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Autore: Silvar tales    17/08/2013    2 recensioni
L'Enterprise non è nulla più che una pastiglia di ferro, spedita alla velocità della luce da un sistema all'altro, sballottata, contesa, minacciata.
È l'ambasciata di un avamposto umano.
È una bandiera ridotta a brandelli, che eppure trova sempre la forza di seguire il vento.
Chi fa dello spazio la propria casa, può sopravvivere alla distruzione del proprio pianeta, può vedere cosa c'è oltre, e viaggiare in uno sterminato mare di stelle come un arbusto senza radici.
È una sensazione orribile.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Lime, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Anno 2259


star trek




Lo spazio è freddo, eppure i colori si impastano tra loro come una trama sul suo sfondo nero: i verdi i rossi i gialli delle costellazioni, delle nebulose, del vento solare.
Lo spazio è silenzioso. Forse questo è l'aggettivo che meglio lo definisce.
E l'Enterprise non è nulla più che una pastiglia di ferro, spedita alla velocità della luce da un sistema all'altro, sballottata, contesa, minacciata. È l'ambasciata di un avamposto umano. È una bandiera ridotta a brandelli, che eppure trova sempre la forza di seguire il vento.
Forse l'uomo è divenuto infelice proprio dal giorno in cui ha iniziato a viaggiare nello spazio, forse un simile obiettivo doveva rimanere un sogno, come lo era fin dalla notte dei tempi.
Chi fa dello spazio la propria casa, può sopravvivere alla distruzione del proprio pianeta, può vedere cosa c'è oltre, e viaggiare in uno sterminato mare di stelle come un arbusto senza radici. È una sensazione orribile.
Primo ufficiale Spock è atteso in plancia, ripeto, Primo ufficiale Spock...
Il ragazzo cercò di ignorare con tutto se stesso la voce metallica di Nyota che lo richiamava. Non era da lui disubbidire a un ordine, stava evidentemente cambiando, e non sapeva se la cosa lo rallegrasse o meno.
Non riusciva ad afferrare sapientemente il corso degli avvenimenti. Mancava un nodo fondamentale, un nodo che lo legava a quel vecchio vulcaniano incontrato a San Francisco, sulla Terra.
Gli era parso un profeta, sembrava avesse già vissuto tutta quanta la sua vita, per questo poteva dirgli come andava a finire.
Spock si premette due dita sulle tempie e si alzò da quella scomoda brandina su cui era adagiato. Schiena ben dritta, mani congiunte, sguardo impassibile. La postura era la prima cosa che i bambini di Vulcano apprendevano nei magisteri, che poi via via integravano nel loro inconscio. Pareva tutta una facciata, costruita con maestria ma prossima a cadere, ad essere svelata. Ed era quello che, in fin dei conti, era accaduto.
«Spock!»
Il ragazzo vulca riconobbe con un certo sconforto la voce di Kirk, suo nuovo capitano. Era illogico pensare di conferire una tale nomina a un uomo impulsivo come lui, ma d'altra parte, dovette riconoscere Spock, l'impulsività umana a volte era capace di superare anche lo stoicismo vulcaniano.
«Mi ha fatto chiamare, signore?» Lo guardò con una certa freddezza, alzandosi in piedi e fronteggiandolo di petto. Kirk lo fissò un momento con un'espressione ebete, come fosse distratto da qualcosa. I suoi occhi azzurri erano semplicemente fissi su quel viso cinico, la bocca leggermente aperta, come aspettasse spiegazioni valide.
«Mi dici perché sei qui? Non ti ho nominato Primo ufficiale di cabina».
L'arroganza e la presunzione di quell'umano non conoscevano limiti, si ritrovò a constatare Spock, sorridendo di sufficienza di fronte all'ira improvvisa del suo superiore.
«Non riuscite a gestire questa nave senza di me, capitano?» Ribatté beffardo, sostenendo il suo sguardo senza alcuna difficoltà.
«Al diavolo Spock, sai che cos'hai fatto?»
Spock alzò un sopracciglio e inclinò la testa, com'era suo solito.
«Temo di non...»
«In quest'ultima missione, questa, appena trascorsa».
Detriti e residui galleggiarono all'istante nella mente del vulcaniano, il suo pianeta natio ridotto in cenere, sua madre inghiottita dalla terra, il suo popolo che moriva senza nemmeno averne coscienza. Era passato più di un mese e ancora ci stava pensando.
Naturale, pensò dentro di sé, scuotendo la testa come se un gesto così banale bastasse a rinsavire.
«Hai infranto almeno una dozzina di regole, tu! Comincio a temere che ti abbiano clonato...»
«Capisco che il suo dovere sia rimproverarmi, fare rapporto, e infine degradarmi».
«Scordatelo, non voglio essere messo alla pari di voi robot insensibili, e non ti sto rimproverando. Anzi sono sollevato, ora che ho avuto la conferma di non avere a che fare con un cyborg. Ma...»
Jim si bloccò. Ora che aveva acceso le luci, e che il viso di Spock non era più in ombra, riusciva a vedere distintamente tracce secche di lacrime sul suo viso, e un lieve arrossamento nei suoi occhi castani. Eppure la sua espressione rimaneva fredda, formale, vigile. Come poteva?
«Ci stai ancora pensando».
«Capitano, un vulcaniano ha un tempo di recupero venti volte minore rispetto a quello di un umano. Se a lei fosse successa la stessa cosa, una vita intera non sarebbe bastata a cancellare le ferite».
James annuì distrattamente. Tempo di recupero, così chiamava lo spazio morto dedicato ad elaborare il vuoto di una perdita. Come se il corpo e la mente umana non fossero altro che una fredda macchina.
«Bene, credo che sia meglio io ritorni in plancia. Abbiamo abbordato una navicella errante, a corto raggio, distante da sistemi abitati. Voglio verificare il suo carico e il suo stato».
Una questione da nulla.
Suonava più come una scusa per congedarsi.
«Jim», Spock lo trattenne, afferrandogli il braccio. Calcolava male i suoi sentimenti in quell'istante, una mistura chimica di sensazioni che gli rivoltava lo stomaco, e gli si insinuava viscida tra le costole.
Ma non era certo la prima volta che succedeva.
Piegò la testa verso il viso di Kirk, e lo baciò sulle labbra, approfondendo immediatamente il contatto, abbassandosi di più, sentendo il viso che si riscaldava. Kirk rimase rigido, impiegò qualche secondo per abituarsi all'idea.
Anche se la loro reciproca attrazione non era certo una novità, per nessuno dei due.
Con foga iniziò a sfilarsi la divisa, e lo stesso fece Spock, che cercava in tutti i modi di simulare la sua incertezza.
Kirk si lasciò pervadere da un picco di vergogna, vedendo i suoi gradi cadere sul pavimento assieme agli indumenti. In un momento gli ritornò alla mente il suo ruolo, e in un momento si rese conto di essere un pessimo capitano.
Ci vorrà un attimo, si disse tra sé e sé, cercando di scrollarsi di dosso i sensi di colpa mentre seguiva Spock sulla branda e si slacciava i pantaloni.
«Spero di aver disattivato le telecamere di quest'area, altrimenti temo che dovremmo spedirti in esilio su Rura Penthe per salvarti dalla furia del tenente Uhura».
A quell'affermazione, Spock si bloccò un momento, inclinando la testa con fare interrogativo.
«Scusi?»
Kirk alzò gli occhi al cielo, dandosi dello stupido per aver creduto di dare qualcosa per scontato con quel cyborg vulca.
«Spock, non so da voi, ma quando una donna sta insieme a un uomo, non si aspetta che questo se ne vada in giro a flirtare con l'ammiraglio di turno».
«Io non vado in giro a flirtare», obiettò l'ufficiale scientifico, provocando nel suo capitano l'ennesima alzata di occhi al cielo, forse nel tentativo che un aiuto divino gli piombasse dall'alto.
Spock trattenne il respiro e scavalcò il corpo dell'altro, prendendo come rare altre volte l'iniziativa. Ma sembrava titubante, più interessato ad osservare le reazioni emotive di Jim, la temperatura corporea che saliva, il sudore che gli bagnava la pelle, il rossore che gli colorava il viso, che ad agire seriamente.
«Voi umani siete così...»



«...passionali».
Nello spazio era fondamentale tenere presente l'orario, dato che non si poteva desumere dal ciclo del sole. Così, nell'Enterprise, lampeggiavano ovunque orologi di tutti i tipi.
Il quadrante incastonato nel comodino segnava le nove e mezza di mattina.
Jim era sveglio, eppure teneva gli chiusi, schiena adagiata sul materasso, torace coperto a metà dalle lenzuola.
«Hm?» Fece Spock, girandosi di lato e guardando confuso l'ammiraglio.
«Ieri sera», chiarificò Jim, voltandosi a sua volta e fissando gli occhi in quelli del vulcaniano. «Ti chiedevi, come facciamo a essere così passionali? Come facciamo a non impazzire con il cervello annebbiato?»
Spock scosse la testa.
«No, è una sensazione che ho già provato, una volta. È come la rabbia».
Kirk sorrise, beffardo, come suo solito, ma sereno e rilassato. Era da tanto in viaggio sull'Enterprise, era da tanto che non passava una notte come quella.
Sprecarono qualche altro minuto a guardarsi a vicenda, come se dovessero studiarsi, come se cercassero di attribuire un senso ai momenti passati.
Poi qualcuno bussò alla porta, interrompendo quel lungo momento di beatitudine.
«Ammiraglio...! Ma... ha bloccato la serratura?»
Leonard.
Kirk non riuscì a trattenersi dal soffiare annoiato, mentre si costringeva ad alzarsi da letto ed a infilare un paio di pantaloni.
Spock era già vestito dalla testa ai piedi, persino i suoi assurdi capelli erano in ordine.
Peccato, constatò Jim, memore dei ciuffi bagnati che la sera prima gli cadevano sulla fronte.
«Arrivo dottore, mi dia il tempo di svegliarmi», sbottò l'ammiraglio sbloccando la porta, e trovandosi davanti un ansioso Leonard McCoy pronto pronto a snocciolare prediche.
«Ho dovuto chiarire le idee al signor Spock», disse in fretta e furia a mo' di giustificazione.
«Per tutta la notte?!» Sbraitò Leonard, trattenendosi a stento dal prendere a schiaffi il suo capitano.
Jim si lasciò andare in un profondo sospiro, e rinunciò a cercare di coprire alla vista il letto sfatto e i vestiti sparsi sul pavimento, dato che Spock si era messo vistosamente a rimboccare le coperte e riordinare la stanza.
«Sul serio Leonard, c'è bisogno che te lo dica?» fece ironico, sorridendo con fare conciliatorio e appoggiando una mano sulla spalla dell'amico.






   
 
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