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Autore: HamletRedDiablo    14/08/2013    13 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Prologo: A un passo dalla fine

 

 

«Un caleidoscopio è magico!»

«Per quale motivo?»

«La realtà è solo una, ma attraverso il caleidoscopio si fraziona in mille realtà diverse!»

Il fratello lo aveva guardato con un sopracciglio alzato.

Aveva passato una mano tra i capelli, scompigliandoli svogliato.

«Non è magia. È solo un’illusione.»

«Perché?»

«Perché…»

 

Le mura erano bianche, le mattonelle erano bianche, i tappeti erano bianchi.

Perfino la pelle del ragazzo era bianca, tanto da essere quasi impossibile distinguere tra il bordo inamidato della mantella candida e il collo niveo.

Ludwig osservò impassibile il ragazzo che terminava di infilare i guanti color neve. Sfregò distrattamente il braccio sinistro, dove i fori delle iniezioni prudevano ancora: proteggere l’Asse era un lavoro a tempo pieno, per cui assumeva giornalmente un farmaco che annullava il suo bisogno di riposo, in modo da poter vegliare su quel giovane anche durante la notte.

Sospirò mentalmente, ma le labbra rimasero sigillate. Il compito di Guardiano non era semplice: doveva sorvegliare quel ragazzo ogni giorno, ogni minuto, senza mai distrarsi e senza mai stancarsi. Ma il ruolo dell’Asse era certamente peggiore: Feliciano era condannato a una vita di solitudine, isolato nella torre più alta del Palazzo di Quarzo. Il ritiro più estremo era l’unico modo per mantenere quel giovane immacolato e incontaminato da qualunque sporcizia del mondo comune, poiché solo la purezza dell’Asse garantiva la stabilità della Confederazione.

Nonostante l’isolamento, un Guardiano era necessario: alcuni malavitosi particolarmente audaci avrebbero potuto cercare di rapire l’Asse per ottenere i suoi poteri e la sua funzione di controllo.

Ludwig posò i suoi occhi azzurri e freddi sul giovane di fronte a lui, che aveva appena terminato di calcarsi sulla testa il berretto latteo. Era ridicolo pensare che il destino della Confederazione gravasse su spalle così fragili: erano quasi più sottili della mantella che le ricopriva.

Feliciano terminò la vestizione e si girò con una piroetta su se stesso.

«Ho finito» trillò, prima di dirigersi verso l’inginocchiatoio di perla.

Ludwig si sistemò alle sue spalle, e lo spadone che portava appeso al fianco graffiò lievemente il pavimento iridescente. Un’altra mattinata di preghiere e solitudine. Come sempre.

Feliciano congiunse le mani guantate e, prima di salmodiare gli inni rituali, espresse un piccolo desiderio personale:

«Spero che mio fratello stia bene, ovunque egli sia.»

 

***

 

In un altro luogo, un altro biancore aveva preso vita.

Era il pallore spettrale sulle guance del capo delle guardie, che guardava sconvolto i suoi sottoposti.

«Avete imprigionato Lovino Belial?» tartagliò, sconvolto.

«È un pericoloso criminale, signore. Un pirata della peggior specie…»

«Siete completamente impazziti?» sberciò il capitano, di colpo paonazzo. «Un delinquente del suo calibro non può essere tenuto in una prigione modesta come la nostra!»

«Per quanto sia forte, non può fare molto se è legato dai ceppi…» notò una sentinella, subito zittita dal capo, ormai sull’orlo di una crisi di nervi e di coronarie:

«Quel ragazzo è la Mano Sinistra del Diavolo! Non vi dice niente?»

Quasi strappò a unghiate l’espressione ebete dei suoi uomini, e proseguì, sputacchiando saliva e isteria:

«Chiamate rinforzi o fatelo uscire! Non voglio che la mia prigione venga rasa al suolo per-»

«Temo che sia un po’ tardi per i ripensamenti».

Il capo toccò quasi il soffitto per lo spavento. Alle sue spalle era comparso improvvisamente il motivo della sua agitazione: un ragazzetto che pareva lo spettro di un essere umano, con i capelli ramati e la pelle smunta. I tanto declamati ceppi non erano riusciti a frenare quel giovane, che si sfregava i polsi arrossati con aria seccata.

«Che l’Asse ci protegga» si lasciò sfuggire una guardia.

Il cipiglio del ragazzo si accentuò, e ogni speranza residua di salvezza venne frantumata dalle parole del giovane:

«Non nominate l’Asse. Non dovrebbe nemmeno esistere.»

Non ebbero tempo di pensare ad altro: un boato fragoroso scosse le fondamenta della prigione e ne sbriciolò le mura: uno stormo di mattoni e frammenti di cemento sfrecciò nell’aria, riempiendola di una polvere densa e pruriginosa. Le urla delle guardie si spensero mentre si accasciavano a terra svenute, chi colpito da un brandello di muro e chi soffocato dal pulviscolo urticante.

Quando quel putiferio terminò, Lovino si ergeva nel cerchio formato dalle sentinelle prive di sensi, una mano impegnata a tenere premuta una piccola mascherina sul viso. Il capo delle guardie sentì i polsi tremare, poco prima che i suoi occhi si rabbuiassero su quella figura immobile: vedere un ragazzino così smilzo predominare su una folla di uomini armati e uscire illeso da un simile caos, come se un’entità maligna avesse steso il suo mantello protettivo su di lui, era qualcosa di spaventoso. Capiva perfettamente perché lo chiamassero la Mano Sinistra del Diavolo.

Il capo non riuscì a mantenere i suoi sensi vividi abbastanza a lungo da scorgere la persona che era venuta a riprendersi Lovino: non poté così vedere la Mano Destra del Diavolo scendere dalla passerella della sua Aeronave per atterrare con un balzo felino accanto al ragazzo.

Lovino osservò critico l’Aeronave – che era atterrata su quella prigione disintegrandone le mura – e il suo Capitano prima di sentenziare:

«Sei in ritardo. E sei un casinista, come sempre.»

«Sono arrivato al momento giusto, invece» lo contraddisse l’uomo, con un sorriso affabile sul volto. «Ti sei appena liberato dalle catene.»

«Credevo che avresti mosso quel tuo pesante sedere molto prima per liberarmi dalla cella» obiettò aspro Lovino.

Il sorriso dell’uomo migrò negli occhi verdi mentre si chinava per mormorare:

«Anche se sei il mio amante, Lovino, non significa che debba proteggerti come farei con una fanciulla indifesa.»

Il ragazzo lo raggiunse sul mento con una testata, e  guadagnò la passerella mentre l’uomo premeva le mani sull’osso dolorante.

«Andiamocene» decise, dispotico.

Antonio lo raggiunse con uno svolazzo, incurante del pessimo temperamento del suo compagno. I marinai salutarono entusiasti le Mani del Diavolo, e si mossero veloci per seguire gli ordini del loro capitano.

L’Aeronave mugghiò come il mare in tempesta mentre i suoi razzi azzurrognoli sfiatavano per farla sollevare. Ma il suo lamento venne coperto dal ruggito di guerra di una seconda Aeronave, che scese in picchiata verso di loro.

Antonio e Lovino sospirarono in sincronia, notando la bandiera che garriva al vento.

«Di nuovo Arthur» notò l’Ispanico. Lovino annuì, masticando le guance come per un boccone amaro.

L’Aeronave di Antonio si lanciò nello spazio, dando inizio a una turbolenta gara di velocità tra meteore e nebulose per sfuggire alla caccia del Britannico.

Nonostante la velocità supersonica, Lovino riuscì a lanciare un’occhiata feroce al Palazzo di Quarzo, nitido e perfetto contro lo spazio scuro. Digrignò i denti come un animale in gabbia e ringhiò:

«Ti farò sputare fuori mio fratello, bastardo.»

 

***

 

Un fruscio di seta accompagnò il movimento del cinese sul letto.

Raccolse la vestaglia rossa in modo che coprisse le sue nudità e si rialzò sul letto. Il suo sguardo onice venne catturato istantaneamente dalla spada che riposava poco lontano dal giaciglio.

Strinse le dita sull’elsa, e assorbì con avidità il celestiale sibilo della lama che abbandonava il fodero.

Era giunto il momento per Ivan di rispettare la parola data.

Insieme, avrebbero ucciso Kiku.

 

***

 

Il Fiammingo sorrise sopra il calice di vino, osservando l’espressione afflitta negli occhi sanguigni del suo compare.

«Dove pensi che ci condurrà tutto questo?» domandò istrionico.

L’uomo scosse la testa dai capelli argentati, e la sua risposta uscì con uno sbuffo irritato:

«Non lo so. Non lo so, maledizione! L’Universo potrebbe anche finire per colpa di questi stupidi battibecchi!»

Francis si bagnò le labbra nel sapore delizioso del nettare d’uva: i nati in terra Fiamminga come lui sapevano sempre apprezzare il buon vino, i piaceri dell’amore e le poesie ben narrate. Perfino quando la morte si trovava a non più di un passo di distanza.

«Ti ricordi come è iniziato tutto questo, Gilbert?»

«Che senso ha parlarne adesso?»

«Forse non cambierà il corso della storia, ma è sempre utile voltarsi indietro, quando si è a un passo dalla fine.»

«Per quale motivo?»

«Perché a volte il cammino è così lungo che ci si dimentica il motivo per cui ci si era messi in viaggio.»

Gilbert emise un suono a metà tra un ringhio e un conato, e sbottò:

«Non parlare in poesia con me. Se hai qualcosa da dire, dillo e basta.»

Francis sorrise, sorbì un sorso di vino e flautò:

«Non è nulla di importante. Avevo solo un po’ di nostalgia di tutte le persone che ci hanno abbandonato lungo il cammino.»

«Rimpianti» esacerbò Gilbert. «Ecco il motivo per cui non bisogna voltarsi indietro.»

«Hai la voce ferma, ma ti tremano le spalle.»

«Chiudi quel buco rumoroso che hai sotto il naso!»

Francis si zittì vuotando il calice.

E lasciò la memoria libera di galoppare ai primordi di quella storia.

 

 

Capitolo Uno: Uno Scettro in mezzo al Cielo

 

Nessuno sapeva cosa avesse pensato il signor Vargas quando l’ostetrica gli aveva comunicato che sua moglie aveva partorito due gemelli. Il suo viso era rimasto irrigidito come quello delle statue che affollavano la Villa Topazio. Ma tutti ricordavano le sue prime parole riguardo i figli appena nati:

«Solo uno diventerà l’Asse. L’altro è inutile.»

Da quando l’Universo aveva dato luce alla prima generazione di umani, la famiglia Vargas aveva sempre inviato i suoi primogeniti al Palazzo di Quarzo perché ricoprissero il ruolo di Asse. Ai secondogeniti era affidato il compito di dare una discendenza alla famiglia.

L’Asse di allora, lo zio del signor Vargas, era ormai prossimo alla tomba, e vi era urgenza di trovare un degno sostituto. E in quel momento sua moglie aveva dato alla luce i suoi primogeniti.

Ma i gemelli erano considerati qualcosa di malvagio, all’interno delle famiglie Vaticane, addette alla sovrintendenza degli affari religiosi della Confederazione; un’anima sola scissa in due corpi era qualcosa di maligno e innaturale, che avrebbe certamente portato disgrazie su tutti loro.

Avrebbe atteso di capire quale dei due figli fosse il più adatto a diventare il futuro Asse, e avrebbe eliminato l’altro per restituire al prescelto la sua metà mancante di anima.

In quell’esatto momento, i due gemelli avevano cominciato a piangere. E l’ostetrica non era riuscita a spiegarsi perché, all’improvviso, i due neonati avessero cominciato a disperarsi e a cercare il fratello come se temessero che gli fosse strappato via.

Il signor Vargas li aveva osservati con un cipiglio fosco in volto.

«Maleficio» aveva sibilato, abbandonando la stanza.

 

***

 

Dieci anni dopo, due fratelli si tenevano per mano, nell’oceano di lenzuola bianche che era il loro letto.

«Guarda!» aveva esclamato Feliciano, indicando fuori dal soffitto di vetro. Nella cupola nera della notte, il Palazzo di Quarzo emanava il suo placido candore. La magia delle famiglie Vaticane garantiva impeccabile stabilità a quella costruzione dalla forma simile a quella di un cristallo, che galleggiava serena nel bel mezzo del nulla, rischiarano i Mondi della Confederazione con la sua aura angelica.

Lovino aveva inclinato la testa, perplesso.

«Sembra uno scettro in mezzo al cielo» aveva commentato.

«Vorrei tanto vederlo» aveva cinguettato Feliciano.

«Io no» aveva brontolato Lovino.

«Perché?»

Lovino aveva storto la bocca, contrariato.

«Mi sembra… solo. Lì fermo in mezzo al nulla. È un cristallo che piange.»

La mano di Feliciano aveva stretto con più forza la sua.

«Tu non mi lascerai da solo, vero?» aveva quasi piagnucolato, rannicchiandosi contro di lui.

Lovino gli aveva scompigliato con forza i capelli e aveva sbottato:

«Siamo fratelli. È ovvio che non saremo mai soli.»

«E se dovessero dividerci?»

«Anche se dovessero dividerci, io sarei nel tuo sangue, nei tuoi sogni e nei tuoi ricordi. Siamo gemelli.»

Non era certo di essere risultato convincente, ma aveva sentito il sorriso di Feliciano disegnarsi sulla sua spalla. Anche se il Palazzo di Quarzo gravava su di loro con la sua luce, Feliciano sorrideva. Era sufficiente.

 

***

 

Il signor Vargas aveva avuto prova che i gemelli fossero qualcosa di demoniaco man mano che i suoi figli avanzavano nella crescita.

Era capitato più di una volta che uno dei due si ferisse, e l’altro avvertisse il dolore nel medesimo punto e nel medesimo istante. O che i due bambini si svegliassero di mattina e parlassero dello stesso sogno, come se avessero viaggiato insieme durante la notte. Episodi innocenti che riempivano i bambini di gioia e il padre di sospetto.

Poi, un giorno il Cielo aveva inviato un messaggio su chi dei due fosse il predestinato alla carica di Asse. Accadde, un giorno di primavera, che i due bambini si trovassero nei pressi di un bosco per giocare. Un lupo selvatico era uscito dalla foresta, e Feliciano aveva giunto le mani e mormorato una preghiera. Il suo piccolo corpo si era illuminato come una stella, mettendo in fuga la belva.

A quel punto, il signor Vargas non aveva più avuto dubbi.

L’ordine fu preciso e spietato: separare i due gemelli e portare Feliciano al Palazzo di Quarzo. E abbandonare Lovino sul pianeta più desolato della Confederazione.

 

***

 

«Non vuole mangiare?»

Il signor Vargas passò una mano tra i capelli, risentito.

Avevano trascinato Feliciano al Palazzo di Quarzo, e il bambino aveva inscenato uno spettacolo assai poco decoroso per un futuro Asse: aveva scalciato e si era ribellato con tutte le sue forze, mentre si tendeva disperatamente verso il fratello, trascinato via da spaventosi omaccioni in divisa. Ed era un’intera settimana, da quando aveva varcato il cancello del Palazzo, che rifiutava ostinatamente il cibo. Si limitava a respirare in un angolo della sua stanza, senza mangiare e senza parlare.

La sentinella gli suggerì di entrare e rincuorare il figlio, cosa che il signor Vargas fece con estrema riluttanza. Non capiva perché quel bambino si agitasse tanto: essere l’Asse era la massima onorificenza ottenibile all’interno della Confederazione.

Una vocetta essiccata si arrampicò a fatica nella gola riarsa del piccolo in uno strano saluto:

«Aspettavo che tu arrivassi.»

La bocca del signor Vargas si contorse in una smorfia risentita. Avrebbero dovuto cancellare quelle occhiaia, e fare qualcosa per le screpolature che spaccavano le labbra del piccolo. Non potevano permettere che l’immagine delle famiglie Vaticane venisse intaccata da quella grottesca caricatura di bambino.

«Dov’è mio fratello?»

Il padre incrociò le braccia al petto e mitragliò, secco:

«Tuo fratello non è più a questo mondo. Doveva restituirti la tua parte di anima, e l’ha fatto.»

Feliciano rovesciò la testa all’indietro, e nello sguardo che indirizzò al padre scintillò un bagliore raggelante.

«No. Non lo avete ucciso» si era rannicchiato nelle sue ginocchia spigolose e aveva proseguito: «Quando si feriva al gomito, sentivo male anche io. Quando cadeva, nemmeno io riuscivo a camminare. Se fosse morto, sarei morto anche io. Per questo so che è ancora vivo.»

«Non possiamo tollerare un Asse con solo metà spirito. Per questo è stato… epurato» replicò asciutto il signor Vargas. «E poi, i poteri che aveva mostrato erano immorali. Al contrario dei tuoi.»

Feliciano fece ciondolare la testa in un cenno di diniego, e allungò una mano verso il pranzo, ancora intoccato sul suo comodino bianco.

«Tornerà a prendermi. Me l’ha promesso. Non mi farà stare da solo nello scettro del Cielo. Non mi farà piangere con il cristallo» affondò il cucchiaio nella minestra, ma, prima di inghiottire il boccone, dichiarò: «Non mangio perché voglio diventare Asse. Mangio solo perché voglio rivedere mio fratello.»

Il signor Vargas uscì dalla camera, esasperato. I gemelli erano certamente le creature più problematiche del mondo: erano attaccate così morbosamente al proprio fratello da non comprendere quale fosse la giusta strada da percorrere, e quanto misericordiosi fossero gli adulti intorno a loro.

Lo avrebbe aspramente rimproverato, se lo stesso Feliciano testardo fosse uscito da quella stanza, il giorno dopo. Ma l’undicenne che venne rigurgitato dalla camera fu uno sconosciuto.

Un bambino impeccabilmente vestito con la complicata tunica da Asse Novizio si inchinò di fronte al signor Vargas, senza mai smettere di sorridere.

«Sono pronto a iniziare gli addestramenti, padre» gorgheggiò melodioso.

Il padre accettò di buon grado quella sua inspiegabile accondiscendenza, mentre le sentinelle che assistettero alla scena si sentirono gelare il sangue nelle vene: in quella settimana di digiuno, il piccolo Feliciano aveva cucito su di sé un travestimento con pazienza e metodo. Aveva rifinito i bordi e limato le smussature, ed eccolo emergere in un tripudio di luce e buoni sentimenti quando solo il giorno prima aveva rivolto la propria sfida al genitore.

Non si riusciva più a scorgere l’anima nascosta da quel sorriso fasullo, non si riuscivano a intuire i pensieri celati dietro quel galateo irreprensibile.

Deglutirono sonoramente, inquietati dalla facilità con cui quel bambino era riuscito a camuffare la sua anima. I gemelli erano davvero delle creature spaventose.

«Vieni, Feliciano» lo invitò il padre. «Dobbiamo presentarti il tuo Guardiano.»

Il sorriso con cui il bambino accettò la proposta del padre spaventò ulteriormente le sentinelle: non era l’espressione infantile di un innocente, era la recita di un giovane costretto a crescere in una sola settimana.

Cercarono di avvisare il signor Vargas, e come premio i loro corpi vennero bruciati in uno dei mondi meno controllati della Confederazione.

Messe a tacere quelle voci dissenzienti, il signor Vargas poté finalmente bearsi in un coro di lodi e incensamenti su Feliciano, i cui poteri superavano quelli degli Assi degli ultimi trecento anni.

 

***

 

La sabbia era rovente e ruvida, ma non quanto la sua gola desiderosa di acqua.

Lovino arrancò nella polvere del pianeta desertico su cui era stato abbandonato, ostinato a sopravvivere a quella calura e a quella desolazione.

Doveva essere eliminato, ma nessuno avrebbe mai osato sollevare la spada contro un sacro frutto delle famiglie Vaticane: avrebbe portato cento anni di sventure su tutta la discendenza dello sciagurato. Così lo avevano abbandonato sul pianeta Sahariano, in attesa che quell’impietoso deserto giustiziasse l’indesiderato Vargas.

Lovino si accasciò a terra, respirando polvere e aria arroventata. Non voleva morire in un modo così insensato, lasciando suo fratello solo nello scettro in mezzo al Cielo.

Batté le palpebre sugli occhi secchi, temendo che i suoi sensi abbrustoliti dal sole implacabile si stessero prendendo gioco di lui: nell’aria distorta dal caldo, gli parve di scorgere le figure tremolanti di alcuni uomini.

Mosse le labbra a vuoto alcune volte prima di raccogliere la saliva necessaria per sputare:

«C’è qualcuno?»

Le ombre indistinte barcollarono nella sua direzione, mentre stralci di conversazione raggiungevano le sue orecchie bollite.

«Che ci fa qui un bambino?»

«Da dove è venuto?»

Una mano callosa lo afferrò per il colletto, sollevandolo da terra come un gatto, e delle dita prive di gentilezza gli districarono i capelli sulla nuca. Il suo lignaggio splendette sotto i raggi cocenti del sole: il blasone delle famiglie Vaticane, un tatuaggio argenteo a forma di croce, lanciò barbigli sprezzanti alla plebe che lo circondava.

Una bestemmia come non ne aveva mai sentite pronunciare gli scartavetrò il collo: simili parole non erano nemmeno pensate, alla Villa Topazio.

«È un Vaticano!» rumoreggiò una voce aspra sopra di lui.

«Ammazziamolo prima che ci denunci!» abbaiò un altro.

«Non…» Lovino tossì e annaspò prima di riuscire ad articolare: «Non uccidete Feliciano. Ammazzate tutti gli altri, ma non Feliciano!»

Un’ombra imponente si distese su di lui, e una voce calda e beffarda si sorprese:

«Un Vaticano che incita dei pirati a uccidere la sua stessa famiglia? E lascialo andare, Garcia! Con quei badili che hai al posto delle mani potresti spezzargli quelle ossa da merlo.»

Lovino precipitò verso il suolo nel momento in cui l’energumeno rilasciò la presa, e fu salvato all’ultimo secondo dal possessore della voce ironica.

«Intendevo con un minimo di delicatezza, Garcia.»

«Dovete essere più specifico, Capitano.»

La testa del piccolo penzolò senza forze, mentre due braccia muscolose lo sollevavano da terra. Lovino colse solo un baluginio di iridi verdi con le sue pupille essiccate.

«Ti daremo da bere. E sentiremo che altro hai da dire sui Vaticani.»

Poi il mondo diventò troppo vorticoso e colorato per essere seguito dai suoi sensi disidratati.

 

***

 

Un ringhio gli fece vibrare i denti quando il boccale venne allontanato dalle sue mani.

«Devi bere con calma, o ti sentirai male.»

«Sono quasi morto. Non posso stare peggio.»

Lovino osservò con astio il suo salvatore mentre quest’ultimo gli restituiva il bicchiere.

Doveva la vita al capo dei pirati della Reina de la Oscuridad, Antonio Fernandez Carriedo, un Ispanico dagli occhi smeraldini e il sorriso derisorio. Un codino di riccioli scuri spuntava dal cappello a tre punte e si adagiava sul cappotto scarlatto da capitano. Su quell’ultimo dettaglio del suo abbigliamento si appuntò l’attenzione di Lovino: a sinistra della fila di bottoni dorati spiccava la decorazione con il simbolo della sua nave, mentre sulla destra erano allineate tutte le medaglie dei capitani sconfitti. Ed erano numerose quanto le stelle in cielo.

«Sei troppo piccolo per aver sconfitto tutta quella gente» lo accusò Lovino, prima di affondare le labbra nella tanto desiderata acqua.

«Sono comunque più grande di te» replicò Antonio. Passò un dito sulle placche metalliche, facendole tintinnare con orgoglio. «Voi Vaticani nascete con i poteri necessari a diventare uomini di Chiesa. Noi Carriedo nasciamo con… altri poteri. Per questo riesco a primeggiare anche su persone con più esperienza di me.»

Il piccoletto lo osservò dubbioso dal bordo del boccale. Antonio incrociò le dita sul ventre, e insinuò:

«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»

Il boccale venne appoggiato con un tonfo secco sul tavolo.

«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»

«E faresti qualunque cosa?»

«Qualunque cosa.»

Una punta del cappello sfiorò la spalla del capitano quando questo osservò il piccoletto da un’angolazione diversa.

«È un’affermazione molto crudele» Antonio marcò ogni singola parola, per far avvertire il loro peso al piccolo. «E poi, i tuoi poteri da chierico…»

I dubbi del capitano si dispersero assieme ai suoi libri: Lovino chiuse gli occhi per un attimo, e all’improvviso ogni oggetto all’interno della cabina, ad eccezione delle sedie da loro occupate, cominciò a vorticare per la stanza.

Antonio osservò con disarmante calma il delirio intorno a lui, finché il piccolo non vi pose fine aprendo gli occhi.

«Questi sono i miei poteri. Ma so fare di peggio» confessò Lovino. «Ed è anche per questo che mio padre mi odia.»

«Anche?»

Il ragazzino morse le labbra fino a farle sanguinare, e Antonio accettò il suo silenzio.

«Avremo modo di parlare ancora durante la navigazione.»

Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.

«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Lovino squadrò con sospetto quelle dita protese verso di lui. Non era sicuro di essere pronto a una vita di fughe, combattimenti e lavoro incessante. Ma, a parte il fuorilegge a capo della Reina de la Oscuridad, nessun altro in tutta la Confederazione sarebbe stato abbastanza pazzo da accompagnarlo in una crociata contro il Palazzo di Quarzo.

Strinse quella mano con decisione, e un sorriso sardonico spuntò sul volto bronzeo di Antonio.

Insieme, avrebbero fatto precipitare il cristallo dal Cielo.

 

«Non è magia. È solo un’illusione.»

«Perché?»

«Perché in realtà è sempre la stessa immagine ripetuta. Non cambia mai niente. È questa la cosa triste.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccomi qui, in una nuova, travolgente avventura XD

Scherzi a parte, temo che questa longfic sarà MOLTO long. Il motivo è molto semplice: per ora i personaggi sono pochi, ma tra poco si aggiungeranno Francis, Arthur, Alfred, Kiku, Ivan, Yao, Gilbert, Matthew... insomma, tutto il circo al completo XD e le coppie... eh 8D leggere per scoprire<3

Grazie a tutti voi che avete letto fin qui e a tutti coloro che decideranno di imbarcarsi in quest'ennesima pazzia di una fanwriter iperattiva XD

Alla prossima<3

Red

Le immagini utilizzate nei banner non mi appartengono; tuttavia, avendole prese dai miei archivi, non ricordo gli autori ç_ç Se qualcuno dovesse riconoscere la fonte di qualche immagine, me lo faccia sapere e provvederò a metterei credits<3
   
 
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