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Autore: Kiride    22/02/2008    4 recensioni
La mia è stata una vita breve. Breve ma intensa. Certo… non dell’intensità che chiunque altro si augurerebbe ci fosse nella sua vita, ma che è stata piena di cose che la maggior parte della gente non sogna nemmeno, che non vedrà mai, neanche nei suoi peggiori incubi…
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' la prima fic che scrivo su spn e non sono neanche tanto sicura del risultato ma ad ogni modo, ho deciso di postarla grazie all'intervento di una cara amica [;)]... spero vi piaccia...

IN MY DEATH

La mia è stata una vita breve. Breve ma intensa. Certo… non dell’intensità che chiunque altro si augurerebbe ci fosse nella sua vita, ma… lo è stata… nel senso che è stata piena di cose che la maggior parte della gente non sogna nemmeno, che non vedrà mai, neanche nei suoi peggiori incubi… e le ho combattute con tutto me stesso, perché era la cosa giusta da fare, il nostro compito… e nonostante tutto, nonostante la nostra vita fosse un incubo all’ordine del giorno, è strano pensare che la cosa di cui ho sempre avuto più paura non erano i mostri nascosti sotto i nostri letti, non i demoni che si materializzavano negli occhi di un povero malcapitato, ne le zanne di un vampiro che provavano a succhiarci via il sangue fino all’ultima goccia, o il lento avvicinarsi di qualche assurda divinità pagana che provava a fare di noi il suo sacrificio, la cosa che più mi spaventa, anche ora che non posso che guardare impotente, è di perdere Sammy, che gli accada qualcosa di brutto, di cattivo, fuori dal mio controllo, dal controllo della mia pistola. Eppure la nostra vita è stata in pericolo centinaia di volte, migliaia, sin da quando eravamo bambini, sin da quando la mamma è morta contro il soffitto, tra le fiamme, sulla culla di Sam, sin da quando avevo quattro anni e la nostra vita ha preso quest’assurda piega, fin da quando papà ha perso la testa dietro a quel dannato demone che ci ha strappato via tutto. No, decisamente non abbiamo avuto una vita semplice, ne tanto meno normale, ne io, ne papà, ne Sammy, nonostante lui almeno ci abbia provato… nonostante papà sia stato una persona più che normale prima che morisse la mamma. Allora forse, l’unico che non è stato mai davvero comodamente immerso nella normalità sono stato io. Certo, i primi quattro anni della mia sono stati come quelli di qualunque altro bambino del Kansas, ma ero troppo piccolo per ricordare come fosse. Ricordo solo l’odore della colazione la mattina presto, le braccia forti di papà che mi prendeva in braccio quando tornava da lavoro e mi accarezzava la testa, la gioia che si respirava improvvisamente alla nascita di Sammy, la buona notte di mamma, e il suo bacio caldo sulla mia fronte. Ma è tutto troppo confuso, troppo offuscato da ricordi che di normale hanno ben poco, che sono pesanti quanto un macigno nella mia testa, che mi urlano che forse papà avrebbe dovuto affrontare le cose in modo diverso, non buttando su di noi, su di me, tutta la sua dannata frustrazione. Ai ricordi di una dolce buonanotte, si sovrappongono quelli di papà che mi addestra a tenere sotto controllo uno spirito, a sbarazzarmi di lui, a disseppellire i suoi resti mortali, e donarli alle fiamme e al riposo eterno. Ai ricordi di una tranquilla giornata in casa si sovrappongono quelli in uno dei soliti squallidi motel da quattro soldi e la voce di papà mi riempie la testa… “Bada a Sammy ragazzo, spara a chiunque provi ad aprire quella porta figliolo, non spostare il sale da porte e finestre Dean”… come se non sapessi già perfettamente cosa fare, come se quelli non fossero stati i suoi continui ordini, come se non avessi mai sistemato del dannatissimo sale per quelle solite fottutissime quattro sudice mura. Non sono queste le cose che si dicono ad un figlio neanche adolescente, non è questa la vita che si offre loro, sballottati da un lato all’altro del paese dietro a qualsiasi sorta di entità malvagia. È crudele sottoporre a tutto questo i propri figli, crudele e insensato. Ed è per questo che nonostante abbia sempre rimproverato Sam per essersene sbattuto dei nostri affari di famiglia ed essersene andato all’università, infondo lo capisco… perché lui ha avuto un’opportunità che io non osavo nemmeno sognare. Ha avuto la speranza di un futuro decente, degli amici, una ragazza, e non una qualsiasi pollastrella che ti porti a letto una notte senza nemmeno ricordare il suo nome, mentre infilandoti in tutta fretta i pantaloni esci di soppiatto dalla sua stanza. Lui, anche se per poco, ha assaporato quello che a me non era neanche concesso di sperare. Forse non sarei mai dovuto andare da lui, non avrei mai dovuto fare irruzione nella piccola vita che si era creato a Stanford, portarlo via dai suoi amici, da Jessica, da tutto… è stato egoista da parte mia, lo so. Lo so fin troppo bene. Ma cosa avrei dovuto fare? Avrei dovuto affrontare tutto da solo? La ricerca di papà, la caccia, le miglia e miglia di strada che percorriamo giorno dopo giorno? È stato tutto più sopportabile da quando Sam è di nuovo sul sedile di fianco al mio, a lamentarsi per l’ennesima canzone dei Metallica che sputa fuori il suo veleno mentre le ruote dell’Impala infiammano qualche solitaria statale come solo lei può fare, lei che è parte di me, una sorta di estensione della mia anima dannata, l’unica eredità che posso lasciare… la mia bambina, la dovrai curare come se valesse per te quanto è valsa per me… lei e il senso di colpa, sono l’unica cosa che ho da lasciare… perché non posso non sentirmi in colpa. Sono stato io che ti ho strappato via dalla normalità, che ti ho portato via quello per cui avevi lottato, fottendotene di papà, della caccia, di tutto… anche di me. Forse il demone non avrebbe fatto fuori anche Jessica se io non ti avessi portato via di lì. E anche adesso che sono fra le tue braccia, e sento il sangue che cola via dal mio petto, non posso che guardarti, con gli occhi un po’ smarriti forse, e chiederti scusa, e dirti che mi dispiace, di tutto, di com’è iniziata, di com’è finita, di lasciarti solo, senza nessuno che ti guardi le spalle, che ti protegga notte tempo come ho sempre fatto, non solo perché me l’ordinava papà, ma perché sei la mia famiglia, perché sei l’unica cosa normale che ho, sei l’unico che mi abbia mai fatto sentire a casa.
Mi dispiace Sammy.

  
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