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Autore: londra555    18/08/2013    18 recensioni
Santana vorrebbe solo allontanarsi da quello che rimane della sua vita. Vorrebbe semplicemente passare qualche giorno tranquillo in un hotel di provincia.
Invece scoprirà cosa significa trovarsi nel posto giusto ma al momento sbagliato.
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un anno dopo

 

Santana aveva imparato due cose in quei mesi. La prima era che niente era mai come sembrava e un anno è più lungo di ciò che sembra. Lei aveva dato per scontate fin troppe cose. Dopo essere andata via da Newport quel dieci ottobre di quasi un anno prima, aveva pensato che, per lei, non ci sarebbe stato niente di buono di ritorno a Los Angeles. Del resto la sua vita era stata completamente sconvolta da una serie di eventi su cui lei, diciamocelo, non aveva avuto quasi nessun controllo. Era quasi rassegnata a passare le sue giornate tra l'ufficio e casa in uno stato di perenne depressione in attesa che il tempo passasse. In attesa di quell'unica giornata che l'avrebbe riportata dalla donna che amava ma che aveva lasciato andare.

Ne era certa.

Invece, quasi senza volere, si era ritrovata tra le mani un volantino di un corso di ballo di una nuovissima scuola che, per una strana coincidenza, si trovava ad appena duecento metri da quella che era la sua nuova casa che aveva dovuto acquistare visto che aveva lasciato l'appartamento che divideva con Elisabeth.

Quella pubblicità le aveva fatto pensare a Brittany, come tutto ciò che la circondava ad essere sinceri, e così si era ritrovata a presentarsi per la prima lezione di prova. Non appena messo piede dentro la grande sala aveva quasi seguito il suo istinto e si era voltata per uscire il più in fretta possibile pensando che quella fosse la peggior idea che avesse mai attraversato la sua mente. Ma, mentre cercava di raggiungere la porta per scappare, prima che la giovane donna dai tratti chiaramente asiatici che stava dietro il bancone facesse in tempo a dirle qualunque cosa, si scontrò con un ragazzo che, a sua volta, era appena entrato stringendo lo stesso volantino pubblicitario che aveva lei.

Così Santana si era ritrovata a scusarsi con lui per l'incidente e si era trovata davanti un giovane biondo e con gli occhi chiari con un amichevole sorriso stampato in volto.

-Non preoccuparti – aveva risposto immediatamente.

Santana in effetti non era preoccupata per niente e le sue scuse non erano nemmeno particolarmente sincere, semplicemente pensava fosse più facile scusarsi per poi sparire in fretta piuttosto che lanciarsi in una serie di improperi e maledizioni in almeno un paio di lingue.

Ma quel ragazzo non sembrava volerla lasciar andare così in fretta visto che stava fermo davanti a lei bloccandole ogni via d'uscita.

-Anche tu qui per iscriverti al corso? - le chiese.

Santana avrebbe voluto rispondere di no, che era finita lì per caso pensando che si trattasse di una nuova pizzeria e non di una scuola di ballo. Ma, guardando quel giovane, soprattutto i suoi capelli biondi, non poté fare a meno di ricordare Brittany. Non che fosse strano. Tutto le ricordava lei. Persino la pioggia, anche se mai aveva passato nemmeno una sola giornata di pioggia con lei. Solo che, pensava, le sarebbe piaciuto chiederle se anche lei amava il profumo della terra bagnata.

Così non riuscì a ignorarlo e, dopo una smorfia quasi rassegnata, annuì.

-Sì. Ma non sono sicura che sia una buona idea – aveva borbottato infastidita con se stessa per non riuscire a pensare ad altra cosa che non fosse Brittany.

Lui aveva sorriso ancora di più prima di allungare la mano.

-Sam Evans – si era presentato stringendo con entusiasmo la sua mano prima di fare una smorfia e proseguire – Anche io non sono sicuro che sia una buona idea ma pensavo di fare un regalo alla mia fidanzata.

-Bene, buona fortuna allora – aveva detto Santana già muovendosi di lato per superarlo e cercare di uscire da quella sala.

Ma Sam non sembrava della stessa idea perché la fermò prendendole delicatamente il polso e l'aveva guardata con sguardo supplichevole.

-Andiamo! Non lasciarmi solo! Mercedes non sa che sono qui, volevo farle una sorpresa, facciamo questa prima lezione di prova insieme! Cosa ne pensi?

Santana sospirò e, pur sapendo che era una pessima idea, gli domandò chi diavolo fosse questa Mercedes.

Sam aveva sorriso con quel suo modo un po' impacciato che lo caratterizzava, e che Santana avrebbe imparato a conoscere davvero bene nei mesi successivi, e l'aveva trascinata verso la donna responsabile delle iscrizioni mentre iniziava a raccontarle la sua vita per filo e per segno.

Così, quasi controvoglia e, soprattutto, completamente a sorpresa, Santana si era trovata non solo in un corso di danza che aveva deciso di frequentare perché le ricordava Brittany, ma anche con un nuovo amico, a cui aveva dato una possibilità soltanto perché le ricordava Brittany! Era incredibile quanto la sua vita avesse iniziato a girare tutta intorno a una donna che non poteva avere ma che desiderava così disperatamente. Tutto sommato, dovette ammettere, aveva avuto un ascendente positivo pur essendo distante non solo nello spazio, ma anche nel Tempo.

Fin troppo distante ad essere sinceri.

La seconda cosa che aveva imparato in tutto quel tempo era che si può provare a controllare tutto nella vita, ma c'è sempre una semplice cosa che sfugge ad ogni controllo: il primo pensiero di ogni mattina. Santana l'aveva capito con il passare dei giorni. Perché aveva deciso che, per riuscire a non impazzire, le sarebbe stato necessario concentrarsi su altre cose che non fossero Brittany e la sua scelta di non restare con lei. Mai aveva pensato che fosse la decisione sbagliata.

Non lo era. Ne era certa.

Ma sapeva anche che convivere con quella decisione sarebbe stato difficile e, ogni giorno, si ritrovava a sperare che il suo ricordo sbiadisse piano piano sino a trasformarsi in un piacevole ricordo. Uno di quelli che si conservano sempre nel profondo ma che, forse, sarebbe meglio non far mai risalire in superficie. Così, si concentrava ogni minuto per evitare di pensarci, con un certo successo, a dire il vero. Quasi sempre. Tranne la mattina, quando apriva gli occhi e, ancora assonnata e senza il pieno controllo della sua mente, o forse del suo cuore, si ritrovava a fantasticare su un paio d'occhi color ghiaccio e degli splendidi capelli dorati. E immaginava di averla lì, tra le sue braccia, dove sapeva bene sarebbe dovuta stare.

Così aveva capito che, per quanto si impegnasse non l'avrebbe potuta lasciar andare, non del tutto. E che nemmeno quella stupida distanza avrebbe potuto fare niente. Perché, ogni volta che apriva gli occhi, il suo primo pensiero correva a lei.

A lei e a cosa stesse facendo.

Lei l'aveva forse dimenticata?

Pensava di no.

Nel profondo era certa che non l'avesse fatto.

Così aveva deciso che, in un modo o nell'altro voleva sapere della sua vita e aveva cercato una biblioteca qualunque, a Los Angeles, che conservasse copie del Newport Tribune per poter seguire, almeno indirettamente ciò che aveva vissuto Brittany. O ciò che stava vivendo, del resto per Santana il Tempo era confuso quando ci pensava. Ma non aveva trovato nessuna biblioteca, né museo, che conservasse copie di quel giornale. Non che ci fosse molto da stupirsi a dire il vero. Solo allora si era decisa a fare una brevissima ricerca su un paio di reti sociali per poter contattare David Puckerman. E gli aveva fatto la richiesta più assurda che si può fare a un semplice conoscente con cui si è passato solo qualche giorno: gli aveva chiesto di mandargli le copie del Newport Tribune, ogni giorno una nuova. In un angolo della sua mente non voleva, pur potendo, scoprire cosa fosse successo a Brittany tutto insieme. In un certo senso, voleva “leggere” della sua vita man mano che stava accadendo. Così scoprì che lei e Blaine accompagnati da Kurt, Quinn e Puck erano stati a Los Angeles in viaggio di nozze, lasciando Newport per più di un mese, tornando solo poco prima del Natale del 1925. Santana sospettava che, in quel viaggio, avesse portato la lettera nella cassetta di sicurezza del Regent Bank ma non ne aveva la certezza. E scoprì anche che, a partire dalla primavera del 1926 sembrava apparire sempre meno al Cotton.

Questo la preoccupò abbastanza. Ma pensò che sarebbe stata Brittany stessa a raccontarle cosa l'avesse spinta a quella scelta.

E ormai mancava davvero poco. Così sorrise mentre apriva la porta di casa, dopo una lunga giornata di lavoro. Sorriso che sparì immediatamente non appena si accorse che nel salotto c'era la televisione accesa e questo poteva significare solo una cosa. Così si diresse a passo di marcia verso la sua meta.

-Sam! - urlò facendo sobbalzare il ragazzo che stava tranquillamente sdraiato sul suo divano – Che diavolo fai qui?

-Ciao San! - disse subito dopo essersi ripreso – Vuoi una birra?

-Sì, voglio una delle mie birre! - sbottò lei immediatamente – Sei tu che avresti dovuto chiederlo prima di prenderla!

-Beh tu non c'eri! - provò a difendersi.

Santana si passò una mano sul viso cercando di mantenere la calma.

-Ovvio! Ero in ufficio! E tu cosa ci fai qui?

-Mercedes è partita per lavoro, torna tra un paio di giorni – disse come se questa fosse una spiegazione sufficiente.

-E perché sei a casa mia? Hai le chiavi solo nel caso che mi chiuda fuori per sbaglio!

-Mi annoiavo a casa da solo! - insistette – E poi ho parlato con Mike, stasera usciamo!

Santana scosse la testa. Mike era il loro insegnante di ballo e, con lui e con sua moglie, Tina, avevano raggiunto uno strano rapporto d'amicizia. C'era un unico problema: Santana era l'unica single del gruppo e sembrava che tutti avessero deciso di trovarle una fidanzata.

-Non credo proprio! Devo preparare la valigia, non ricordi che domani parto per un paio di giorni di vacanza?

Sam si accigliò.

-Parti davvero quindi? - chiese.

-Ovvio.

-Devi davvero vedere la tua donna misteriosa?

Santana sbuffò. I suoi amici sapevano che c'era qualcuno che occupava i suoi pensieri ma non riuscivano a comprendere la natura del loro rapporto.

-Sai che non ne voglio parlare – disse sulla difensiva.

-Perché no? Da quando ti conosco hai rifiutato tutti gli appuntamenti che ti abbiamo proposto.

-Non voglio parlarne.

-Non ti merita, San! Non la vedi mai! Non vi sentite mai! Qualunque cosa sia successa è ora che tu vada avanti.

Santana si diresse verso il frigo per aprirlo e poter prendere una birra, più per avere qualcosa tra le mani che per reale desiderio di berla.

-Senti, se vuoi rimanere dammi una mano a preparare la valigia.

Sam scosse la testa. Sapeva che, in quei momenti, era inutile forzare la mano. Così si alzò e fece l'unica cosa che poteva fare: prendere la valigia dall'armadio nella camera di Santana.

 

 

 

Quel 28 settembre era una giornata davvero calda e limpida. Santana scese dal taxi con un sorriso che l'anno prima era un miraggio. Si voltò lasciando una banconota al tassista e dicendoli, distrattamente, di tenere il resto. Poi sollevò i suoi occhiali e, mentre guardava la facciata dell'Hotel Providence, dovette sopprimere il desiderio di mettersi a saltellare come una qualunque adolescente davanti al palco dove, di lì a poco, si sarebbe esibito il suo cantante preferito. Così prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi, prima di dirigersi con passo sicuro e sguardo fiero per attraversare la porta d'ingresso.

La prima cosa che attirò la sua attenzione, e che le sembrò abbastanza strana, era la mancanza dei ritratti in bianco e nero nella hall. Corrugò la fronte perché era la prima cosa che avrebbe voluto vedere: quella foto di Brittany. Era certa che avrebbe immaginato la tonalità di blu dei suoi occhi e, naturalmente, l'oro tra i suoi capelli. Ma scosse la testa senza dargli troppa importanza. Del resto era passato un anno e molte cose potevano essere successe, magari le avevano portate via solo momentaneamente per qualche piccolo lavoro.

Così, sempre con il sorriso ben piantato in volto, si diresse verso il bancone. Ad attenderla un giovane impiegato, doveva avere meno di trent'anni, perfettamente a suo agio nella divisa blu scuro, con un sorriso cortese dipinto in volto.

-Salve, ho una prenotazione a nome di Santana Lopez.

Lui annuì mentre digitava qualcosa nella tastiera del computer che aveva davanti. Santana aggrottò le sopracciglia, le sembrava davvero strano anche se non riusciva a spiegarsi perché.

-Certo. Due notti. Vedo che ha richiesto assolutamente l'abitazione 314 – poi si voltò per prendere una tessera magnetica e la sistemò dentro un elegante cartoncino prima di allungarla gentilmente verso Santana con il sorriso cortese e professionale ancora perfettamente al suo posto.

Santana allungò la mano titubante. In quel momento c'erano davvero fin troppe cose che le sembravano strane. Prima tra tutte l'atmosfera. Nonostante ciò prese il cartoncino con la chiave magnetica e se lo rigirò tra le mani.

Si schiarì la voce.

-Senta, per caso sa che turno fa quel vecchio impiegato che lavora qui?

L'uomo davanti a lei sollevò un sopracciglio.

-Ci sono solo io a dire il vero – disse.

Santana si grattò il mento con aria indecisa, in fondo non sapeva bene cosa dire, né come si chiamasse il vecchio.

-Immagino che sia andato in pensione. In fondo vedo che vi siete modernizzati – fece un gesto indicando il computer – L'anno scorso c'era solo quel vecchio con quel grosso registro e delle chiavi di bronzo.

Il sorriso cortese e professionale vacillò un poco mentre il sopracciglio del giovane impiegato si sollevava appena di più.

-Mi spiace ma davvero non so di cosa mi parla. Io lavoro qui da ormai quasi cinque anni. Sicura che non si sta confondendo con un altro hotel?

Santana aprì la bocca per dire qualcosa mentre si guardava intorno. Il suo sguardo passò sulla parete dietro l'impiegato e quasi smise di respirare. Si sporse in avanti facendo assumere all'uomo davanti al lei un'espressione decisamente poco professionale.

-La porta! Quella porticina scura! Dove diavolo è finita? - domandò.

-Senta è sicura di star bene? - chiese a sua volta l'impiegato – Non c'è mai stata nessuna porta lì, credo davvero che si stia confondendo con un altro albergo! Perché non sale nella sua stanza e cerca di riposare?

Santana cercò di smettere di fissare la parete ed annuì piano. Del resto non poteva permettersi di passare per una folle psicopatica e di venir buttata fuori dal Providence. Così afferrò la sua valigia e si diresse verso le scale. Tutto lì sembrava esattamente come se lo ricordava. Un vecchio albergo che aveva visto tempi migliori, decisamente decadente e con meno manutenzione di ciò che avrebbe necessitato. Questo la tranquillizzò almeno in parte.

Salì le scale rapidamente ed entrò nella stanza 314. Tutto era perfettamente uguale anche lì. Esattamente come lei lo ricordava. Ed ogni dettaglio era impresso a fuoco nella sua mente. I suoi occhi vennero attratti dall'armadio, ben chiuso, e dovette trattenersi dal correre ad aprirlo spalancandolo con veemenza. Invece decise di aprire la finestra per fare entrare i raggi del sole del primo pomeriggio e poi fare una rapida doccia prima di cambiarsi. Sapeva che non era necessario perché non aveva la minor intenzione di allontanarsi dalla stanza 314 ma, ugualmente, decise di indossare un abito in perfetto stile anni venti molto semplice ma che, sperava, Brittany avrebbe apprezzato. Perché non aveva dubbi. Sapeva che, dall'altra parte, ad attenderla c'era lei. Così, finalmente pronta, si diresse verso l'anta dell'armadio e, con un sorriso eccitato, la tirò a sé chiudendo gli occhi. Nella sua mente poteva vederla bene quella maniglia. Lucida e splendida come il sole al mattino che sorge. Un anno di attesa era stato lungo ma sarebbe valsa la pena per poter abbracciare Brittany ancora una volta.

Così aprì gli occhi.

E quello che vide, o meglio che non vide, le fece gelare il sangue.

-No – sussurrò quasi in preda al panico.

La maniglia non era al suo posto.

Ma com'era possibile? Lei era certa che fosse lì per lei. E anche Quinn, nonostante fosse rimasta dall'altra parte, continuava a vederla. Perché il Providence le aveva scelte!

Maledizione, pensò con il cuore che batteva con veemenza in gola e un lieve strato di sudore gelido che le ricopriva la pelle.

Si mise le mani tra i capelli e chiuse di nuovo gli occhi. Doveva esserci una soluzione. Doveva esserci una spiegazione!

Doveva esserci per forza.

Forse non era ancora il momento. O forse la maniglia si era spostata.

Che idea ridicola! Pensò ma, nonostante tutto, iniziò a cercare in ogni angolo della stanza. Come se fosse alla disperata ricerca di un semplice paio di chiavi, controllò persino sotto il letto e dietro ai mobili. Alla fine si sentì ridicola e completamente persa. Si sedette sulla sedia davanti alla scrivania con il volto tra le mani. In quel momento, per la prima volta, pensò di nuovo a Brittany. Stranamente riuscì ad immaginarla solo dall'altra parte, in sua attesa. Pensò al suo sorriso che si sarebbe spento a poco a poco.

Balzò in piedi. Non poteva essere. Ci doveva essere un modo, qualcosa che aveva sbagliato. Qualcosa che potesse aggiustare. Si strappò quasi di dosso il vestito per indossare dei semplici jeans e una maglietta scura. Si precipitò, fuori senza degnare di uno sguardo l'impiegato che la guardò senza nascondere un'espressione preoccupata, e solo una volta raggiunto il marciapiede si guardò intorno. Non sapeva dove andare, non sapeva cosa fare. Ma, soprattutto, non riusciva a pensare a nient'altro che non fosse la reazione di Brittany quando non si fosse presentata. L'avrebbe dimenticata? Si sarebbe stretta nelle spalle e l'avrebbe dimenticata?

Improvvisamente sentì il desiderio di saperlo. Così si diresse verso l'unico posto dove, sapeva, avrebbe potuto trovare ogni risposta.

La vecchia bibliotecaria era ancora al suo posto e sollevò lo sguardo non appena Santana fece irruzione come una furia.

-Ho bisogno di vedere l'archivio del Newport Tribune – sussurrò senza fiato.

Forse fu qualcosa nel suo sguardo o forse il tono di supplica con cui disse quelle poche parole, ma la bibliotecaria non batté ciglio. Si alzò e l'accompagnò direttamente nella piccola stanza nella quale veniva conservato l'archivio. Non disse niente nemmeno quando la lasciò sola.

Santana si buttò immediatamente a lavoro, trovò facilmente quello che cercava, ma non sembrava esserci nessuna notizia su Brittany nelle copie datate fine settembre del 1926. Così passò ad ottobre mentre le mani le tremavano e un senso di panico le chiudeva lo stomaco.

Non dovette andare molto avanti prima di trovare un'enorme foto in prima pagina di una sorridente Brittany nella copia del 11 ottobre 1926. Santana si fermò a guardarla. Era la stessa foto che aveva visto nell'hotel Providence l'anno prima. Le sue dita sfiorarono quel profilo immortalato per sempre mentre i suoi occhi ne seguivano i contorni.

Sinché il titolo dell'articolo non attirò la sua attenzione.

Continuano le ricerche del corpo di Brittany Anderson.

Santana smise di respirare.

Rilesse un paio di volte quella semplice frase mentre cercava di assimilarla. Non era possibile che significasse quello che sembrava. Si accorse che le sue mani avevano ripreso a tremare ancora più forte mentre tirava verso di sé il giornale per leggere l'intero articolo. Perché era certa che ci fosse un errore.

In realtà non vi era quasi nessuna informazione, se non che Brittany era sparita e che un suo foulard era stato trovato sulla scogliera poco fuori Newport. Puck era stato l'ultimo a vederla, aveva dichiarato di averla accompagnata lui ma di essersi fermato in macchina come lei gli aveva chiesto. Santana lesse senza davvero prestare attenzione sino in fondo. C'era una sola cosa che riusciva a pensare: aveva ancora tempo. Se fosse riuscita a tornare indietro lei l'avrebbe salvata. Sarebbe riuscita a raggiungere la scogliera in tempo, avrebbe corso a perdifiato su quel ripido sentiero e l'avrebbe abbracciata prima che facesse quell'ultimo passo. Sapeva che poteva farlo.

Lei poteva cambiare il passato.

Se solo avesse saputo come fare. Se solo avesse ritrovato quel vecchio che sembrava sparito nel nulla. Lui sapeva. Non poteva non sapere.

Santana balzò in piedi frugandosi nelle tasche alla ricerca del suo telefono. Avrebbe chiamato David Puckerman e gli avrebbe detto che era tornata e che aveva bisogno di lui. Perché se c'era qualcuno che conoscesse ogni persona di quella cittadina quello era David e lui l'avrebbe potuta aiutare a ritrovare il vecchio. Si maledisse per non avergli chiesto il nome quando ne aveva avuto l'opportunità. E si maledisse nuovamente quando si rese conto che aveva lasciato ogni cosa nella sua stanza d'albergo. Così riprese a correre perché ora, ogni secondo perso, era un secondo in meno che la separava da ciò che sarebbe potuto accadere.

Raggiunse il Providence prima ancora di rendersene conto ed ignorò, di nuovo, lo sguardo vigile e sempre più preoccupato del dipendente che l'aveva accolta. Afferrò il corrimano e poi prese a salire i gradini a due a due. Raggiunse il suo piano e si voltò a sinistra per raggiungere la sua stanza.

E si fermò di colpo.

Il respiro affannoso e le braccia distese ai suoi fianchi con le mani strette a pugno. Si voltò lentamente dall'altra parte perché era certa che, anche se l'aveva vista con la coda dell'occhio, non poteva sbagliarsi. E, in effetti, alla fine del corridoio, c'era quella porticina scura, lasciò che il suo sguardo la percorresse accorgendosi che era esattamente come la ricordava. Solo nel posto sbagliato. Infine spostò lo sguardo per incrociare quello del vecchietto che la fissava da sopra gli occhialini che erano scivolati, come sempre, sulla punta del suo naso. Nella mano aveva il solito registro scuro di pelle. E in volto un'espressione indecifrabile.

Santana si morse il labbro e fece un paio di passi domandandosi come avesse fatto a non capirlo prima.

-Tu sei il Providence – disse quando si trovò a un paio di metri.

Il vecchio sorrise mentre annuiva. Santana chiuse gli occhi cercando di stabilizzare il suo respiro. Non sapeva come fosse possibile, non poteva immaginare come quell'edificio avesse potuto farlo, non sapeva nemmeno se fosse una cosa unica o se ogni luogo avesse un'anima. Sapeva solo che quello che aveva davanti era chi le aveva permesso di passare da una parte all'altra.

Lo stesso che l'aveva permesso anche a Quinn e a chissà quanti altri prima e dopo di lei. Sempre negli anni venti. Sempre in quello che lui considerava il momento più bello. Perché lo era stato.

-Tu puoi farmi tornare indietro – aggiunse ancora.

Il vecchio serrò le labbra sollevando gli occhialini mentre annuiva.

-Sì.

-Devi farlo – Santana si domandava come riuscisse a mantenersi ancora così calma.

-No.

In quel momento sentì una nuova ondata di panico che l'attraversava sotto forma di brivido che le fece accapponare la pelle. Non poteva dirle di no. Non adesso.

-Hai detto tu che sei sempre il luogo giusto, solo che, a volte, è il momento ad essere sbagliato.

Il vecchio sorrise, ma Santana vide un velo di malinconia nelle sue labbra tirate.

-Signorina Lopez – disse con quel suo modo lento e fuori dal tempo – Lei stessa mi ha detto che, a volte, anche io posso sbagliare.

Santana strinse con forza i pugni e si domandò se avrebbe potuto colpirlo sul naso o se fosse incorporeo. Dovette lottare con se stessa per cercare di trattenersi. Forse quella era la sua unica opportunità per convincerlo e non poteva perderla.

-Devo tornare indietro – disse questa volta con maggior enfasi – Io devo salvarla!

Il vecchio aggrottò le sopracciglia confuso, come se non capisse a cosa si riferisse Santana e questo la fece infuriare ancora di più.

-Mi hai fatto tornare indietro per lei! - sbottò – Lo sappiamo entrambi! Non so com'è possibile ma tu dovevi sapere che eravamo destinate ad incontrarci!

-La signorina Pierce era destinata a conoscerla, certo – disse tranquillamente – Ma questo non cambia le cose. Ho fatto un errore!

-Maledizione! - urlò Santana – Io devo salvarla! Devo cambiare il passato!

Il vecchio aggrottò le sopracciglia nuovamente.

-Signorina Lopez, temo davvero che si sbagli. Non vi è modo per cambiare ciò che è stato.

Santana spalancò la bocca. Non avrebbe versato nemmeno una lacrima. Non ancora. Non finché avesse avuto ancora speranza. Perché lasciare che le lacrime le solcassero il volto sarebbe stato come ammettere che si arrendeva. E non voleva farlo. Non le importava ciò che avrebbe dovuto subire. Lei sarebbe tornata indietro e vi sarebbe rimasta. A costo di obbligare il Providence a lasciarla tornare.

Così si allungò ed afferrò l'uomo per il colletto. La prima cosa che pensò fu che effettivamente poteva prenderlo e sentirlo tra le dita, la seconda fu che era davvero una sensazione strana. Come se fosse innaturalmente freddo. Ma non era spiacevole.

-Fammi tornare indietro.

-No.

Gli occhialini erano nuovamente scivolati sul naso e Santana poteva fissarlo dritto in fondo a quegli strani occhi. Poteva vedere qualcosa che non poteva capire sino in fondo. Una lieve luce che non aveva mai visto in nessun altro. Come se quegli occhi avessero visto fin troppe cose e, quasi senza volerlo, lo lasciò andare e si allontanò di un paio di passi. Il vecchio aprì il registro che aveva davanti e lo guardò attentamente.

-Signorina Lopez devo andare.

-No... io ho bisogno di tornare indietro – la sua voce si incrinò mentre lo diceva.

-Mi dispiace – disse il vecchio – Ma non è proprio possibile.

Poi si voltò ed afferrò la maniglia per aprire la porticina. Santana sapeva che sarebbe sparito, sapeva che, forse, non l'avrebbe più visto. Ma non riuscì a fermarlo. Era come se fosse ipnotizzata.

-E poi, Signorina, come le ho già detto il Providence è sempre il posto giusto.

Santana deglutì a vuoto mentre si sforzava di parlare.

-Ma, a volte sbagli anche tu.

L'uomo annuì piano. Come se fosse d'accordo ma gli costasse davvero ammetterlo e poi aprì la porta per sparirci dentro.

-Ma mai per due volte di fila.

 

 

 

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Siamo quasi alla fine. Ne manca uno solo! Bene direi che abbiamo avuto tante risposte, no? Dunque non aggiungo niente se non i soliti sentitissimi ringraziamenti per chiunque legga e per chiunque recensisca! Prometto che il prossimo capitolo arriva prestissimo! Abbiate pazienza!

Un abbraccio a tutti!

  
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