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Autore: Mary Mary    15/08/2013    1 recensioni
Questa é la storia di una ragazza e di un ragazzo. Entrambi considerati "feccia" dalla moderna società perché trovano rifugio solo in cose illegali. Lei, cresciuta da una madre troppo impegnata nel lavoro e da un padre alcolizzato, fuma marijuana quotidianamente. Lui, orfano, dipendente dall'eroina.
Questa é la storia di Diana e Chris, e della loro travagliata relazione.
STORIA MODIFICATA E RISCRITTA CON UN NUOVO TITOLO.
VEDI: "Closer to the edge", di Born in Salem.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Chris POV:
Viaggiammo per circa altri dieci minuti in mezzo al traffico seriale di Torino prima di arrivare a casa mia.
Diana, durante il viaggio aveva fumato un’altra sigaretta e mi provocò una tenerezza assurda quando mi chiese se potesse farlo. Ero sicuro che mi avesse detto la verità per quanto riguardava il numero di canne e acidi che avesse fumato o ingoiato. Così le risposi nuovamente che non c’era nessun problema.
Le accarezzai più volte la gamba sinistra nei momenti in cui non dovevo cambiare marcia, ovviamente non in modo volgare.
Parcheggio la macchina davanti al palazzo condominiale in cui abito, in uno dei parcheggi riservati ai residenti.  Feci addirittura il galantuomo aprendole la portiera.
Sorrisi mentre si aprivano le porte dell’ascensore, e la seguì al suo interno. Tutto di lei mi faceva uno strano effetto, il suo sorriso, il suo profumo, il suo vizio di mettersi continuamente a posto la frangetta, il suo modo di guardarmi, persino il suo linguaggio da camionista quando si incazzava.
Abitavo all’ultimo piano, il nono, da solo. I miei genitori morirono quando ero ancora un bambino molto piccolo.
Morirono in un incidente stradale in tangenziale a causa di un ubriaco al volante. Almeno così mi raccontò mia zia materna, che mi accudì come fossi suo figlio fin quando io compì la maggior età; arrivati i diciotto anni, infatti, decisi di cambiare radicalmente e di trasferirmi; volevo bene a Patrizia, mia zia, ma il modo in cui mi guardava, come se fossi la feccia dell’umanità, mi convinse ad andarmene. E tutto questo a causa di mozzicone di canna dimenticato in mezzo alle sigarette nel portacenere. Comprai l’appartamento in questione con i soldi derivati dallo spaccio di marijuana. Certo, erano soldi ricavati da azioni non legali, ma era comunque stato un bel lavoro per me. E fu proprio grazie a questo lavoro che conobbi Diana, una mia frequente cliente.

Inizio flashback…
- Ciao, senti… Ho sentito che vendi…- gli chiese una ragazzina esile dagli stupendi occhioni verdi.
Dimostrava sì e no dodici anni, ma doveva essere impossibile, dati i suoi dreadlocks  e il suo central*.
- Certo. Ho della skunk* se vuoi… Quanto hai da darmi? - le risposi, squadrandola dalla testa ai piedi.
Sembrava una bambola di porcellana, aveva un qualcosa che lo attirava, e non solo fisicamente.
- Va benissimo un deca di skunk, grazie - gli disse la bambolina, sorridendo e mettendosi una mano nella tasca posteriore dei jeans, larghi il doppio delle sue gambe. - Mi potresti solamente tenere un attimo lo skate? Non riesco a raggiungere il portafogli in queste maledette tasche… - sbottò lei.
Presi lo skateboard nero, che non avevo notato se non in quel momento e aspettai che la bambolina mi desse i dieci euro.
- Ma che cazzo?! - esclamò lei agitandosi e affondando le mani in tutte e due le tasche posteriori - non trovo il mio portafogli, porca puttana… -
Si voltò indietro, a destra e poi a sinistra, imprecò e bestemmiò un paio di volte e mi guardò.
- Mi sarà caduto mentre ero sullo skate, non ho più soldi… Mi dispiace averti fatto perdere tempo - sussurrò imbarazzata.
Mi fece una tale tenerezza che mi misi a ridere, suscitando uno suo sguardo interrogativo.
- Non fa niente, te la do a credito se mi prometti che mi porterai i soldi un altro giorno! Come ti chiami, dolcezza? - le chiesi sorridendo. Non ero mai stato così gentile prima d’ora, non avevo mai venduto a credito.
- Diana… Ma non devi, veramente. Quando avrò di nuovo dieci euro tornerò, ma non darmi niente a credito, non sono una persona molto affidabile e… Meglio di no- balbettò velocemente la bambolina di nome Diana.
- Allora facciamo così. Io ti do sta erba e tu in cambio vieni a letto con me. Che te ne pare? - le suggerì, ovviamente scherzando.
- C-cosa? - disse lei con il labbro inferiore tremante e le guance rosse come un peperone. A quanto pare non aveva capito che si trattava di una battuta.
- Scherzavo, dolcezza, non sono così meschino! Te la regalo, OK? A patto che tu torni a comprare erba da me tutte le volte che ti serve rendendomi il tuo pusher personale. E che oggi tu fumi assieme a me questa skunk.  Che ne dici? - le dissi.
Vidi le sue guance tornare al colore naturale e sorrise.
- OK, affare fatto -

Fine flashback…

Le porte dell’ascensore si aprirono, con un fastidioso fruscio. Presi con una mano quella di Diana e con l’altra frugai nella tasca dei pantaloni, trovando le chiavi di casa. Le infilai nella serratura ed aprì la porta d’ingresso del mio appartamento.
Diana entrò per prima e accese la luce del corridoio. Mentre stavo chiudendo la porta in un secondo me la ritrovai abbracciata al mio petto, come un cucciolo di koala.
La mia Diana… La mia tenera e piccola Diana…  Ricambiai volentieri l’abbraccio e le circondai la vita con le mie braccia.
- Mi sei mancato così tanto, Chris - disse lei improvvisamente.
Mi sei mancata così tanto anche te.
Sembra sia passata una vita dal nostro ultimo abbraccio, o dal nostro ultimo bacio…o dalla nostra ultima volta a letto…

Diana alzò il viso tutto ad un tratto e mi guardò, con la sua aria da bambina, per un attimo temetti di aver pensato ad alta voce. Mi persi nei suoi occhioni verdi/grigi.. Difficile capire quanti colori potessero assumere.
Diana si avvicinò alle mie labbra, baciandole castamente e teneramente. Come potrei non amarla?
Ovviamente ricambiai e con la lingua chiesi silenziosamente e senza parole di farmi entrare nella sua bocca, cosa che avvenne quasi subito. Le nostre lingue cominciarono a danzare assieme, a scontrarsi dolcemente. Cominciammo a baciarci non più castamente, ma passionalmente e senza problemi avvicinai il mio bacino al suo, combaciandoli perfettamente.
Non riesco più a tenermi sotto controllo.
Ribaltai perciò di colpo le posizioni. Se prima era Diana ad avermi sbattuto contro la porta di ingresso abbracciandomi, ora ero io a tenerla tra il mio corpo e la porta, schiacciandola, facendo aderire i nostri corpi e facendo in modo che lei sentisse la mia erezione.
Tolsi le mani dalla sua sottile vita per poi scendere fino alle natiche, e lì la alzai, sorprendendomi di quanto fosse leggera.
- Sei leggerissima - sussurrai mentre con le labbra e con la lingua scendo lentamente verso il suo collo.
- Shh… - dice lei, circondandomi il collo con un braccio mentre con l’altro mi attira a sé tirandomi delicatamente i capelli. Compresi la sua eccitazione dal momento in cui mi resi conto che stava ansimando, cosa che stavo facendo anche io, a quanto sentivo.
La portai in camera mia, e la poggiai sul mio letto senza smettere di baciarla per neanche un momento. Mi privai dei miei vestiti, cosa che fece pure lei e la vidi finalmente senza niente addosso.
Sì, mi si decisamente mancata, amore.

Diana POV:
Aprì gli occhi, ma la luce troppo accecante del sole che filtrava dalle tende mi costrinse a richiuderli nuovamente. Mi mossi nel letto girandomi dall’altro lato e vidi i lunghi dreadlocks di Chris che incorniciavano la sua schiena chiara.
E’ dimagrito anche lui tantissimo…
Sorrisi, ricordando la sera prima, ero molto felice di essermi riavvicinata a Chris.
Lo aiuterò, questa volta. Voglio assolutamente che smetta di bucarsi.
Sentì improvvisamente  vibrare il mio cellulare e mi ricordai di colpo che giorno fosse.
- Oh Cristo, Chris, svegliati! - esclamai scuotendolo dalle spalle -Chris, oggi è il primo giorno di scuola! Cazzo, svegliati! -.
Per tutta risposta (finalmente) Chris di girò verso di me e aprì i suoi adorabili occhi color ghiaccio.
- Mmh - mugugnò lui aggrottando la fronte - buongiorno, piccola -
- Buongiorno un cazzo! Che ore sono? - dissi sbuffando e prendendo il telefono da sotto il cuscino. Avevo il vizio di metterlo lì ormai da anni, anche se ero benissimo a conoscenza che non facesse molto bene.
- Chris, alza il culo! Sono le sette e mezza e io devo ancora tornare a casa prendere vestiti e libri! -
Perfetto, primo giorno in una scuola nuova e sono già in ritardo! E in più Chris non ha voglia neanche di muovere un dito.
- Ti presto io una mia maglietta, preparati qui -  si limitò a dire lui.
In effetti non mi sembra una cattiva idea…
Sbuffai, sussurrai un “OK” e mi alzai frettolosamente dal letto, accorgendomi solo in quel momento che indossavo solo dei boxer a righe blu e nere di Chris.
Quando diamine li ho messi?
Guardai Chris, sperando di trovarlo già sveglio del tutto, ma si era addormentato nuovamente, a giudicare dal suo respiro.
Sempre lo stesso pigrone pensai inevitabilmente con un sorrisetto sulla labbra.
Decisi di svegliarlo per l’ennesima volta, questa volta facendogli il solletico; riaprì gli occhi esclamando sono sveglio, sono sveglio e mi sorrise.
Mi voltai ridendo e andai verso il bagno, minacciandolo prima di una morte dolorosa se non si fosse alzato entro dieci minuti.

Chris POV
“Se non ti alzi entro dieci minuti di immergo nell’acido, Chris!”
Ah, l’amour!
Sorrisi. Le minacce di morte da parte di Diana erano così romantiche la mattina.
Sentì l’acqua della doccia scorrere e mi alzai svogliatamente dal letto, sbadigliando sonoramente. La tentazione di spalancare la porta del bagno senza preavviso per ammirare Diana nella doccia era fortissima, ma, conoscendola ormai da anni, la sua minaccia di pochi minuti prima poteva benissimo avverarsi.
Aprì l’armadio e cercai in mezzo al casino una maglietta da poter prestarle, ma la cosa risultò abbastanza complicata. Vestivo largo, molto largo, e se le avessi prestato una maglia che usavo di solito le sarebbe arrivata come minimo alle ginocchia. Vidi sul fondo dell’armadio la mia vecchia t-shirt, la più piccola tra tutte forse, nera con la faccia di Alborosie stampata sopra.
So che Diana non era una persona che amava follemente il reggae, ma più propensa ad ascoltare un po’ tutto tranne il pop
Chiusi le ante dell’armadio quando cominciai ad avere una forte nausea.
Gesù, era passato solamente un giorno dalla mia ultima pera!
Cercai con tutte le forze di reprimere il senso di nausea, ma non aveva molto senso star male per niente.
Se vomitassi forse non avrei più la nausea, no? O almeno, lo spero.
Senza pensarci due volte bussai alla porta del bagno.
-Piccola…- chiamai, ma la mia voce era non più che un sussurro.
Sperai che mi avesse sentito, ma mi accasciai a terra, tenendomi la pancia con una mano. Al senso di nausea si era affiancata un serie di dolori addominali fortissimi. Non ce la facevo più.
Mi accorsi di star sudando, mi rialzai dal pavimento e, barcollando, afferrai un pacchetto di fazzoletti posti dentro il cassetto del comodino. Con uno di questi mi ci soffiai il naso, che non finiva più di colarmi.
Mi sentivo improvvisamente agitato, non riuscivo a star fermo un momento.
Mi accasciai nuovamente sul pavimento, e appoggiavi la schiena sul lato più breve del letto.
La nausea mi attanagliava sempre più lo stomaco, cercai di non pensarci.
Ad un tratto la porta del bagno si aprì e sulla soglia comparse Diana, in intimo. I lunghi dreads castani le ricadevo lungo i fianchi e aveva le guance arrossate a causa del calore della doccia. Sembrava una bambolina di porcellana, esattamente come il giorno in cui si erano conosciuti, il primo giorno in cui fumammo assieme erba.
Al solo pensiero del forte odore dell’erba non riuscì più a trattenere la nausea; mi alzai frettolosamente, scostai in modo un po’ troppo brusco Diana e mi precipitai in bagno. Mi diressi verso il gabinetto e cominciai a vomitare al suo interno.
Sentì Diana avvicinarsi dietro di me e raccogliermi tutti i dreads, togliendomeli dalla faccia.
Quando finalmente non sentì più i conati mi rialzai, sempre barcollando, e tirai lo sciacquone; mi lavai la faccia e la bocca nel lavandino, davanti al quale era appeso uno specchio.
Non avevo il coraggio di alzare la testa per vedere l’espressione sicuramente schifata di Diana. Dopo pochi secondi, però, alzai lentamente lo sguardo e, tramite lo specchio, lo incrociai con il suo. Mi sorpresi: non mi stava affatto guardando schifata.
-M-mi dispiace, Diana…- le dissi.
-Non è colpa tua, amore. Ti senti ancora male, vero?- rispose lei, con uno sguardo visibilmente preoccupato.
-Devo farmi una pera, piccola. Esci dal bagno, non voglio che tu veda.- le dissi.
-O-ok…- balbettò. Mi abbracciò e uscì dal bagno richiudendosi la porta dietro senza dire una parola.
Preparai tutto: una stringa di scarpa che fungesse da laccio emostatico, un cucchiaio, un accendino, del succo di limone e infine la mia polvere bianca.
Finito tutto il procedimento e, soprattutto, finiti tutti gli effetti dovuti all’astinenza, mi alzai e aprì la porta.
Sul letto era seduta Diana. Mi guardò e mi fece un sorriso d’incoraggiamento.
Amavo quella ragazza, la amavo così tanto!
-Ehi, piccola…-
-Stai meglio?-
-Sì sì - le risposi.
Mi accorsi che indossava la maglietta di Alborosie che le avevo scelto.
-Ti sta bene, anche se un po’ larga…- le dissi, indicando con il capo la t-shirt.
-Già. Andiamo, amore?-
Annuì e presi il mio zaino da sotto il letto. Ci misi dentro l’astuccio, un blocco di fogli completamente vuoto, l’accendino e il pacchetto di Yesmoke rosse.
-Andiamo!-
La presi per mano e salimmo pochi minuti dopo sulla mia auto.
-Sono nervosa… Perché diavolo ho scelto moda? La classe sarà piena di oche, sarò si sicuro l’unica con piercings e dreads!- biascicò lei, mentre si accendeva una sigaretta dopo aver abbassato il finestrino.
-Per questo ho scelto te, baby. Perché hai i dreads e i piercings!-
-Coooosa? Solo per quello?!- urlò con aria imbronciata, dandomi un colpetto sulla spalla.
-Scherzavo! Ahahah! Ti amo, e non perché hai dreads e quant’altro.- la tranquillizzai, sorridendole. -Stendile tutte quelle oche comunque-.
Svoltai l’incrocio e parcheggiai. Eravamo arrivati.
  
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