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Autore: _eco    14/08/2013    5 recensioni
[Johanna Mason centric]
Qualcosa nella sua testa preme contro le pareti friabili del cervello. Un ricordo, un’immagine sbiadita, qualcosa che le suggerisce che anche lei, in un tempo lontano anni luce, si sorprendeva ad intonare una melodia a caso, con la sua voce rauca e per niente gradevole da sentire, mentre fiotti d’acqua tiepida le scorrevano sulla pelle nuda. Quando ancora le docce non erano una trappola, instancabile promemoria di una tortura continua.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johanna Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~E l'acqua scorre ~

 

[Johanna Mason; Mockingjay]

- È come stare sotto la pioggia, e puoi anche regolare la temperatura!* -
Johanna sa che Katniss non è il tipo di persona che gode nel mettere a disagio gli altri. O che si dimostra scortese nei confronti della coinquilina, puzzolente di sudore sotto uno strato di vecchia colonia, cercando di convincerla a darsi una ripulita. Tuttavia, Johanna non può fare a meno di leggere in quella frase, sin troppo costruita, e nel sorriso che Katniss si dipinge in volto, alquanto fasullo, un chiaro invito a ficcarsi nella doccia e a restarci per almeno mezz’ora.
Katniss ha il volto imperlato di minuscole goccioline di vapore acqueo, e Johanna ne deduce che ha scelto di sciacquarsi sotto un getto di spruzzi caldi, o quantomeno tiepidi. È avvolta in un telo ruvido, di pessima fattura, di quelli che il 13 ti fornisce perché sono funzionali e non certo confortanti. I capelli, zuppi, le cadono sulle spalle e rilasciano rivoletti bagnati sulla schiena magra. Le ciocche sgocciolano ad ogni suo movimento, arrivando a provocare piccole pozze d’acqua sul pavimento, così come anche i piedi scalzi e bagnati di Katniss.
Malgrado le piastrelle si dimostrino piuttosto assorbenti, Johanna, guardando le pozzanghere d’acqua ancora un po’ saponata che vengono risucchiate dalle mattonelle ancor prima di prendere forma, pensa alle gocce gelate che si lasciava alle spalle, ogni volta che usciva dalla vasca in cui la immergevano a forza.
Guarda Katniss con aria interrogativa e anche un tantino preoccupata, come se si aspettasse che tutta l’umidità che ha in corpo le si ritorca contro, o che i capelli bagnati si animino di una forza violenta. Ovviamente, non succede niente di tutto questo. Tuttavia, Johanna continua a chiedersi per quale assurdo motivo Katniss sia tranquilla e rilassata, e come mai non abbia urlato né chiamato aiuto quando gli spruzzi d’acqua le sono piombati addosso, nel bagno. Anzi, ora che ci pensa, crede di averla sentita canticchiare un motivetto che non conosce. Qualcosa nella sua testa preme contro le pareti friabili del cervello. Un ricordo, un’immagine sbiadita, qualcosa che le suggerisce che anche lei, in un tempo lontano anni luce, si sorprendeva ad intonare una melodia a caso, con la sua voce rauca e per niente gradevole da sentire, mentre fiotti d’acqua tiepida le scorrevano sulla pelle nuda. Quando ancora le docce non erano una trappola, instancabile promemoria di una tortura continua.
Come stare sotto la pioggia.Ciò che le serbavano a Capitol City era questo e molto peggio. Una vera e propria burrasca, una tempesta che le scuoteva il corpo e provocava in lei tremiti incontrollati. Fulmini che le sconquassavano il cranio, rivoltavano i nervi e causavano movimenti innaturali degli arti.
E puoi anche regolare la temperatura.A Capitol City, l’acqua era sempre gelida. Fredda al punto da farle ardere la pelle, come se fosse stata aggredita dai cocenti raggi del sole. Non le era permesso il lusso di girare una manopola per scegliere la temperatura che più le aggradava. Erano i Boia, come li aveva soprannominati, – quegli uomini in camice bianco, con gli occhialetti tondi sul naso e lo sguardo imperscrutabile – a gestire i movimenti delle varie valvole. A loro spettava la decisione di una scossa particolarmente violenta o dell’innalzamento del livello dell’acqua nella vasca. E Johanna sperava ogni volta che in loro fosse rimasto un briciolo di pietà umana. Ma quando la scarica le strattonava la testa e trasformava i nervi in vermiciattoli malati che si contorcevano grottescamente, quando le scosse facevano vibrare le membra e le trapassavano le ossa, Johanna capiva che c’era un motivo se quegli sguardi parevano sempre così inarrivabili, sempre velati da una cortina di insensibilità. Automi, privi anche del sentore di quella compassione che persino un assassino arriverebbe a provare davanti alla propria vittima.
- Fa’ con comodo. Io ho finito per oggi. – le assicura Katniss, mentre con una mano stringe il lembo del telo e con l’altra afferra della biancheria pulita dal cassetto del comodino.
Fa’ con comodo. Io ho finito per oggi.Che è un chiaro, garbato, invito, nei confronti di Johanna, a trascorrere un bel po’ di tempo in bagno per scrostarsi la sporcizia di dosso.
Johanna si ritrova a muovere appena il capo. Annuisce, e ringrazia di essere abbastanza lucida, al momento.
Raccatta a caso l’asciugamano ai piedi del letto e infila ai piedi le sobrie ciabatte di plastica, uguali per tutti gli abitanti del 13. Striscia passi svogliati verso il bagno, e, un attimo prima di lasciar scivolare la porta scorrevole alle sue spalle, rivolge un’occhiata fugace a Katniss.
- Vado. – sussurra a labbra strette.
Vado.Che è quel che diceva ogni volta che l’ora della tortura si avvicinava. Vado. Lo mormorava alla stanza in cui era confinata, una prigione di pietra grezza, che la separava dal resto del mondo per mezzo di una grata arrugginita ma solida. Vado. E, mentre lo diceva, si sentiva letteralmente spaccata a metà. Divorata dalla speranza di cose in completo contrasto fra loro. Essere abbastanza in forze da riuscire a strisciare di nuovo verso la sua stanza di reclusione, una volta terminata la tortura. O che la mano di uno dei Boia spingesse la manopola un po’ troppo oltre il limite. Farla finita.
Katniss sembra alquanto stranita, e, non sapendo cosa rispondere, si limita ad annuire e a forzare un sorriso complice.
La stanza da bagno è angusta, le pareti di un grigio spento, le piastrelle simili a quelle della camera da letto, i sanitari di marmo bianco, perfettamente lucido. Niente fronzoli, niente manopole placcate in oro, ma sobriamente realizzate in acciaio resistente. La doccia non ha niente a che spartire con quelle che Johanna ha avuto la (s)fortuna di provare nei treni diretti a Capitol City o nelle stanze in cui alloggiava nel periodo pre-Hunger Games. Sufficiente a contenere una persona la cui altezza sfiora i due metri. Per Johanna, che è minuta e, negli ultimi tempi, ancora più magra, è più che spaziosa, ma non lo sarebbe per uno come Plutarch, che ha il ventre ancora gonfio di prelibatezze capitoline. Cibo buono da far schifo.
Ci sono due valvole. Una rossa, per l’acqua calda. Una azzurra, per quella fredda. Johanna le gira appena entrambe. Sceglie una temperatura tiepida, sebbene sappia con certezza che nemmeno questa volta si arrischierà ad entrare nella doccia. A chiudere se stessa in una trappola di spruzzi che, per quanto piacevoli possano essere sulla pelle, nella sua mente saranno ancora gelidi e pungenti, complici delle scariche che le scombussolavano il cervello.
Si spoglia dell’uniforme grigia, e i vestiti le scivolano lungo il corpo come carne floscia intorno ad uno scheletro cigolante.
Si accuccia sul pavimento, la schiena contro la parete liscia, la testa affondata fra le ginocchia ossute. La testa che non ha più la chioma castano rossiccia da sfoggiare.
Dei suoi capelli se n’è sempre fregata, a dire il vero. Stavano lì, indomabili, le punte sempre un po’ sparate per aria. Ma, appunto, stavano lì. Erano una certezza, e non si erano fatti scrupoli nel privarla anche di questo.
Ottura le orecchie con le dita, sforzandosi d'ignorare il flusso dell’acqua. Se ne fai abuso, qui, suona un qualche tipo di allarme che innesca un sistema che ti priva della doccia. Hanno pensato proprio a tutto, quelli del 13.
Johanna spera che l’allarme suoni presto, che Katniss sorrida compiaciuta, soddisfatta che la sua coinquilina abbia deciso di darsi una ripulita. E che l’acqua di colonia e quel po’ di bagnoschiuma saranno sufficienti a mitigare il puzzo di sporco e di sudore.
I residui neri incrostati sotto le unghie, quelli può solo tentare di raschiarli a forza con le dita, ma non riuscirà mai a liberarsene del tutto.
L’acqua scorre. Le gocce tiepide scrosciano sul piatto doccia. Clip, clop. Clip, clop.
Ad ogni rumore, Johanna preme i palmi contro le orecchie, sin quasi a comprimere la testa fra le mani, come se fosse un palloncino colmo d’aria, malleabile, sul punto di esplodere. E, in effetti, lo è.
Il dolore squassante delle scariche che s’insinuavano nella pelle, che contorcevano i nervi e sbriciolavano le ossa, è ancora vivo in lei. Il gorgoglio nella gola, quel nodo fitto e impossibile da districare, che ogni volta faceva montare in lei la rassegnata consapevolezza di essere sul punto di morire. Ma no, non le era concesso nemmeno questo. Perché bastava che il suo ritmo cardiaco accelerasse troppo e i Boia la tiravano fuori. Aspettavano che quel poco d’aria le entrasse nei polmoni, e poi di nuovo la immergevano, spingendo semplicemente un tasto. Rosso, o forse verde. Oh, ma che importa?
I minuti sembrano secoli, lì. Johanna non ha ancora cambiato posizione. Di tanto in tanto, incoraggia se stessa ad allontanare un po’ i palmi dalle orecchie.
Forse ha smesso, pensa.
Ma no, l’acqua scorre ancora inesorabile. Ora pare rallentare il suo flusso, ora eccola di nuovo, scrosciante e pungente e brutale. Ed è allora che Johanna pressa freneticamente le mani sui timpani, come se questo solo movimento potesse in qualche modo esonerarla dalla parata di atroci fotogrammi che si rincorrono nella sua testa.
Soltanto quando la doccia si ammutolisce di botto, Johanna libera il cranio dalla barriera protettiva che ha costruito con le mani. Mani che tremano, dita ossute che faticano a trovare una posizione stabile, che si divincolano dalla stretta di un essere invisibile e terrificante.
Qualcuno, lassù, deve aver deciso che, per oggi, Johanna ha decisamente fatto abuso della doccia. Il che è alquanto ridicolo, visto che, per tutto il tempo, lei è rimasta rannicchiata in un angolo, nella continua speranza che l’acqua smettesse di scivolare giù.
Johanna allunga una mano verso la boccetta di bagnoschiuma, e ne versa una buona dose sulla spugna ruvida messa a sua disposizione. Scrosta i residui di sporcizia sulle braccia, negli incavi di gomiti e ginocchia, sulle gambe, tra le dita dei piedi e delle mani, sul collo. Il  bagnoschiuma ha un anonimo profumo di lavanda e una consistenza densa e compatta, così che Johanna ci mette un bel po’ a distribuirla su tutto il corpo senza sembrare una di quelle capitoline che si coprono il viso di maschere d’argilla.
Avvolge il suo corpo macilento e scheletrico nel telo ruvido, che le pizzica la pelle in maniera fastidiosa. Di tanto in tanto, sul piatto doccia piombano ancora goccioline d’acqua rimaste incastrate al rubinetto.
Quando Johanna esce e si ritrova nella camera da letto, non è ancora riuscita a placare i tremiti che le scuotono le spalle nude e spigolose.
Ringrazia il cielo di non avere i capelli. Sarebbe un problema giustificarsi per non averli sciacquati, pensa. Il profumo di lavanda è troppo intenso, non è mitigato dall’acqua che lo diffonde e aiuta la pelle ad assorbire l’aroma del bagnoschiuma, ma Katniss non sembra farci caso. E nessuna gocciolina di vapore caldo imperla il viso di Johanna, la quale si ritrova a pensare che, almeno in questa situazione, la fortuna ha deciso di stare dalla sua parte. La camera giace nella penombra, ed è difficile scorgere i fremiti che le percuotono ancora il corpo, figurarsi i residui di acqua sul suo volto. In ogni caso, Johanna si sente in dovere di mettersi al sicuro da qualsiasi insinuazione da parte di Katniss, così cerca nel tripudio di pensieri contrastanti che le abitano la mente qualcosa che richiami la vecchia Johanna.
La trova nell’oggetto sferico e luccicante che Katniss si rigira tra i polpastrelli, e che adesso sfiora con le labbra.
- Magari è la volta buona che te la ingoi, quella perla! – sbotta, benché la sua voce, incerta e così poco indisponente, in confronto ai suoi vecchi standard, la faccia sembrare soltanto l’ombra sbiadita della donna che era.
- Simpatica come sempre, Jo. – risponde Katniss, scivolando sotto le coperte e riponendo la perla nel cassetto del comodino.
Johanna replica con uno sbuffo annoiato, che tuttavia trasuda nervosismo e instabilità.
Indossa della biancheria pulita e si butta a letto. Stesa su un fianco, rannicchiata in posizione fetale, le palpebre serrate così violentemente da intrecciarsi in sottili rughe.
Johanna sussulta più volte, nel corso della notte, malgrado nessuna scarica elettrica le penetri il cranio.
Sente le urla. Le proprie urla. Perché i Boia non avevano nemmeno il cuore di metterle in bocca qualcosa, perché si crogiolavano di quel disperato gridare, di quel suono gutturale che graffiava prima il petto e poi la gola di Johanna, e che arrivava alle loro orecchie come un suono soave e ristoratore.
Affonda le unghie nei palmi. Stringe le braccia intorno alla vita magra e spigolosa. China il capo sin quasi a farlo sprofondare nell’incavo del collo.
Ed è come stare sotto la pioggia. Solo che non puoi regolare la rapidità del flusso di ricordi che ti schiacciano come gocce di piombo.

 


Angolo autrice parassita del fandom.
Bene, salve! (:
Ho preferito non fare nessuna premessa, lasciarvi direttamente a leggere la shot, e poi chiarire alcune cose.
Non è che ci sia molto da chiarire, a dire il vero. Solo che a questa shot tengo tantissimo, per tutta una serie di motivi.
Johanna Mason è il mio personaggio femminile preferito, anche se sino ad ora non mi sono arrischiata a scrivere su di lei.
La ritengo molto - troppo - complicata anche solo per provare ad entrare nella sua testa. Però, prima di dichiararmi una fallita totale, un tentativo dovevo pur farlo.
La stesura di questa shot ha richiesto sì e no due giorni e mezzo. Ed è tanto, per un risultato mediocre come questo, ma chi se ne frega?
Spero, come al solito, di non essere andata OOC. E, se l'ho fatto, mi scuso con Johanna con voi.
Spero anche di conoscere i vostri pareri e i vostri consigli, che danno sempre una mano.
Bene, mi eclisso.
Un abbraccio, e grazie a chiunque sia stato tanto coraggioso da leggere questo mattone.
S.
*La frase è più o meno ispirata alla definizione di doccia che dà Katniss nel primo libro.

 

  
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