Lea.
- Sì, ora è tutto come prima - Rispose con un sorriso così ampio, che sembrava andare da un orecchio all’altro.
Garrett, invece, era il ragazzo di Candy… i due non se la passavano troppo liscia, ma ora sembrava essere tornato tutto alla normalità. Lui era il tipo che metteva tutti a proprio agio e con lei… Beh, con lei  era a dir poco fantastico! Sapeva come farla ridere, come risollevarle il morale e, a volte, anche abbatterglielo. D’altronde “ l’amore non è bello, se non è litigherello! ”
 
Ad un tratto, il cellulare vibrò nella mia tasca, lo presi e guardai il display. Mi era arrivato un sms. Cliccai su “Visualizza” e ciò che lessi era questo:


“TORNA SUBITO A CASA!”
Ora ricezione: 10:37:22
Oggi
Da:
Mamma


- Ragazze, devo scappare! Mia madre deve essere furiosa - Dissi afferrando la mia felpa e correndo giù per le scale; un saluto veloce alla mamma di Candice e andai via
- Guarda adesso come corre! - Sentii esclamare in lontananza Lea.
Effettivamente sentivo di avere una certa energia, ma non era l’effetto della spremuta o della pausa, ma MIA MADRE. Per la strada pensavo agonizzante a quale potesse essere il problema. Mi spaventava anche solo l’idea di vederla infuriata con me.
 
Arrivai a casa.
 
Spalancai la porta di casa e non ebbi neanche il tempo di assimilare cosa stesse succedendo, che mi trovai sbattuta a terra in una presa strettissima, peggio di una piovra; poi la riconobbi dal suo profumo: la mia amata Katherine.
Un esserino, talvolta irritante, di cui non riuscivo più a farne a meno. Era più piccola di me di due anni, ma per i suoi 19 anni era stupenda: altissima, slanciata, dei capelli castani lunghissimi ed era stramba, amorevolmente stramba!
 
-         Oh, mio Dio! E tu cosa cavolo ci fai qui? – Dissi quasi con le lacrime agli occhi.
-         Cosa c’è? Non sei felice che la tua adorabile cuginetta sia venuta a trovarti?
-         Ma sei cretina o cosa? Non ti vedo mai, ovvio che sono felicissima – Le dissi stringendola in un abbraccio da mamma orsa.
 
Katherine Hall. Kat. La mia bellissima cugina. Sua madre, zia Madison, era la sorella di mio padre, Charles. Loro, insieme a zio Oliver e a Jospeh, il fratello maggiore, vivevano a Covington; a 158km da noi, che abitavamo a Louisville. Questo non ci aveva permesso molto di crescere insieme, nemmeno un po’. Quando eravamo piccole ci vedevamo spesso durante le festività, ma col passare degli anni le visite sono diventate sempre più rare.
Joseph aveva 23 anni, ci volevamo bene, ma non era come con Kat. Lei era come una sorella e, visto che avevo solo un fratello, il mio caro rompi palle Philip, che aveva 28 anni, mi sembrava naturale il desiderio di avere una sorella minore.
 
- Sul serio, come mai sei qui?
- Mi mancavi e, visto che la scuola è finita, sono riuscita a scappare da quel buco.
Kat non amava molto la sua città, per questo tentava sempre di venire da me, anche per delle visite lampo. Questa, però, non lo era!
-  Sono così felice che tu sia venuta a trovarmi, ma hai avuto problemi a casa? – Le chiesi preoccupatissima.
- No, davvero. Nessun litigio; avevo solo voglia di vederti!
- E per quanto tempo ti fermerai?
- Non saprei, non vorrei creare proble…
- Iniziamo con due settimane e poi, se ti va, rimani ancora per un po’? – dissi interrompendo ogni altra sua parola. Amavo averla con me e, ogni santa volta, i saluti erano la parte peggiore.
 
 
Durante il pomeriggio la portai per i negozi nel tentativo di fare shopping, ma alla fine ci fermammo nel ristorante di famiglia. Mamma Jillian  e papà Charles avevano aperto un piccolo ristorante quando io e Phil eravamo ancora piccoli. La struttura non era diversa dalle solite: parquet in legno scuro, le pareti erano state pitturate in un rosso mogano da un lato, mentre sull’altro c’erano delle grandi finestre, accanto ai tavoli disposti lungo le pareti c’erano delle piccole lampade a muro a luce gialla e con lo stelo curvilineo, sulla destra c’era la cassa e un bancone pieno di dolci, gelati, pizzette e tutte le cose da asporto, di fronte, la prima sala, con una 50ina di tavoli coperti da una tovaglia blu e un centrino lungo e bianco che si chiudeva a triangolo su ogni lato; sopra c’erano disposti i bicchieri, le posate e un piccolo vaso con fiori di lavanda e semplici margherite. La seconda sala non era molto diversa, tranne per il colore delle tovaglie, che era invertito ed era quella adibita soprattutto alle cerimonie. Di tanto in tanto andavo lì per dare una mano, ma non mi piaceva molto: i miei assumevano di rado delle ragazze e, quindi, ogni volta toccava a me sorbire tutte le battutine squallide del resto del personale: ragazzi tra i 20 e 30 anni, con un’età celebrale pari a quella di un bambino di 3.
 
- Hey, zio Charles. Come stai? – Chiese Kat al mio adorato papà con una voce dolcissima. Mio padre non era un tipo tenerone, né tantomeno esternava sentimenti, ma Kat e Joe erano i suoi unici nipoti diretti. Perciò amava incondizionatamente Kat e la trattava sempre con i guanti bianchi.
Nel vederla, scappò subito via dalla cassa, lasciando impalata una signora intenta a pagare il suo conto, correndo subito verso Kat e l’abbracciò forte, mentre io mi diressi alla cassa per sbrigarmela con la signora, che intanto guardava male mio padre.
- Katherine, cosa ci fai qui?
- Occuperò casa tua per un po’, zietto!
- Oh, che gioia.
- Charles! Charleeees! – Lo richiamai.
- Audrienne?
- Vieni a compiere il tuo lavoro, padre!
 
Poco dopo decidemmo di andare via, ma mio padre mi chiamò e disse:
- Audry, abbiamo bisogno di una mano. E stavolta per un bel po’!
Un qualche centinaio di emozioni si scatenarono nel mio stomaco e gocce di sudore congelato scesero lungo la linea della mia spina dorsale. Rimasi imbambolata per qualche secondo cercando di assorbire quella notizia senza farmi venire un attacco di cuore; il mio cervello iniziò ad immaginare tutto ciò che sarebbe potuto accadere da lì a poco e quasi mi sentii male, poi mio padre mi richiamò alla realtà:
- Audrienne, ci sei? Ti senti bene?
- Oh, s-sì. Ehm, e quando dovrei iniziare?
- Anche domani.
 
La sentenza era arrivata, ed era peggio di quello che pensassi! 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: DreamsMaker_