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Autore: ladymisteria    19/08/2013    0 recensioni
Se si è con il Dottore, anche una semplice ricerca in biblioteca può tramutarsi presto in un viaggio tra ricordi dimenticati ed epoche lontane...
Versione riveduta e corretta.
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, River Song
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Doctor's Nights'
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«Ciao Dolcezza» disse River Song sorridendo, non appena la testa del Dottore fece capolino dalle porte del TARDIS - appena materializzatosi fuori dalla sua cella.

«Stavo fluttuando senza una reale destinazione, prima; così ho pensato di invitarti ad un piccolo viaggio spazio-temporale» rispose il Dottore, una volta controllato che non vi fosse nessuno nelle vicinanze, avvicinandosi alle sbarre. «Sempre che tu non preferisca rimanere qui, a goderti il soggiorno...».

River lo raggiunse, sorridendo divertita.

«Clima terribile, socializzazione impossibile... E non dimentichiamo il cibo immangiabile! Ma su quest'ultimo posso facilmente sorvolare, potendo io uscire per cenare nei migliori ristoranti dell’universo in compagnia di un folle e carismatico marito. Anche se...» confessò, fingendosi corrucciata. «Il suddetto marito non sempre è puntuale, dimentica ancora il freno inserito, e soprattutto rifiuta categoricamente di rispondere al telefono!».

Il Dottore si permise un piccolo sbuffo.

«Ti ripeto, tesoro, che lascio deliberatamente il freno inserito perché mi piace il rumore che conferisce al TARDIS durante gli atterraggi» replicò, aprendo la porta della cella con il proprio cacciavite sonico e zittendo sul nascere l’allarme. «Per quanto riguarda il resto… Sai anche tu come vanno le cose, no? Mondi da salvare, tante cose nuove da vedere e altrettanti pericoli da cui correre via…».

«Sei piuttosto impegnato, per essere qualcuno che dovrebbe mantenere un profilo basso» ghignò River.

«Che vuoi che ti dica? Non riesco a starmene tranquillo. Mi annoio» sorrise lui, scrollando le spalle e facendosi poi da parte per permetterle di uscire dalla cella. «Si va?».

[*]

«Dove andiamo questa volta?» domandò River, incuriosita, una volta entrata nel TARDIS.

«Il pianeta Pirox. Enormi distese di erba arancione, tiepidi specchi di cristallina acqua lilla e cittadelle alle pendici della catena montuosa principale. Tutto sotto la meravigliosa luce di un sole alieno mai offuscato dalle nuvole» spiegò il Dottore, impostando rapidamente le coordinate.

«Sembra magnifico»

«Oh, lo è».

Il Dottore si guardò intorno, pensieroso.

«Dovrei avere un libro con delle immagini, da qualche parte…» borbottò, più a se stesso che a River.

«Non importa, Dolcezza. Lo vedrò con i miei occhi tra poco» lo tranquillizzò lei.

Ma l'uomo scosse il capo con fare testardo.

«No, no... Mi rifiuto di portarti su un pianeta che potrebbe non piacerti» spiegò, scendendo rapidamente le scale accanto alla consolle. «Forse il libro che cerco è in biblioteca. Vieni!».

«Non mi hai sempre ripetuto quanto sia poco prudente lasciare i comandi durante un viaggio tra le varie galassie, Dottore?» lo provocò River, guardandolo divertita.

In realtà si fidava ciecamente delle capacità dell’uomo come pilota. Nonostante alcune lacune nel metodo di guida, infatti, il Dottore pilotava il TARDIS da diversi secoli, e nel suo DNA era stato impiantato artificialmente un gene particolare – eredità dell’antica civiltà dei Signori del Tempo – che lo rendeva capace di controllare la nave anche nelle situazioni peggiori. Non era certo un novellino...

«Certo che l’ho fatto, River. Ma un discorso simile vale per te, non certo per me» disse il Gallifreyano, come se quella fosse stata la cosa più ovvia del mondo.

River alzò gli occhi al cielo.

«Ma certo… Come ho fatto a non capirlo» mormorò sarcastica, prima di seguirlo fuori dalla stanza.

[*]

«Non ricordavo che la biblioteca fosse tanto in profondità» disse la donna, imboccando l’ennesimo corridoio.

«Non lo era, l’ultima volta che sei stata qui».

River si fermò a metà strada, e il Dottore percorse ancora diversi metri, prima di accorgersene.

«Che succede?» chiese, tornando sui suoi passi.

«Hai di nuovo cambiato la disposizione delle stanze?!» domandò lei di rimando, esasperata.

«Penso di averti già detto di avere il pieno diritto di cambiare le stanze sul mio TARDIS...».

River fece per ribattere, ma rinunciò: era una causa persa in partenza. Posò allora il proprio sguardo sulla porta di legno finemente lavorato appena pochi passi davanti a lei.

«Ma non cambi mai posto a questa stanza...» disse, avvicinandosi. «Lo studio privato del Dottore: più di mille anni di storia racchiusi in una collezione unica e dimenticata, nella quale ogni oggetto racconta un capitolo diverso della tua vita... Un sogno per chiunque desideri conoscere ogni dettaglio di te e dell’intero universo. Non sai quanto mi piacerebbe chiudermi in questa stanza e studiarne ogni angolo».

Il Dottore annuì orgogliosamente, prima di accigliarsi con fare indignato.

«Aspetta un attimo! E tu come sai quello che tengo qui dentro? Credevo di averti detto di non entrarci!».

River sogghignò con aria dispettosa.

«Come se un tuo divieto bastasse per fermarmi, Dolcezza... Tranquillo, ho solo dato un’occhiata: pochi secondi; giusto per saziare la mia curiosità. Certo, se mi permettessi di studiare ogni più piccolo manufatto…».

Il Dottore la guardò come se lei gli avesse appena chiesto di eliminare completamente la stanza.

«Sei impazzita?! E’ il mio studio privato!»

«So meglio di chiunque altro come trattare le antichità, Dottore. Non dimenticare che ho continuamente a che fare con te. Inoltre... Anche la mia camera qui sul TARDIS è privata, eppure la cosa non sembra impedirti di entrarci ogni volta» sbuffò River, strafottente.

Il Gallifreyano aprì e richiuse la bocca un paio di volte la bocca, il viso improvvisamente divenuto scarlatto.

«Io… Che c’entra…» balbettò imbarazzato, prima di sbuffare a propria volta - alternando lo sguardo da River alla porta - e di alzare le mani con aria sconfitta. «Oh, d’accordo! Cerca solo di non… archeologizzare le mie cose!».

«Ottimo!» sorrise trionfante la donna, incamminandosi poi rapidamente lungo il corridoio. «Allora... Quanto in profondità hai messo la biblioteca, questa volta?».

Il Dottore sospirò rassegnato, affrettandosi a raggiungerla.

[*]

«Doveva essere davvero bellissima» mormorò River, sfogliando rispettosamente le antiche pagine ingiallite del libro “Le Grandi Civiltà dell’Universo”.

Alla fine erano arrivati nell’immensa biblioteca del TARDIS, dove si erano messi immediatamente alla ricerca di un libro grazie al quale River avrebbe potuto dare “un’occhiata in anteprima” a Pirox.

Il Dottore si voltò a guardare di cosa la donna stesse parlando, e per un istante i suoi occhi si velarono nel vederla ammirare un’illustrazione particolarmente dettagliata di Gallifrey.

«Un tempo, forse. Ma alla fine non era diventata altro che l’ombra di sé stessa» rispose il Dottore in tono desolato, avvicinandosi e studiando anch’egli le immagini sbiadite.

«Penso mi sarebbe piaciuta» disse improvvisamente River, ma l'uomo scosse il capo.

«Personalmente non ne sono affatto sicuro, River. La società, le sue regole, i suoi giuramenti… Non credo avresti accettato di non interferire, di non vivere l’avventura…»

«Come non lo hai accettato tu, vuoi dire» sorrise River.

L’uomo la imitò.

«Come non l'ho accettato io, sì».

River tornò a fissare le immagini della cittadella racchiusa nella sua bolla protettiva.

«Ti capita mai di ripensare a quei tempi? A prima della guerra?».

Il Dottore non rispose subito.

«Non sempre ci riesco. La Guerra del Tempo aveva cambiato ogni cosa, alla fine. Ed è difficile, per me, pensare a Gallifrey senza lasciarmi influenzare da ciò che ho visto; da ciò che ho fatto» aggiunse amaramente. «Ma di una cosa sono sicuro, River: avresti adorato il paesaggio. Il contrasto dell’erba rossa con il bianco delle nevi perenni… Amavo quei monti. Sai? Fu su una di quelle vette che mio padre mi portò a vedere la mia prima tempesta di meteore. Ero così piccolo… Ad oggi, è ancora uno degli spettacoli più belli che io abbia mai visto». 

Il suo sguardo si era fatto nostalgico, mentre parlava - ma improvvisamente si riscosse.

«Ma è stato tantissimo tempo fa. Secoli, vite…» mormorò, chiudendo con riverenza il libro davanti a River - che da parte sua si mise a studiare gli scaffali pieni di libri, in silenzio.

Era raro sentire il Dottore parlare della sua vita prima della guerra, e nonostante fosse sinceramente curiosa di sapere quanto più possibile di quei giorni, riteneva che interrogarlo sarebbe stato fin troppo indelicato...

«Mi piacerebbe essere in grado di comprendere la tua lingua natia» ammise, quando alla fine i suoi occhi si fermarono su un libro rilegato in pelle blu, il cui titolo era scritto in una lingua intraducibile.

Il Dottore scrollò le spalle.

«Potrei sempre insegnartela» propose, mentre la sua mente volava a tanto tempo prima, quando una River Song decisamente più avanti nella propria linea temporale gli aveva lasciato un messaggio su una scatola base. «Qualcosa mi dice infatti che le tue… capacità non umane ti sarebbero d’aiuto. Inoltre, ritengo doveroso insegnarti anche il Gallifreyano Antico, così che tu possa comprendere anche i testi più antichi».

River lo guardò confusa.

«Credevo fosse una lingua perduta, e che solamente una strettissima cerchia di Signori del Tempo fosse non solo in grado di parlarla fluentemente, ma anche di leggerla e scriverla...» disse.

«E’ così, infatti» confermò il Dottore, dandole un buffetto sul naso. «Ma per tua fortuna, io sono tra questi».

Il sorriso di River avrebbe potuto offuscare il sole.

«Lo faresti davvero? E possiamo cominciare ora? Subito?» chiese, impaziente come una bambina a Natale. 

Il Dottore ghignò.

«E… Che mi dici di Pirox?» la provocò, mostrandole un libro intitolato: “Le meraviglie di Pirox”.

River si morse il labbro, indecisa.

«C’è in programma una tempesta solare o l’arrivo di una cometa potenzialmente letale?» chiese.

«Non che io sappia, ma perché mai…» cominciò l'uomo, accigliato, prima che River lo interrompesse - strappandogli il libro dalle mani e gettandolo con malagrazia su uno dei divanetti.

«Allora credo proprio che Pirox possa attendere» replicò lei, ammiccando.

Il Dottore rise.

«Questa è la mia River».

   
 
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