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Autore: God Of Emptiness    17/08/2013    1 recensioni
Un pittore dilettante trova in un paesino di campagna uno strano monolite che diventa lo spunto per la sua nuova creazione. Col tempo però gli rivelerà abissi insondabili che nessun essere umano dovrebbe mai conoscere, catapultandolo in un sogno folle e senza ritorno.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ENTITA’ DALL’ALTROVE
 
“…Aegri Somnia…”
 
E’ da tre giorni ormai che non chiudo occhio, i miei nervi sono a pezzi, sono frustrato e guardo con sospetto la realtà che mi circonda, non so come e per quanto resisterò.
Non devo dormire.
Le idee si susseguono nella mia testa troppo rapidamente, mi sfuggono, sono evanescenti e mi è difficile approdare ad un ragionamento logico, se non dopo un notevole sforzo mentale.
A causa dello stato di stanchezza fisiologica a cui sono arrivato, sogno e vita reale tendono a fondersi e mi catapultano in uno stato semi-onirico, crepuscolare e di restringimento della coscienza da cui ricavo raccapriccianti associazioni.
Non trovo il coraggio di uscire di casa e di chiamare qualcuno con cui parlare non se ne parla, nessuno crederebbe a ciò che ho da dire.
A volte mi chiedo se sono davvero sveglio.
Devo cercare di ripercorrere a ritroso gli avvenimenti.
Il percorso sarà lungo e tortuoso perché la mia percezione del tempo e degli eventi è molto diversa da quella degli altri da all’ora, ma devo assolutamente provare a dare un senso alle cose, ne ho bisogno per ritrovare una parvenza di senso a tutto ciò che mi circonda e a quanto finora ho fatto nella mia esistenza, per cercare di andare avanti.
Non devo dormire, non riesco a trovarne il coraggio…
Il pennello ormai è secco e il nero dove è intinto sembra un grumo malsano di pece e nell’angolo del soggiorno, coperta da un telo, c’è quella cosa che mi fa inorridire.
Ho sbarrato tutte le imposte della casa perché niente deve entrare e soprattutto uscire, non posso permetterlo, perché sento che c’è qualcosa che freme nel mio essere, che graffia e scalpita, che tenta di venire alla luce dai più profondi recessi d’infinito.
La luce artificiale delle lampade inonda tutte le stanze e il ronzio meccanico del condizionatore mi da una parvenza del tempo che scorre.
Se non ricordo male tutto ebbe inizio il mese scorso, certo non potrei mai dimenticarlo.
Dovete sapere che ogni anno, all’arrivo della stagione estiva e quando ne ho occasione sento il morboso bisogno di allontanarmi dal caos della città dove lavoro come editore per un quotidiano locale e trovare calma e tranquillità nella mia casa in campagna dove mi dedico alla mia più grande passione: la pittura.
Essendo fin dall’infanzia per indole introverso, non prediligo la compagnia e cerco di isolarmi per dare sfogo all’impulso creativo che da sempre mi porto dentro.
Di certo le giornate passate in campagna a dipingere hanno tracciato nel mio animo, come nelle tele a cui do vita, emozioni e pensieri che hanno portato ad evolvere a stati sempre più complessi il mio modo di pensare.
Mi chiedo infatti se tutto ciò che ho visto e che sento riecheggiare nelle sfere del mio essere non sia solo lo sfogo della mia mente sovra stimolata dalla bellezza della natura, dal folklore, dalle  leggende e dal sapere che ho accumulato negli anni tramite un’insaziabile e ardente bisogno di conoscenza.
O forse è solo il prezzo che deve pagare chi si è spinto troppo in là…
L’aroma del cafè che sto preparando giunge alle mie narici e mi aiuta a tenermi sveglio.
Il telefono squilla, ma non posso prestargli attenzione.
Quel giorno, che mai dimenticherò, mentre mi avviavo con tavolozze e pennelli verso un sentiero che prediligo in modo particolare perché già in passato era stato fonte di alcuni miei spunti creativi che tutt’ora annovero tra i miei preferiti, intravidi tra i rovi una biforcazione sommersa da rovi,arbusti e difficilmente percorribile che non avevo mai notato prima.
Lo stupore fu grande e mi chiesi come, in tutti questi anni non me ne fossi mai accorto; ovviamente decisi di andare a perlustrare il nuovo percorso e fremevo dalla voglia di vedere cosa quello scorcio di natura avrebbe potuto offrirmi.
Come avrete capito nei miei disegni prediligo la natura e con le pennellate cerco di infondere ad ogni lavoro lo stato d’animo che più gli si addice.
Dopo poco più di 500 m, il percorso, che fino ad allora si era snodato più o meno senza grossi cambi scenici, si apriva in un vasto cerchio di forma più o meno regolare di terra battuta, dove cresceva solo di rado qualche arbusto e il terriccio era di un colore marrone molto scuro, che ad una prima vista poteva risultare nero.
Ma due particolari colpirono la mia attenzione rispetto al resto.
La prima era che al centro dello spiazzo c’era un grossa pietra bianca e la seconda era la presenza di un forte odore acre di bruciato. Potevo essermi imbattuto in un monumento alla memoria del paese, che col passare del tempo era stato dimenticato.
Subito un impulso primitivo di fuggire da quel luogo si impossessò di me e fu molto faticoso scacciare dalla mia mente quest’idea. Tremavo e non ne capivo il motivo dato che non c’era nulla da temere, una leggera brezza mi lambiva il volto e faceva ondeggiare le fronde degli alberi che avvolgevano con la loro ombra quel luogo. Qualche spiraglio delle radiazioni solari punteggiava la scena come fendenti di fiamma.
Altra cosa che solo in seguito notai era l’assoluta assenza del  cinguettio degli uccelli o del perpetuo frinire delle cicale che fino ad allora mi aveva accompagnato. Pareva che il tempo si fosse fermato in quel luogo.
Vinto lo stupore iniziale mossi i primi passi e calcai quel suolo. Sentii scorrere in me un’ondata di energia che mi faceva vibrare fino nel profondo del mio animo; cercare di descrivere lo stato d’animo che provavo allora mi è molto difficile in quanto la cosa era molto complessa. Con una metafora che solo lievemente si avvicina era come essere rinchiusi in una gigantesca campana di vetro che mi isolava dalla natura circostante e investita di un’immensa e sconosciuta energia intrinseca.
Capii subito che quello era il posto ideale per la mia prossima creazione.
Decisi di sedermi e di cominciare subito con qualche schizzo preliminare a matita…la massiccia pietra bianca dominava la scena.
Ogni linea che tracciavo scorreva quasi in maniera automatica nella carta e non avevo dubbi sulla perfezione del lavoro che stavo svolgendo, era come se fossi guidato da una volontà esterna e superiore. Dopo solo due prove mi decisi per lo schizzo definitivo, sarebbe stata una tela magnifica e nulla avrei modificato perché nulla avevo mai visto di così ben composto e i giganteschi alberi che mi sovrastavano, incorniciavano splendidamente la scena.
Finito il disegno mi accorsi di non aver mai preso in mano la gomma, non c’era bisogno di nessuna correzione, nessuna…
Presi allora la tavolozza e i pennelli che avevo riposto al mio fianco e la prima cosa che cominciai a dipingere fu la pietra che al centro del dipinto era la protagonista e che mai avevo visto di così ben lavorate, come poteva non essere l’opera di un dio? Nessun uomo avrebbe potuto farne una altrettanto ben levigata, forse solo la natura con la sapiente forza di vento e pioggia ne era l’artefice.
Non so quanto tempo passai a dipingere, ma in tutto quel tempo che trascorsi seduto ai margini ad ammirare quel posto e a dar pennellate nulla cambiava,nessuna fonte di disturbo interruppe la pace di quel luogo primigenio.
Alla fine terminai la tela. Era la più perfetta e fedele riproduzione della natura che avessi mai creato, ero senza parole, non riuscivo a vincere il senso di meraviglia per quell’opera di assoluta perfezione.
Gradatamente il mio cervello cominciò ad abituarsi all’immagine e riuscii ad alzarmi in piedi e con gli occhi confrontavo la somiglianza tra la realtà e la sua riproduzione.
Cominciai a pensare che però in tutto quel tempo non mi ero mai avvicinato alla pietra e che magari avevo tralasciato qualche particolare, così mi mossi nella sua direzione.
Mano a mano che mi avvicinavo però sentivo ritornare quel senso di angoscia che mi aveva preso all’inizio e anche questa volta fu arduo tentare di frenare quel sentimento. Effettivamente la pietra presentava caratteristiche che a una prima rapida occhiata non avevo notato.
Era solcata da piccole venature rosa e argento, la forma ricordava un obelisco e sembrava che, come gli iceberg, continuasse anche sotto la superficie del terreno, il che mi faceva pensare all’antichità di quel monolite. Mi resi conto anche che l’odore di bruciato era più forte, intenso, penetrante e che l’avviluppava: doveva esserne proprio la fonte.
Era incredibile, ma con mia grande sorpresa mi resi conto che c’era un’altra cosa, era completante coperta di simboli, segni e incisioni che mi fecero rabbrividire ancora una volta.
Ne era interamente ricoperta e con entrambe le mani scorrevo tra le fessure di quei geroglifici che in vari punti erano quasi cancellati.
Chiaramente, come avevo ipotizzato all’inizio, doveva per forza essere l’opera di qualcuno, ma chi poteva avere inciso così finemente e in un modo quasi impeccabile quella roccia?
Non intendendomi di archeologia e geologia, non c’era molto che potessi fare per cercare di avere altre informazioni a riguardo, anche se, per un istante, pensai di chiedere in paese. Magari qualche vecchio avrebbe saputo spiegarmi qualcosa a riguardo.
Poco per volta, però, mi resi conto di non riuscire a distogliere lo
sguardo da quegli arabeschi e quello strano linguaggio penetrava come un parassita nel mio cervello. Cominciai a provare un lieve senso di nausea e la testa mi cominciò a girare, questo dovuto anche al fatto che l’odore di bruciato si era intensificato facendosi insopportabile…poi il buio.
Non so fare una stima del periodo che rimasi a terra privo di sensi.
Posso dire soltanto che appena ripresi conoscenza e mi ritrovai ai piedi di quella pietra e sentii l’odore del bruno terriccio, che fresco mi toccava la pelle del braccio e del volto, feci il prima possibile per allontanarmi da quel luogo.
Il mio disegno era ancora dove l’avevo lasciato e nulla era fuori posto, raccolsi i pennelli e la tela e con la testa piena di confuse idee mi avviai verso casa, solo per un attimo mi voltai a guardare il bianco monolite.
Mentre tornavo a casa, non incrociai nessuno per le strade; varcato il portone d’ingresso mi sentii più sicuro.
Sotto la doccia riflettei sull’accaduto; che strana esperienza, ma d’altronde anche il caldo e la giornata afosa potevano avere influito sul mio svenimento, alla fine mi resi conto che non c’era stato nulla di così eccezionale e che dopo tutto avevo il grande dipinto con me, era quella la cosa più importante, il dipinto.
Alla sera, nonostante tutto, mi pareva una cosa inutile lo stare rinchiusi in casa e così mi decisi a uscire. Passai una magnifica serata, passeggiando per le vie di quel paesino di campagna che adoravo tanto; cenai sul mio ristorante preferito e scambiai quattro chiacchiere con due, tre persone che ormai mi conoscevano per la mia abitudine a passare le ferie in quel posto. Però non accennai mai alla pietra da me trovata, per qualche arcana ragione tacqui.
La luce dei lampioni illuminava il selciato delle viuzze e un splendida luna piena faceva da padrona in quel mare nero dove le stelle fissavano strane immagini e stuzzicavano la mia fantasia con composizioni sempre nuove a seconda delle angolazioni da dove le osservavo.
Le facciate delle case, simili a volti umani, mi fissavano curiose.
La notte si avvicinava e io sentivo il peso della stanchezza del giorno, così ritornai alla mia dimora.
Sebbene sia dotato di grande fantasia, non sono mai stato dotato di grande abilità nel ricordare le mie peregrinazioni oniriche e impiego del tempo per addormentarmi, o almeno così era stato fino a quel momento.
Quella notte invece, non appena posai la testa sul cuscino caddi in un sonno profondo.
Odore di bruciato, grandi alberi, la pietra bianca, com’era possibile che quello fosse un sogno? Era troppo vivido per esserlo, eppure i contorni della rappresentazione che vedevo erano sfuocati, ma com’era possibile che al mio naso arrivasse ancora una volta quel forte odore? Quella sera non riuscii a spiegarmelo e nemmeno quelle successive, perché da quel giorno, ogni notte sobbalzo in preda all’angoscia da questo sogno, che rifaccio in continuazione.
Rivedo sempre la stessa scena come se dovessi scoprire qualcosa, come se quella maledetta visione fosse collegata a qualcosa che dovrei sapere, ma che la mia mente ha rimosso e annegato nei neri flutti del mio inconscio.
Come ho detto questo stato di cose continuò immutato con le giornate che passavano monotone e che io ormai vivevo solo nella febbrile attesa di qualcosa che non riuscivo a spiegarmi. L’unica cosa che cambiava col tempo era il mio senso di timore, ansia e paura…poi tre giorni fa ecco che tutto venne alla luce e dalle tenebre più profonde nuovi orizzonti si aprirono alla mia mente.
Avevo passato l’intera giornata davanti al dipinto, lo osservavo nel vano tentativo di ricavare qualche associazione. Quel posto così carico d’energia doveva avere avuto in passato, in tempi antichissimi una funzione ben precisa e la bianca roccia intagliata con quegli strani simboli tormentava i miei pensieri. Ogni tanto ricordavo ancora quegli attimi che avevano preceduto la mia perdita di coscienza quel pomeriggio, era stato veramente causata dalla stanchezza e dal caldo o c’era qualcos’altro?
La sera arrivò senza che ci fosse nessun avvenimento degno di nota e dopo aver aperto la finestra della mia camera per fare passare la lieve brezza estiva appoggiai la testa sul cuscino e mi addormentai con mille pensieri per la testa.
Lentamente riaprii gli occhi, il sole splendeva, mi avviavo con tavolozze e pennelli verso un sentiero, poi la biforcazione…un momento, io avevo già vissuto quella scena. Era chiaro, stavo sognando. Il sogno che ormai conoscevo a memoria e che poteva prevedere in ogni sua parte. Nel sogno la mia mente ripercorreva la giornata in cui avevo scoperto il luogo oggetto dei miei pensieri; io che disegno e dipingo, tutto come quella volta. L’unica differenza dalla realtà è che in questo caso era come se mi vedessi dall’esterno.
Poi finito il dipinto mi alzo e mi avvicino alla pietra, ricordo ancora chiaramente quella sensazione. E poi io che svengo, no anzi, c’è qualcosa di diverso questa volta…
Adesso non mi vedo più in terza persona, sono davanti alla pietra e la tocco con le mani come quella volta, ma all’improvviso un nuovo fenomeno mi si palesa.
Una luce verde viene sprigionata dal monolite, gli arabeschi brillano verdastri e grotteschi alla luce del sole, le venature rosa e argento sono più luminose, sembrano come dei piccoli torrenti che scorrono.
Ora riesco ad identificare qualche disegno tra quelli che parevano cancellati, mostri orrendi e blasfemi si palesano a me, impegnati in battaglie da incubo contro altre entità altrettanto maligne e ributtanti. La luce verde continua a salire nel cielo e come una lancia lo trapassa e anch’io vengo avvolto dalla verde corrente di luce. L’odore di bruciato è insopportabile e porto una mano al volto per non soffocare dai miasmi, è tutto così vivido.
Con mio immenso stupore comincio a salire, stacco i piedi da terra come un novello Icaro e la velocità di ascensione aumenta sempre più, sempre più in alto, ora la pietra bianca non è che un puntino, passo nuvole e nuvole di cielo, tutto non ha senso, la mente è svuotata, chiudo gli occhi per la paura e nonostante tutto sento che la velocità della salita non diminuisce, poi un senso di vuoto mi fa riaprire gli occhi e sarebbe stato più saggio non farlo.
La luce verde è sparita, io non sono che lo spettro di un’ombra e il terrore è l’unico sentimento che predomina in me, l’unico che la mia mente possa accettare. La sensazione di tempo e di spazio, come noi la conosciamo mi appare totalmente alterata e deforme. I miei cinque sensi sembrano come uniti e un caos eterno coglie la mia mente.
A fatica riesco ad adattarmi alla nuova sensazione e tutt’intorno a me vedo stelle e pianeti che indifferenti nascono e muoiono.
Uso il pensiero per spostarmi in questo mare d’etere e mentre avanzo verso una meta sconosciuta non provo nulla, vedo colori che non posso vedere e geometrie aliene che comprendo, anche se non dovrei. Ammassi di creature nere e che non riesco a identificare ogni tanto mi passano accanto senza curarsi della mia presenza.
Dagli eoni provengono suoni e rumori abissali, da gole che non sono gole e da sfere dell’essere che non bisognerebbe neppure pensare. Il mondo a tre dimensioni, dove noi tutti viviamo non è l’unico esistente e infinte altre realtà esistono oltre noi e attraverso noi. Caro è il prezzo di chi ne viene a conoscenza. Nulla sarà più come prima per me.
Mondi morti e in decadenza mi sfiorano, solcati da quelle che un tempo furono città, ancora urla strazianti e dannate mi fanno rabbrividire. Fatico a credere che tutto sia un sogno.
All’improvviso, in questo infernale delirio un pianeta tra tutti risulta al mio io sognante più nitido e qualcosa fuori e dentro me mi fa capire che quello era la meta a cui ero stato destinato. Lentamente, ma inesorabilmente continuo ad avanzare verso l’astro che enorme e tondo mi scruta come un gigantesco occhio blu e rossastro. Supero alcune fasce di asteroidi. Tutto succede così lentamente eppure accade, le percezioni come noi le intendiamo non servirebbero a rendere chiara l’idea, perché tutto è così confuso, ma al tempo stesso chiaro da renderne difficile la spiegazione per un normale essere umano.
E dopo un lasso di tempo che non saprò mai quantificare la mia massa incorporea calcò quell’arido terreno alieno.
La mia mente, o sarebbe meglio dire quello che ne rimane fatica a seguire la serie di eventi a cui è esposta. Comunque sia, realtà o rappresentazione onirica, ormai non ha importanza. Non posso sottrarmi al volere cosmico.
Come una nube di gas velenoso mi sposto e avanzo in questo desolato mare di rocce bluastre e sabbia rossa. Il cielo è coperto da un fitto strato impenetrabile di polvere stellare di un grigio che sfuma in un viola ultraterreno.
Non riesco a farmi un’idea del clima del pianeta; le mie percezioni di caldo e freddo si mischiano e a volte le provo in modo simultaneo…incredibili folate di vento portatrici di morte sferzano il mio volto di fantasma.
Rarissimi arbusti resistono e si aggrappano alle rupi…secchi e quasi privi di colore restano indifferenti a ciò che li circonda.
Oltre non vedo nessuna forma di vita e il panorama che si staglia davanti a me si ripete monotono e apocalittico.
Ogni tanto sento rumori provenire sotto di me, dentro nei meandri di questo ributtante mondo che non appartiene all’uomo echi immortali ruggiscono e suggeriscono creazioni malevole che non bisogna ridestare da sonni ancestrali…riuscirò mai a svegliarmi?
Tormentato da una miriade di idee che come aghi penetrano nel mio cervello continuo ad avanzare, ma stavolta noto qualcosa.
Piccoli pietre di foggia diversa rispetto a quelle blu cominciano a spuntare dalla rossa sabbia, sono di un bianco avorio e in epoche immemori dovevano tutte far parte di una costruzione più grande. Magari un impero di una dinastia inumana ormai sepolta.
Più proseguo e più le pietre aumentano di dimensione, ora si presentano con forme più distinte, simili a blocchi.
Poi all’improvviso sento delle voci…
Terrore misto a curiosità prendono il sopravvento e mi nascondo dietro una pietra che un tempo doveva essere stata una gigantesca volta. Sento delle urla inumane, rabbrividisco, mille associazioni vorticano dentro me.
Mi sporgo leggermente e osservo la scena.
Due esseri sono in piedi davanti a una pietra, anzi no sembra un monolite levigato, la pietra bianca. Sì, è proprio la copia perfetta di quella da me dipinta nella radura.
Le due entità sono avvolti in mantelli neri, quasi completamente ridotti a brandelli che rivelano forme corporee assurde e non concepibili.
I loro corpi sono in parte in forma solida e in parte gassosa, di un gas simile alla mia forma attuale; completamente grigi con sfumature azzurre alle estremità di rudimentali arti, ma la cosa che più mi fa inorridire è la testa…una specie di gommosa escrescenza che cambia in continuazione e si modifica rivelando espressioni facciali non riconducibili a nessuna emozione umana…ghigni animaleschi e grottesche smorfie rivelano zanne blasfeme e affilatissime, occhi che compaiono all’improvviso ed esplodono come cisti infette punteggiano quello che noi consideriamo il volto. Di peli e capelli neanche l’ombra, completamente glabri sembrano viscidi rospi bipedi.
Parlano in una babele di lingue in perenne mutamento, dialetti antichissimi si fondono e rievocano nella mia mente eventi allucinanti di battaglie assurde in epoche remotissime e che rimembro perfettamente, anche se non dovrei.
La tonalità delle loro voci giungono pazzesche al mio udito e a nulla da me sentito le posso paragonare.
Nel far ciò, gesticolano animatamente ed è verso il cielo che è rivolto il loro ingiurioso verbo.
Poi come un primitivo e abominevole vento di creazione giunge a me un lezzo di putrefazione, distillante di male che comunque il mio essere riconduce a qualcosa di lontanamente familiare e ,seminascosta dalle aborrite creature, noto qualcosa.
Sì, c’è qualcun’ altro nello spaccato cosmico della mia visione e ora capisco l’urlo iniziale che tanto mi aveva spaventato. Doveva di certo provenire da quella creatura o meglio da quello che rimaneva di essa.
Ai piedi delle due entità giace immobile un ammasso indistinto di quella che doveva essere fino a poco fa un corpo pensante.
Completamente avvolto da una morente fiamma verdastra che tutto consuma lo vedo sgretolarsi e disperdersi come polvere nell’aria mefitica di questo assurdo pianeta che non posso far passare come frutto della mia mente sognante.
A poco a poco comincio a capire dove ho già sentito quel odore, che come un balsamo mortale mi sutura; lo ricordo perfettamente ora.
È lo stesso nauseante e penetrante lezzo di bruciato che avevo provato quel giorno nella radura, assieme alla pietra bianca che ora rivivo e rivedo in tutta la sua magnificenza e raccapricciante sinonimia.
Come se guardassi in una specchio la dimensione distorta che mi si para davanti comincio a dare vita a strane ipotesi e riflessioni;è tutto così simile alla scena da me raffigurata nel dipinto.
Poi all’improvviso alle voci gutturali e limacciose dei due esseri odo, come in risposta, un rombo nel cielo che squarcia la solitudine di quel luogo.
Una risata ancestrale si leva dai neri abissi delle sfere delle follia di altre dimensioni e portali extracosmici, il mio animo a fatica riesce a tollerare questo spettro di parole incomprensibili, remote e terrificanti al contempo.
Anche le due entità semi gassose sembrano intimorite, ma nonostante tutto continuano a tenere le braccia levate in cielo e perseverano nel loro rito blasfemo e che nessuna forma di magia nera ha mai conosciuto…le espressioni dei loro volti si modificano con una velocità sorprendente e in caleidoscopica trasformazione mi fanno pietrificare, resto immobile e nascosto dalla grande volta.
D’un tratto la voce proveniente da un altrove inarrivabile si fa più forte e raggiunge vette che spaccano e deformano l’atmosfera; ora i due esseri si sono ammutoliti e si inchinano curvando quasi fino a terra le loro schiene aliene con reverenza nell’attesa di qualcosa che non so spiegare.
Un raggio verde all’improvviso si sprigiona dalla pietra bianca, lo stesso che qualche tempo prima, un tempo che non so misurare mi ghermì nel sogno che tutt’ora sto vivendo come un’orrenda realtà.
Le due entità ne vengono completamente avvolte e con un’ascesa demoniaca e inarrestabile vengono portate verso l’alto, sempre più vicini alla fonte dove la voce cosmica continua a vomitare butterate parole d’incubo che mi flagellano.
Con lo sguardo li seguo fin dove mi è possibile, poi li vedo sparire nei meandri di un cielo che non è il mio, un cielo screziato di malvagità e che mi opprime come una cappa infernale, simbolo di una punizione che non posso reggere.
A mano a mano che il tempo passa la voce ultraterrena si fa meno forte d’intensità sempre più velocemente e svanisce fino a perdersi del tutto assieme all’ultimo raggio verdognolo d’energia che sfuma nel nulla. Ora sono di nuovo solo.
Non so descrivere le mille sensazioni che pullulano in me; faccio qualche passo ed esco dal mio nascondiglio…mi avvicino alla pietra che solitaria domina la scena.
Ai suoi piedi giacciono ancora gli ultimi resti carbonizzati dell’essere…una folata di vento li fa disperdere completamente e qualche frammento come cenere mi passa davanti con un debole luccichio.
Vorrei piangere, ma non ne trovo la forza.
Mi volto ad osservare per l’ennesima volta quell’orizzonte di nichilismo e desolazione…le rocce bluastre spuntano qua e la come denti acuminati; la sabbia rossa come il sangue bagna i miei piedi. Sto ancora sognando?…no, questa brezza terrestre non può essere un sogno, sento il tiepido lenzuolo sotto di me e il morbido cuscino, sono madido di sudore. L’angoscia che provo è indescrivibile…non sognerò mai più, non voglio farlo.
Da quella notte di tre giorni fa non dormo. Ho paura d’addormentarmi. Forse la pietra in quella radura, da me dipinta e quella che vidi nel sogno non sono le uniche esistenti, forse sono sparse in miliardi di altri pianeti e assieme servono ad un orrendo scopo che non voglio sapere. Forse sono portali per altre dimensioni, per viaggiare nel tempo e nello spazio, forse, forse hanno bisogno di sacrifici per essere alimentate…non voglio saperlo, ma non riesco a scacciare dalla mia mente queste idee assurde e quella voce infernale e cosmica a cui erano rivolte le preghiere dei due esseri.
Devo prendere una decisione perché non so per quanto resisterò, ormai le mie membra sono pregne di stanchezza e sento che potrei addormentarmi da un momento all’altro. Ma non posso farlo.
Io sono il mio Dio, maestro e schiavo e sarò io a decidere la mia fine, nessuno si porterà via la mia anima, io porto la mia volontà e il mio giorno.
Io che ho visto la verità al di là di tutto attraverso infiniti regni e reami dell’essere solo posso giustificarmi e possano le male lingue annegare e disperdersi.
Apro la finestra e l’imposta del soggiorno, mi volto ad osservare ancora il dipinto, ma non tolgo il telo che lo copre. Non trovo la forza per distruggerlo. Ma non verrò preso.
Con me tengo sempre una pistola automatica…per ogni evenienza.  
Alzo lo sguardo al cielo e osservo le stelle, immobili e indifferenti alle vicende dell’esistenza nascono e muoiono, ignare protagoniste di esseri senza scopo.
Silenzio e oblio.
 
  
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