Spoiler "La principessa" e "Città delle anime perdute"
Istituto di New York 2007
Jece
ancora stava cercando di controllare il fuoco che la spada di Raziel gli aveva
lasciato dentro.
Spesso era una vera
scocciatura, infatti la sua pelle bruciava così tanto che per Clary a volte era
complicato stargli vicino.
E lo stupido
mondano-vampiro continuava a sfotterlo chiamandolo “Torcia umana”. Jace non
sapeva cosa significasse, ma dal ghigno che gli rivolgeva mentre lo diceva di
sicuro era una stupida battuta.
Si asciugò il sudore che
gli imperlava la fronte con il dorso del braccio. Quel giorno, come tutti i
giorni della sua esistenza, si stava esercitando nella sala d’armi.
Impugnava una delle sue
spade preferite e menava fendenti a nemici invisibili, ricordando le lezioni
ricevute dai Lightwood; infatti cercava di saltare il più in alto possibile,
manteneva la guardia tenendo ferma l’arma davanti al viso, si abbassava per
schivare colpi, poi preso dall’euforia del combattimento, senza rendersene
conto, tranciò di netto la testa di un manichino, che stava lì vicino.
La testa volò ai piedi del
suo parabatai, che la fermò con il
piede.
-Jace, i manichini servono
per dare i pugni! Non per decapitarli – disse Alec inarcando un sopracciglio,
aveva in mano l’arco ed era intento a lanciare frecce al bersaglio attaccato
alla parete.
-Non puoi negare che era
una decapitazione perfetta- disse Jace con un ghigno.
Sbuffando Alec si rimise
in posizione, chiuse un occhio per prendere la mira e scoccò una freccia che si
conficcò perfettamente al centro del bersaglio.
-Che ne dici?- il ragazzo
guardò Jace soddisfatto, ma il parabatai
si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
-Lightwood, orgogliosi
fino al midollo- disse agitando la mano.
Alec gli rivolse un
sorriso, e Jace, anche se non l’avrebbe ammesso, gli fu grato per quello.
Da quando Magnus l’aveva
lasciato, Alec era diverso, e riuscire a farlo ridere era diventata un’
impresa.
Il parabatai stava per replicare, ma la sua voce fu coperta dal suono
assordante del campanello dell’Istituto. I due ragazzi si guardarono confusi.
-Chi potrà mai essere?-
chiese Alec poggiando l’arco e la faretra per terra.
-Non ne ho idea- rispose
Jace –Forse è Clary- suppose.
-Ma lei sa come si entra-
disse Alec –E poi è l’una di notte, la madre non le permetterebbe mai di
venire-
-Comunque io vado a vedere
chi è- Jace scrollò le spalle, e senza aspettare una risposta uscì dalla
stanza.
L’istituto sembrava ancora
più grande di notte, i corridoi erano tunnel senza fine, gli occhi vacui delle
statue, seguivano Jace con lo sguardo.
Ma ormai l’edificio non lo
terrorizzava più come un tempo. Crescendo tra quelle pareti aveva imparato ad
amare ogni singolo particolare dell’Istituto.
-Per l’Angelo! Jace
aspettami- gli urlò Alec raggiungendolo, poi gli ammollò una pacca sulla spalla
per cercare di avere la sua attenzione, gli occhi azzurri erano tesi.
-Jace, dobbiamo stare
attenti. Non aprire se non riconosci chi è- lo ammonì l’amico.
Nel frattempo avevano già
sceso le scale e si trovavano nell’atrio. Davanti a loro si erigeva l’enorme
porta dell’edificio, munita di ogni sorta di serratura possibile.
Si sentì di nuovo il
campanello suonare.
Jace fissò incerto la
porta, poi si avvicinò con lo stilo stretto in mano.
Esistevano vari modi per
entrare nell’Istituto, per esempio il sangue dei cacciatori poteva aprire le porte,
ma per evitare di imbrattare di sangue l’antica tappezzeria dell’ingresso,
Maryse aveva preferito utilizzare una semplice runa d’apertura.
La cosa negativa di quella
porta era che non si poteva vedere chi stava fuori perché non c’era uno
spioncino.
-Chi è?- chiese Jace con
voce ferma, ma fuori si sentì solo il rumore di un tuono.
Il ragazzo si girò e
guardò Alec, che gli fece cenno di non aprire.
Ma il problema di Jace era
che poche volte faceva le cose che gli consigliavano.
Trattenendo il respiro incise
sul legno massiccio la runa d’apertura.
Si sentirono vari cigolii,
poi le cinque serrature disposte sulla porta iniziarono ad aprirsi, scorrendo
di lato, finché la porta non si spalancò facendo entrare il gelo, portato dal
vento e dalla pioggia.
Sulla soglia c’era una
figura incappucciata che guardava a terra, il lungo mantello che indossava
sfrusciava per terra, e il cacciatore ipotizzò che fosse troppo robusto e alto per
essere una ragazza.
-Chi sei?- gli chiese
Jace, dietro poteva sentire i borbottii di Alec che lo accusava di essere uno
stupido incosciente.
La figura si tolse il
cappuccio, rivelando un viso di un giovane che poteva avere circa la stessa età
di Jace, aveva gli occhi di un azzurro luminoso come il cielo dopo un temporale,
i capelli corvini erano mossi e incorniciavano un viso dai lineamenti delicati,
ma la corporatura non lo faceva sembrare effeminato , anzi gli conferiva un
aspetto fiero e forte, sulla gola aveva incisa una runa della memoria.
Se Jace non avesse avuto
Alec dietro, avrebbe scambiato sicuramente quel ragazzo per il suo parabatai.
Il cacciatore sentì dentro
la sensazione di avere davanti un viso già conosciuto, come se fosse una
vecchia fotografia sbiadita che cercava di riaffiorare tra i suoi ricordi.
-Io sono William
Herondale- disse fissando intensamente Jace –E chiedo, nel nome di Raziel, di
essere ospitato in questo Istituto-
Nota dell’autrice: Ebbene sì, l’ho fatto! Era un po’ che volevo fare
una fusione tra le due saghe. Curiosi eh? Non posso davvero dirvi altro,
altrimenti vi toglierei l’interesse di leggere i capitoli successivi.
Vi dico solo: immaginate
cosa possono fare due Herondale insieme? <3
Detto questo vi invito a
leggere le altre mie fan fiction su Malec e Sebastian, e vi ringrazio davvero
per tutti gli obiettivi che mi avete permesso di raggiungere.
Ci vediamo al prossimo
capitolo!!!