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Autore: yelle    15/08/2013    6 recensioni
[Olicity]
Nel silenzio e nell'intimità più totali, Oliver e Felicity si guardarono negli occhi e ritrovarono sè stessi. Nel buio rassicurante della loro vicinanza fisica si scoprirono estranei e più vicini.
Disclaimer: song-fic basata sulla canzone "Still", by Daughter.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I’ll wrap up my bones
And leave them
Out of this home
Out on the road

 

Il rifugio era un’ombra scura popolata di silenzio e polvere. Non c’era nessuno ad accogliere il ritorno di Oliver, che arrancava nel buio come un soldato sotto il fuoco nemico. Le sue impronte stanche calcavano le superfici lucide lasciandosi dietro una scia di rimpianti e di speranze andate perdute.
Si trascinò lungo i muri di solitudine, le membra stanche dopo l’ennesima notte passata a combattere qualcosa che non aveva più un volto. Quella notte non c’era alcun senso di vittoria a tenere aperte le sue palpebre, o vivo il suo cuore. In quella notte dimenticata, il suo corpo giaceva nel buio, prostrato dalla fatica di una vita che iniziava a porgli domande cui non sapeva dare una risposta.
I suoi palmi poggiarono sulla superficie fredda e lustra della scrivania. Abbassando lo sguardo gli rispose il riflesso del suo stesso volto sul lucido metallo. Ad un guizzo del collo il cappuccio cadde all’indietro. Una mano andò ad abbassare la lampo della tuta di pelle, ma l’istante successivo Oliver si scoprì troppo spossato per continuare il gesto. Mentre le ultime energie lo abbandonavano, si lasciò cadere sulla prima sedia che trovò libera e chinò la testa ad appoggiarla sulla scrivania. Quando chiuse gli occhi la stanchezza lo colpì al cervello con la forza di un pugno rabbioso e violento, procurandogli un feroce mal di testa. Gli occhi gli facevano male, migliaia di spilli gli pungevano le cornee dietro le palpebre chiuse.
Quella serata non aveva altro da dargli se non il dolore per ciò che aveva rincorso –ancora una volta— sui tetti della città. Per quanto ancora sarebbe potuto andare avanti così, Oliver non lo sapeva. Ogni notte perdeva sé stesso, e ogni giorno al sorgere del sole rimetteva insieme i pezzi che rimanevano. Era sicuro che prima o poi non gli sarebbe rimasto più niente da ricostruire. Quanto ancora mancava a quel giorno, quello non gli era dato saperlo.

 

Two feet standing on a principle,
Two hands longing for each other’s warmth
Cold smoke seeping out of colder throats
Darkness falling, leaves nowhere to go

 

La solitudine era ciò che andava cercando. La solitudine e l’oscurità di un luogo conosciuto. Un luogo che poteva chiamare casa, sempre pronto ad accoglierla nei suoi momenti di inquietudine.
Felicity Smoak attraversò il cono di luce della lampadina che pendeva placida e solitaria dal soffitto e fece i pochi passi che la separavano dalla cima delle scale. Fu in quel punto che scorse nell’opprimente penombra del laboratorio la figura esausta di Oliver china sulla scrivania. La poca luce presente nella stanza si rifletteva sulla pelle lucida del costume, in quel momento privo del fascino del vigilante a causa della stanchezza che la sua figura sprigionava come umidità sotto i raggi del sole più caldo.
Quello davanti a lei non era l’eroe di Starling City, ma l’uomo stanco e provato dall’amarezza di una vita nell’ombra dei crimini più beceri e delle anime più nere. Sotto i suoi occhi giaceva in quel luogo il lato più umano di Oliver, quello che non le era mai stato dato di vedere, fino a quel momento.
Silenziosamente si mosse lungo gli scalini vuoti e bui, procedendo sul pavimento con silenziosa grazia. Un minuscolo cenno di Oliver nella sua direzione la rese cosciente del fatto che lui si fosse accorto del suo arrivo. Scrollandosi di dosso la sensazione di invadere un momento di privata intimità, appoggiò una mano sullo schienale della sedia più vicina e la trascinò per quella manciata di metri che la separavano da lui, che non rispose al suo sguardo. Si limitò ad esistere in quell’istante nel tempo, in quel luogo nel mondo.
Felicity si sedette di fronte a lui e mantenne lo sguardo fisso sul suo volto, sino a vedere oltre le sue rughe, oltre la sua fronte corrugata e i suoi occhi stanchi e vuoti. Finché l’uomo distrutto davanti a lei tornò ad essere una cosa sola con l’eroe di Starling City, e una cosa sola con il suo milionario playboy. Le innumerevoli sfaccettature di Oliver Queen si aprirono dinanzi a lei come un corollario di ritratti dalle magistrali pennellate, nascoste dietro due occhi malinconici.
Chiuse gli occhi davanti al mesto spettacolo, e sospirò.

 

Still with feet touching
Still with eyes meeting

 

Li riaprì a incontrare quelli di lui, guardinghi e marchiati di una richiesta muta. Cosa ci faceva lì? Se con lì intendesse al rifugio o di fronte a lui, quello non poteva indovinarlo.
Prese il coraggio a due mani e allungò il braccio nella sua direzione, cercando le sue dita dormienti, ma reattive al suo tocco. Le strinse, senza sapere esattamente che cosa infondere in quel tocco, in quel contatto. Non la sua voglia, il suo bisogno. Non la fame per un suo sguardo, per una sua parola. Non la propria anima, ma la richiesta per quella di lui. In quel timido contatto Felicity infuse la propria richiesta a lasciarla entrare. Bussò alla porta del suo spirito stanco e lui, sospirando, abbassò lo sguardo e si fece da parte. Le diede il permesso di essere testimone del suo momento debole, di fare di lui qualsiasi cosa lei volesse.

 

Still our hands match
Still with hearts beating

 

Nel silenzio e nell’intimità più totali Oliver e Felicity si guardarono negli occhi e ritrovarono sé stessi. Nel buio rassicurante della loro vicinanza fisica si scoprirono estranei e più vicini.
Felicity gli teneva la mano, stringendola con la forza che aveva, dolorante nel cuore e rassicurante nei gesti. Oliver si sentì a casa, non più solo. Si meravigliò del suo stesso corpo che si chinò in avanti, verso di lei. La sua mente e i suoi pensieri separati da tutto il resto, da ciò che aveva di fisico.
L’oscurità si ripiegò su sé stessa. Oliver si ripiegò su sé stesso. La sua testa si chinò in avanti lentamente, con la grazia di un vecchio albero che si abbandona sotto gli impietosi colpi d’ascia del guardaboschi. Senza forze, si lasciò cadere fino ad incontrare la barriera fisica di Felicity, la carne calda della sua spalla, che si muoveva insieme ai battiti del suo cuore e in sincrono con i suoi respiri.
La sua fronte poggiava su di lei.
I pensieri fluivano liberi e leggeri.
Si abbandonò a quella sensazione di pace mentre le dita di Felicity gli accarezzavano il capo e i capelli corti; lo calmavano con movimenti lenti e regolari, ritmici. Si abbandonò fino a ritrovare ciò che di più simile alla serenità potesse sperare di afferrare, si aggrappò a quella sensazione come ad un’ancora di salvezza in mezzo al suo mare in tempesta.
I capelli di Felicity cadevano su di lui come una tenda, a schernirlo dal mondo, a fargli da scudo. Il loro profumo gli invase le narici, mischiandosi con l’odore della solitudine di cui quel luogo era pregno.
Immobili nell’attimo di quell’intimo gesto, lasciarono che la polvere del tempo si posasse su di loro.

   
 
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