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Autore: SabakuNoKatrine    18/08/2013    7 recensioni
[ God save the Parentlock ]
Sherlock e John si ritrovano ad indagare su un caso all'apparenza molto semplice che si rivelerà più intricato di quanto potessero immaginare: nascondendo insidie e complotti ma anche una piccola, paffuta sorpresa che stravolgerà le loro vite.
[ Long Parent!lock, ambientata alla fine della 1° stagione]
Johnlock con accenni di Mystrade
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: John, Watson, Sherlock, Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Prima fic su Sherlock, Prima Johnlock, Prima Parentlock, Prima Long nata con la sana intenzione di essere portata a termine!
Avvertenze: “Leggetela solo se vi piace soffrire” (dovrebbero aggiungere davvero questa voce XD)

Questo primo capitolo darà poi vita alla vera storia, quindi spero che vi piaccia e che vi incuriosisca tanto da volerla seguire!


HOW TO BUILD A FAMILY


1. Just, get out...

Era il giorno libero del Dottor Watson.

John amava trascorrerlo in casa.

Metteva il maglione bianco, quello largo di lana e se ne stava in cucina per un po’ a preparare del buon the.

Una volta pronta la bevanda, portava con se in soggiorno due grosse tazze e del latte e occupava la vecchia poltrona bordeaux, ricoperta da un quadrato di stoffa scozzese contro il quale era d’obbligo poggiare il capo.

Socchiudeva gli occhi e si godeva quegli attimi, concentrandosi sui rumori ovattati provenienti da Baker Street o sull’odore del parquet fino a quando una melodia delicata non invadeva la stanza, conquistando tutta la sua attenzione.

Sherlock suonava sempre per lui durante il suo giorno libero e John aspettava esattamente quel momento per schiudere gli occhi, godendo a pieno di quel dono.

Il moro suonava il violino con maestria e naturalezza e, fra una nota e l’altra, posava le iridi sul coinquilino prima di tornare a concentrarsi sulla propria melodia.

La luce proveniente dalla finestra alle sue spalle lo faceva apparire più etereo di quanto già non sembrasse.

Riusciva sempre a sorprendere John e a farlo sentire un privilegiato al solo pensiero che quella fosse una composizione originale.

«Grazie Sherlock.»
Questi gli fece un cenno col capo prima di lasciarsi cadere sulla poltrona in pelle e prendere a pizzicare nevroticamente le corde del violino producendo dei suoni graffiati e acuti.

«Mi annoio.»
John ne conosceva il motivo: era da ben due settimane che a Sherlock non veniva sottoposto un caso, o comunque uno che il detective ritenesse degno di essere analizzato e inevitabilmente risolto dal suo quoziente intellettivo quattro volte superiore alla media.

«Il tuo pensare ad alta voce è l’unico che non mi infastidisce totalmente»

John non sapeva se prenderlo come un complimento o controbattere e quindi si limitò ad aggrottare le sopracciglia ed abbozzare un sorriso mentre sorseggiava il proprio the.

«Noia.»

Ripeté atono Sherlock, dando vita a note strozzate.

Per non rischiare di assistere alla demolizione di una delle pareti, l’ex soldato aveva smontato e nascosto tutte le pistole all’interno della propria stanza.

 «Jawn, una tazza di the.»

Con un sospiro, John lo assecondò  porgendogli anche del latte.

Stava per dare un’occhiata alla prima pagina del giornale quando il suono di un cellulare lo fece voltare.

Sherlock, al contrario, rimase immobile, limitandosi a biascicare.

«Jawn, il cellulare.»

Il dottore alzò gli occhi al cielo prima di raggiungere il cellulare del consulting detective e consegnarglielo.

«Dov’è la tua iperattività quando serve?»

Il dottore non fece in tempo ad accomodarsi che Sherlock scattò a sedere con le iridi ancora incollate allo schermo del cellulare che, riflettendone la luce, apparivano ancora più chiare e spettrali.

 «John: Usciamo!»

 

 

Fu un viaggio in Taxi molto breve quello che permise alla coppia di giungere al 33A di Carnaby Street.

Quando varcarono la soglia dell’appartamento al settimo piano le iridi di Sherlock presero a vagare frenetiche alla ricerca di particolari.

Al contrario, quelle di John rimasero fisse sulla ragazza seduta al centro del grosso divano, circondata da una pozza composta dal suo stesso sangue.

La stanza era popolata da esperti in tute azzurre e fra questi si stagliava l’ispettore Lestrade che sbraitava direttive ad un Anderson divenuto poco collaborativo alla vista del consultive detective.

«Siete arrivati, bene! Sherlock, questo caso è davvero so-… »

Li accolse, sollevato, e avrebbe spiegato loro il caso se Sherlock non avesse deciso il contrario.

«John: dimmi cosa vedi.»

Il dottor Watson era ormai abituato a mettersi in gioco e se Sherlock aveva bisogno di confrontare le sue percezioni con quelle di una mente normale o inferiore sarebbe stato felice di fargli da cavia.

«Beh.. d’accordo.»

Si beccò un’occhiata di sufficienza da parte di Anderson, che faceva capolino dietro un’anta,  ma tentò di ignorarla, concentrandosi sull’analisi della scena del crimine.

«Il soggiorno è ben arredato, nuovo.. ma è un po’ in disordine.. sul tavolo, ad esempio, sono sparsi degli ingredienti.. e delle ciotole..»

Sherlock asserì, statuario.

«C’è una ragazza sul divano.. lei è davanti alla TV, ancora accesa.  Potrebbe avere dai diciassette ai ventidue anni… ha le braccia ricoperte di sangue e sul tappeto ci sono diversi tipi di lame…»

«Ti prego Jawn, arriva al punto.»
Piagnucolò il suo coinquilino, stretto nell’elegante cappotto scuro.

John sospirò rumorosamente e fece qualche passo in avanti, avvicinandosi al cadavere della giovane.

«Beh… deve essersi tagliata… ma è strano. Forse… beh.. forse questo non è il suo appartamento.»

Con queste parole John si guadagnò l’espressione sorpresa di Greg e un sorrisetto compiaciuto da parte di Sherlock.

«Insomma, la sua postura è estremamente rigida.. e non deriva solo dal rigor mortis.»

Terminò, puntando le iridi nocciola sull’amico che da un po’ non staccava gli occhi dalla sua figura.

John accennò un sorriso, positivamente sorpreso da quelle attenzioni ma leggermente in imbarazzo nel dover sostenere uno sguardo tanto intenso in compagnia di cinque persone della scientifica e un giovane cadavere.

«Grazie, dottore.»

Come al solito fu Sherlock a risolvere la situazione rivolgendo immediatamente la propria attenzione e le proprie parole all’ispettore di Scotland Yard.

«Hai fatto bene a chiamarmi: si tratta palesemente di un omicidio.»

Mentre Lestrade prendeva finalmente a spiegare il motivo per il quale aveva richiesto la loro presenza, Anderson si fece avanti, rivolgendosi a Sherlock e gesticolando con quelle sue mani fasciate dai guanti bianchi in lattice.

«Ammettendo che quello che sostiene il tuo Amico sia vero…»

A John non piacque il tono con il quale il medico forense aveva sottolineato la parola amico, e non gli piacque neanche quell’alzata di sopracciglio.  

«…e che quindi la ragazza non abiti in questo appartamento, potrebbe essere stata invitata e successivamente lasciata sola. Poi ha trovato le lame e le ha utilizzate.»

«Si, Anderson esattamente.»

John e Lestrade si voltarono di scatto ad osservare Sherlock, senza la possibilità di nascondere il loro stupore alle sue parole.

«Esattamente come sei riuscito ad ottenere una laurea?»

La commedia mandata in onda dalla TV ancora accesa, decise di scatenare proprio in quel momento una di quelle fastidiose risa registrate, mai così divertenti come in quel frangente.

Anderson si incupì, tornando velocemente alla propria postazione, nascondendo il volto dietro un’altra anta del mobilio.

Lestrade si riprese velocemente, aggiornando i due sullo stato delle indagini.

«Il cadavere è stato ritrovato questa mattina dalla donna delle pulizie. Non siamo in grado di risalire all’identità della ragazza nè a quella del padrone di casa… il che è assurdo!»

«Controllate le denunce di sparizione che si prestano al suo profilo.»

Sussurrò nella sua direzione mentre muoveva qualche altro passo verso il centro della stanza.

«Lasciateci.»

La particella pronominale “ci” includeva se stesso e il dottor Watson.

Occasionalmente anche Lestrade.

Gli uomini nelle tutine blu si diressero verso l’uscita mentre la parola “Mostro” riecheggiava nell’aria.

John si ritrovò a stringere forte i pugni: ancora un’ altra parola da parte di Anderson e gli avrebbe rotto quel naso aquilino che si ritrovava.

Il dottore non notò che Sherlock aveva aggrottato le sopracciglia e che stava meticolosamente registrando le sue reazioni: leggero aumento della sudorazione, narici dilatate, battito accelerato, contrazione involontaria dei muscoli, palesatasi in quella del viso e delle mani.

«Solo quattro tagli, tutti nuovi.»

Disse Sherlock mentre si chinava a studiare il giovane cadavere, scrutando con la lente d’ingrandimento i tagli fin troppo netti lungo i polsi.

«Due incisioni su ogni polso, fin troppo precise perché se le sia procurate da sola. Oppure, prendendo in considerazione il caso contrario è d’obbligo analizzare le congetture che l’avrebbero portata al compimento di un tale gesto: profonda sofferenza psicologica e desiderio di porvi fine. Ma fino a che punto sarebbe stata in grado di sopportare una tale sofferenza fisica, decidendo poi di quadruplicarla? La nostra presunta suicida, ma accertata non-autolesionista, avrebbe scelto metodi più immediati e dai quali derivasse un dolore meno acuto. »

Salì con lo sguardo verso il volto della ragazza e annusò la zona circostante, storcendo il naso e accennando un sorrisetto.

«Oh, sono intelligenti, ma non abbastanza… Non l’hanno forzata ad ingerirla ma ad inalarla o si sarebbe mostrata con la classica produzione di bava bianca… ma l’odore è un classico.»

«Cosa?»

«E’ stata assassinata: 50 milligrammi di acido cianidrico bastano se inalati e portano alla morte in meno di 30 secondi… L’odore di mandorle!»

Si sentì in obbligo di aggiungere, pungente, perché l’ispettore riassumesse un’espressione meno confusa e più dignitosa.

«è inconfondibile. E poi…»
Sherlock restò immobile in attesa del familiare “straordinario” che non giunse, costringendolo a voltarsi per controllare il resto della scena del crimine.

«John?»

Per la prima volta, Sherlock apparì disorientato a Lestrade che si affrettò ad indicargli con un cenno del capo la strada che il dottore aveva intrapreso poco prima, lasciando che lo raggiungesse per primo.

 

Oltrepassato il divano sul quale giaceva la giovane vittima, John aveva sentito un suono leggero seguito da un grattare soffuso e, per scoprire da dove provenisse, aveva mosso qualche passo verso l’altra stanza, oltre la porta in legno.

Si era ritrovato così nella camera da letto di un’adolescente, dove ogni oggetto era laccato di bianco e rosa tranne per il parato: ruvido e di un viola tanto intenso da opprimere l’intera stanza.

 

«John…»

L’ex soldato sobbalzò quando sentì chiamare il proprio nome ma non si voltò, spinto dal rumore ad avvicinarsi all’unica parete libera dal mobilio.

Vi poggiò contro una mano, facendo scivolare i polpastrelli fra le venature, ottenute lasciando di proposito numerose bolle d’aria durante l’applicazione dell’insolito parato.

John sperò intensamente che si trattasse di una tubatura allentata o di un piccolo animale intrappolato fra qualche trave mentre, lentamente, avvicinava un orecchio alla parete e abbassava le palpebre.

Riusciva quasi a sentire lo sguardo intenso del proprio coinquilino puntare nella sua direzione e di riflesso si umettò nervosamente le labbra,  trattenendo il respiro quando dall’altro lato sopraggiunse un lamento davvero molto debole, ma senza alcun dubbio, un lamento.

«…She-Sherlcok!»

La voce gli tremò più di quanto avrebbe dovuto e sicuramente molto più di quanto avesse immaginato mentre si voltava verso l’amico, il quale lasciò cadere la sua preziosa lente d’ingrandimento portatile e lo raggiunse con lunghe falcate.

Adagiò a sua volta il viso contro la parete e prese a colpire con le nocche la zona circostante, constatando l’esistenza di diversi materiali che producevano suoni differenti.

«Qui si tratta di legno, questo è tipico cartongesso… mentre questo…»

 Sherlock operò una leggera pressione contro la parete che si incurvò, risultando estremamente malleabile.

«Questo è polistirolo.»

Con un movimento secco, dal basso verso l’alto, il consultive detective strappò senza la minima difficoltà il parato violaceo ed espose alla vista dei presenti un quadrato bianco incastonato fra le assi portanti della parete:  aveva le dimensioni di una cassaforte media e Sherlock lo fece scivolare verso l’esterno fino a farlo cadere.

Il quadrato di polistirolo rivelò ciò che nascondeva e ciò che nascondeva ricambiò i loro sguardi, gemendo appena.

Si trattava di un bambino davvero molto piccolo, dai capelli scuri e dalle labbra rosse e lucide a causa della saliva.

 «Dio santo.»



 

,.,.,.,.,.     ,.,.,.,.,.     ,.,.,.,.,.     ,.,.,.,.,.



Uh, siete arrivati fin quì! Grazie! <3
Ditemi che i personaggi vanno bene: ho scritto col terrore di renderli OOC XD ma credo non mi sia sfuggito nulla! +_+
Spero davvero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e che troviate il tempo per scrivermi che ne pensate così da darmi la forza necessaria a finire i prossimi!
A presto, Parentlocked!

   
 
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